"I find shelter, in this way
Under cover, hide away
Can you hear, when I
say?
I have never felt
this way
Maybe I had said,
something that was wrong..."
Shelter
- The xx
1. Shelter
Chiuse la porta di casa alle sue spalle, scontrandosi con il gelo del
pomeriggio appena inoltrato.
Trovò rifugio nei propri segreti mischiandosi tra la folla
di Londra; avvolto nel suo cappotto nero camminava incurante, sbattendo
contro chiunque lo incrociasse. Gli occhi chiari si riempirono di
lacrime, una morsa gli avvolse lo stomaco e la mente fino a dilaniargli
la carne e le viscere. Provava dentro di sé un turbinio
inarrestabile di rabbia e delusione; la prima per suo padre che gli
aveva urlato in faccia mentre lui, a testa bassa, subiva le sue offese;
la seconda per sua madre che era rimasta in silenzio, privandolo delle
sue braccia amorevoli. Avrebbe voluto correre da lei, raggomitolarsi
sulle sue gambe e piangere, per ricevere quelle agognate carezze che
asciugano il pianto e guariscono l’anima, ma la sua mamma
assisteva impassibile alla furia di suo marito, senza fiatare, senza
posare gli occhi su suo figlio, neanche per un istante…
Stringeva i denti mentre le sue falcate diventavano sempre
più ampie, trasformando il suo cammino in una disperata
corsa.
Lontano da tutti.
Lontano dal mondo.
Avrebbe voluto fare un salto e tramutarsi in tante piccole gocce di
pioggia, infrangersi e scomporsi per diventare parte del suo cadere.
Lieve…
Le gambe iniziarono a cedergli, come se il dolore dell’anima
le avesse private di ogni briciolo di energia; il passo si fece sempre
più lento e leggero, fino a che si arrestò.
Sullo Strand la vita continuava a procedere incurante di ciò
che gli stava accadendo: si sentì ancora più
solo. Sapeva che nessuno, guardandolo, poteva immaginare il suo dolore,
ma avrebbe voluto che esistesse anche solo una persona capace di
accorgersi di lui.
Voltò il capo da destra a sinistra per trovare un posto dove
andare ma quando i suoi occhi si posarono sull’altro lato
della strada, la ricerca cessò: vide la facciata di una
chiesa e si perse nell’osservare la grande finestra arcuata,
indirizzando lo sguardo sull’alta torre campanaria mentre la
pioggia impetuosa si scontrava con il suo viso.
Rapido, attraversò la strada e salì velocemente
le scale per rifugiarsi sotto il protiro sorretto dalle colonne.
Fermatosi davanti al portale in legno scuro, sbirciò
timidamente dai vetri opachi e vide delle ombre solcare le luci
tremolanti ed incerte delle candele. Non fu né la
curiosità né l’istinto a portalo
lì, ma solo una tiepida sensazione di fiducia.
Varcò la soglia della chiesa dedicata alla Madonna e ne
rimase colpito: la navata, illuminata dalle monofore e dal finestrone
della controfacciata, appariva come un invito a rimanere e le vetrate
policrome, nonostante il brutto tempo, riuscivano a risplendere,
illuminando lo spazio circostante.
Avanzò adagio lungo tutto il percorso, esigendo dai suoi
passi l’assoluto silenzio e l’acqua che aveva
infradiciato le sue sneakers scivolò lentamente sul
pavimento dando vita alle tracce imprecise del suo cammino. Con il naso
all’insù esplorò lo spazio interno
decorato in uno stravagante barocco; roteando lentamente su se stesso,
come se stesse danzando, fissò con le labbra schiuse gli
ottocenteschi lampadari in ottone sopra la sua testa, sorpreso dalla
loro bellezza.
Il freddo lo intorpidì, tanto da fargli rimpiangere la
temperatura esterna; nonostante ciò continuò a
vagare in cerca di un calore diverso, ritrovandosi davanti
all’abside nella quale era posto l’altare. Un
incessante brusìo attirò la sua attenzione verso
la navata laterale, dove scorse un confessionale in legno: vide una
donna anziana accompagnare il tendaggio rosso cardinale con le mani,
per poi alzarsi dall’inginocchiatoio; rimase immobile e
silenzioso a fissare la tenda che ricopriva lo scomparto dove di solito
siede il sacerdote, aspettando che egli uscisse.
