Note
dell’autrice: buonasera
a tutti! Scritta per la
lotteria di Natale del TCATH, con prompt dell’altissima
levissima purissima
Macaron, amatela <3 Il prompt (dal quale mi sono presa qualche
libertà) era
il seguente:
John
va sempre a vedere le
partite dell'Arsenal al pub con Lestrade ma prima della finale di
Champions/coppa
d'Inghilterra/salcazzo succede qualche imprevisto per cui devono
rimanere a
guardarla a Baker street. L'Arsenal, essendo l'Arsenal, perde in modo
rocambolesco
ed estremamente deprimente. Mycroft e Sherlock tornano a casa e trovano
quelle
che dovrebbero essere le loro dolci metà in uno stato
drammatico per loro
assolutamente immotivato. Andate a sentimento ma a me fa proprio ridere
l'idea
di questi due Holmes che si trovano davanti due uomini distrutti dal
risultato
calcistico e semplicemente non capiscono quale sia il motivo di tanta
lagna,
non ci arrivano. (Bonus per Sherlock che consola John in qualsiasi modo
o per
John che si fa passare il nervoso in qualsiasi modo,
“compresa una partita a
carte” cit.)
Notte
a rischio, caro fratello. MH
Smetti
di bere, Mycroft. Stai vaneggiando. SH
Come
preferisci. Io ti ho avvertito. MH
*
“ARBITRO,
OCCHIALI!”
Sherlock
Holmes poteva definirsi un uomo difficile da
stupire. Il suo sovrumano spirito di osservazione raramente gli
lasciava spazio
per le sorprese. Aveva cominciato a dedurre i suoi regali di Natale a
tre anni
(persino il treno giocattolo che Mycroft gli aveva donato quando era
partito
per Cambridge in un impeto, mai più ripetutosi, di affetto
fraterno) e da là
allo scoprire altarini vari ed eventuali sulla scena del crimine, era
stato un
battito di ciglia.
Detto
ciò, nulla avrebbe potuto prepararlo allo spettacolo
che gli si parò davanti agli occhi quando varcò
la soglia del 221B di Baker
Street.
“Mia
nonna sarebbe più brava nei calci piazzati. Ha
ottant’anni. E l’artrite.”
“Non
me lo dire, Greg. Non so cosa diavolo passasse nella
testa di Wenger quando decise di comprare questo brocco,
questo-”
“-questa
patetica caricatura di- MA NO, CHE ERI SOLO DAVANTI
AL PORTIERE! MA NO! SII UOMO!”
“John”
disse Sherlock, frastornato. Il suo sguardo si spostò
sull’altro occupante del suo divano.
“Lestrade”
constatò con oltraggio a
malapena contenuto. “Cosa diavolo ci fai qui?”
Il
DI alzò in segno di saluto la bottiglia di birra che aveva
in mano.
“Sherlock”
disse con un sorriso distratto e gli occhi
incollati allo schermo. “Grazie
dell’ospitalità. Al pub dove andiamo di solito
c’era un addio al nubilato,
così…”
Sherlock
si sfilò la sciarpa con un gesto secco.
“Così
cosa? Non
vedo nessuna consequenzialità in quello che-”
Il
campanello squillò. Sherlock lanciò
un’occhiata penetrante
al proprio compagno, che in quel momento nulla aveva della sua solita,
rassicurante,
pacata aria di buon senso. Al contrario: era paonazzo in viso ed
alternava
grugniti senza senso a urla belluine di puro odio. La tv sembrava
averlo
completamente lobotomizzato.
“John,
vai ad aprire” disse con aria imperiosa e, sperava,
definitiva. Si avviò in cucina a marce forzate e
ingollò d’un colpo un
bicchiere d’acqua gelida riempito al lavandino.
Trenta
secondi dopo il campanello squillò di nuovo.
“JOHN!”
“Vai
tu ad aprire, per favore.”
“Cos-
No!” sbraitò sporgendo la testa oltre il muro
della
cucina. “Perché mai dovrei? Non l’ho mai
fatto e non intendo certo-”
“C’è
sempre una prima volta” fu l’assente risposta.
