Anno
1623. Massiccio Centrale, Francia.
La
grande bocca famelica e piena di saliva bianca che è la
Luna, è
enorme, spalancata come per divorarci tutti.
E
le orrende creature sue figlie, altrettanto fameliche e divoratrici
di carne che escono alla sua luce pallida e cadaverica, sono appena
uscite dalle loro tane, con le loro armi mortali, che non lasciano
scampo, crudeli come gli artigli del Demonio.
Li
sento ululare, ringhiare spasmodicamente in attesa di poterci
sbranare tutti, uno per uno, fino a che di noi non rimanga
più
niente, lasciando la valle inerme e loro liberi di prendersela
interamente.
Quando
sono arrivati, alcuni di noi, i più saggi credevano che
avremmo
potuto convivere in pace, ma io sapevo che quegli essere demoniaci
non si accontentano mai, che non smettono mai di prendere, prendere,
prendere.
Hanno
ucciso centinaia di nostri compagni, divorando e scarnificando le
ossa dei miei amici, dei miei parenti.
Della
mia famiglia sono rimasto l'unico, non ho più nessuno,
eccetto
Isabeau.
Lei
è la mia sola consolazione, la mia sola speranza, il solo
raggio di
vita e candore che mi è rimasto, in questa atmosfera lugubre
che
circonda il villaggio da quando quegli esseri mostruosi sono arrivati
per sterminarci.
La
notte, nelle notti come queste di plenilunio e con il cielo nero
senza neanche una stella ad addolcire la sua estrema grandezza che fa
quasi più paura degli animali là fuori, proprio
in queste notti
avverto la loro presenza intorno a me, attorno al nostro accampamento
dove ci siamo rifugiati, i loro occhietti luminosi che brillano al
buio come fiaccole imbevute in un veleno che ha la consistenza di
fiamme, delle fiamme dell'Inferno, lo stesso che ha generato quegli
obbrobri la cui natura malvagia noi combattiamo ogni giorno, ogni
notte.
Vorrei
poter credere che verranno i soccorsi a salvarci, ma quelli tra i
più
coraggiosi e valorosi che sono stati scelti per andare a chiedere
aiuto, una volta entrati nella foresta oscura a nord non sono
più
tornati, e temo che siano stati già divorati da un pezzo da
quegli
esseri.
Ci
sono rimaste solo le montagne a est come via d'uscita, altrimenti
siamo circondati.
Siamo
venuti qui, in questo posto solitario e ameno, per fondare una nuova
colonia, per trovare un po' di pace da quella che è la vita
in una
società complessa come la nostra.
Ora
mi rendo conto che saremmo dovuti rimanere con gli altri, ora mi
rendo conto della forza che possiede il gruppo,il stare e restare
insieme.
Ora
mi rendo conto che qualcosa, probabilmente l'intento malvagio del
Demonio, ci ha guidato in questa valle maledetta per fare da cibo per
i suoi dannati figli, e noi povere prede siamo schiacciate, alla
completa mercé di quegli spiriti nelle tenebre, che con le
loro
zanne retrattili spiano le nostre mosse protetti
dall'oscurità del
fitto fogliame del bosco a nord.
Ho
detto a tutti, specialmente ad Isabeau, che non ci si devono
avvicinare neanche di giorno, con la luce del sole che non riesce a
penetrare in quel baldacchino vegetale e nero, ma la mia Isabeau
è
uno spirito libero, a cui piace correre e sentire il vento che la
trapassa in ogni suo anfratto, in ogni centimetro della sua pelle
bellissima e bianca, come la Luna piena.
Per
questo ora, e guardo la Luna tra gl alberi allungando l'orecchio per
sentire eventuali rumori sospetti, io e lei siamo qui, in un riparo
di fortuna, all'interno e non si sa dove della foresta, mentre loro
ci cercano e ci braccano,come la più crudele delle fiere.
Isabeau
ha acceso il fuoco, e mi sono subito allarmato. Il freddo entra
dentro di me come un coltello lento ed implacabile, ma preferisco
questa tortura al fatto che ci trovino così facilmente.
“Non
ti preoccupare, ci ho messo queste foglie che producono fumo scuro
come il cielo notturno, e il bagliore non si vedrà se
chiudiamo la
grotta con questi cespugli.”
