«Spero
per te che sia uno scherzo.» non poteva prendere una
decisione del genere senza prima consultarmi, eravamo rimasti solo noi
due da soli e c'eravamo fatti la promessa che per ogni decisione ne
avremmo parlato assieme prima di decidere ed ora mi lancia una bomba di
queste dimensioni. Era inaccettabile.
«Mi
spiace tanto, ma dopo aver perso il lavoro l'anno scorso trovarne uno
qui in zona avendo per giunta poche credenziali mi era
impossibile.» nell'ultimo anno mio padre era cambiato
tantissimo perdendo quasi totalmente la sua allegria e la sua voglia di
fare. Eravamo seduti l'uno davanti all'altro in cucina, cavoli era da
tanto che non parlavamo cosi..cosi seriamente, dopo la morte di mia
madre e di mio fratello cercavamo di stare fuori casa il più
possibile; entrambi soffrivamo in silenzio e in modo solitario per la
loro perdita, pochi abbracci e lacrime versate solo in assenza
dell'altro.
«Dove
dobbiamo trasferirci?» guardò prima me e poi
guardò attorno alla stanza come per trovare coraggio negli
oggetti per rispondermi.
«Los
Angeles» lo disse tutto d'un fiato e non riuscii a capire se
avevo sentito bene e meno.
«Los
Angeles?» con la testa bassa annui e io per poco non mi misi
a piangere.
Avrei
dovuto lasciare i miei amici e il mio oceano Atlantico per l'oceano
Pacifico, è un tradimento bello e buono certo in compenso
sarei andata a Long Beach per fare surf ma non sarebbe stata la stessa
cosa. Miami e Los Angeles non erano cosi vicine, distavano esattamente
2731 miglia e serviva per l'esattezza 1 giorno e 14 ore per arrivarci e
tutte quelle miglia non potevo di certo farle per andare a trovare i
miei amici, non poteva farle ogni volta che mi andava perché
era troppo anche per una come me che amava viaggiare e spostarsi con
ogni mezzo di trasporto possibile ed immaginabile.
«Di
che lavoro si tratta? Ma non puoi aspettare almeno un anno cosi finisco
la scuola qui a Miami? Poi potrei trovare un college vicino a Los
Angeles» alzò lentamente la testa, come se questa
pesasse tanto quanto un macigno. Gli occhi azzurri e un pò
incavati erano spenti e tristi e guardandolo in quelle condizioni mi
venne un nodo in gola. Sapevo benissimo che anche per lui non era
facile andarsene e se aveva preso una decisione del genere era
certamente stato costretto da forza maggiori.
«Mi
dispiace, ma non ho più soldi per pagare la casa e nemmeno
per mangiare. Ho il conto totalmente in rosso, a Los Angeles ho trovato
lavoro come guardiano di un dormitorio della scuola superiore,non ci
sono affitti da pagare e abbiamo la possibilità di mettere
da parte un pò di soldi per poi ritornare a Miami magari
entro un anno. Domani abbiamo l'aereo, scusa per il poco preavviso ma
non sapevo come dirtelo.» mi guardava speranzoso e credeva in
quello che stava dicendo. Ritornare a Miami entro un anno, la cosa era
fattibile, vivere a Los Angeles solo per un anno non mi avrebbe
certamente stravolto l'esistenza, si trattava solo di vivere in un
posto diverso e un pò lontano da casa, certo avrei preferito
sapere qualche giorno prima del trasferimento cosi da preparare le
valige tranquillamente e magari salutare i miei vecchi amici ma in un
modo o nell'altro li avrei salutati, tanto si sarebbe trattata di una
separazione momentanea.
«Ok,
preparo le valige» cercai di sorridergli per fargli capire
che sarebbe andato tutto bene, che noi due ce la saremmo cavata come da
un anno a questa parte, Miami o Los Angeles non faceva differenza
l'importante era stare assieme. Mi alzai e mi avvicinai a lui
abbracciandolo da dietro schioccandogli un bacio sulla guancia. Ne ero
certa se ero con mio padre tutto era possibile.
Andai
in camera cercando di fare il più possibile lunghi respiri
per calmarmi. Los Angeles Los Angeles Los Angeles. La mia testa non
faceva altro che pensare a quello, avevo cercato di fare coraggio a mio
padre ma ero io quella un pò spaventata in
realtà. Nuova vita, nuova scuola e soprattutto nuovi
compagni.
Welcome
To Los Angeles. Il grande cartellone blu capeggiava accanto alla
carreggiata mentre sui vecchi muri che l'affiancavano
spiccavano i murales, per giunta uno più bello dell'altro ma
tra tutti il mio preferito era certamente quello che raffigurava il
viso di Marylin Monroe in bianco e nero su uno sfondo rosa, sembrava
quasi una fotografia talmente era bello e realistico.
Guardai
l'ora. Erano gia le 6 del mattino, mi attendeva una nuova vita e,
contrariamente a quanto pensavo all'inizio, ero terrorizzata. Non ero
certamente la persona più socievole del mondo, ridevo e
scherzavo con tutti senza particolari problemi ma faticavo non poco a
conoscere persone nuove. Nemmeno durante le gare di surf o le partite a
basket riuscivo a fare quattro chiacchiere con gli altri giocatori e
partecipanti. Non ero timida ero semplicemente un lupo solitario
esattamente come mio padre.
