route 66
Route 66
La Route 66 era una rinomata strada quasi leggendaria, spettatrice di storie di ogni genere.
Era la via della libertà per chinque si sentisse oppresso nella sua quotidianità.
Era la perfetta opportunità di evasione.
Esisteva e non esisteva, a seconda di coloro che vi credevano o meno.
In realtà, era una semplice strada.
Ma per coloro che sognanavano ancora, era un universo alternativo.
Argentei cerchioni ruotavano freneticamente su loro stessi, riflettendo la luce abbagliante del sole cocente.
Sullo scuro asfalto la rossa Mustang scivolava veloce, navigando in quel grigio tratto di mare chiuso in un arido deserto.
La piana dinanzi al parabrezza si presentava uguale e monotona, costellata qua e là da sporadiche rocce e erbacce.
Gli orizzonti erano chiusi da tozzi massicci montuosi rossicci, in contrasto con l'azzurro e limpido cielo.
Il piede racchiuso nell'anfibio
viola al ginocchio premette rilassato sull'acceleratore, lasciando che
il veicolo acquisisse velocità maggiore, solcando quella
desertica strada fino a sentirsene il padrone.
Staccò una pallida mano dal
volante, la ragazza alla guida, giusto per togliersi un rosso ciuffo
birichino calatole sul volto.
Subito dopo, aggiustò lo
specchietto, riflettendovi lo sguardo color nocciola contornato da un
lieve strato di matita nera.
Riportò le mani salde sul
volante, godendosi la sensazione del vento che forte si scontrava sul
suo viso, portando via con sè l'afa opprimente.
Non vi era fretta, e, prevedendo
che la strada rimanesse rettilinea per una buona ventina di chilometri,
la ragazza si accoccolò meglio sul sedile, cercando quella
comodità in quei giorni a lei negata.
Per tutto il tragitto, dal momento
in cui aveva caricato un borsone e uno zaino nell'automobile, sino al
deserto in cui ora si trovava, immagini della vecchia cittadina di Oto
le apparivano fulminei, per poi scomparire dietro qualche gola fra i
monti all'orizzonte.
Posava per pochi secondi lo sguardo
sulle erbacce ai lati della strada, e ricordava le verdi foreste che
circondavano la distesa di piccole casette bianche.
Osservava le montagne dalle cime
smussate, e il loro colore le riportava alla mente la sua vecchia
scuola dai rossi mattoni a vista.
E poi vi era un'immagine, un vivido ricordo, che prepotente si faceva largo nella sua mente, scacciando i suoi pensieri.
Era un viso, pallido e lambito da
scuri ciuffi sbarazzini, tenuti ben lontani dallo sguardo castano
così simile a quello della rossa.
Era il volto di una donna, segnato dalla dura vita e dai continui problemi.
L'immagine parlava, con la sua voce decisa.
Tayuya, diceva.
E a quel punto, la ragazza al
volante, non poteva far altro che scuotere la testa e alzare il volume
della radio, nel tentativo di svuotare la mente.
Non poteva rimpiangere la sua
partenza. Non doveva ripensare a sua madre, Anko, e a come pochi giorni
prima la chiamava dalla cucina, avvertendola del pranzo pronto.
Cercava di convincersi di aver fatto la scelta giusta, andandosene di casa.
Dopotutto, Oto era diventata troppo opprimente per una sedicenne ribelle come lei.
E i fantasmi di un'infanzia
conclusasi in malo modo l'avrebbero perseguitata a vita, se non si
fosse allontanata dal suolo natio.
Lei, Tayuya Hatake, non poteva
continuare a vivere fra il ricordo del padre morto quattro anni prima
in un'incidente e il volto della madre stanco e segnato dal dolore
represso per troppo tempo.
Aveva procurato abbastanza guai ad
Anko, sia grazie alla sua indole, sia per la sua presenza, che impediva
alla donna di mostrarsi debole e sfogare il dolore per la morte del
proprio marito.
Anche se, conoscendo la donna,
forse nemmeno una volta rimasta sola si sarebbe concessa alle lacrime.
Anzi, di sicuro avrebbe borbottato qualcosa, per poi rimboccarsi le
maniche e tornare al lavoro.
L'importante era averla sollevata
dall'incarico di prendersi cura di un'adolescente insolente e
pasticciona, lasciandola così libera di vivere la sua vita come
voleva e di recuperare gli anni della giovinezza bruciati dietro una
gravidanza precoce.
