Di Girasoli, Bossoli e
Asfodeli.
Primo Capitolo
Girasoli
Maggio
2027-Londra
Si era svegliato
improvvisamente e con il respiro affannoso. Con ancora gli occhi
chiusi gettò un braccio verso l'altra parte del letto e
rabbrividì
al contatto con la piega liscia delle lenzuola e il tipico freddo di un
giaciglio abbandonato.
Peter Miller aprì gli
occhi e gemette disperato.
Non capiva come fosse
possibile ritrovarsi improvvisamente solo e con la prospettiva di
rimanerci a tempo indeterminato.
Era cresciuto in un
famiglia numerosa che ora sembrava l'ombra di sé stessa,
incolpando
la guerra appena conclusa oppure la semplice crudeltà della
vita,
per le disgrazie che lo avevano colpito.
Pochi anni prima, però,
si
era ritrovato a sorridere di nuovo.
Era felice perché si
era
scontrato per caso con una donna speciale e se n'era scioccamente
innamorato.
Non fu facile all'inizio, erano decisamente diversi e
portavano sulle loro spalle dei passati complessi e pieni di dolore,
ma alla fine ne erano usciti insieme e sommariamente felici.
Si voltò verso una
foto
che aveva messo sul suo comodino da alcuni giorni e si beò
nell'osservare la genuina bellezza di sua moglie nel giorno delle
loro nozze.
Ricordava perfettamente il
forte vento d'Inghilterra che aveva sollevano leggermente il suo
vestito corto e quasi portato via i petali del bouquet, il suo timido
sorriso e quel “sì”
detto in francese, e gli sguardi pieni di
diverse emozioni che si erano scambiati quella sera, seduti su un
divanetto di una hall di un albergo qualunque.
Ma quei ricordi erano
stati spazzati via da un incidente e una diagnosi inflessibile.
Peter percorse i corridoi
del settimo piano del Georgia Grace Militar Hospital alle porte di
Londra assaporando visioni di intimità degli altri degenti.
C'era chi fingeva di
dormire dando le spalle alla porta aperta, chi fissava con occhi
spenti il televisore e chi come sua moglie se ne stava seduto a
guardare la pioggia battente dall'ampia finestra della stanza.
Il dottor Jovovich, grande
esperto di traumi neurologici ed insignito delle maggiori
onorificenze militari, aveva richiesto il giorno prima un colloquio
nella sua spartana saletta privata.
Con una certa franchezza gli
aveva strappato ogni speranza di tornare alla vita di tutti i giorni.
Sua moglie aveva perso quasi ogni ricordo di lui e della loro vita.
La memoria se n'era andata subito dopo aver sbattuto violentemente una
parte del cranio mentre spingeva lontano un bambino imprudente e si
lasciava investire da un'auto in folle velocità.
Un
grande gesto di bontà
che lui non riusciva a non condannare per avergli consegnato un
futuro amaro.
Amnesia
retrograda
tendenzialmente lacunare.
Lui, che di mestiere usava
prevalentemente le parole, aveva dovuto consultare vecchi dizionari e
siti internet per comprenderne appieno la tragicità.
Nessun farmaco, nessuna
terapia e nessuna operazione poteva restituirle i ricordi.
Le ossa erano guarite, le
ferite si erano rimarginate, l'energia vitale era ritornata forte e
decisa come un tempo, ma i ricordi si erano persi e lui non era che
un'idea sbiadita.
Bussò debolmente e si
avvicinò a lei che sembrava troppo assorta nel fissare la
tipica pioggia
inglese.
-Ciao Clémence.-
La donna si voltò
pigramente e non incontrò il suo sguardo.
Le sue dita cominciarono a
tormentarsi in grembo e addentò il labbro inferiore, quel
gesto che
aveva visto mille volte in quegli ultimi anni lo intenerì e
nello
stesso momento lo colpì violentemente.
Quei piccoli gesti non gli
appartenevano più, aveva perso il diritto di conoscerli.
-Dobbiamo andare. Sei
stata dimessa.- l'avvertì lasciando su una sedia una piccola
borsa
che aprì. -Ti ho preso dei vestiti.-
Clémence
gettò uno
sguardo al suo pigiama e alla vestaglia appesa alla porta e
cercò di
ricordarsi se avessi uno stile o un colore preferito.
