1)Amori e sparatorie.
Non
mi è mai piaciuto il
“Blue moon” come bar, è frequentato da
brutta gente a mio parere e per brutta
gente intendo fighetti e giocatori di basket e saltuariamente da
qualche nerd o
skater arrapato.
Le divise corte del locale
sono la cosa più conosciuta e sono la cosa che odio di
più, ma lavorare qui è
la punizione per aver perso un anno al liceo.
Avrei potuto non perderlo
e tenere una media eccellente come gli altri anni, ma durante lo scorso
anno
scolastico sono stata impegnata in cose più importanti e
precisamente capire da
dove vengo.
Non sono di qui di sicuro
e con qui non intendo Poway o San Diego, intendo questo pianeta.
Sì, sono un’aliena. Mi
hanno trovato che avevo cinque anni a vagare nel deserto e mi hanno
portato in
un orfanotrofio. Non ho detto a nessuno da dove venivo per puro istinto
di
sopravvivenza, avevo come l’impressione che dire che ero
appena uscita da un
bozzolo completamente formata non fosse una buona idea.
All’orfanotrofio mi hanno
chiamata Chiara, ma ormai mi chiamano tutti Chia, compresa la mia
famiglia
adottiva che mi ha fornito di un cognome: Malone.
Guardata da vicino non
sembro aliena, forse solo un po’ più dark degli
altri: ho gli occhi azzurri, la
pelle chiara che non si abbronza nemmeno d’estate e i capelli
neri striati di verde.
Ho un piercing al naso e uno al labbro e un tatuaggio sulla schiena che
è
apparso intorno ai quattordici anni.
Sono strani segni che non
sono in grado di decifrare anche se una parte di me li sente come
familiari,
forse sono la lingua del pianeta da cui provengo.
Chissà perché sono qui
poi…
Nessuno sa cosa sono, solo
Johnny che è alieno anche lui, solo che è stato
all’orfanotrofio fino all’anno
scorso visto che a causa del suo caratteraccio nessuno ha voluto
adottarlo.
La porta del locale si
apre con uno scampanellio, io guardo chi sia il nuovo cliente e il mio
cuore
salta un battito: è Thomas DeLonge, il mio amore del liceo.
Ha un anno meno di me, ma
vista la mia bocciatura l’anno
prossimo
ci vedremo a parecchi corsi e questo non va bene.
Johnny dice che non avrei
potuto scegliermi un tizio peggiore per cui prendermi una cotta e ha
ragione.
Tralasciando che cambia ragazza ogni due settimane è anche
un tizio fermamente
convinto che gli alieni esistano e se lui scoprisse cosa sono
probabilmente mi
mostrerebbe come prova agli altri. Meglio stargli alla larga!
Lui sta per sedersi a un
tavolo quando la porta si apre violentemente e due rapinatori entrano
nel
locale puntando la pistola su di noi.
“Consegnaci l’incasso!”
Mi urlano, io corro al
ricevitore di cassa, prelevo i soldi e schiaccio l’allarme,
poi consegno tutto
ai banditi che iniziano a far passare i clienti.
Arrivati a Tom lui si
rifiuta di collaborare e tenta di disarmare uno di loro.
È questioni di attimi, il
rapinatore – troppo teso ed eccitato, forse un eroinomane
– perde il controllo
e gli spara. L’altro impreca e lo trascina via, lasciando Tom
steso a terra.
Dovrei aspettare
l’ambulanza, ma i miei piedi si muovono da soli e con un
unico movimento mi
inginocchio accanto a lui e gli premo la mano dove è stato
colpito.
Mi concentro e una leggera
luce scaturisce dalla mia mano, fortunatamente nessuno lo nota e io
continuo
fino a quando non sento tutti i tessuti e gli organi tornare normali e
la
pallottola svanire completamente.
Con la stessa rapidità con
cui mi sono abbassata mi rialzo con aria spaventata, come se temessi
per la
salute di Tom.
Poco dopo arrivano due
poliziotti e io lo lascio perdere per parlare con loro, descrivo loro i
rapinatori e cosa è successo.
“E il ragazzo?”
“Gli hanno sparato!”
Esclamo concitata.
“Sembrava ferito
gravemente, invece devono averlo solo sfiorato per fortuna.”
Lui annuisce e guarda Tom
in piedi, mezzo rintronato che rifiuta di andare all’ospedale
e guarda me, sono
nei guai.
