Era un paesaggio ultraterreno.
La grande vallata era racchiusa tra
alte montagne rocciose dalla cima pianeggiante. Gli unici due passaggi che
permettevano di raggiungerla erano posti rispettivamente ad est ed ad ovest. Come le patrie dei due eserciti che in quel posto avevano trovato
un ottimo campo di battaglia dove decidere finalmente a chi sarebbe spettata la
supremazia sulle fertili terre del Continente del Sud, sprofondato in un caos
di crisi economiche e tensioni interne che alimentavano le guerre tra clan.
Nell’ aria era ancora forte l’odore della battaglia che si
era consumata nel tardo pomeriggio: l’odore del sangue, del sudore, del ferro e
della terra smossa impregnavano l’atmosfera in modo quasi tangibile.
Il campo era coperto da forme irregolari, dalle quali ogni
tanto s’intravedeva il bagliore di un raggio lunare che, oltre la spessa coltre
di nubi, per qualche istante si rispecchiava in un’armatura o su qualche lama
spezzata. Il vento era del tutto assente e i drappi appesi sui portabandiera,
rappresentanti gli stemmi dei due schieramenti, pendevano laceri e impolverati
dando un misero saluto a coloro che avevano perso la
vita al loro cospetto.
Da una sporgenza rocciosa che spuntava dalla parete di una
delle montagne e sovrastava la vallata, due figure contemplavano questo
spettacolo a dir poco impressionante.
La prima aveva le sembianze di un ragazzo sui 20 anni, anche
se trattandosi di un demone risulta un po’ difficile
far combaciare la sua reale età con l’aspetto. Stava seduto all’estremità dello
spuntone con un braccio appoggiato sul ginocchio e l’altra gamba penzoloni nel
vuoto.
Alle sue spalle un altro demone, una ragazza, stava seduto
con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al fianco di una creatura
alata, cavalcatura del ragazzo. L’agile e robusto Drago delle Pianure stava
sonnecchiando e le sue scaglie smeraldine ondeggiavano aritmicamente ad ogni
suo respiro, creando l’illusione di una pianura immersa nel buio della notte e
accarezzata da una leggera brezza.
Le iridi, d’un celeste intenso della ragazza, scrutavano la schiena di lui. Indossava dei pantaloni di cuoio nero e
sopra la caratteristica armatura leggera dei cavalieri. Una maglia di fibre
d’acciaio intrecciate tra loro, che formavano
un’ottima protezione contro le frecce. Una serie di placche, anch’esse
d’acciaio, erano poste sull’intaccatura del collo,
sulle braccia e sulle gambe, resistenti ad eventuali fendenti. Il tutto era
completato da una corta spada poco usata appesa al fianco ed un pugnale posto
dietro la schiena. Gli stivali di cuoio erano immacolati, segno
che durante la battaglia non era mai sceso dal suo drago. L’elmo con il
pennacchio bianco gli riposava acanto.
Al contrario di lei, che nella
mischia si era trovata fino al collo. Ad indicarlo era lo strato di polvere e
sangue raggrumato, non suo, che le copriva la pelle e le numerose contusioni
sparse qua e là su tutto il corpo. I lunghi capelli raccolti in una coda erano
arruffati. Le dolevano le mani dal lungo menare e la pelle dei palmi era rossa per l’attrito causatole dall’elsa della sua spada.
Non si lamentava, di tutto questo era abituata già da
anni ormai.
“Abbiamo fatto un buon lavoro. Ti pare?” la voce di lui si librò compiaciuta e ruppe il silenzio che si
era creato tra loro dalla fine della battaglia.
Non si aspettava una
risposta. La conosceva bene e sapeva che non si sprecava in parole. A lei
piacevano i fatti. Si voltò e la guardò dritto negli occhi.
In quel momento lei poté vederlo in faccia e una fitta
l’attraversò. La sua bellezza la stupiva ancora. Aveva la
carnagione chiara, i lineamenti mascolini erano ben pronunciati, ma allo
stesso modo delicati. Una barba rada e corta gli incorniciava il volto e
insieme ai capelli castani arruffati, che gli ricadevano sulla fronte, gli
davano un aspetto bellicoso. La cosa che però irrimediabilmente le calamitava
lo sguardo erano gli occhi, di un color del sangue, profondi, spietati. In quegli
occhi si era rispecchiata molte volte, quando anni addietro, come amanti, avevano giaciuto insieme e le aveva promesso che sarebbe
stata la sua regina, l’unica ragione per lui di continuare a vivere.
Quei ricordi la fecero rinvenire dallo stato catatonico in
cui l’aveva stregata e ricambiò con uno sguardo altrettanto omicida.
Lui sorrise maligno, ma il rancore che covava gli ricordò
che era stata colpa sua, del suo smanioso desiderio di
potere, se l’aveva persa. Ora ognuno rappresentava una partizione diversa e
nemica l’una dell’altra.
“Dovresti curare di più il tuo aspetto. Sembri una selvaggia
dello stesso livello di quei babbei umani lunghi distesi là sotto.”
Le gli rispose con un sibilo minaccioso. La comparazione non
le era piaciuta.
“Fatti gli affari tuoi. Se non te ne staresti
al sicuro in groppa alla tua lucertola saresti ridotto anche peggio di me,
visto il tuo scarso potenziale fisico.” disse lei
sottolineando le ultime 3 parole.
Aveva da subito toccato il punto dolente. Seppur
era padrone di un potere smisurato ed era come lei classificato nella
categoria delle superpotenze, il suo fisico, anche se ben allenato e muscoloso,
non aveva resistenza e per un demone appartenente alla famiglia dei guerrieri
ciò era visto come una debolezza.