Richiamò delle
immagini, delle sensazioni, qualunque cosa, ma il suo cervello
sembrò
non registrare nessun comando. Scese dal letto, prese la borsa e si
chiuse in bagno e mentre si vestiva, pianse.
Peter gettava continue e
distratte occhiate alla moglie seduta di fianco a lui. L'auto
scorreva silenziosa fra i sobborghi di una Londra
ingrigita dalla
recente guerra, fu un sollievo sentirla parlare, anche se
durò un
paio di secondi.
Peter aveva commentato
l'inutilità di due carri armati fermi di fronte al ponte con
un
accenno di timore e aveva sorriso quando lei lo aveva corretto.
-Si chiamano MBT.- disse
automaticamente. Si sorrisero incerti per qualche secondo.
-Lo facciamo spesso,
questo giochino.- le disse Peter mentre guidava e si addentrava in un
delizioso ed ordinato complesso residenziale immerso nel verde.
-Ti correggo spesso?-
domandò lei rendendosi conto di non ricordare nulla, nulla
di
quell'uomo che da giorni andava a dire in giro che era suo marito. Le
aveva persino mostrato delle foto e delle carte, ma lei non era
riuscita a nascondere lo sgomento di ritrovare il proprio volto
così
strano e diverso. Come se si trattasse della vita di una sorella
gemella perduta di cui veniva a conoscenza solo ora.
-Mi correggi spesso,
soprattutto nelle questioni militari.-le raccontò felice di
essere
utile a riempire quel libro vuoto che ora era la sua memoria.
-Discutiamo regolarmente sull'utilità degli acronimi negli
ambiti
non operativi.-
Clémence
annuì e voltò
la testa per non essere obbligata a sorridergli.
Non lo ricordava. Non
ricordava di averlo visto, di averlo baciato, sposato, parlato di
questioni militari, figuriamoci le abitudini consolanti della vita
coniugale!
Le sue mani cominciarono a
tremare e sobbalzò quando sentì la sua mano,
calda e liscia,
stringere una delle sue vacillanti.
Avvampò e boccheggiò e con una
certa difficoltà districò le sue dita dalla
gentile presa.
Peter si diede mentalmente
dell'idiota e con una certa angoscia parcheggiò di fronte
alla loro
casa. Una spaziosa villetta che suo padre aveva progettato quasi tre
decenni prima e che era rimasta a lungo invenduta. Quando lui le
aveva chiesto di sposarlo e Clémence, ancora restia, aveva
accettato, si era guardato intorno alla ricerca di un piccolo nido
per entrambi. E l'aveva ritrovata.
L'avevano ristrutturata insieme, ci avevano fatto l'amore fino allo
sfinimento e avevano litigando fino a minacciare il divorzio,
insomma, ci avevano vissuto.
-Bentornata,
Clémence.-
le disse aprendole la porta, pregando Dio di dargli un mano per
affrontare tutto questo.
Clémence ricordava
bene
il suo nome, la sua data di nascita, qualche episodio della sua vita,
soprattutto quelli legati all'infanzia passata in Bretagna, le estati
in Toscana, i nomi e le professioni svolte da alcuni membri della sua
famiglia e pezzi della guerra.
Quando un'infermiera con
accento dell'Est le si era avvicinata giorni prima e aveva annusato
un leggero odore di sigaretta, per alcuni minuti aveva rivissuto
periodi della guerra. Rammentava il rumore metallico dei bossoli
delle mitragliatrici che cadevano incessantemente l'uno sull'altro, i
sorrisi sdentati di alcuni bambini in un campo profughi, gli ordini
che venivano strillati e le sue mani intorpidite e ingiallite dalla
nicotina che sfogliavano una
cartina plastificata sotto la pioggia battente.
Da quelle poche
informazioni che era riuscita a scucire da chi le stava intorno in
ospedale, sapeva di essere stata un militare arrivata a un buon
grado, ora spostata nella polizia inglese a causa di una grave
carenza di personale.
Come e quando avesse
incontrato quel ragazzo con i capelli rossicci e il viso slavato e
del perché l'avesse sposato, rimanevano un mistero.
Appena entrata in casa,
una villetta molto carina ma che non le diceva niente, Peter si
avvicinò per aiutarla a far scivolare il soprabito lungo le
spalle e
il braccio ancora ingessato. Il tocco leggero delle sue mani
sembravano forzatamente delicate.