Non c’era mai stata, fin dal principio, la convinzione di
volersi confidare con qualcuno ma l’indugio del prete lo
invitò ad avvicinarsi.
Procedette timoroso verso il posto dei penitenti contraendo il viso in
una smorfia di dolore, aspettandosi un’altra delusione.
Tuttavia, il desiderio di colmare il senso di desolazione fu
più forte dell’insicurezza, così prese
posto in ginocchio davanti la griglia di separazione, in attesa che il
prete aprisse lo sportellino dal quale avrebbe ascoltato le sue
confidenze più intime. Nel breve momento in cui
l’esitazione stava per prendere il sopravvento, la mano del
sacerdote, rugosa e macchiata dalla vecchiaia, rimosse
l’unico ostacolo che si frapponeva tra le angosce di Jay e
l’orecchio attento del ministro di Dio.
«Sia lodato Gesù Cristo» proruppe il
prete. Jay rimase incastrato, non poteva più tirarsi
indietro e, abbassando la testa, unì le mani in preghiera
poggiandovi la fronte. «Sempre sia lodato.»
«Dimmi figliolo, confessami i tuoi peccati».
Jay strinse gli occhi, affondando il viso nelle mani: non si vergognava
di se stesso, ma provava terrore per il rifiuto, non avrebbe retto un
ulteriore abbandono, maggiormente da Dio.
«Mi perdoni padre, perché ho peccato.»
«Ti ascolto…»
«Oggi ho reso infelici i miei genitori»
sibilò velocemente, togliendosi il peso più
grande dal cuore.
«Gli hai mancato di rispetto?»
«Forse, non lo so. Per rispettare me stesso ho reso infelici
loro.»
«Raccontami.»
«Io sono omosessuale, padre!».
Il sacerdote pose una mano sul proprio viso, per nascondersi da quella
vergognosa confessione. Jay continuò a parlare intendendo
quel gesto come un segno di dispiacere per lui: «Dopo anni di
silenzi e di segreti, oggi, finalmente, ho confessato ai miei genitori
la verità.»
«Come l’hanno presa?».
Un bagliore di speranza riaccese gli occhi del ragazzo: quella domanda
pareva un segno tangibile di apertura; sentiva che sarebbe stato
ascoltato. «Non bene. Sembra che abbiano dimenticato che sono
comunque loro figlio.»
«Si tratta di un disordine grave!» tuonò
il padre dal suo scomparto ignorando lo smarrimento del ragazzo che lo
fissava cercando di cogliere la sua espressione.
«L’omosessualità è un
disturbo che deve essere curato con la preghiera e la conversione. Per
guarire hai bisogno di compassione e di essere guidato sulla retta
via».
Jay si sentì franare la terra sotto i piedi, come se
l’inferno si fosse spalancato in una voragine che
l’avrebbe inghiottito; non si aspettava delle felicitazioni,
ma aveva ingenuamente sperato in una parola di conforto.
«Padre, che devo fare?» chiese affogando le lacrime
nelle parole; sperava ancora di poter essere guidato senza
necessariamente doversi sentire colpevole della sua natura.
«La castità è l’unica
soluzione, quando sarai finalmente guarito potrai guardare negli occhi,
senza vergogna, i tuoi poveri genitori e, prima cosa fra tutte, potrai
non vergognarti agli occhi di Dio».
A Jay non importavano queste cose, non era quello il punto, non aveva
mai fatto sesso con un uomo, avrebbe anche potuto rimanere casto a vita
ma mai avrebbe tradito ciò che era, così rispose
tra le lacrime e l’angoscia: «Io non mi sento un
peccatore.»
«Il tuo è un peccato imperdonabile!»
infierì il prete accostando ulteriormente il viso alla
grata: «Non voglio additarti, le persone come te vanno
trattate con misericordia, ma devo metterti in guardia figliolo: se tu
vuoi continuare ad essere protetto da Gesù Cristo, nostro
Signore, devi pentirti ed iniziare un cammino di preghiera».