Non doveva avere rimorsi, Tayuya.
Doveva pensare al suo futuro, e a percorrere fino in fondo quella
dannata strada che l'avrebbe portata chissà dove. Aveva agito
per il bene suo e di Anko, e non poteva che sentirsi felice.
Rovinarsi un così suggestivo
viaggio sarebbe stato un peccato, visto che probabilmente non l'avrebbe
vissuto una seconda volta.
Cambiò stazione radio,
cullandosi sulle note di una canzone rock, prestando attenzione alle
parole e non ai fantasmi della sua vecchia vita che invano tentavano di
afferrarla e trascinarla indietro, nel placido baratro quale era Oto.
Doveva dimenticare i suoi
giocattoli negli ultimi tempi chiusi in soffitta a prendere la polvere,
le sue abitudini, il suo banco preferito nell'angolo in fondo a destra
della classe, proprio a ridosso della finestra.
Doveva dimenticarsi dei vicini di casa, dei compagni di scuola, del suo migliore amico infatuatosi di lei.
Doveva dimenticare tutto.
Ogni singola cosa poteva minare il
suo perfetto piano di fuga, e autodistruggersi era l'ultima cosa che
avrebbe voluto fare, Tayuya.
Era salita su quella Mustang rossa
nella piovosa notte di due giorni prima con la ferma intenzione di
fuggire, e ora, a metà strada, non poteva certo tornare indietro.
Aveva macinato chilometri senza
fermarsi mai, senza voltare lo sguardo oltre le spalle se non per
vedere le automobili dietro la sua.
Si ripeteva che se voleva fuggire dalla vecchia e piovosa realtà, doveva recidere ogni possibile legame con essa.
Solo una volta giunta a
destinazione si sarebbe potuta permettere di accoccolarsi in un angolo,
stringere le ginocchia al petto e ricordare le calde sere trascorse in
salotto seduta sul divano assieme ai suoi genitori a guardare film di
ogni genere.
E solo a quel punto avrebbe potuto
alzarsi e sedersi sulla poltrona a sacco, accendere la televisione e
cercare un qualche vecchio film, celebrando il ricordo della sua
famiglia come un rito.
Ora doveva solo pensare a lei, cancellare le pagine della sua vita e riscrivere nuove giornate all'insegna della libertà.
Sentì le prime note di una
malinconica canzone che tanto piaceva ad Anko, e subito cambiò
stazione, alla ricerca di qualche energica canzone punk.
Sarebbe stata dura tenere lontane
dalla sua vita anche le più piccole cose per circa una
settimana, ma doveva sforzarsi se voleva trovare una nuova
realtà a cui appartenere.
****
La sera calò velocemente, scambiando l'afoso clima arido con una piacevole brezza leggera.
Il cielo, ancora limpido e cosparso di stelle, era dominato da un latteo spicchio di luna.
Il deserto dai colori giallognoli si era tinto di vellutate sfumature cobalto, rendendo anche i massi morbidi alla vista.
Tayuya non rimase di certo
indifferente a uno spettacolo simile: un cambio così repentino
avrebbe ammaliato anche l'animo più indifferente.
Al contempo, però, temeva la notte.
Sapeva per certo che una volta
calato il sole cocente, i ricordi sarebbe sorti nuovamente assieme alla
luna, conciliatrice di malinconia e tristezza.
La ragazza non era certo il genere
di persona che si commuoveva per un nonnulla, eppure sapeva che le ora
notturne minavano il suo forte carattere, andando a punzecchiare
sadiche le sue debolezze.
Decise quindi di fermarsi e cercare
un alloggio, ma pareva molto difficile trovare un'oasi civilizzata in
mezzo a quella desertica distesa.
Dovette percorrere un paio di chilometri abbondanti, prima di avvistare un autogrill in lontananza.
La gigantesca insegna luminosa al
neon svettava solitaria in mezzo a quell'ambiente, visto ora da vicino,
lievemente inquietante.
Le buie ombre dei bassi rilievi montuosi arrivavano a lambire la strada, quasi volessero imprigionarla nelle loro grinfie.
A Tayuya parve addirittura di sentire un lupo ululare, in lontananza.
Si diede della sciocca: nel deserto non potevano abitarvi simili animali, al massimo gli sciacalli potevano apparire sporadici.
Un altro chiaro segno delle sue
vecchie abitudini di quando era a Oto, dove bastava affacciarsi alla
finestra poco prima di andare a dormire per sentire i lupi ululare
nella vicina riserva naturale.