Appese la giacca e la
fissò con uno sguardo intristito e con una certa agitazione
in corpo
la precedette insistendo nel volerle mostrare la casa.
-Puoi per favore non
parlare mentre me la fai vedere, potrebbe aiutarmi.- mentì
Clémence.
Non voleva sentire delle mille cene mangiate su quei tavoli, dei
bicchieri che aveva comprato o a chi apparteneva la scelta del colore
dei muri. Era già strano averlo costantemente intorno a
sé, la sola
idea di vederlo e sentirlo parlare ancora di quel “noi”
a cui
tanto sembrava tenere, la nauseava.
-Prima fatti dare questi.-
disse lui cercando di nascondere l'amarezza di quella richiesta.
S'infilò in soggiorno e prese un grosso mazzo di girasoli.
-Sono i tuoi fiori
preferiti. Mi hai detto che li hai sempre adorati perché ti
ricordano delle estati con i tuoi in giro per l'Italia. Te li metto
nel vaso.- raccontò Peter e si emozionò quando
vide uno strano
bagliore negli occhi chiari di Clémence.
Lei si avvicinò di un
passo e li guardò con una certa attenzione.
Poi
si scostò
improvvisamente e decise che avrebbe curiosato per quella casa di cui
aveva pagato parte del mutuo.
Si stupì della tanta
luce
presente nella casa che filtrava dalle grandi finestre, le librerie
che circondavano molti muri, i colori caldi. I suoi piedi sapevano
muoversi bene, segno che la memoria cinetica si era ben fissata nel
suo cervello, notò alcune foto incorniate qua e
là, ma decise di
non badarci.
Si lasciò trasportare
da
un'infantile curiosità per la disposizione perfetta dei
mobili, dei
loro materiali, salì sulle scale, sperando di sbarazzarsi
della
sensazione di essere costantemente seguita, e perlustrò la
loro
camera da letto.
Era molto carina e grande.
Tendeva al grigio con punte di colore sparse senza ordine. Si sedette
sul letto e si tolse gli scarponcini e le calze, il fresco del
copriletto contro la pianta del piede le piacque e rimase a lungo a
guardarsi intorno, sperando di trovare un indizio qualunque.
Quando la testa
cominciò
a girarle si alzò e fuggì nella ordinata cabina
armadio, si stupì,
ma non seppe mai perché, nel notare degli abiti svolazzanti
appesi e
delle gonne pudiche e scure ben piegate. Il resto dell'abbigliamento
era decisamente neutro: jeans scoloriti, maglioni con le trecce dai
colori scuri o tenui, camicie, maglie da sport, reggiseni spartani,
giacche scure e tante sciarpe.
Ne prese una e chiudendo
l'armadio andò vicino allo specchio adiacente e la
portò intorno al
suo collo. Era una normale sciarpa cinerea a righe blu ed azzurre,
notò che s'intonava con i suoi occhi grigi e si
domandò se fosse il
tipo di donna che tentava di coordinare il proprio guardaroba per
esaltare qualche caratteristica fisica.
-Te l'ho regalato tre mesi
fa per San Valentino. Risalta i tuoi occhi.-
Peter l'aveva osservata a
lungo girare per la stanza ed guardare con una certa
meticolosità
il loro armadio. Quando lei si era infilata quella sciarpa, qualcosa
lo aveva commosso. Forse, anche se lei non ne era consapevole, qualcosa
ricordava.
-A dir la verità
siamo
andati nel Galles per un paio di giorni, tempo schifoso ma ci siamo
divertiti.- raccontò, rimanendo alla porta della stanza, le
braccia
incrociate e lo sguardo rivolto verso di lei, ma assente.
Clémence
ne ebbe quasi paura.
-Siamo andati in questo
piccolo ristorante sulla costa che servivano anche la tua marca
preferita di birra francese,“Bière
du Desert”. Ne hai bevuta un
sacco, sai? Siamo stati bene in quei due giorni. Meditavamo di
trascorrerci qualche giorno di vacanza ad agosto.-
Peter fermò il suo
racconto sovrappensiero. Il medico aveva chiesto di non travolgerla
di informazioni perché poteva non riuscire ad assorbirle con
la
stessa facilità di prima, le rivolse un timido sguardo e
notò che
aveva gli occhi ludici.