Jay alzò gli occhi e in balia del tremore strinse nelle mani
il velluto dal quale era ricoperto l’inginocchiatoio. Chiuse
i pugni e sferrò un colpo, facendo trasalire il sacerdote.
«No!» urlò roco tra le lacrime, ancora
una volta l’avevano rifiutato facendolo sentire sbagliato.
Pensò, mentre colpiva ripetutamente la grata: se davvero
fosse stato così sbagliato, Dio non l’avrebbe
messo al mondo così com’era. Se nei bambini esiste
Dio, come è scritto, c’era stato anche in lui
quando, da piccolo, desiderava non essere mai nato in un corpo che non
sentiva appartenergli.
Il sacerdote, spaventato, tentò di uscire dal confessionale,
ma Jay lo precedette scappando via sconvolto e rabbioso.
Percorse la navata a passo spedito, raggiunto dalle urla del prete, ma
un istinto irrefrenabile attirò la sua attenzione su una
statua levigata in legno raffigurante Gesù della
Misericordia.
Lo scrutò per pochi secondi negli occhi come se sperasse in
una parola direttamente da lui. La statua non parlò, ma lo
fissò con amore, quello tipico che traspare dagli occhi di
quell’immagine, e sentendosi preso in giro dalla
fissità di quello sguardo di legno finto e vuoto,
varcò la soglia senza indugio.
Si ritrovò sulla strada allagata difronte la chiesa,
disorientato e lacerato; il tempo era notevolmente peggiorato, tanto da
non permettergli di vedere a pochi metri di distanza: sembrava ce
l’avesse con lui. Pensò che Dio gli stesse ponendo
davanti un avviso. La pioggia ed il vento apparivano impazziti tanto da
ridurlo, in pochi secondi, in uno straccio bagnato senza riparo.
Voltò ancora la testa da destra a sinistra, non riusciva
più ad orientarsi. Il vento lo feriva infliggendogli
scudisciate violente sul volto e, ravvivandosi i capelli fradici, fece
qualche passo verso il marciapiede, per allontanarsi dal centro dello
Strand.
Non appena fu sul lato della strada osservò incredulo
l’apocalisse che lo stava inghiottendo: le macchine
accostavano inserendo le frecce d’emergenza e i passanti
correvano impauriti contro il vento, per trovare riparo.
Rimase inerme sotto la pioggia, in balia della tempesta; le sue lacrime
disperate si confusero tra le gocce perseveranti che gli cadevano sul
volto e il suo lamento di sconforto si mescolò alle urla
incessanti delle raffiche d’aria che tentavano di metterlo in
ginocchio.
Era solo, avrebbe voluto che quella furia potesse ingoiarlo per
permettergli di sparire dalla faccia della terra, così
gridò al cielo parole sconnesse di rabbia e disperazione ma
non appena vide crollare davanti a sé, piegato dalla collera
del vento, un detrito indistinto estirpato da chissà quale
ferraglia arrugginita, si sentì sollevare da terra:
l’uomo che lo stava trascinando in salvo gli rivolgeva,
contro vento, rimproveri non del tutto comprensibili e il ragazzo,
stanco e snervato, si lasciò andare a quella presa, senza
più lottare.
***
Il vento faceva tremare i vetri del bar nel quale lo sconosciuto
l’aveva scaraventato senza troppa delicatezza. Pareva di
assistere alla fine del mondo ma Jay non se ne preoccupò.
Camminò in mezzo alla gente che cercava un riparo dalle
vetrate nel caso in cui fossero esplose e fissando i visi preoccupati
dei suoi compagni di avventura si chiese perché Dio ce
l’avesse anche con loro, in fondo, quell’ira
sembrava riservata solo a lui.
Si sedette sul pavimento con la schiena al muro, aspettando
pazientemente che tutto quel marasma finisse. Sembrava fosse
l’unico a non avere paura e si raggomitolò pensoso
poggiando i gomiti sulle ginocchia piegate, affondando il viso tra le
braccia.
D’improvviso si ricordò dell’uomo che
l’aveva salvato; non aveva memoria del suo volto,
così alzò la testa sperando di scorgerlo ma fu
impossibile, perché il tempo si calmò di colpo
spingendo la gente ad alzarsi, ostacolandogli la visuale: pareva una
folla di sopravvissuti ad un bombardamento; guardavano in alto, chi
fuori dalla porta, chi poggiando il naso sulle vetrate, aspettando di
constatare la loro effettiva salvezza.