All’arrivo del
proprietario sono in doppi guai perché vengo licenziata a
causa della condotta
che ho adottato con i rapinatori.
Con rabbia vado nello
spogliatoio, mi metto i miei shorts, la mia canottiera viola sfumata e
i miei
anfibi e lascio per terra la divisa, afferro la mia borsa militare e me
la
filo.
La mia destinazione è
l’appartamento in cui vive Jhonny, lo avviso telepaticamente
del mio arrivo in
modo che possa cacciare eventuali ragazze e quando arrivo vedo una
ragazza
bionda che scende velocemente le scale esterne che portano a casa sua.
Se non mi sbaglio è Anne
Hoppus, la sorella del migliore amico di Tom.
Johnny mi apre la porta
con un espressione accigliata e con i capelli nero viola scompigliati.
“Si può sapere cosa
succede?
Anne ci stava!”
“Pensavo non ti piacessero
le terrestri!”
“Ho anche io dei bisogni!”
Io scuoto la testa, lui mi
fa entrare.
“Ho appena fatto una
cazzata!”
Urlo lanciandomi sul suo
divano, poi gli racconto succintamente quello che è
successo, alla fine è
furioso.
“Stasera andrò
personalmente dallo sceriffo per accertarmi che insabbi questo strano
incidente, tu dovrai sistemare DeLonge.”
io sospiro.
“E… E se tenesse il nostro
segreto?”
“Sì, certo e gli asini
volano. Chia devi andare da cui e modificargli la memoria o fare
qualcosa per
cui stia zitto.”
“Sì, hai ragione Jo. Farò
qualcosa.”
“Perché l’hai salvato?”
La sua domanda cade come
un sasso in uno stagno calmo, io abbasso gli occhi e fisso le punte dei
miei
anfibi.
“Semplicemente perché lo
amo.”
Lui si piazza davanti a me
e mi alza il mento con le dita.
“Potresti amare me, siamo
due rinnegati, gli unici che si possono capire.
Non lo sa nemmeno tua
sorella cosa sei.”
Io lo guardo.
“No, ne abbiamo già
parlato, lo sai.
Ti voglio bene, sei il mio
migliore amico, mio fratello, ma non ti amo.”
Lui sbuffa.
“Ti piace complicarti la
vita Chia o meglio Ava.”
“Non usare quel nome, lo
sai che non mi piace.”
“È il tuo vero nome.”
“Datomi da qualcuno che
non si è premurato di farmi sapere chi è e chi
sono io e da dove vengo e perché
sono qui.
Non voglio usare il nome
che mi è stato dato da qualcuno che mi ha abbandonato qui
senza difese, ho solo
quello stupido tatuaggio e né io né te sappiamo
cosa voglia dire!”
Lui sbuffa platealmente,
perché aspetta che qualcuno venga a prenderci, pia speranza
visto che nessuno
si è mai fatto vivo in nessun modo.
“Chia, vai a casa. I tuoi
saranno preoccupati, a quest’ora la notizia della rapina si
sarà diffusa.”
Io tiro fuori il cellulare
dalla borsa e noto che c’è una chiamata senza
risposta che viene da casa mia.
“Hai ragione, meglio che
vada. Ricordati…”
“E tu ricordati DeLonge.”
“Ok.”
Me ne vado, pregando
mentalmente che questo casino si risolva presto.
Arrivata
davanti alla mia
villetta trovo mia madre e mia sorella sul portico.
Mia madre è una donna dai
lunghi capelli castani che ama vestire abiti da casa a fiori, mia
sorella
invece si chiama Isabel, ha un anno meno di me e lunghi capelli
ondulati di un
rosso scuro ereditati da qualche nonna irlandese insieme agli occhi
verdi.
Non appena mi vedono
varcare il vialetto di casa mi saltano in braccio tutte e due.
“Oh, tesoro! Ho avuto così
paura per te quando ho saputo della rapina. Hai lavorato abbastanza, la
punizione è finita, io e tuo padre ti pagheremo quello che
ti serve per la
scuola.”
Ha sempre avuto il vizio
di parlare come una mitraglietta quando è nervosa.
“Grazie, mamma.”
“Come stai e dove eri?”
Mi chiede Isabel.
“Sto… Non lo so come sto,
sono contenta di averla scampata, spaventata per quel che è
successo e
arrabbiata con il proprietario del locale che mi ha licenziata.
