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Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
Someone Who Won’t Run Away
.
« It's me again. I need
someone to be my friend.
Someone who won't run away. Maybe send me an angel!
The nicest angel you have »
.
La mente, lo si sa, gioca dei brutti
scherzi.
Dalla propria di mente, però, Anthony
Edward Stark si aspettava qualcosina di meglio, un umorismo più sottile, un po’
più british, quell’umorismo, insomma,
da sorrisetto a fior di labbra e non da roboante risatona gastroenterica.
L’accorgersi del contrario è un
brutto colpo, per il povero Tony, che si vede costretto ad elaborare il più in
fretta possibile una punizione neuronale degna di questo nome. Sidecar?
Sidecar.
È un uno sporco lavoro, ma qualcuno
deve pur farlo.
Un movimento impercettibile alla
propria destra e sa che Mace Windu ha
appena sfoggiato il migliore dei suoi sogghigni –Il dannato. Sa di avere il
vantaggio, il coltello dalla parte del manico, e dannazione Stark, focalizza.
Il problema è che è difficile,
terribilmente difficile, rimanere concentrati sul presente quando il cervello
sbatacchia e tintinna calici di ricordi contro le tempie. Quando davanti agli
occhi hai l’ufficio circolare di una delle sedi enne dello S.H.I.E.L.D., dove
enne sta per Non ne idea ma so che sono
tendenti all’infinito, e dietro le spalle un letto con le lenzuola a stelle
e strisce, albi a fumetti ordinatamente disposti sugli scaffali, giocattolame
vario a tema, una radio che a basso volume gracchia e ridacchia una vecchia
sigla, un vecchio episodio, vecchie imprese smangiate dal tempo.
Può vedersi ancora, Tony, mentre si
chiude la porta della cameretta alle spalle e il filo di luce dal corridoio
s’assottiglia, s’assottigliano le voci dal piano sottostante, sbiadiscono le
urla, giganteggiano ombre e solitudine.
Non gli è difficile ricordare come
fossero, allora, i pomeriggi passati sotto l’avvoltolarsi delle tende, lamelle
di sole a sdrucciolare lungo le pareti, le mani chiazzate d’olio secco,
escoriate di bruciature e piccole ferite da taglio. Non che l’accucciarsi e
gingillarsi con trabiccoli, pinze e fili elettrici fosse del tutto volontario, ma già da bambino capiva quanto fosse più
produttivo starsene rintanato nel proprio regno, piuttosto di sprecare minuti
preziosi accanto ad un padre che odiava vederlo gironzolare intorno o ad una
madre cui si spezzava sempre il cuore con un crack invisibile degli occhi smerigliati di nero.
Forse, si diceva, avesse inventato
qualcosa di altamente innovativo, Howard lo avrebbe considerato come pensava di
meritarsi –Sebbene gli succedesse spesso di dubitarne, qualche volta, perché se
fosse stato meritevole di considerazione, Howard avrebbe dovuto cominciare a
comportarsi da padre un bel po’ di tempo prima, ma, ehi, così va la vita. E se
suo padre avesse cominciato a considerarlo come si deve, allora Maria non
avrebbe più avuto il cuore spezzato.
Tutto tornava, era un ragionamento
semplice, logico. Chiunque ci sarebbe potuto arrivare.
Per fortuna, lui non era mai stato chiunque, nemmeno da moccioso, e ci era
arrivato ben prima di altri, aveva avuto modo di mettersi al lavoro, di
adoperarsi in tal senso, ogni scossa che prendeva un passetto in più verso
l’obiettivo finale.
Però, volente o nolente, pragmatico e
disincantato o meno che fosse, i momenti di sconforto arrivavano d’improvviso a
ghermirlo da dietro gli angoli del corridoio, gli balzavano alla gola, lo
sbattevano al muro, gli arrossavano gli occhi. E allora non c’era nulla di più
curativo del proprio piccolo, infinitesimale rifugio anni Quaranta, la voce
crocchiolante alla radio e le vignette colorate.
Tony ricorda ancora la consistenza
ruvida del tappeto sotto le ginocchia, il materasso che affondava molle sotto i
gomiti puntellati, i calli dei palmi e delle falangi stretti stretti tra loro.
Sono
di nuovo io pigola
per lui la preghiera di bambino, rivolto a tutti e a nessuno, a quel Dio in cui
già aveva smesso di credere, a quell’entità trascendentale che era un po’ Gesù
Cristo, un po’ Howard e un po’…Ho tanto
bisogno di un amico. Di qualcuno che stia sempre con me. Potresti mandarmi…
«Così lei è il figlio di Howard?»
Appunto per Tony Stark: non rimanere
imbambolato davanti al biondo soldatino, in futuro potrebbe dare adito a pessime voci di corridoio.
Dissimulando l’attimo di sorpresa, il
magnate tende la mano a propria volta, deglutisce quando la stretta dell’altro -Forse
non più abituato da parecchi anni ad un contatto fisico con esseri umani di
sorta- gli fa scricchiolare in maniera inquietante le articolazioni delle dita.
«Piacere. Sono Steven. Steven
Rogers.»
Come
se non lo sapessi
vorrebbe rispondergli Tony, o comunque mettere in mostra tutta la sagacia di
cui è capace con qualcosa di estremamente arguto, tanto per fare una buona
impressione e chiarire chi, fra i due, è il maschio alfa -Piuttosto
fraintendibile, vero? Andrà meglio la prossima volta.
Ma ecco che il il malefico impiastro,
il marmocchio petulante solleva la testa dalle mani giunte in preghiera, e
allarga la bocca nel più stupido dei sorrisi, gli occhi spalancati, esaltati e
increduli. Può quasi sentirlo -Può quasi sentirsi-
mentre lo tira per la manica ed indica davanti a sé, senza fiato per lo
stupore, per la sola idea di essere stato ascoltato, almeno una volta, almeno
da qualcuno.
A Stark, dunque, non resta che
annuire e dare voce alla voce, socchiudere gli occhi e tornare ad essere serio,
almeno una volta, meno costruito, meno artificioso, un po’ più infantile.
Si permette solo un ghigno sghembo,
perché, è risaputo, essere Tony Stark implica avere precisi doveri comportamentali
nei confronti del popolino.
«Finalmente, eh.» e un po’ si loda e
s’imbroda dell’espressione perplessa di Rogers, del suo quieto schiudersi di
labbra e del guizzo che irrigidisce, guardingo, gli occhi azzurri «Ce ne hai
messo di tempo, Capitano.»
Potresti mandarmi un angelo.
L’angelo più carino che hai.
Note
Finali
Ce la farà la nostra Nemeryal a
sfuggire alle grinfie del blocco dello scrittore? MAH.
Il titolo, l’ispirazione e la
citazione vengono da Lilo&Stitch. STITCH
NO CATTIVO. STITCH COCCOLOSO.
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