-Non me lo ricordo. Non me
lo ricordo proprio. Non mi ricordo nulla.- balbettò sentendo
le
lacrime scorrere lungo le sue guance infuocate.
La sua stanza
cominciò ad
ondeggiare, i suoi occhi si chiusero e l'ultima cosa che
percepì
furono le forti braccia di Peter frenarle la corsa verso il
pavimento.
Fa freddo,
Clémence
tira fuori il naso dalla stretta della sciarpa per inspirare quel
forte odore di benzina, fuoco e morte e per un paio di secondi si
distrae. Gli elicotteri procedono spediti e a bassa quota,
l'orizzonte non è altro che un miscuglio di colori
fosforescenti che
segnano ai passivi spettatori la fine di altre vite. Le bombe si
schiantano contro le case e il terreno con una regolarità
spaventosa.
Di fianco a lei, in
piedi ad osservare il declino del mondo, c'è un uomo dal
sorriso
sghembo.
-Non credo ne usciranno
vivi.- le sussurra.
Clémence
annuisce
distratta. -Non credo che, alla fine, qualcuno di noi ne
uscirà
vivo.-
-E' la tua ultima
missione?- le domandò.
Clémence si
voltò a
fissarlo, le dita che scorrevano febbrili lungo la lunga canna del
fucile. -Sì, me ne vado a Parigi e poi forse in Inghilterra.-
Un'esplosione troppo
ravvicinata li fece sobbalzare, i capi cominciarono a gridare ordini,
ma loro due rimasero ad osservare la coltre di polvere che
s'innalzava ed avvolgeva l'orizzonte.
-Allora auguri, forse
ci rivedremo ancora.- disse l'uomo fissandola a lungo, per un attimo
sembrò volersi avvicinare, ma le voltò le spalle
e s'incamminò
verso la sua postazione e Clémence rimase lì
finché non decise che
era venuto il momento di ubbidire agli ordini e cominciare ad
avanzare con il suo carro armato.
Con gli occhi sbarrati e
la bocca secca, Clémence si svegliò.
La mente ripercorreva
stralci di quel sogno così vivido, il panico aveva bloccato
ogni
muscolo e l'emicrania le faceva lacrimare gli occhi.
Cominciò a respirare
lentamente cercando di riprendere il controllo di sé e solo
allora
si accorse che era sdraiata su un letto, in una stanza buia.
Sgranò gli occhi e si
guardò intorno, tastando di lato riuscì a trovare
una piccola
lampada posta sul comodino e l'accese.
La stanza di cui aveva un
ricordo vago venne illuminata e per un attimo si rese conto che non
si trovava in una spoglia caserma o in un fatiscente bunker sudanese.
Sul suo stomaco era
appoggiato il braccio pesante di Peter che si era addormentato al suo
fianco e la cosa imbarazzò moltissimo Clémence
che cercò di
spostalo lontano da lei.
Ma Peter si mosse e si
svegliò quasi del tutto.
-Scusa …
-bofonchiò.
La donna notò che
aveva
un'aria adolescenziale mentre dormiva, come se ringiovanisse
improvvisamente nel sonno.
Per un attimo si pentì di averlo
svegliato.
Si domandò quante
notti
avevano passato l'uno nelle braccia dell'altro.
Peter stropicciò un
occhio e si alzò a sedere. -Scusa, mi sono addormentato.-
-Sono svenuta, giusto?-
domandò Clémence sfilando l'elastico con cui
aveva legato i biondi
capelli ore prima. Infilò le dita e li sparpagliò
sulle spalle
rilassate. Quel sonnellino forzato sembrava avesse giovato al suo
corpo, ma la sua mente ne era uscita ammaccata.
-Sì, ti è
già capitato
altre volte in ospedale. Dicono che non sia grave e
passerà.-
Peter le sorrise cercando
di infonderle fiducia, le strinse una mano. Per lui era difficile
limitarsi a una semplice stretta di mano, erano sempre stati una
coppia molto fisica, cercavano costante conforto nel toccarsi,
nell'amarsi in modo impetuoso e incontrollato.
Con il sesso
eliminavano rancori e risolvevano litigi, con le effusioni
rinsaldavano il loro amore. Non avevano bisogno di lunghi discorsi
filosofici o spirituali.