“Eh, ma
non si fa così! Non si fa così! Se quello si
butta in quel modo anche in
Champions e pensa di farla franca, si sbaglia di grosso! Gli arbitri
europei
non sono certo permissivi come i nostri.”
“Ben
detto” fu l’entusiastica risposta di Lestrade.
“Il
ragazzo promette bene, ma ha bisogno di maturare. Questi sono trucchi
da
pivelli.”
Il
campanello riprese a suonare, questa volta per – Sherlock
non poté fare a meno di contare – dieci secondi
filati.
“Se
speri di farla franca” sibilò attraversando il
salotto
con tre rabbiose falcate, il dito indice puntato petulantemente contro
John che
lo ignorò a bella posta, “se speri di continuare a
sprecare il mio tempo in
questo modo-”
“NO
NO NO QUALCUNO LO FERMI-”
“SPACCAGLI
LE GAMBE! MIRA AGLI STINCHI! BUTTALO GIU’!”
“Chi
diavolò è?” urlò Sherlock
socchiudendo la porta fermata
dalla catenella.
“Buonasera,
caro fratello” gli giunse un’odiosamente
famigliare voce unta. “Spero di non disturbare.”
“No,
no, noooo…”
“Ecco,
lo sapevo. Difesa di merda! Di merda!”
“E
siamo solo al trentesimo del primo tempo” sospirò
John
passandosi le mani fra i capelli con aria affranta.
Sherlock
li guardò con sommo disprezzo e un pizzico di
sbigottimento. Poi infilò un occhio azzurissimo nella
fessura della porta e,
fulminato Mycroft con lo sguardo, sibilò: “Da uno
alle trattative per terminare
la guerra delle Falkland, quanto sarà complicato porre fine
a questa inciviltà?”
Mycroft
Holmes finse di pensarci per un attimo.
“Direi
che siamo al livello dell’organizzazione delle
Olimpiadi” replicò laconico.
Sherlock
alzò gli occhi al cielo.
“Ridicolo.”
*
“Arsenal
Football Club” declamò poco dopo Mycroft in piedi
nella cucina di Baker Street, con la voce grave che riservava ai
processi per
alto tradimento e lesa maestà. “Fondato nel 1886.
Vincitore di tredici titoli
di Premier League guadagnati in tempi gloriosi e molto, molto
lontani.” Fece
rintoccare l’ombrello a terra con un sospiro.
“Tragicamente, colleziona una
serie di sconfitte nazionali e internazionali da dieci anni
filati.”
Sherlock
tamburellò nervosamente le dita sul lavello. Dal
salotto si udivano continui gemiti sconfortati, come di qualcuno che
stesse
morendo di colite.
“Beh,
quanto ci vuole prima che perdano di nuovo e io possa
riavere John in condizioni umane?” domandò seccato.
Sherlock
fece schioccare le labbra.
“Tatto,
Sherlock. Tatto e diplomazia” disse con aria
fastidiosamente genitoriale. “Non sono il nome di due
malattie mortali, checchè
tu ne pensi.”
Il
detective sbuffò dalle narici come un cavallo
imbizzarritò.
“Mio
caro fratello” disse con un sorriso assassino,
“graziosamente, dal profondo del mio cuore vorrei congedare
la tua solenne
persona e quell’indegna imitazione di ufficiale pubblico il
prima possibile. A
lui intendo mandare un invito scritto, sbalzato nell’argento,
mentre a te,
conscio del profondo legame che ci unisce, dico subito fuori
dai co-”
Mycroft
alzò un sopracciglio.
“La
vita coniugale non ha migliorato il tuo senso
dell’umorismo” disse lanciando uno sguardo tutto
sommato intenerito alla fede
che brillava al suo anulare sinistro.
“E
tu da quando hai impalmato quello sbirro di mezza tacca
sei ancora più indegnamente grasso, se possibile.”
“Tatto”
ripetè Mycroft senza far una piega, avviandosi fuori
dalla cucina. “Tatto e diplomazia. Tra un’ora
sarà tutto finito.”
*
Trenta
minuti dopo, l’Arsenal perdeva il North London Derby
contro il Tottenham tre a uno, John e Lestrade avevano le guance
scavate dalle
unghie come due eroine tragiche e i fratelli Holmes si trovavano,
impotenti, ad
assistere ai prodromi di un inevitabile tracollo psicofisico delle loro
dolci
metà.