La
sento muovere, lavorare lentamente ma con una precisione e un
silenzio che la rende una delle più temibili cacciatrici che
abbia
mai visto.
Suo
padre l'ha addestrata bene, d'altronde non l'avrebbe mai fatta venire
qui se non fosse stata sufficientemente preparata a sopravvivere a
cose che molte femmine, e anche maschi si sognano di poter
affrontare.
Ed
è anche per questo che l'amo, che l'amo di un amore
incandescente,
che brucia come quel tizzone grigio-arancio appena staccato dal pezzo
di legno che sta bruciando di un fuoco misterico e lugubre,
invisibile e caldamente protettivo.
Per
un attimo il fatto che forse stiamo per morire mi rende così
lucido
che devo astrarmi, uscire dal mio corpo e stringere in un abbraccio
quel rifugio, stringere in un abbraccio quel fuoco, per poi arrivare
a sentire con gli occhi, a sentire con le braccia di un osservatore
esterno e che vede tutto dall'alto, la ragazza che si sta scaldando
le mani gelate vicino alle fiamme, e farle odorare il mio cuore, a
lei che ha un olfatto così sviluppato da percepire l'afrore
di
quegli esseri a due leghe di distanza; e vorrei che gustasse il
sapore dei miei sentimenti, che a volte si arrotolano dentro il mio
stomaco come un un groviglio di membra estranee e violente, quasi
incontrollabili, filacciose e fibrose come muscolo di manzo, e
metalliche come il sangue appena versato, appena lavato.
Mi
stupisco di quanto sia carnale, viscerale il rapporto che ho con lei.
Vorrei unirmi a lei fino a farle male, a volte di notte mi sento
grugnire e dimenare per i pensieri che faccio su di lei, pensieri che
solo un animale potrebbe fare. E forse lo sono davvero un animale,
non molto dissimile da quelli là fuori, eppure questa
consapevolezza, questa vergogna che mi fa bruciare gli occhi di
lacrime infuocate non serve, non mi serve a seppellire ciò
che
provo, quello che mi spinge a seguirla con lo sguardo da quando
è
apparsa nella valle, quello che mi ha spinto stanotte a seguirla
nella sua sconsiderata e avventurosa spedizione qui dentro, in questa
trappola vegetale, in questo labirinto da cui so già che non
ne
usciremo entrambi vivi.
“Mi
dispiace, non avrei dovuto trascinarti con me. Penserai che sia una
pazza, un'avventata e imprudente giovane che non segue i consigli dei
più vecchi,” mi guarda con quei suoi occhi verde
scuro, così
diversi da quelli della nostra gente, e così somiglianti a
quelli
dei.......no, non è così, lei non ha niente a che
fare con quelle
creature!
Questi
pensieri sanno di bestemmia, un acido che cerca di corrodere il credo
che ho fondato su di lei, su di noi.
Nonostante
cerchi in tutti i modi di frenare queste colate di eresie che mi
affettano il cervello e l'anima, quando invece dovrei essere integro,
lucido e intero per proteggere lei e me stesso dalla minaccia
incombente, posso solo tuttavia osservarla come non ho mai fatto
prima, come non mi sono mai potuto permettere di fare prima. Uno
umile come me,con le dita sempre sporche di fango e il puzzo della
sporcizia addosso, come potrebbe avvicinarsi ad una come Isabeau?
Lei,
con la sua chioma di un colore incredibile, tra il biondo cenere,
lunare e un rosso mattone che non ho mai visto in vita mia.
Ma
non sono fili normali quelli che scendono lungo il suo collo lungo,
muscoloso, da baciare, da succhiare, da mordere fino a sentire i suoi
gemiti uscire dalla sua bella bocca così piccola,
così rosa, così
fallacemente innocua, gemiti che mi sogno di notte e di giorno nel
tentativo di bramarla meno, di amarla meno.
Ciocche
di quello strano biondo rosso infatti hanno disegni antichi disegnati
sopra, di clan misteriosi che risalgono alla notte dei tempi, alle
origini di noi tutti. Intrecciati in maniera elaborata, sembrano
corde a cui impiccarsi, croci da usare come talismani o da profanare,
cuori da aprire con suppliche o da mordere per mangiare, spire e
gorghi in cui cadere e morire, finalmente, ma di una morte
dolcissima, una morte in cui spero, che anelo, che sarebbe una
consolazione in confronto a quella reale, che ci aspetta se usciamo
da questa grotta, o se ci trovano prima loro.