Accellerò, irritata da simili pensieri, e raggiunse in fretta il parcheggio a lato dell'autogrill.
Posteggiò la macchina, richiudendo la capotte e afferrando il suo zaino.
Prima di entrare attraverso le trasparenti porte scorrevoli, sentì un rombo in lontananza.
Volse il capo verso il cielo: nemmeno una nuvola.
Allora da dove proveniva quel tuono?
Forse era ancora il frutto del suo
inconscio, era solo un'illusione di un rumore che era solita sentire a
Oto per gran parte dell'anno.
Doveva essersi sbagliata: nel deserto non piove mai.
Entrò quindi nel locale,
sperando di lasciare dietro di sè i suoi fantasmi come motorini
abbandonati, pronti a essere nuovamente raccolti una volta sorto il
sole.
L'edificio che ospitava l'autogrill aveva un solo piano ed era abbastanza ampio all'interno.
Era diviso in due reparti: uno,
alla sinistra di Tayuya, fungeva da mini-supermercato fornito di ogni
genere di merci, dai cibi ai giocattoli.
Alla destra della ragazza, invece,
vi era una zona ristorazione occupata da una marea di tavolini
circolari posti davanti ad un lungo bancone dietro al quale vi era una
schiera di dipendenti.
Le divise di questi ultimi erano tutte contrassegnate dal logo della catena di autogrill.
La rossa ricordò come suo
padre, una volta, li aveva definiti "i pinguini rossi e bianchi
dell'autostrada", riferendosi ai colori dei pantaloni e della camicia a
maniche corte.
Abbassò lo sguardo, mordendosi le labbra nel disperato tentativo di scacciare la voce di Kakashi dalla sua mente.
Era stato proprio lui a portare la
figlia per la prima volta in un autogrill, durante una sosta che si
erano concessi mentre si dirigevano verso la regione dei laghi.
Scosse il capo, per poi avviarsi a
passo sicuro nel mini-supermercato, alla ricerca di una buona barra di
cioccolato capace di farle dimenticare l'amarezza che aleggiava nel suo
corpo.
Cercò i prodotti più
economici, attenta a risparmiare al meglio. Non erano certo pochi i
soldi che aveva, visto che era riuscita a racimolare una bella somma
fra paghette e contanti nascosti nel comodino della madre, ma era
sempre meglio essere previdenti.
Comprato ciò che avrebbe
mangiato quella sera e ciò che le sarebbe servito nei giorni a
venire, si andò a sedere ad un tavolino libero.
Preda della noia, Tayuya cominciò a origliare i discorsi delle ragazze sedute al tavolo accanto al suo.
Avevano un accento particolare che la rossa pensò di attribuire alla regione di Suna.
Seguì le loro frivole
chiacchiere ancora per un po', per poi ignorarle e lasciar vagare lo
sguardo sul resto dei clienti dell'autogrill.
Non vi era nessuno di interessante, così decise di concentrarsi sul toast fumante fra le sue mani.
Aggrottò la fronte, mentre addentava il caldo pane, al sentire un rombo lontano.
Che la mente continuasse a farle brutti scherzi?
Eppure il rumore continuò, anzi, aumentò d'intensità. Pareva si stesse avvicinando al piccolo edificio.
Solo quando fu più vicino, Tayuya lo riconobbe: era il tipico rombo dei motori delle moto.
Di sicuro era normale che nel
deserto ogni tanto passassero Harley Davidson e simili, infatti pareva
che la Route 66 fosse perfetta per una bella "galoppata".
Si rilassò, cullata da quel rombo a lei non più ostile.
Si sorprese nel sentire come, una
volta giunto in prossimità dell'autogrill, il rumore
scemò pian piano fino a scomparire del tutto.
Avrebbe voluto uscire fuori a
controllare che fine avessero fatto le moto, e se erano solo l'ennesimo
frutto della sua immaginazione.
Appena decise di dedicarsi alla sua
cena al posto di una curiosità, le porte scorrevoli si aprirono,
catturando la sua piena attenzione.
Davanti ai suoi occhi sfilarono sette ragazzi, tutti più grandi di lei.
Indossavano tutti stretti jeans neri e una giacca di pelle. Sulle loro schiene campeggiava fiera una nuvoletta rosso fuoco.
Rapita dalla visione, li seguì con lo sguardo avvicinarsi al bancone e ordinare.
Quando uno di loro si voltò,
abbassò di scatto il capo, cercando di non mostrare il suo
acceso interesse per quella insolita combriccola.