Ero
cosi immersa nei miei pensieri che nemmeno mi resi conto che l'autobus
si era fermato davanti ad una scuola.
«Questa
è la West Adams High School. Dovete scendere qui
giusto?»
«Si
grazie» presi anche io la valigia e il mio zaino e seguii mio
padre fuori dal mezzo ringraziando il conducente.
«Tesoro
siamo arrivati. Andiamo, dobbiamo parlare col direttore.»
Essendo
cosi presto nel cortile davanti alla scuola non c'era anima viva,
meglio cosi, sarebbe stato ridicolo vedere una ragazza arrivare a
inizio anno con borsoni e valigie.
Il
Direttore mi fece una buona impressione, sembrava tenere molto alla
scuola e ai suoi alunni. Dietro la grande scrivania di legno massello
sembra ancora più piccolo di quanto non fosse realmente.
Portava un paio di occhiali dalla montatura leggera che doveva mettere
e togliere in continuazione e dovetti cercare di non ridere
perchè era alquanto comico.
«Bene,
vi accompagno al vostro alloggio e poi Jane ti mostro la tua
classe.»
«Ok,
la ringrazio.»
Lo
seguimmo fuori dal suo studio e poi fuori dalla scuola. La casa era
poco distanza dall'edificio, non era grande ma per due persone era
più che sufficiente, entrammo e con enorme piacere vidi che
gli scatoloni, inviati da mio padre qualche giorni prima, erano li e
cosa più importante erano intatti. C'erano molte cose
importanti sia per me che per mio padre e sarebbe stato un peccato se
si fosse rotto qualcosa.
La
sala era piccola con un divano in ecopelle nera un pò
rovinato, sarebbe bastato un copridivano per metterlo a nuovo, nel
mobile difronte c'era un televisore non grandissimo ma era abbastanza
dato che io non la guardavo mai nemmeno a casa, il bagno aveva i
sanitari puliti e in ordine, mancava solo una tenda per la doccia
altrimenti avremmo rischiato di bagnare ovunque ogni volta. Il problema
più grande si presentò aprendo le camere da letto.
C'erano
5 ragazzi e una ragazza distesi nei nostri letti, tre nella mia stanza
e tre in quella di mio padre.
«FUORIIIII»
il Direttore era piccolo e sembrava senza engergia tanto era magro ma
quando si mise ad urlare mi spaventai anche io.
Vidi
i ragazzi svegliarsi lentamente stiracchiandosi. Prima guardarono il
Direttore, poi mio padre e per finire la sottoscritta.
Si
alzarono e si avvicinarono e me.
«Volevamo
scaldarti il letto. Dovresti ringraziarci sai?» era il colmo.
Entro in casa, trovo dei perfetti sconosciuti nel mio letto e per di
più devo anche ringraziarli.
«Spero
tu stia scherzando.» si mise esattamente davanti a me mentre
i suoi amici erano dietro, non li vedevo ma li sentivo ridere. Il
ragazzo era almeno 15 cm più alto di me, se non di
più e anche portando le braccia al petto non l'avrei
certamente intimorito anche perchè non era tanto la sua
altezza a mettermi soggezzione quanto più gli occhi. Vi
assicuro che occhi cosi non posso esistere in natura, cosi
azzurri da sembrare bianchi e freddi non possono essere un dono di
madre natura. Tutta la sua figura mi inquietava e agitava. A Miami quei
pochi amici che avevo erano perlopiù ragazzi e tenevo testa
a tutti loro, ma lui mi intimoriva e se ne rendeva conto
perchè non smetteva un secondo di osservarmi come se
cercasse di leggermi dentro.
«Voi
6 andate nel mio ufficio immediatamente.» il piccolo
Direttore li spinse fuori dalla nostra casa e io potei notare come
erano disfatti e sporchi i nostri letti.
Tolsi
le lenzuola dai letti per poterle gettare in lavatrice e fortunamente
trovai un ricambio pulito nell'armadio in camera di mio padre,
dopodiche disfai le valigie cercando di sistemare tutto accuratamente
nel cassetti, odiavo il disordine ed in particolare nella mia camera. A
Miami mio fratello aveva il vizio di ribaltare la mia stanza per
infastidirmi e farmi arrabbiare riuscendoci ogni volta, perfino questa
cosa stupida mia mancava di lui. Pensando a mio fratello e prendendo
per caso la sua maglia che usava durante le partite a basket mi venne
voglia di piangere ma cercai di controllarmi alzando lo sguardo a
dandomi leggeri schiaffetti sul viso.
Fu
totalmente inutile.
«Mi
manchi stupido idiota.» sdraita sul letto con ancora le
scarpe ai piedi e la sua maglia al petto iniziai a piangere.
Quando
mio padre venne a chiamarmi avvisandomi che il Direttore mi aspettava,
mi trovò con gli occhi rossi e le guancie bagnate dalle
lacrime.