Siamo
solo in due, e loro hanno capito che la vera forza sta nel numero.
Non voglio essere presuntuoso e commettere peccato, ma anche noi li
abbiamo rifilato belle batoste a quelle empietà della natura!
Ne
abbiamo eliminati parecchi, e Isabeau, ovviamente non nelle spoglie
di ragazza per non allarmare e preoccupare suo padre e i nostri
compagni, ne ha uccisi a dozzine, in maniera efficiente, pulita, con
una grazia e una imperturbabilità che mi fanno fremere di
desiderio
e di gioia al solo pensiero che una come lei sia al mondo.
“Quello
che mi domando però è perché mi hai
seguito. Insomma, non sei
tenuto a farmi da scorta, no? Mio padre mi ha messo una guardia
dietro le spalle che farebbe invidia ad un imperatore!”
Prende
altri ciocchi piccoli e umidi, in modo che facciano fumo scuro e non
rivelatore, poi con un bastoncino spezza un tizzone a forma di ala
d'angelo, con le venature più fredde che sembrano piume, che
sembrano le sue vene, bluastre e in rilievo per il freddo.
Ho
talmente voglia di baciarla, di baciare quelle braccia così
strane,
così nude, che non so se
potrò resistere.
I
miei occhi dicono tutto, le replico solo con quelli, poiché
sa
benissimo che non posso parlare, che non posso urlarle il mio amore,
ne a lei ne al vento gelido del nord.
Mi
guarda di sottecchi, la sua risposta nel rossore che comincia a
invaderle le guance e quelle cose assurde e bellissime che sono gli
zigomi.
Frantuma
l'ala angelica che diventa una somma di piume grigie e spente.
E'
proprio vero, la somma non è sempre uguale al totale. Un
insieme
sparso di piume non sempre dà un'ala, dà delle
ali con cui scappare
e fuggire via di qui, in salvo; così come unirsi con
qualcuno non
sempre significa fondersi con lei così come vorrei fare io
in questo
momento.
La
delusione per un attimo mi gela più del freddo,
più della paura
delle bestie in agguato; e la vita mi sembra così vuota che
andrei
là fuori pregandoli di uccidermi lentamente e con sofferenza.
Ma
non posso farlo, tradirei la posizione non solo mia ma anche di
Isabeau, e anche se lei non ricambia i miei sentimenti, il pensiero
del suo corpo smembrato è aberrante.
Così
non posso fare altro che starmene accucciato su me stesso, sperando
che la notte e le ombre che non sono ombre passino e vengano
asciugate, evaporate dalla luce del Sole, insieme alla mia
umiliazione e a questo dolore insopportabile.
“Vuoi
che canti per te?”
Alzo
la testa di scatto, questo proprio non me lo aspettavo.
Prima
è un mugolio leggero, soffuso, che quasi mi pare di
sentirlo, e
tendo l'orecchio come prima ho fatto per la più oscura delle
minacce.
Ma
non sono le voci dell'odio che cerco adesso, sono le parole di
Isabeau, che si avvicina, piano, felina, sicura.
Si
spoglia di sé, della sua pelle, con strappi che mi fanno
sussultare
e lacerare il cuore per la sofferenza che le provocano ogni volta che
lo fa, e il fatto che ora lo faccia per me mi fa esultare e
sprofondare assieme.
Nuda,
e questa volta uguale a me, mi scivola sopra affinché io
scivoli
dentro di lei, e mi sento male, spaccare come quel tizzone che
sapeva di paradiso.
Paradiso
in terra.
Percepisco
il suo affanno, i suoi ansiti che sono alla ricerca dei miei che
neanche mi accorgo di emettere; e questi sospiri sono una canto, una
canto che non ha parole, perché lei ha rinunciato anche a
quelle, un
canto che non ha note, che non può essere ascoltato da
tutti, restio
a rivelare e a rivelarsi come il fumo nero del fuoco sopra e dentro
di noi.
E'
di una chiarezza fulgida invece per noi due, solo noi che non siamo
una semplice somma ma un totale raggiunto a fatica, e che forse non
potrà mai più essere replicato.
