A penny
for your thoughts
Capitolo 1
Quinn Fabray aveva scelto di
dedicare la sua intera vita al lavoro.
Non aveva avuto figli, non
si era sposata, non aveva mai provato l'amore.
Una sorte piuttosto triste e
paradossale per chi l'amore lo scriveva.
A 16 anni, quando tutte le
sue amiche si erano innamorate, si era sentita esclusa e fuori luogo. A
20, al college, essere single e con il cuore libero le era parsa una
benedizione. A 26, quando il suo nome era finito per la prima volta tra
gli scaffali di una libreria si era sentita forte e indipendente. A 28,
quando, messa la parola fine al suo secondo romanzo, abbassò lo schermo
del computer e si voltò dall'altra parte del letto, trovarlo vuoto
scatenò un senso di tristezza e terrore che si riversò in un pianto
disperato.
Il giorno dopo si svegliò
con le guance ancora umide e un copricuscino rovinato dal mascara che
dimenticava sempre di togliere.
Quella mattina decise che
Quinn Fabray non avrebbe mai amato.
Mantenere la promessa non fu
più difficile che pronunciarla.
Volti e corpi si
susseguivano nella sua vita e nel suo letto.
Mai nel suo cuore.
Cambiò casa a 32 anni,
quando il suo terzo libro era ancora una bozza grezza e zeppa di
idiozie. Si disse che lo faceva per colpa di Miss Joyce, un'inquietante
vecchietta dalla maniacale passione per i nani da giardino e i
parcheggi impossibili, in realtà era colpa delle macchie di mascara che
non erano mai andate via da quella federa.
Quando fu pronta a
traslocare si sentì quasi disgustata all'idea che tutta la sua vita era
chiusa dentro degli scatoloni, contenuti nel retro di un camion ed
affidati ad un autista dai baffi troppo lunghi e i capelli troppo corti.
Aveva scoperto di avere
abbastanza soldi da potersi permettere un loft a SoHo e decise di
cedere alla corte di quel dannato cliché.
Giunta nel suo nuovo nido,
la prima cosa che fece fu bruciare quel copricuscino e sbarazzarsi
delle sue ceneri.
Si prese qualche giorno per
sé, per mettere nuovamente in ordine i suoi pensieri, per studiare la
zona, per godersi il paesaggio urbano e l'aria così piena di smog e
così priva dell'odore dell'odiosissima crostata alle fragole di Miss
Joyce.
New York era una benedizione!
****
New York era una maledizione!
Questo pensava mentre
l'orologio nel cruscotto le comunicava che erano passate due ore da
quando era rimasta imbottigliata nel traffico.
Di quel passo non avrebbe
raggiunto la sede della sua casa editrice prima di un'altra ora. Non
che smaniasse per rivedere le facce grige e poco stimolanti dei suoi
editori, ma l'idea di aver vissuto quell'inferno per nulla la frustrava
ancora di più.
Un'ora e mezza dopo
attraversò le porte dell'edificio.
Ne uscì 45 minuti dopo.
Un'espressione scura sul suo viso.
Non guidò per circa due
settimane, in seguito a quell'avvenimento.
La necessità di spostarsi
però si fece ugualmente sentire. E allora camminò, prese il tram, il
bus, evitò con maestria tutti i taxi e scoprì che poco più di un'ora di
metro la divideva dalla sede della casa editrice.
Improvvisamente spostarsi
non era più tanto difficile e tanto stressante.
Si consolò al pensiero che
alla prossima riunione avrebbe fatto valere le sue idee.
Più che altro si illuse.
****
Prendere la metro, una
mattina di tre settimane dopo, si rivelò un'impresa non da poco.
La sveglia non aveva fatto
il suo dovere e Quinn era scattata in piedi con quasi mezzora di
ritardo rispetto ai suoi piani. Per quella coincidenza, una volta,
avrebbe dato la colpa a Miss Joyce e ad uno dei suoi nani. Gongolo
probabilmente.
Arrivò alla fermata con le
guance rosse per lo sforzo e tre volantini nella mano destra. Neanche
ricordava quando le erano stati rifilati.
Nella metro si tenne ad uno
dei manici fino a quando il suo vagone non fu vuoto abbastanza da
permetterle di sedersi. Da quella posizione studiò un paio di
passeggeri, rabbrividendo davanti allo stereotipo del ragazzino di
buona famiglia che si finge uomo di strada. Le sue scarpe erano troppo
pulite e la collana che indossava troppo brillante per non provenire da
una famiglia benestante.
Si compiacque del suo
cinismo.
Finse di farlo.
In realtà morì un po' dentro.
Succedeva ogni giorno, ma,
dopotutto, poteva fingere che non fosse così, d'altronde al suo fianco
non c'era nessuno che se ne sarebbe accorto.
Fino a quando non fu più
così.
«Un penny per i suoi
pensieri.»
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Note:
Hi guys!
So che non vi interessa, ma, onestamente, trovare il modo di iniziare
le note è sempre un trauma.
Dunque, questo è il primo di quelli che saranno circa 3 capitoli. Tutti
saranno più o meno della stessa lunghezza e, nel caso in cui ve lo
stiate chiedendo, sì, avrei potuto unirli. Ci ho pensato, ho valutato,
ma non ho voluto farlo perché ho un’idea specifica e non si tratta di
una shot.
Un'ultima precisazione: il rating è momentaneamente verde, devo ancora
decidere se lo sarà effettivamente.
Detto questo, vi lascio i miei contatti Facebook,
Twitter e Ask e, se non l’avete fatto,
correte a leggere “Do you
remember the time?"
Alla prossima!
-BB
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