Ero da Johnny, avevo
bisogno di parlare con qualcuno.”
Mia sorella annuisce, mia
madre invece fa un lieve cenno di disprezzo, non le è mai
piaciuto Johnny, ma
dopo anni di tentativi andati a vuoto per dividerci ha deciso di
lasciar
perdere.
“Spero sia riuscito a
calmarti.”
“Beh, non ci è riuscito in
pieno, una rapina non si dimentica facilmente. Anche se tu e
papà aveste voluto
punirmi ancora avrei dovuto cercarmi un altro lavoro: lo schiavista mi
ha
licenziato.”
La bocca di mia madre si
tende in una linea dura.
“Dopo quello che hai
passato ti ha licenziato?”
Io annuisco.
“La volta che passa in
macelleria gliene dico quattro a quel messicano avido di
merda.”
Io e Izzie la guardiamo
sconvolte, deve essere fuori di sé, è una donna
decisamente contraria al
turpiloquio in situazioni normali
“Forza, ragazze entriamo.”
Io e mia sorella ci
buttiamo sul divano a guardare la tele.
“Chia, posso chiederti una
cosa.”
“Vai, spara.”
“Tu e Johnny state
insieme?”
“No, ma in passato lo
siamo stati, poi ci siamo accorti che funzionava. Lui per me
è come se fosse un
fratello, perché me lo chiedi?”
Lei scuote le spalle.
“Niente, vi vedo così
uniti.”
“Ti piace Johnny?”
Lei arrossisce.
“No, una volta mi piaceva.
Adesso c’è qualcun altro che mi interessa, ma non
speranze.”
“Chi?”
“Mark
Hoppus, il fratello maggiore di Anne.”
“Oh.”
Effettivamente
lui ha tre anni più di noi e potrebbe non essere interessato
a ragazzine come
noi.
“Magari
possiamo provare a convincere la mamma a mandarci al Soma, lui ci va
spesso,
sento spesso Anne e DeLonge parlare di serate trascorse
sì.”
“Ti
piace Tom, eh?”
“Sì,
ma non ho nessuna speranza e poi non credo mi piacerebbe essere un nome
in una
lista di conquiste.”
E
poi sono un’aliena, sorellina, e lui cerca le prove della
nostra esistenza con
troppo ardore, sarei in pericolo.
Questo
mi riporta al fatto che stasera devo sistemare a dovere la sue memoria
o potrei
essere nei guai.
Poco
dopo la porta si apre con furia, mio padre fa irruzione nel salotto
spaventandoci, a Izzie cade addirittura il telecomando di mano.
“Chia,
stai bene, piccola?”
Mi
chiede, scrutandomi attentamente.
“Sì,
non sono stata ferita, sono solo spaventata.
Non
è stata un’esperienza gradevole e poi mi ha
licenziato.”
Mio
padre borbotta imprecazioni a bassa voce.
“L’importante
è che tu stia bene, quando ho sentito la notizia alla radio
mi sono spaventato
da morire.”
“Non
preoccuparti, va quasi tutto bene.”
Poco
dopo mia madre ci chiama a tavola, annunciando che la cena è
pronta. Io ho un
peso sullo stomaco che mi rende difficile mangiare: come
farò a fare qualcosa a
Tom?
Lui
è sempre stato il ragazzo che mi piaceva e mi sembra
orribile usare i miei
poteri su di lui, per la prima volta in anni sento tutto il peso di
essere
un’aliena senza nessuno che la faccia da guida.
Sono
solo Chia, la bambina uscita dal bozzolo per ritrovarsi in un mondo
potenzialmente ostile senza nessuno che le desse una mano.
Ho
il sospetto che questa sensazione sia stata molto familiare a Johnny in
questi
diciotto anni di vita.
Con
la scusa della sparatoria vado a dormire presto, in realtà
il mio cervello è
ossessivamente concentrato su come usare i miei poteri su Tom. Alla
fine dovrò
usare il solito modo – imporre le mani – che
è pericoloso sia per me che per
lui, se si dovesse svegliare e reagire potrei danneggiargli
irrimediabilmente
alcune zone del cervello e la mia presenza lì sarebbe
difficile da spiegare.
Sospirando
mi metto in ascolto di tutti i rumori della casa, alle due di notte
arriva
l’agognato silenzio, visto che dormono tutti.