Accarezzo
i suoi peli di quel colore così particolare, che ora
ricoprono
interamente il suo corpo, compresa la gola che non può
emettere ora,
in questa forma, suoni umani, suoni da nemici.
Una
gola invece da cui parte quel rollio, quella vibrazione tipica
nostra, tipica della nostra felicità, quel ronfare sonoro
che è una
melodia stupenda, assoluta nella sua generosità, nella sua
devozione.
Ci
guardiamo negli occhi, e vedo la sua pupilla che è diventata
piccola, falciforme, che ha finalmente perso quella
rotondità e
quella limitatezza dei demoni a due zampe che ci stanno accerchiando.
La
ringrazio con una carezza dei miei polpastrelli rosa confetto, mentre
lei, che piano piano, inesorabilmente e dolorosamente sta tornando la
ragazza di prima, passa le dita dal pollice opponibile nella mia
peluria bianchissima, che non è tanto bianca quanto priva di
colore.
“Pensavi
che non ti ricambiassi, vero? Pensavi che non morissi dal desiderio
di fare quello che abbiamo fatto stanotte ogni volta che andavamo a
caccia, così come pensi di non essere un mio pari
perché non puoi
mutare la tua forma,” la sua voce è ancora
gracchiante, le corde
vocali si stanno ancora assestando e posso solo immaginare il dolore
atroce che ogni sillaba di quel linguaggio che ho imparato solo per
lei, le provochi come una stilettata dritta alla giugulare.
Una
come lei la chiamano versipellis, e
sfortunatamente il nome calza come una pelle adatta, come una pelle
giusta.
Ma
la sua di pelle non è ne adatta ne giusta. Essere un
licantropo,un
loup garou è un
destino di crudeltà e di compromesso.
Essere
donna e lupo significa non essere ne l'una ne l'altra. Per poter fare
l'amore con me, con un semplice mannaro come il sottoscritto, ha
dovuto rivoluzionare se stessa, strapparsi la maschera che è
metà
della sua sostanza e fare del suo corpo un cumulo di brandelli.
Brandelli
di sangue e carne che sono adesso ammucchiati in quell'angolo, e che
risplendono di una luce mistica, quasi come le reliquie putride che i
nostri orrendi demoni caccianti venerano in quelle che definiscono
chiese, luoghi in cui puntano l'indice contro esseri come noi, anche
se siamo su questa terra da più tempo di loro e ci siamo
evoluti
molto prima di loro.
Anche
se so che la pelle da bipede le sta già ricrescendo davanti
ai miei
occhi innamorati, la smorfia di tormento coraggioso delle sue labbra
mi dice tutto, parla per lei che sa parlare ma che per orgoglio sta
zitta, mentre io che sono muto vorrei urlare contro il cielo e contro
Colui che ci ha creati e dirgli che non è giusto, che questa
è un
infamia, che questo amore scoperto solo ora non può essere
macchiato
dal dolore, o che se lo sia allora il destino deve farci uscire da
qui vivi e insieme per pareggiare i conti.
Ma
tutto questo è nulla in confronto al terrore che appare
improvvisamente negli occhi di Isabeau.
Sono
arrivati, sono là fuori, ci hanno scoperti.
I
miei sensi da cacciatore si mettono in moto in un lampo, i muscoli
tesi e pronti ad attaccare.
Sento
come una cortina, una rete che ci avvolge, e la sensazione di essere
al riparo, al sicuro sfuma fino a svanire, sostituita da un odio
senza limiti che proviene direttamente dalle figure che si stanno
delineando nel buio, come se avessero l'impensabile capacità
di
risaltare nel nero essendo ancora più neri, ancora
più malefici nel
loro intento e nei loro intenti.
Sento
Isabeau che, con un lamento sfuggito a mezza bocca e un sospiro
rassegnato che mi fa infuriare più di mille soprusi, si
toglie con i
denti, cresciuti con uno stridio da brividi di un gesso su una
lavagna, la pelle da umana appena nata, ancora rosa e pallida come
quella dei cuccioli dei nostri letali e spietati avversari.
Deve
farle un male incredibile, questo crescere, questo dilatarsi e
restringersi del suo corpo, dei suoi denti, delle sue ossa. Quella
dei lupi e quello degli umani è una struttura diametralmente
diversa, e lei deve passare dall'una all'altra in un malinconico e
nostalgico battito di cuore,e vivere in questo limbo eterno senza via
di scampo.