Se a fare tale osservazione fosse stato chiunque
altro si sarebbe ritrovato arso dalle fiamme oscure già da un pezzo. Ma contro di lei non avrebbe più potuto ingaggiare una lotta
con esito sicuro. Lo aveva raggiunto e, forse, anche superato.
Del resto come avrebbe potuto togliere la scintilla vitale
da quei occhi meravigliosi, così puri. Di fronte a quegli
occhi era rimasto disarmato, stregato tanti anni fa e che anche adesso lo
facevano sentire un vile per aver commesso quell’errore. Ma del resto a lui
allora era piaciuto e piace ancora.
“Mi ha fatto piacere rivederti, cara. Hai mantenuto la
stessa aggressività in battaglia, se non l’hai addirittura incrementata.”
“Parzialmente è anche merito tuo, CARO. Il tuo intervento mi ha provocato un leggero fastidio. Cosa
ti hanno promesso questa volta per farti discendere dall’Eden e mischiarti con
noi, da te definiti, esseri inferiori?” dicendolo riuscì
a trasmettergli il disprezzo che provava nei suoi confronti. In fatto di stili
e valori di vita erano sempre stati in contrapposizione.
“Sai bene che quando lo dico non mi riferisco a te. Il fatto
che tu appartieni ad una famiglia demoniaca di grado minore non
mi ha mai disturbato e te l’ho anche dimostrato.” fece
lui con finta aria di offeso.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda.”
Non aveva voglia di ricominciare con quella storia.
“Ah...niente di tale! Solo dei vasti appezzamenti di terra nel
Continente del Sud, un esercito di schiavi e una deliziosa fanciulla,
figlia di un generale del nostro esercito.” Fu soddisfatto nel notare la
smorfia che lei fece alla rivelazione del terzo dono.
“Poveretta, chissà
come si sentirà…dopo!”
Il ragazzo la fulminò con lo sguardo come dire:”Smettila o mi arrabbio!”.
Lei distolse lo sguardo sorridendo. Le piaceva tormentarlo
ricordandoglielo, ben consapevole che non si sarebbe azzardato ad attaccarla.
Almeno per quel giorno. Aveva già sfogato la sua indole
assassina su quei poveretti laggiù.
“Bene.”disse alzandosi.
Ora era il turno del ragazzo divorare la figura della sua ex
compagna.
Poté constatare che la sua bellezza era rimasta immutata, seppur sotto le
impurità della battaglia appena combattuta. Stava risistemandosi i capelli
color nocciola, che così sciolti le donavano un tocco di regalità. L’aveva
sempre detto che era una regina. Il viso era abbronzato e ciò risaltava il
bianco e il celeste degli occhi. Il seno, fasciato da un sudicio pezzo di pelliccia
animale, era quello di una guerriera: medio e sodo. Le braccia e le gambe erano
sinuose, eleganti, potenti. Capaci di frantumare le ossa di
qualunque avversario umano. Le mani avevano una perfezione anche quando
reggevano la spada. Con quell’arnese tra le mani era meglio non trovarsela di
fronte.
Il ventre piatto e scoperto metteva
in mostra una serie di addominali ben scolpiti. Come avrebbe volentieri dato un
morso alla sua pelle color della sabbia, liscia e tonica. I glutei infine,
sotto il medesimo pezzo di pelliccia che copriva l’indispensabile, gli facevano
ritornare in mente tutte le sere passate insieme e di
come allora fossero disponibili al suo tocco, morbidi e perfetti.
Si ricordava vivamente anche gli altri particolari. Sospirò.
La verità era che non era più sua. Non sapeva se aveva trovato un altro e non
lo voleva sapere. La cosa l’avrebbe infastidito…
“Però il tuo appezzamento di terra
non è detto che finirà in mano tua. Chissà! Forse sarò abbastanza brava a
proteggerlo.” disse lei accarezzando
la testa al drago che intanto si era svegliato e si godeva le carezze.
“Questo si deciderà a tempo debito.” rispose
il ragazzo con meno spirito dopo la sua ultima constatazione.
La ragazza si scostò dalla creatura alata e si avvicinò
all’estremità dello spuntone roccioso.
“Quando credi che ci rivedremo?” le
chiese infine.
“Dipenderà da, quando i vertici dei nostri due regni
vorranno organizzare “la grande carneficina”. Se qualcuno sopravvivrà all’evento avrà la strada spianata
per diventare il re indiscusso dei Quattro Continenti. Ma
ho i miei dubbi.”
Voltandosi verso il ragazzo e guardandolo dritto negli occhi
aggiunse:”ho un conto in sospeso con te, perciò fino
ad allora cerca di rimanere vivo. Mi hai capito?”.
Era così vicina che lui poteva sentire il suo profumo. Se lo impresse nella mente. L’avrebbe cercata sul campo di
battaglia.
“Non preoccuparti. Non sarà un problema per me.” disse in tono canzonatorio. Aveva un altro motivo per
vivere.
“Non mi preoccupo. Ci vediamo.”
Si sporse ulteriormente sul costone, s’infiammò e volò via.
Una cometa di fiamme nel cielo senza stelle.
Il ragazzo montò in sella al drago, si voltò un’ultima volta
verso il punto dove lei era scomparsa e spronando violentemente la creatura,
volò nella direzione opposta.
Jui, demone della fiamma oscura, superpotenza del Continente
del Nord, e Sheera, demone della fiamma rossa, superpotenza del Continente de
Sud, se ne andarono lasciandosi alle spalle, ironia
della sorte, la stessa missione affidata loro dai rispettivi regni: debitamente
compiuta.