Con
calma, stando attenta non fare rumore, infilo un paio di short di jeans
sopra
la maglia nera e lunga che uso da pigiama, infilo un paio di calzini e
degli
anfibi. Apro con cautela la finestra della mia camera, ha sempre un
piccolo
scricchiolio quando la si apre e stanotte devo fare in modo che sia
ridotto al
minimo per non farmi scoprire.
Esco,
mi metto a cavalcioni sulla finestra e con un po’di fatica
raggiungo il ramo
del melo che c’è in giardino, ci striscio sopra
come un verme e poi scendo.
Scavalco
il cancello di casa mia e via, sono libera.
La
casa di Tom dista due vie dalla nostra, non siamo mai stati amici, ma
avremmo
potuto perché ai tempi delle elementari
nelle nostre due vie si era creato un unico supergruppo di
bambini; Tom
era stato accettato subito, io no perché, nonostante avessi
superato le prove
di coraggio, rimanevo pur sempre una femmina. Le femmine sono
pappamolle per
natura – diceva il capo del gruppetto –
così lui era dentro e io fuori.
Amen.
È
inutile rivangare il passato, inoltre stanotte tira un vento gelido che
mi fa
rabbrividire nella mia maglietta leggera, forse avrei dovuto prendere
una
felpa, ma di solito non giro nel cuore della notte nel mio quartiere.
Arrivo
alla casa di Tom e – dopo aver individuato la sua finestra
– salgo su un albero
che è praticamente davanti alla stanza di Tom. La luce
è ancora acceso,
nonostante l’ora tarda e lui sta sfogliando un libro
– sicuramente non di
scuola – in maglietta e mutande.
Basta
già questo a mandarmi in panico, da una parte devo aspettare
che lui dorma
prima di fare qualsiasi cosa, dall’altra devo contenere la
bava che minaccia di
annegarmi da un momento all’altro.
Cerco
di mantenere la calma e mi acquatto nascosta tra i rami in modi che io
lo veda
senza che lui se ne renda conto.
Legge
ancora un po’ – le mie gambe si addormentano
– poi si alza, si stiracchia
pigramente e si toglie la maglia, lasciandomi davanti allo spettacolo
di un
DeLonge mezzo nudo che mi manda fuori di testa.
È
muscoloso per essere così pigro, è alto,
è bellissimo e mi fa – letteralmente –
perdere il controllo. Le mie mani, improvvisamente scivolose, perdono
presa e
contatto e mi fanno cadere dall’albero, fortunatamente cado
in un cespuglio che
mi attutisce la caduta e mi permette di nascondermi.
Tom
infatti, sentito il rumore si affaccia alla finestra e fortunatamente
non mi
vede.
Ok,
stasera è meglio rinunciare.
Non
appena si ritira e spegne la luce sgattaiolo via tutta dolorante e me
ne
ritorno sconvolta in camera mia.
L’ho
visto mezzo nudo!
La
mattina dopo è il primo giorno di scuola, mi sveglio di
malumore e mi metto le
prime cose che pesco dall’armadio: un vestitino nero con dei
fiorellini rossi
sull’orlo.
Mangio
e poi io e Izzie ce ne andiamo a scuola con la nostra macchinetta,
anche lei
non ha molta voglia di andarci.
Parcheggiamo
e ci uniamo alla moltitudine degli studenti, ritiriamo il nostro orario
in
segreteria e poi ci salutiamo.
Lei
ha inglese, io spagnolo.
Mentre
mi avvio verso l’aula vedo Tom con la coda
dell’occhio tentare di avvicinarsi a
me, io aumento l’andatura e mi infilo nel locale poco prima
che arrivi la
profe.
Ce l’ho fatta.
Anche
durante il resto del giorno, Tom tenta di parlarmi, ma io gli sfuggo
sempre per
fortuna.
Mi
sento al sicuro quando con Izzie arrivo alla nostra macchina: niente di
più
sbagliato, Tom ci aspetta dentro.
“Cosa
ci fai qui, DeLonge?”
Gli
chiede mia sorella.
“Devo
parlare con Chia e credo
che anche tu
dovresti sapere quello che lei mi dirà.”
Complimenti,
Chia! Ti sei messa da sola con le spalle al muro.
“Non
ho voglia di parlare con te, Tom e non mettere in mezzo mia sorella che
non
c’entra niente.”
Lui
scende dalla macchina e si avvicina a me, è imponente visto
da vicino,
torreggia su di me senza nessuno sforzo.
“Io
invece penso di sì.”