Come
ora, anche se questa situazione paradossalmente è
più sopportabile,
più netta nella sua mortale demarcazione. O noi o loro.
Uccidi o
vieni ucciso.
Le
sue ultime parole nel linguaggio umano prima di perdere l'uso delle
corde vocali sono”combattiamo insieme e usciamo di
qui”poi
i suoni che escono dalla sua bocca sono solo ululati, quelli a me
famigliari, quelli che potrei emettere io stesso. Eppure, anche se
dei bipedi odio tutto, e odiavo che lei li assomigliasse tanto nelle
usanze e nella biologia, solo adesso che so che potrei morire o
peggio che potrebbe morire lei, una parte di me è
consapevole che
l'amo anche per quella sua altra metà, i suoi capelli
morbidi e
ondulati come il mare che non sono duri peli da animale, i suoi occhi
che non vedono al buio e la carne liscia e tenera, che basta premere
con una delle mie unghie per vedere lasciato un segno rossastro, una
cicatrice che sa più di potente vulnerabilità
piuttosto della
tipica bellicosità di noi animali selvaggi,di noi lupi.
Ecco
perché gli uomini stanno conquistando il mondo, ecco
perché sono
così difficili da fermare.
Una
follia brutale li pervade, e li fa risplendere come faceva
risplendere noi una volta, al tempo dei grandi clan.
Ma
non posso soffermarmi sulla storia della razza a cui appartengo, non
posso soffermarmi sull'invidia che in quel momento proprio non
può
invadermi, un'invidia per Isabeau e per il suo sangue meticcio,
sporco, corrotto. Nessuno sa come siano nati i mutaforma, come si
siano immessi nella nostra catena evolutiva, se antichi dei abbiano
deciso di creare queste chimere, questi sogni in una notte di
plenilunio, di questi incubi ad occhi aperti.
I
versipellis sono delle leggende, degli esseri
epici e
terribili, e se fossi nei bipedi nascosti dietro gli alberi
laggiù
comincerei a tremare.
Isabeau,
completamente trasformata, completamente ritornata da
me e per
me, per noi, così come era poco prima quando eravamo noi,
il
totale più totale, si acquatta, le creste della sua spina
dorsale
che sembrano una freccia pronta a scattare.
Mi
metto nella stessa posizione, e siamo uno lo specchio dell'altro; ci
sorridiamo, perché sentiamo la nostra intesa che scorre come
un
fluido magico tra i nostri corpi, e se davvero dobbiamo morire lo
faremo come deve fare la nostra gente.
Nello
stesso momento in cui scattiamo in avanti, fuori dalla grotta, decine
di fiaccole imbevute nella resina si accendono, e io vengo
paralizzato da tutta quella luce. Quell'esitazione mi costa cara
perché subito un colpo di uno di quelle loro armi insidiose
e
disonorevoli mi ferisce ad un fianco, e barcollo in cerca di un'oasi
di oscurità per riacquistare la vista e difendermi. E
difendere
Isabeau.
Non
riesco a vederla, ma percepisco i suoi movimenti pallidi, il
bianco-rosso del suo pelo lucido che si accompagna a pezzi di carne
che volano in aria, braccia umane che cadono a terra come uccelli
morti, e urla piene di rabbia che la inseguono, che la vogliono
più
di qualsiasi altra cosa.
Non
riesco ad accostare le parole umane che Isabeau usa a quelle che
sento ora, parole che escono dalle bocche dei diavoli senza peli che
ci stanno addosso, che vogliono la nostra pelle per andare nelle loro
città e dire di avere ucciso un licantropo.
Finalmente
riesco anche io ad assestare colpi utili, le pupille che saettano
avanti e indietro, sopra e sotto, poi un urlo mezzo umano mezzo
lupesco che fa fermare tutto, tutto il mondo, tutto il mio mondo.
Persino
i cacciatori che ci insultano e ci bestemmiano si fermano,
perché
quell'urlo ha messo il terrore addosso ad ognuno, come se avessero
appena ferito Dio o uno dei suoi angeli.
Isabeau
è una macchia grigio rosata, per terra come un ammasso di
pelle
senza valore, come l'ammasso di pelle che si era lasciata dietro per
unirsi a me, per unirsi a me nell'amore prima, e per unirsi a me
nella battaglia dopo.