Ma a quanto pareva non era l'unica
ad aver notato il fascino del gruppo, visto che l'intero locale era
intento a squadrarli da capo a piedi.
Anche il manipolo di ragazze accanto a lei ora squittiva indicando di tanto in tanto uno di loro.
I ragazzi sembravano esserci
abituati e, una volta presa la cena, si andarono a sedere in tutta
tranquillità ad un tavolino.
Tayuya imprecò mentalmente nel momento in cui scoprì che i sette decisero di sedersi proprio di fronte a lei.
E ora come avrebbe potuto spiarli?
Stava ancora lanciando maledizioni a destra e a manca, quando una fredda voce la raggiunse riportandola alla realtà.
-Posso prenderla?-
La rossa guardò stranita il ragazzo che aveva appena parlato, non riuscendo a capire a cosa si riferisse.
Era ora più intenta ad
ammirarne i capelli color sangue e le magnifiche iridi glaciali,
sovrastate da un rosso tatuaggio raffigurante un kanji.
Sembrava anche che il giovane non disprezzasse la matita per gli occhi, visti gli spessi contorni neri che li decoravano.
-Allora?-
Tayuya si accorse in quel momento di essere rimasta imbambolata per un minuto buono, senza rispondere al ragazzo.
-Ehm, cosa?-
-Posso prendere la sedia?-
stranamente il suo tono di voce era rimasto atono e freddo, invece di
tradire una nota di esasperazione come la ragazza avrebbe immaginato.
-Oh, sì certo.- rispose, torturandosi mentalmente per la figuraccia.
Sentì dei risolini provenire dal tavolo dei ragazzi appena il rosso tornò ad unirsi a loro.
Cercò di monopolizzare la
sua attenzione sul tocchetto di toast rimastole, nonostante la
differenza fra il prosciutto e quello sguardo color ghiaccio fosse
lampante.
Persa nei suoi mille ragionamenti,
non udì la voce di un ragazzo dai lunghi capelli biondi proporre
all'intera combriccola di unirsi alla "strana ragazzina solitaria",
nè udì l'assenso degli altri.
Continuava a fissare il formaggio fuso, arrovellandosi su come evitare di fare un'altra figuraccia.
Non notò, quindi, i ragazzi
alzarsi e dirigersi verso il tavolino. Solo quando le parlarono, scese
dalle nuvole con un sobbalzo.
-Possiamo unirci?-
Era stato nuovamente il ragazzo dai capelli rossi a rivolgersi a lei.
Tayuya annuì, incapace di proferire parola.
Non le capitava tutti i giorni di incontrare sette individui tanto interessanti che la prendevano in considerazione.
Il pensiero che potessero avere cattive intenzioni non le sfiorò nemmeno l'anticamera del cervello.
Anzi, fu felice di vedere gli sguardi di odio che le ragazze accanto a lei le lanciavano.
-Io sono Naruto Uzumaki, 'ttebayo!- esclamò un energico biondino, porgendole la mano.
-Tayuya.- La ragazza gliela strinse, sconcertata dall'esuberanza di Naruto.
A turno, anche i compagni di quest'ultimo si presentarono.
-Io sono Deidara, uhn- disse uno di
loro dai lunghi capelli biondi e l'aspetto femmineo. -E questi sono
Uchiha Itachi e Akasuna No Sasori, due tipi tremendamente taciturni,
uhn.- concluse, indicando rispettivamente un ragazzo dai lunghi capelli
neri e il volto pallido segnato da due profonde occhiaie e uno dai
capelli rossi.
-Hidan- più anonimo, un
albino stravaccato vicino a Itachi alzò la mano, per poi tornare
a concentrarsi sui fatti suoi.
Accanto a lui, un giovane di
capelli insolitamente arancioni e il volto ricoperto di piercing si
presentò con il nome di Pein.
L'ultimo, immediatamente a destra della ragazza, fu proprio il rossino che prima le aveva chiesto la sedia.
-Gaara.- disse semplicemente.
Tayuya annuì, per poi finire finalmente il suo toast.
-Cosa ci fai qui tutta sola, 'ttebayo?- le chiese Naruto, dando a vedere il suo intento di fare amicizia.
-Sono in viaggio, e voi?-
-Siamo un gruppo di centauri,
'ttebayo. La nostra meta è la grande Konoha, 'ttebayo!-
esclamò felice, infervorato dalla sola idea.
