Sette notti, tutto incluso di endif (/viewuser.php?uid=68268)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
2
«Non abbia
quell’espressione sconvolta. Acciaroli è un paese
piccolissimo. Praticamente ci conosciamo tutti. Anzi»,
l’uomo strofinò con cura le dita sullo
strofinaccio prima di riporlo in tasca e compiere qualche passo verso
di lei. «Io mi chiamo Giambattista». E
restò in attesa, la mano protesa, il sorriso cordiale.
Carla
esitò. Se
non fosse stata diffidente per natura, molto difficilmente sarebbe
arrivata dov’era.
L’uomo che
l’aveva generata aveva idee poco chiare sulle
responsabilità che comportava una paternità ma
non sull’impegno collegato alla passione per il gioco
d’azzardo, attività alla quale si dedicava con
rigore e costanza. Quasi una professione, a pensarci bene.
Carla
aveva compreso molto in
fretta che ”fidarsi è bene, ma non fidarsi
è meglio”, più che un detto era un
prezioso consiglio e ne aveva fatto la propria filosofia di vita. Non
aveva praticamente mai vissuto in casa con i suoi, lì dove
invece sua madre restava ancorata, perché
“casa” era ristoro, conforto, rifugio. O, forse,
era solo l’ultimo baluardo in un’esistenza
tormentata.
Se non fosse stata diffidente
per natura, sarebbe stato necessario molto più della
semplice buona educazione per farle stringere quella mano sudicia e
poco invitante come, invece, fece con vigore: perché una
mano impolverata, piena di tagli e così ruvida al tatto,
tanto differente dalle mani dell’uomo che si professava suo
padre, non poteva che raccontare di una vita dedita alla fatica.
D’altronde suo nonno glielo diceva sempre: un uomo onesto si
riconosce dai calli che ha sulle mani. E Carla si fidava ciecamente di
suo nonno.
«Carla. Devo
dedurre che la proprietaria del B&B in cui alloggio
sia… una cugina?», domandò ironicamente.
«Alla
lontana», rispose lui.
Aveva una mano forte, la
presa decisa che durò solo pochi istanti ma che
bastò a rivelare un temperamento d’acciaio. Gli
occhi, di una confortevole tonalità castano scuro,
sostennero con pacatezza l’esame sfrontato che la ragazza non
lesinò loro. Anche quella era una cosa che aveva imparato da
suo nonno: non ci si può fidare di una persona che non ti
guarda dritto negli occhi.
«Capisco. Il paese
è piccolo, la gente mormora… che si dice di
queste due turiste che affluiscono dalla capitale?». Nelle
sue intenzioni non c’era quella di essere scortese, eppure
Carla avrebbe volentieri strappato quella linguetta pettegola alla
padrona della stanza che aveva preso in affitto insieme alla sua amica
per la loro vacanza. Avevano persino approfittato della
possibilità di estendere la formula da B&B a
pensione completa, senza sospettare che “sette giorni, tutto
incluso” avrebbe compreso anche il servizio di pubbliche
relazioni.
L’uomo sorrise.
«Che quella più carina si chiama Carla. Non potevo
sbagliarmi».
Suo malgrado,
la ragazza
restituì il sorriso. «O la più
rammollita. Francesca, la mia amica, in questo momento sta cercando non
so quale passaggio segreto per convincersi di non avere il cuore a
pezzi. Ed io, che tecnicamente sono la spalla su cui dovrebbe piangere,
ho abbandonato il progetto a metà strada per intrufolarmi in
un negozio alla ricerca di un po’ di refrigerio. Ah, e
continuo a ripetere quella parola con la C che non si deve pronunciare,
anche se non lo faccio di proposito. Sono pessima, non
carina».
«La parola con la
C?», domandò Giambattista inarcando un
sopracciglio.
Carla
ebbe la grazia di
arrossire lievemente. «Una specie di codice. Cose di ragazze
che ogni tanto hanno le traveggole». E le traveggole le parve
di averle sul serio. Come le veniva in mente di rivelare certe
confidenze ad uno sconosciuto?
«Sarà il
caldo. Ogni tanto succede. Allora, pessima
Carla», incalzò Giambattista,
«cosa ti porta nell’assolata, solitaria, noiosa
Acciaroli?» e le sorrise.
Era vestito come suo nonno.
Con quei pantaloni pesanti e una camicia a quadretti come se tirasse
una leggera frescura e avesse paura di prendere un colpo di freddo e
non come un uomo che avrebbe dovuto gocciolare pure l’anima
visti i 40°C di fuori. Ma quello continuava a guardarla e lei
aveva abbastanza dignità da radiografare solo individui
inconsapevoli.