Come
hanno fatto a colpirla?
La
mia mente riesce a pensare solo quello, chiusa in un circolo vizioso
che si spezza per l'odio che mi esce dal sangue, dagli occhi, dal
muso allungato e rincagnato di un lupo che si prepara a fare una
strage.
Il
sangue, gli occhi e il muso diventano una cosa sola; voglio sbranare,
voglio sentire le fibre dei muscoli umani che si intrecciano ai miei
denti come il mio amore per Isabeau si intreccia nel mio stomaco;
voglio affondare i miei denti nei loro di stomaci e tirare fuori gli
intestini per decorare la tomba della mia compagna; voglio strappare
i loro occhi per buttarli ai corvi affinché non possano
vedere la
morte di quella che era una leggenda, un personaggio epico,una
ragione di vita. La mia ragione di vita.
Quando
mi fermo c'è solo rosso, rosso ovunque. Gli uomini che ci
hanno
attaccato non esistono più, hanno perso la loro forma umana
nello
scempio che felicemente ho portato a termine. Se la mia Isabeau non
potrà più tornare ad essere come una di loro,
neanche coloro che
l'hanno uccisa potranno andare nell'aldilà interi, ma solo
fatti a
pezzi, a pezzi come sono io.
Mi
avvicino faticosamente a lei. Respira ancora ma ci sono delle bolle
che le escono dalla bocca ogni volta che lo fa. Le hanno perforato un
polmone quindi non posso fare più niente.
Le
lecco la faccia, gli occhi semichiusi, e la sento tremare, gli
spasimi che la squassano implacabili.
Vorrebbe
parlare, lo sento, parlare come un'umana, perché lei
è anche
questo, e io l'amo anche per questo.
E
ciò diventa il mio più grande cruccio, il
pensiero che muoia così,
muta e lupesca; ma poi un canto debolissimo, inverosimile, esce da
lei e mi raggiunge, per salire verso il cielo, quel cielo con la Luna
attaccata come una bocca che conduce in un mondo migliore, in un
mondo in cui Isabeau sarà donna e lupo nello stesso istante.
Ed
io in quello stesso istante sarò vicino a lei, e
l'amerò nelle sue
due forme poiché in quel mondo sarò in grado di
farlo, e potrò
parlare, cantare, intrecciare delle mani dai pollici opponibili alle
sue candide come il latte lunare che ci bagna, in questa foresta che
è un abisso di morte e una scala spalancata verso una nuova
esistenza.
L'adrenalina
che mi pervade scivola via al ritmo del fluire della vita che sta
abbandonando Isabeau, e le ferite, e le loro conseguenze quindi, che
mi hanno inferto nella foga della battaglia diventano concrete, un
cappio irrespirabile, mortale.
Non
riuscendo quasi più a respirare respiro di sollievo,
perché
sopravvivere a lei sarebbe stato esecrabile, una malvagia ed empia
blasfemia.
Mi
avvolgo a lei, due lupi che si tengono insieme per non cadere, due
eroi che hanno vinto venendo uccisi, due essere che non vogliono
morire da soli.
Vedo
i segni dei clan sparsi sul suo corpo. Croci, cappi, cuori e gorghi.
Mi fisso su questi primordiali segni, voglio che siano l'ultima cosa
che vedo, voglio portarli con me per ricostruire su di essi
ciò che
eravamo, ciò che potremo ancora essere.
Il
muso di Isabeau è davanti al mio, e nel preciso attimo che
se ne va
la forma umana e quella di lupo si sovrappongono, si fondono e lei
diventa qualcosa di straordinario, a metà tra una Mormolice e la dea Venus, un mito ancestrale pieno di tutti
quei significati che sono la trama su cui si dovrebbe basare
l'esistenza di tutti. Degli uomini e dei lupi.
La
bacio, per condividere quel barlume di onnisciente consapevolezza, e
riesco a guardare oltre.
Oltre
l'odio, oltre il canto, oltre me stesso.
Io
e Isabeau, occhi negli occhi, come angeli caduti che si rialzeranno,
ancora.
I
versipellis, cioè i licantropi sono così denominati nella cultura e nei testi latini,come per esempio il
Satyricon di
Petronio poiché la pelle di lupo permaneva sotto quella umana, restando così intercambiabile.
|