In attesa che tutti sgomberassero la sala, Jay rimase fino alla fine
seduto sul pavimento freddo per poi crollare su una sedia del locale
che, dopo mezz’ora, ricominciò la sua
attività, riempiendo l’ambiente della ridestante
fragranza del caffè appena fatto. Terminate le sue deludenti
ricerche, si tolse dalla mente l’idea di ringraziare il
ragazzo che, seppur sgarbatamente, l’aveva salvato portandolo
di peso nella caffetteria.
Stese le braccia lungo il tavolino quadrato in alluminio e, poggiandovi
sopra la guancia, lasciò che i suoi occhi chiari vagassero
nel locale.
Jay, con i suoi lineamenti delicati e bellissimi, sembrava un bambino
abbandonato e, di fatto, lo era: considerato che, dopo quel trambusto,
i suoi genitori non si erano neanche presi la briga di contattarlo per
sapere dove fosse finito…
Di fatto, lo era.
Puntò lo sguardo sul menù plastificato incastrato
sotto il suo braccio senza guardarlo veramente, e ricominciò
a pensare, cosa che fino ad allora si era dimostrata deleteria. Vide
impresso nella sua mente, come un marchio a fuoco, il viso del
sacerdote che l’aveva scacciato dal paradiso dei redenti.
Stranamente la cosa non gli sembrò più
così dolorosa: quella tempesta l’aveva risvegliato
dall’intorpidimento mentale, rendendolo capace di pensare
senza interessarsi al giudizio altrui.
«Chi è senza peccato scagli la prima
pietra!» bisbigliò tra sé e
sé. Quelle, erano state le parole di Gesù Cristo
in difesa di una prostituta.
Maria di Magdala aveva scelto di intraprendere il cammino della
conversione; questo l’aveva resa degna del perdono del
Signore?
Lui si era rifiutato di sentirsi un peccatore aggredendo il sacro luogo
della confessione; era questo a renderlo immeritevole di grazia?
Alzò gli occhi richiamato dal televisore che passava il
notiziario del pomeriggio: “È di sei
feriti il bilancio di un lieve tornado a Londra. Violente raffiche di
vento si sono abbattute sulla capitale inglese causando danni alle
abitazioni e alle automobili parcheggiate in strada. Secondo i racconti
di diversi testimoni, le raffiche, improvvise e violente, sono durate
una manciata di secondi. Sul luogo sono intervenuti i servizi
d'emergenza e al momento si sta procedendo alla verifica dei danni e
delle situazioni più pericolose…”.
Posò nuovamente lo sguardo sul menù, spostando la
sua attenzione su una macchia di cioccolato sopra il prezzo del
frappè alla fragola e, rimuginando sulla notizia appena
sentita, provò sollievo nel constatare che Dio, almeno per
questa volta, non ce l’avesse avuta con lui.
Sorrise di se stesso, non aveva mai pensato a Dio, non se
n’era mai curato; da ragazzino aveva anche avuto la certezza
che non fosse mai esistito ma, nel momento del bisogno, aveva sentito
la necessità di cercarlo. Visti i risultati, avrebbe fatto
meglio a non cercarlo mai più.
Adesso, era veramente solo.
Spazio Autrice
Ciao a tutti!
La revisione di questa storia è appena cominciata, quindi,
chi si troverà a leggerla avrà certamente la
possibilità di godere di un capitolo scritto con le mani e
non con i piedi :P
Bando alle ciance.
Ringrazio moltissimo tutte le
persone che mi hanno seguito fino alla fine: Elsker, Aven, Ladywolf,
Bijouttina, Julie, Ghost e Nahash.
Ringrazio Moloko, Oxymoros e tutti
quelli che si stanno mettendo in pari. Probabilmente nessuno di loro
rileggerà questa storia revisionata quindi li ringrazio due
volte perché l’hanno amata nonostante gli errori
^_^
Grazie a WarHamster, Emide e tutti
quelli che l’hanno seguita a pizzichi e bocconi.
Al prossimo capitolo!!!
Bloomsbury
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