«E’ stata
una combinazione. Francesca ed io avevamo bisogno di riportare lo
stress a livelli accettabili. Abbiamo fatto i bagagli e siamo
partite», spiegò la ragazza distogliendo lo
sguardo e lasciandolo vagare per il negozio.
«Le combinazioni
sono quelle delle casseforti. Perché Acciaroli?»,
proseguì l’uomo e lei fu certa che gli occhi di
lui avessero iniziato a puntare le sue gambe. Cominciava a sentirsi
come se avesse oltraggiato una Chiesa con la propria nudità.
«Beh, mi sono
collegata ad internet, ho aperto un sito di last minute e ho
scelto la prima offerta che m’è capitata sotto gli
occhi. Il nome mi sembrava familiare e quindi … eccoci qua.
Quello lì è interessante…».
Compì un paio di passi verso la seggiola sbilenca e si
accovacciò.
C’era un piccolo
dipinto che faceva capolino dietro ad un ritratto di una zingara con un
abito rosso fuoco. Era un acquerello senza vetro di protezione, i
colori sbiaditi dalla tecnica e dal tempo, eppure pieno di luce.
«Posso?», chiese lanciando un’occhiata da
sopra le proprie spalle all’uomo qualche passo più
dietro.
«Certo,
Carla».
Carla seppe in
quel momento
che quell’uomo era un pericolo. Sapeva pronunciare il suo
nome come se lo stesse assaporando sulle labbra e questo le fece girare
la testa per un secondo: lei aveva giurato a se stessa che non si
sarebbe mai fatta infinocchiare da un uomo dalla lingua magica.
Okay, forse avrebbe evitato
solo gli uomini dalla chiacchiera magica.
Tornò a prestare
attenzione al dipinto e le parve di sapere già cosa avrebbe
ritratto prima ancora di afferrarlo e liberarlo dagli ingombri che lo
coprivano. Era una scena di vita
quotidiana: una donna portava sulla testa un cesto traboccante di
frutta e saliva un pendio, trascinandosi dietro un bambino che le si
reggeva al grembiule. Dall’altra parte due uomini fumavano
placidamente appoggiati
ad un muro.
Quella
particolare tecnica
pittorica l’affascinava da sempre. Era stata istruita a
riguardo da suo nonno che aveva dipinto fino a quando la mano aveva
conservato la forza di reggere un pennello. Poi un giorno,
semplicemente aveva deciso di non provarci più e aveva
smesso di farlo, staccando dalle pareti tutti i suoi quadri per
dimenticare di averlo mai fatto. E poi era morto.
Ma quel quadro non era solo
stato dipinto alla stessa maniera, ma proprio dalla stessa persona.
«Chi te lo ha dato
questo?», sussurrò la ragazza raddrizzandosi
immediatamente. Sentì che Giambattista si avvicinava alla
sue spalle e si voltò.
«E’
sempre stato qui dacché ricordi», rispose lui
senza degnare
il quadro di un’occhiata e mantenendo lo sguardo fisso su di
lei. «Conosci l’autore?».
Lei
tornò a
osservare la raffigurazione tra le sue mani per studiarla nel
dettaglio, ma gli angoli erano troppo rovinati per poter ottenere
qualche informazione sull’esecutore. «Non lo so.
Forse».
Si voltò dandogli
le spalle. Reggeva ancora il dipinto tra le mani, ma aveva bisogno di
riprendere fiato per scacciare il groppo che le si era formato alla
gola. Non aveva mai saputo di un solo quadro venduto da suo nonno. Ne
aveva regalati a centinaia, ma a Carla parve lo stesso sconcertante che
ne avesse trovato uno proprio in quel posto dimenticato da Dio.
«Vuoi sederti un
po’? Mi sembri pallida, Carla». La voce che
deviò il corso dei suoi pensieri non tradiva preoccupazione,
ma sicurezza. Della diagnosi e della terapia.
E per quanto il primo istinto
fosse stato quello di rifiutare con altrettanta fermezza, la ragazza si
trovò a dover considerare la possibilità reale
che la sua pressione avesse raggiunto un nuovo picco minimo e quindi
accettò, sperando almeno che non le offrisse la sedia
azzoppata.
Ma quello le offrì
uno sgabello tondo in legno ancora più incerto e si
allontanò per qualche istante tornando con un bicchiere
d’acqua ghiacciata che fece quasi genuflettere Carla, senza
riguardo per quarant’anni di onorato femminismo italiano.
Tracannò l’acqua velocemente e fu quasi pronta a
giurare su una Bibbia di aver appena raggiunto l’orgasmo
principe della sua vita grazie ad un bicchiere. Poi rimase ferma, col
quadro tra le mani, a fissare le linee tratteggiate dalla mano
amorevole di suo nonno.