«Jane»
sapeva che la cosa migliore era lasciarmi stare senza provare a
consolarmi e lo ringrazia quando, benchè preoccupato, non si
mosse per entrare in camera rimandendo vicino allo stipite.
Gli
sorrisi e annuii col capo, stavo bene ma il trasferimento sembrava
avermi allontanato ancora di più dalla mamma e da Kevin.
Sistemai la maglia sotto il mio cuscino, uscii dalla porta e andai
verso l'ufficio del Direttore.
L'inizio delle lezioni si stava avvicinando e iniziavano ad arrivare i
primi ragazzi che fortunatamente non mi degnarono di uno sguardo troppo
concentrati a ripassare sui loro libri. Avendo un pessimo
orientamente feci molta fatica ad arrivare nell'ufficio, trovarlo fu
però un sollievo.
Feci per bussare ma la porta si aprì in quel momento
facendomi trovare faccia a faccia di nuovo col ragazzo dagli occhi di
ghiaccio e la sua compagnia.
«Sto ancora aspettando un tuo grazie.» mi stava
innervosendo quel tizio.
«Jane
vieni pure, voi fuori immediatamente.» prima della fine
dell'anno avrei fatto una statua interamente d'oro al Direttore.
Mi
spiegò a grandi linee i corsi che si teneva in quella
scuola, gli orari sia delle lezioni che i turni per le pulizie che
variavano in base alla classe, mi spiegò inoltre il sistema
delle classi: nella sezione A vi erano quelli che avevano una media tra
9 e 10, nella B coloro che avevano una media tra 8 e 9 e via dicendo
fino ad arrivare alla F dove c'erano i peggiori dell'istituto. Come
suddivisione non era male in questo modo, avendo una media del 9, avrei
potuto frequentare tranquillamente le lezioni senza avere qualche
compagno idiota che si divertiva a disturbare in classe, che per giunta
era un'altra cosa che detestavo.
Accenò anche al fatto che ogni studente era obbligato a
scegliere un corso extrascolastico che prevedeva vari sport o materie
artistiche come arte, recitazione, canto o danza, oltre all'obbligo di
partecipare alla vastità di gite che venivano fatte durante
l'anno per ogni singola classe in modo da rafforzare i rapporti tra gli
studendi.
«Spero di esserti stato chiaro, in caso vieni pure quando
vuoi nel mio ufficio.»
«Si
è stato chiaro, una domanda, ma quindi in che sezione
sono?»
«Oh
che sbadato, vieni ti mostro la tua classe.»
Lo
seguii fuori dal suo ufficio, attraversammo un grande corridoio che
data l'ora si stava riempiendo di studenti che non persero un attimo
prima di farsi domande tra di loro incuriositi dalla sottoscritta,
salimmo due rampe di scale e poi un altro corridoio con la differenza
che in questo non c'erano molti studenti ma solo muri disegnati e
armadietti rotti finchè finalmente non arrivammo davanti
alla classe: 5F.
«F?
Perchè? Ho sempre avuto una buona media fin dalle
elementari.» avevo voglia di piangere, di scappare e di
prendere a pugni il Direttore.
«Mi
spiace, ma le classi ormai erano fatto e la tua domanda di iscrizione
è arrivata tardi. Comunque non preoccuparti tra tre mesi ci
sono gli esami di metà trimestre e hai la
possibilità di cambiare classe.» in
realtà avrei preso a pugni mio padre una volta arrivata a
casa, il suo essere sbadato e fare le cose all'ultimo minuto mi stava
penalizzando e non poco.
«In
questi tre mesi devo stare qui però. Non ci sono altri
modi?»
«Mi
spiace, scusa ma devo andare» non riuscii a finire la frase
che lo vidi andare via di corsa.
Guardai
la porta. Verde, piena di buchi e tagli, sotto la scritta 5F, fatta
certamente a mano con un pennarello indelebile, c'era una scritta poco
rassicurante: Lasciate ogni speranza voi che entrate. Qualcuno deve
aver studiato Dante il che era quasi rassicurante oltreche minacciosa.
Presi
fiato e con quel poco coraggio che mi rimaneva bussai ed entrai in
classe. Erano le 8.30, teoricamente la lezione doveva essere
già iniziata ma vidi solo un professore terrorizzato,
nascosto dal registro e un branco di imbecilli che si divertivano a
tirarsi addosso oggentti, urlare e fumare etc..insomma fare tutte cose
per nulla inerenti al concetto di scuola a cui ero abituata.
«Salve,
sono Jane Moore.» il professore mi salutò con un
cenno della testa e con la mano fece segno di accomodarmi dove volevo.
«E
sono maleducata.»
Mi
voltai e per poco non svenni. Occhi di ghiaccio e la sua banda erano
anche loro nella mia stessa classe, mi guardarono e iniziarono a
sghignazzare attirando l'attenzione del resto dei compagni. Non
risposti alla sua frase idiota e andai a sedermi nel primo banco
libero, esattamente davanti alla cattedra.
I
miei tre mesi d'inferno erano ufficialmente iniziati.
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