“Ti
sbagli.”
Gli
mollo un poco caritatevole calcio nelle palle e faccio segno a mia
sorella di
entrare in macchina, lei esegue molto perplessa.
“Ma
perché?”
“Perché
lui vuole parlare con me e io non voglio. Semplice, no?
Non
è colpa mia se lui non sa rassegnarsi.”
“Ma
ti piace!”
Io
rimango in silenzio, cosa potrei dirle?
Sai
Izzie non volevo parlargli perché ho un segreto da
proteggere a costo della
vita. C’è una cosa che non sai dopo tredici anni
di convivenza con me: sono
un’aliena, sorellina.
Curioso,
vero Izzie?
Probabilmente
penserebbe che sono matta e poi una gran bastarda dopo che
avrà capito che non
scherzavo affatto né ero impazzita.
No,
certi segreti vanno per sé.
La
verità profonda deve rimanere nascosta e
io non posso dire a Izzie cosa sono, la metterei in pericolo.
“Chia,
sei strana. Prima lo ami,poi lo prendi a calci nelle palle.”
Io
non dico nulla, arriviamo a casa e io mi chiudo in camera mi, quella di
matematica ci ha già assegnato dei compiti.
Sono
china su una parte particolarmente difficile quando una voce mi fa
saltare
dalla sedia: guardo chi sia e sgrano gli occhi.
“Beh,
la cara vecchia abitudine di bussare alle porte invece di entrare dalle
finestre si è persa?”
“Quando
si vuole fare un lavoro rapido e pulito, sì.”
Io
alzo un sopracciglio.
“Beh,
Clyde, hai sbagliato casa, non siamo poi così ricchi.
Come
ti chiami, a proposito?”
“Mark
Hoppus.”
“Piacere,
Chiara Malone.
Come
mai sei qui?”
Lui
scuote le spalle.
“Volevo
vedere di persona e fare i complimenti alla ragazza che ha rifiutato
Tom
DeLonge e l’ha steso con un calcio alle palle.”
Lo
guardo come se l’alieno fosse lui, non erano amici quei due?
“Ma
non siete amici tu e DeLonge?”
Lui
si siede tranquillamente sul mio letto, molleggia persino un paio di
volte,
quanta disinvoltura!
“Prego
fai come se fossi a casa tua, eh!”
“Sì,
siamo amici, ma tu sei la prima ragazza che lo rifiuta così.
Boh,
volevo farti i miei
complimenti perché
ogni tanto lui ha bisogno di qualcuno che gli faccia abbassare la
cresta.”
“Oh!
Ehm, bene. Non so se essere onorata o cosa, sinceramente mi sento tanto
perplessa.”
“Non
ci badare, sono le nostre stranezze.”
Io
annuisco.
“Cosa
stai facendo?”
Mark
si alza e sbircia da sopra le mie spalle.
“Matematica.
Vuoi aiutarmi?”
Lui
impallidisce vistosamente.
“No,
grazie. Ti lascio alla matematica.”
Detto
questo se ne va e mi lascia da sola a fare i compiti, come una brava
alunna
dilegente.
Il
resto della serata trascorre tranquillamente, il giorno dopo vado a
scuola
senza sapere cosa aspettarmi.
Tom
avrà lasciato perdere o sarà ancora
più determinato di prima a capire cosa
sono?
Prima
delle lezioni vado in bagno e nemmeno
un
minuto dopo la porta del bagno si apre ed entra Anne Hoppus.
“Ciao,
Chia. Volevo parlare con te.”
“Dimmi.”
Ha
una brutta faccia, sembra abbia pianto tutta la notte.
“Sei
la ragazza di Johnny?”
“Chi?
Io?
No,
assolutamente no. Lo so che sembriamo fidanzati, ma non lo siamo, lo
siamo
stati e, credimi, non ha funzionato.
Lui
è come un fratello per me e viceversa.”
Lei
sospira sconsolata.
“Beh,
è persino peggio di quello che mi aspettasi, per lui sono
solo una bambola
gonfiabile umana.”
Lei
esce, trattenendo le lacrime ed entra un’altra persona.
Una
persona che vorrei evitare, ma che mi blocca le vie di fuga.
Thomas
Matthew DeLonge.
Angolo di Layla
Ok, questa fanfiction è
vagamente ispirata alla serie televisiva "Roswell", se qualcuno non
l'ha vista e ama la fantascienza la guardi perché merita.
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