«E’ la
piazza. Questa piazza qui sopra», sussurrò la
ragazza indicando il dipinto e lui annuì. Carla
studiò con attenzione lo sfondo realizzando che la
raffigurazione era proprio fedele al luogo in cui aveva scelto di
fermarsi, sfinita dalla passeggiata a prova di infarto che Francesca le
aveva imposto – stessa angolazione, stesse abitazioni, stesso
periodo estivo - e provò un palpito d’emozione a
pensare che, forse, suo nonno un tempo aveva percorso quelle strade,
visto gli stessi paesaggi, respirato la stessa aria come ora stava
facendo lei. E non l’aveva
nemmeno mai saputo.
«Quanto
vuoi?», domandò sistemando il quadro sulle
ginocchia per poi puntare lo sguardo negli occhi di Giambattista quando
fu certa di aver ripreso al lazo
tutti i suoi nervi.
Lui la
fissò a
lungo. «Mi dispiace, ma non è in
vendita».
«Suvvia!», replicò lei in
tono di
scherno. «Stai cercando di vendermi una cianfrusaglia dietro
l’altra da quando ho messo piede qui dentro. E’ un
modo per alzare il prezzo? Per questo sono pronta a pagare»,
aggiunse con incrollabile determinazione. Non avrebbe lasciato quel
negozio e quel paesino senza quel quadro.
Giambattista
sollevò appena le spalle a mo’ di scusa.
«Mi è stato detto che non dovevo venderlo, ma
conservarlo. Che sarebbe passato qualcuno a ritirarlo, ma non
è mai accaduto», rispose. «Facciamo
così: ti vendo questi due per cinquanta euro. Sono di un
artista lo-»
«Non li voglio quei
due, voglio questo!». Carla saltò dallo sgabello
valutando la distanza che la separava dall’uscita e la forza
fisica del proprietario nel caso l’avesse riacciuffata prima
che l’avesse guadagnata.
Non riusciva a spiegarsi il
senso di panico che provava a reggere tra le mani qualcosa appartenuto
alla persona che aveva più amato in vita sua senza potersene
garantire il possesso, il conforto della prova di
un’esistenza senza la quale Carla - in quel momento lo
realizzava con chiarezza - aveva smarrito il senso e la direzione della
propria.
Inspirò
profondamente. «Okay, ascoltami. Questo quadro…
credo l’abbia dipinto mio nonno. Ne sono quasi certa. La
tecnica, il modo di sfumare i colori… vedi?»,
spinse il dipinto fra loro per mostrargli una zona con la punta di un
dito. «Questo scoloramento non è casuale: lo
otteneva dipingendo bagnato sul bagnato». E
continuò ad esporgli le prove a sostegno della sua tesi
indicandogli i dettagli della tecnica che le sembravano rivelatori,
lanciando al suo interlocutore solo brevi occhiate, ma imprimendo alle
sue parole tutta la fermezza di cui si sentiva capace.
Quando fu certa
di essersi
lasciata alle spalle quel sentimentalismo inconsapevole che si portava
dietro e che rischiava di renderla eccessivamente emotiva,
respirò. «Ecco. Sono disposta a pagarti
più di quanto ci ricaveresti da un qualsiasi altro
acquirente. Per me ha un valore e per te è solo un oggetto
che toglie spazio ad un altro».
Giambattista
l’aveva ascoltata tutto il tempo con pazienza, senza
interromperla e con attenzione. Carla aveva un buon presentimento.
«Dunque dovrei
darti questo quadro perché legalmente non
c’è traccia di una sua vendita precedente e dalla
tua soggettiva analisi strutturale hai dedotto che sia stato eseguito
da tuo nonno e questo ti conferisce una sorta di diritto di prelazione.
Ho capito bene?». Non c’era traccia di scherno
nella voce dell’uomo, ma Carla ebbe la netta sensazione che
volesse deriderla ugualmente.
«Pressappoco.
Sì, diciamo che il riassunto è abbastanza
corretto», rispose lei, caparbia.
Giambattista annuì
lentamente col capo, le braccia sempre incrociate, mentre con la punta
della vecchia scarpa dava dei colpetti ad una piccola pila di libri
abbandonata sotto un comodino.
Dopo aver atteso
all’operazione con cura esasperante, sciolse
l’incrocio delle braccia e tese una mano nella sua direzione.
Carla gli passò il quadro, senza mostrare visibile
esultanza, ma pronta a versargli qualsiasi cifra quello le avesse
chiesto. L’uomo studiò il dipinto per qualche
istante, poi lo depose dietro di sé, nello spazio creato
prima dall’incessante lavorio della sua scarpa su quei libri
sgraziatamente disposti per terra.
«Torna domani, pessima Carla. Puoi
fare di meglio».
A domani!
|
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2348677 |