eveline
Questo brano è il seguito di un racconto piuttosto famoso di
James Joyce, Eveline, contenuto nel libro Gente di Dublino. è ambientato due
anni dopo la partenza di Frank, che aveva cercato di portare con sè Eveline, ma
questa all'ultimo momento aveva rifiutato. La prima parte e una parte verso la
fine sono uguali al racconto, perchè mi piacevano, ecco... e poi un po'
doveva somigliargli...
Bene, leggete e recensite!
E mi raccomando, siate crudeli!
Enjoy it!
Eveline
Seduta alla finestra guardava la sera invadere il viale. Teneva
la testa appoggiata contro le tendine e sentiva nelle narici l’odore della
cretonne polverosa. Era stanca.
All’improvviso arrivò un tuono, seguito da un lampo. Il
temporale era vicino.
Continuò a guardare il mondo fuori dalla finestra. Il
marciapiede di cemento, che due anni fa era intatto e perfettamente squadrato,
ora era pieno di macchie, crepe e tagli. Nella sua immaginazione, da quelle
ferite iniziavano a sbocciare erba e fiori di campo, spandendo nell’aria un
profumo stordente.
Come ricordava bene il profumo dei fiori… Quand’era ancora
bambina e ogni sera andava a giocare nel campo insieme alle sorelline Water, il
loro profumo sbocciava lentamente, fragrante, e si spandeva fino ad abbracciare
tutto il cielo. Ne sentiva la mancanza. A quei tempi il cielo era grande, era
sopra la sua testa, era davanti a lei, era dietro di lei. Il cielo era
dappertutto. Il mondo era così vasto, e le sembrava ovvio che gliene fosse
concessa una piccola parte.
Ora il suo mondo si era ristretto, rimpicciolito. Era quella
casa, il suo mondo. Stare a casa, spolverare, cucinare. Andare a lavorare, fare
la spesa, spolverare. Vivere. No.
Non vivere, sopravvivere.
Le gocce di pioggia iniziarono a cadere. Prima leggere, poi
sempre più fitte e pesanti.
Già, sopravvivere era la parola adatta. Che senso aveva la sua
vita, ora?
Harry, il fratello, si era innamorato di Joy, una ragazza che
abitava a Belfast, conosciuta mentre decorava una cattedrale. Ormai tornava a
casa ogni sei mesi.
La madre era morta molti anni prima, di malattia.
Ricordava ancora quell’ultima terribile sera. Le parole del
delirio di sua madre facevano da contrappunto all’aria della Butterfly,
mentre lei stava al suo capezzale.
Ernest, il fratello maggiore, era morto anche lui. Una sera il
padre, tornando a casa più ubriaco del solito, si era messo a urlarle contro
perché la cena della domenica non era ancora pronta.
Il padre era un uomo molto diffidente e violento. I pochi soldi
che guadagnavano i figli li teneva per sé, e non li cedeva loro per nessun
motivo al mondo. Così, la dispensa di casa era perennemente vuota, dal momento
che lui non aveva la voglia di andare a fare acquisti. Eveline si offriva di
andarci al posto suo, ma lui replicava che non le avrebbe ceduto i soldi
guadagnati per vederli buttati dalla finestra. Quella sera Eveline si era
arrangiata come aveva potuto e aveva preparato una magra cena.
Quando il padre era rincasato era ancora ai fornelli e lui aveva
preso ad aggredirla. Ernest si era posto davanti a lei per difenderla. Lui e suo
padre avevano iniziato a picchiarsi. Ernest aveva sempre le liti peggiori col
padre.
In un impeto di rabbia l’ uomo aveva scagliato il figlio verso
la finestra, e quest’ ultimo era precipitato. Eveline era corsa con un grido
alla finestra.
Harry non era in casa quella sera. Il padre disse che Ernest si
era buttato di sua spontanea volontà, e gli credettero. Lei non osò
confessare.
Aveva troppa paura del padre.
Era un uomo violento e impulsivo, e forte. Aveva sempre la
meglio sulle liti con i figli, e sembrava che niente potesse abbatterlo. E
invece un anno prima una brutta epidemia se l’era portato via, trascinando con
lui anche i due fratellini più piccoli.
E così lei era rimasta sola.
Troppo sola, in quella casa orrendamente familiare. Gli oggetti
che spolverava da quasi vent’anni al posto di rassicurarla ora le davano quasi
la nausea. I piccoli quadri, i soprammobili, l’harmonium dalla vernice
scolorita: tutto questo minacciava di farla impazzire. Ogni oggetto, con il suo
colore, la sua forma, la sua storia, le ricordava la famiglia
assente.
Il modo di evitare tutto questo era andarsene, ma dove, e
come?
Se solo due anni prima non avesse buttato al vento la
possibilità, ora sarebbe stata a Buenos Aires, con Frank.
Frank era stato il suo fidanzato per qualche tempo. Due anni
prima era arrivato a Dublino per fa visita alla famiglia, si erano conosciuti, e
pian piano innamorati.
E dopo sei mesi lui le aveva chiesto di fuggire per sposarsi, di
scappare a Buenos Aires.
All’inizio lei aveva accettato, convinta che fosse un miracolo.
Aveva organizzato tutto, scritto due lettere al padre e ad Harry (Ernest e la
madre se n’erano già andati) e si era preparata un fagotto con lo stretto
indispensabile. Poi, improvvisamente si era ritrovata sulla banchina del porto
insieme a Frank, e non aveva avuto il coraggio di seguirlo. Mentre lui la
chiamava disperato, lei si era voltata ed era scappata, rifugiandosi nella
prigione che un tempo chiamava "casa".
Aveva lasciato andare Frank. L’aveva sciolto dal suo
abbraccio.
Aveva lasciato che si dileguasse la sua forse unica possibilità
di salvezza. Unica perché Frank non sarebbe mai più tornato a prenderla. In
fondo, lui cosa provava per lei?
I ricordi si materializzarono nitidi sulla pioggia che la
ragazza fissava come se fosse in trance. Un giorno di pioggia, proprio come
quello. Frank, con un sorriso sul volto, chiedeva a Eveline si seguirlo a Buenos
Aires. Lei, sorpresa gli domandava perché voleva che lei andasse con lui. Lui
rispondeva che l’amava.
L’amava.
Con uno scatto improvviso Eveline si alzò dalla sedia. Prese il
soprabito e senza ombrello si precipitò fuori di casa.
La pioggia scrosciava.
Era là, sulla banchina. Quel giorno era deserta per via del
maltempo.
Eveline si guardò intorno, portandosi in mezzo al molo. La
pioggia stendeva un velo opaco su tutto, perciò non poteva distinguere bene le
sagome delle poche persone che si riparavano sotto un piccolo
portico.
Sentiva la pioggia che batteva con tanti piccoli aghi sulle sue
spalle, ma non sentiva l’abbraccio di Frank. Dov’era Frank? Dov’era
l’amore?
Non era arrivato più nessuno sulla banchina. Nessuno.
Nella pioggia risuonò il grido della sirena di una
nave.
Tutti i mari del mondo le s’infrangevano sul cuore. Lei stessa
si stava annegando, insistendo per nuotare ancora più in fondo.
Cadde in ginocchio, capendo, finalmente.
Non sarebbe più tornato. Era andato via. Era stata lei a farlo
fuggire.
Aveva lasciato fuggire l’amore.
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