Ma ora doveva limitarsi
anche in questo.
Si alzò dal letto e
si
tolse il maglioncino che indossava. -Vado a dormire, domani devo
andare a un incontro importante.- le disse mentre cercava il
pantalone del suo pigiama. -Tornerò per pranzare con te e se
vuoi
nel pomeriggio possiamo uscire, fare quattro passi nel quartiere.-
Clémence
annuì
sopraffatta. -Come vuoi.-
La risposta venne accolta
freddamente da Peter che la salutò cortese prima di
annunciarle che
avrebbe dormito nella stanza accanto. Uscì e chiuse la porta
leggermente stizzito da sé stesso, per un attimo gli era
sembrato di
rivedere la sua Clémence.
La mattina dopo si
comportarono in modo formale.
Peter le aveva preparato
un'abbondante colazione che fu quasi del tutto ignorata dalla moglie
che continuava a fissare il vaso con i girasoli.
Più di una volta
cercò
di attirare la sua attenzione, di scrollarla da quell'isolamento
volontario.
Ma Clémence era
troppo
concentrata nell'osservare le diverse pieghe dei piccoli e fragili
petali gialli dei girasoli, sentiva una strana connessione con quel
fiore.
-Erano i fiori preferiti
di maman. Io e papà li abbiamo colti in un campo poco
lontano da
casa quando siamo tornati dal cimitero e da allora, ogni volta che
posso, li porto a casa.- mormorò Clémence
assaporando quei pochi e
frammentari ricordi. -La prima volta che ci siamo usciti insieme a
cena, avevi in mano dei girasoli.-
Sul viso di Peter si
allargò un genuino sorriso di sorpresa, non fece caso al
bricco di
latte che si era rovesciato e aggirò il tavolo e la
raggiunse. La
strinse a sé, le baciò la fronte e quei capelli
bruciacchiati dal
sole e non poté non azzardare ad un veloce quanto
appassionato bacio
su quelle labbra che tanto gli mancavano.
Si era ricordata di
qualcosa, si era ricordata di loro, si era ricordata di lui.
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Questa
storia ha partecipato al Contest: Het, Slash, FemSlash ... mi va bene
tutto purché sia costruttivo di Sere-Channy.
Si
è classificata prima ed ha vinto i premi:
-Premio
Promessa: storia con linguaggio più forbito.
-Premio
Originalità: alla storia più originale.
-Premio
Impegno: alla storia in cui l'autore ha messo più impegno.
-Premio
Love: alla storia d'amore più bella.
a. Fornitura lessico:5 /5
b. Uso parole e aggettivi 5/5
c. Correttezza lessico5 /5
d. Totale: 15/15
Gradimento personale:
a. Originalità 5/5
b. Elaborazione 4/5
c. Caratterizzazione personaggi 4/5
d. Totale:13 /15
Grammatica:
d. Morfologia5/5
e. Sintassi5 /5
f. Totale:10 /10
Extra:
d. uso del pacchetto:10 /10
e. attinenza al contest10 /10
f. totale: 20/20
Punti tolti: 1 (cambio pacchetto)
Punti
premio/bonus/ocomelivoletechiamare: 2 (originalità e
impegno)
errori: 1 (essendo errori di battitura
non fanno media nella valutazione finale, ma vanno comunque
calcolati)
Totale:59 /60
Bene, la storia mi piace. Si vede che
hai messo tutta te stessa nella storia, hai usato il pacchetto
perfettamente, l’uso del promt era molto originale, e anche
la
citazione era usata bene! Inoltre hai eseguito alla lettera
ciò che
era richiesto nel contest. Un eccellente lavoro se non fosse stato
per gli errori di battitura, erano più o meno una decina, ma
dato
che erano errori di battitura (non di distrazione, non
grammaticali…di battitura) ho preferito colcolarteli come 1
in
totale. O meglio, avendo segnalato ogni errore come 0,1, il numero
degli errori era 1,2, ma 0,2 punti contano poco, quindi ho preferito
toglierli. Se non fosse stato per questi avresti preso un punto in
più, ma il risultato è ottimo, la storia mi
è piaciuta veramente
tanto. Un’altra cosa che ti ha impedito di prendere il
massimo è
stato il cambio del pacchetto.
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