Dopo
l’ennesimo sospiro da martire cattolico di John,
Sherlock sentì di aver raggiunto il limite.
“Questa
insensatezza è snervante”
ringhiò lanciando occhiate di fuoco agli occupanti del
divano, stravaccati
senza, all’apparenza, più voglia di vivere in
corpo. “Andiamo, John, non
affondare oltre in questa spirale di demenza! Questa patetica
squadruccia perde
da anni? Cambiala! Aspetta la fine di ogni ridicolo
campionato e poi, quando mancano poche partite, salta sul
carro del
vincitore così festeggi e sei felice e-”
Sulla
stanza calò un silenzio pesante come Guerra e Pace.
Sentendosi
osservato – no, sentendosi giudicato
con sconvolta gravità da tutti gli occupanti della
stanza, Sherlock increspò le labbra e disse:
“Non… Commento socialmente
inappropriato?”
Lestrade
scosse la testa con aria sconsolata. Mycroft si
schiarì la voce e guardò altrove.
John
invece sussurrò, con il tono apparentemente calmo che
usava quando Sherlock l’aveva deluso così tanto
che non riusciva subito ad
arrabbiarsi per l’entità del danno inflittogli:
“Tifo questa squadra da quando
avevo sei anni. E’ forse l’unica cosa che davvero
mi unisca a mio padre. So che
ti sembra stupido, tutto questo, questo… Affanno, ma speravo
capissi che per me
non si tratta solo di calcio. All’Arsenal sono legati alcuni
dei più bei
ricordi della mia vita. E fidati: prima di incontrare te, non
è che avessi avuto
tanto di bello né da vivere, né da
ricordare.”
Dopodiché
si alzò e, dopo aver salutato Mycroft con un cenno
del capo e Lestrade con una pacca solidale sulla spalla,
salì le scale e sparì
al piano di sopra.
Calò
un altro silenzio. Lentamente, Mycroft si alzò in piedi
e si posizionò davanti all’ispettore, che sembrava
imbarazzato.
“Hai
mangiato solo patatine, immagino” disse il maggiore
degli Holmes con una voce sinceramente premurosa che Sherlock ricordava
vagamente aver abitato la propria infanzia. Lestrade annuì
con un sorriso
forzato. “Bene” proseguì Mycroft
carezzandogli una guancia. Sherlock strabuzzò
gli occhi e arricciò il naso con un’aria tra lo
spiazzato e il disgustato, come
un bambino piccolo che guardi un bacio alla televisione.
“Credo sia opportuno
un qualche tipo di distrazione da questa triste, sebbene
dignitosissima,
sconfitta.”
“Fuori
di qui, per carità di Dio” gemette Sherlock.
“Qualunque tipo di distrazione abbiate in mente.”
*
Mezz’ora
dopo, sebbene fosse ancora combattuto fra il lasciar
sbollire John e il correre nella loro stanza per accertarsi di non aver
rovinato le cose in maniera più grave di quanto pensasse,
Sherlock si decise a
salire le scale a sua volta e affrontare il suo destino.
Indugiò
davanti alla porta chiusa per qualche secondo, poi,
scuotendo la testa e dandosi del vigliacco e
dell’irragionevole, bussò.
“Avanti.”
Sherlock tirò un sospiro di sollievo: John aveva
risposto subito. Buon segno.
Entrò
con passo cauto, strizzando gli occhi per fendere la
semi-oscurità che invadeva la camera.
John
era seduto sul letto e teneva una cornice fra le mani.
Sherlock la conosceva bene. Compariva solo in quelle rare occasioni in
cui John
si sentiva nostaligico del passato – del tempo trascorso
prima del loro
incontro.
“Non
ci capivamo per nulla, sai” sussurrò il dottore
con una
punta di triste ironia nella voce. “Eravamo completamente
diversi. Da bambino
me lo ricordò come un papà fantastico, ma poi,
crescendo…” Sospirò.
Sherlock
gli si sedette accanto in silenzio e guardò oltre la
sua spalla. Nella foto, un John decenne e un uomo da cui aveva preso i
capelli
biondi e la forma della mascella sorridevano da un pontile, le canne da
pesca
in mano.
“Ci
vediamo solo alle feste, per il compleanno mio e di Harry
e per andare allo stadio, quelle rare volte in cui l’Arsenal
passa gli ottavi
di finale.” John scosse la testa e rimise la foto nel
cassetto del comodino.
Tacque per alcuni secondi, poi unì le mani a penzoloni fra
le proprie ginocchia
e disse: “Amo mio padre, ma non mi piace. Come persona,
intendo. Non abbiamo
niente in comune. E’ lo stesso con Harry. Solo che con Harry
non ho nemmeno il
calcio, come estremo punto di contatto.”
Voltò
la testa e gli sorrise. Sembrava più vecchio di dieci
anni. “Non ti chiedo di capire. Ti chiedo solo di non fare
ostruzionismo, di
non… deridere questo mio salvagente emotivo. Puoi fare
questo per me?”
Sherlock
sentì le guance bruciargli di vergogna e annuì.
Dopo
qualche secondo di teso silenzio, mormorò con una
delicatezza che sorprese
persino sé stesso: “Posso baciarti?”
John
lo guardò lievemente sorpreso.
“Certo”
disse, un sorriso incredulo. “Non hai bisogno di
chiederlo, Sherlock. Mai.”
Sherlock
sentì le gambe tremargli per il sollievo. Si
schiarì
la voce, poi disse: “Avrai notato che la comunicazione
verbale non è il mio
forte. Temo di peggiorare la situazione se provo a consolarti a
parole.”
John
rise di gusto, inaspettatamente, meravigliosamente.
Sherlock lo guardò permettendosi per la prima volta di
sorridere.
“Sta
cercando di sedurmi, signor Holmes?” mormorò John
con
una stupida, stupidamente splendida
espressione finto-maliziosa in volto.
Sherlock
si guardò intorno e alzò un sopracciglio.
“Le
circostanze vogliono che ci troviamo su un letto.”
John
gli prese il viso fra le mani e lo baciò, piano,
dolcemente, a lungo. Sherlock sospirò di piacere e se lo
tirò vicino con un
abbraccio.
“Non
hai colto la citazione, vero?” sussurrò senza
fiato John
sulle sue labbra.
Sherlock
batté le palpebre. Non si poteva permettere un altro
passo falso; non in un momento così delicato di
riappacificazione.
“Certo
che l’ho colta.”
John
sorrise con aria scettica.
“Ma
davvero.”
“Ovvio.”
“Bene.
Allora non avrai problemi a indossare quello che
indossava il personaggio a cui era rivolta quella battuta.”
Un altro bacio, più
languido, più passionale. “E poi a togliertelo per
me.”
Sherlock
sentì come una premonizione funesta pizzicargli il
collo, ma, dato che si considerava un essere del tutto razionale che
disprezzava
quel genere di segnali, decise di ignorarla del tutto.
“Certo
che no.”
*
La
mattina dopo Sherlock si svegliò distrutto, sudato e con
le braccia squassate dai crampi. Vaghi ricordi di una lunga, adorante,
sentitissima riappacificazione gli invasero la mente; fu solo quando il
cellulare squillò e lui fece per raggiungerlo che si rese
conto di essere
legato alla testiera del letto con un paio di collant da donna.
Dopo
un minuto di maledizioni indirizzate al solo soffitto
(John era uscito presto per andare in clinica, il maledetto
bastardo) riuscì a districarsi e raggiunse il
telefono.
C’era
un messaggio.
Così
impari a mentire. Stasera comunque guardiamo Il Laureato. E’
inconcepibile che
tu sia riuscito a vivere senza vederlo fino a questo momento. JW
Scordatelo.
Non sento più le spalle. E’ stato un colpo basso.
Non te lo meriti. SH
Al
contrario: credo di avere ancora un gran numero di punti-perdono da
sfruttare.
JW
Sherlock
scagliò infastidito il cellulare sul cuscino e
tentò
del suo meglio per non sorridere e per non essere felice della propria
vita, ma
non ci riuscì.
Note
dell’autrice: “Febbre
a 90°” è un bellissimo libro di Nick
Hornby, anche
lui grande tifoso dell’Arsenal. :D
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