La ragazza conosceva di nome la città, e sapeva che si trovava alla fine della Route 66.
Ed era la città natale di suo padre.
Scacciò immediatamente il pensiero, non poteva continuare a vivere spaventandosi anche alla minima informazione.
Decise quindi di dedicarsi alla conversazione con il biondino, giusto per lasciar svuotare la mente.
-E così siete un gruppo, giusto?-
-Esatto, 'ttebayo. Siamo conosciuti come "Akatsuki", e questo è il nostro simbolo, 'ttebayo.-
Naruto si voltò, permettendo così a Tayuya di vedere la nuvola rossa sulla sua schiena.
-Figo, e come vi siete conosciuti?-
-Pein, il nostro capo, vagabondava
qua e là fra i paesi, 'ttebayo, e pian piano ha raccolto
"seguaci", 'ttebayo. Io e Gaara siamo gli ultimi acquisti, anche se ci
hanno tirato dentro a forza, praticamente. Siamo nella banda da pochi
mesi, 'ttebayo.-
La ragazza notò che, effettivamente, il biondo e il rossino erano i più giovani del gruppo.
-Come vi hanno "tirato dentro"?-
-Gaara è stato il primo a
unirsi fra noi due, 'ttebayo. Era piuttosto famoso come motociclista
grazie alla sua capacità di muoversi abilmente su tracciati
aridi e sabbiosi. A quanto ne so, Pein lo ha quasi rapito con l'aiuto
di Deidara sotto gli occhi dei suoi fratelli, mentre erano in vacanza,
'ttebayo.-
-E tu?-
-Io vagabondavo qua e là per
villaggi assieme al mio tutore, 'ttebayo. Mi permetteva sporadicamente
di inforcare la moto, la mia passione, e non mi è dispiaciuto
scoprire che la persona che mi aveva portato via dall'ero-tutore me lo
permettesse, 'ttebayo.-
-Il tuo tutore?- Tayuya sembrava piuttosto sorpresa all'informazione.
-Esatto, 'ttebayo, Io sono orfano
di padre e madre, 'ttebayo, e l'ero-tutore, Jiraiya, è
l'unico che si sia offerto di prendermi con sè, 'ttebayo.-
La ragazza osservò stranita il biondino di fronte a lei.
Non se lo sarebbe mai aspettato di trovare un orfano lungo il suo cammino verso la libertà.
Forse, a pensarci meglio, ogni
singolo membro dell'Akatsuki era orfano, almeno di un genitore. Solo i
fantasmi del passato portano le persone a fuggire dalle loro
realtà.
Non si trattava di un caso, il loro incontro: doveva essere normale, fra fuggitivi, aiutarsi a vicenda.
La Route 66 per l'Akatsuki doveva simboleggiare una nuova vita, un nuovo inizio, come per Tayuya.
Chissà loro cosa stavano cercando...
-Ehi, ragazzi, avete mica visto che fine ha fatto Hidan, uhn?- chiese all'improvviso Deidara, rivolgendosi all'intera tavolata.
Calò il silenzio, e l'unico capace di rispondere fu Pein.
-E' di nuovo a caccia di seguaci.-
Una serie di mugolii di disappunto provenirono dall'intero gruppo di centauri.
-Seguaci?- perplessa, Tayuya cercò di ottenere qualche informazione.
Fu Pein a risponderle: -Hidan
appartiene a una setta religiosa poco conosciuta, chiamata Jashinismo.
Gli adepti si dedicano al culto del loro dio, Jashin, effettuando
rituali masochistici da cui traggono piacere.-
La ragazza rabbrividì a tali parole.
Ora cominciava a rivalutare
l'intera Akatsuki: se al loro interno vi era una specie di satanista,
perchè gli altri non sarebbero dovuti essere dei delinquenti?
Si era fidata senza nemmeno
prevedere qualche loro lato nascosto. Pensandoci meglio, vi era
la probabilità che loro fossero sulla Route 66 proprio per
scappare dai loro crimini e rifarsi una vita.
Perchè, effettivamente, negargli la possibilità di vivere la loro vita?
-Ah, eccolo, è laggiù...-
Pein indicò con il braccio
un punto indefinito. Tayuya ne seguì la direzione fino a
incontrare l'albino intento a discutere con fervore con due uomini in
fondo alla sala.
Il religioso allargava le braccia,
gesticolava, si agitava perfino, bellamente ignorato dai due, in tutta
probabilità uomini attivi in campo industriale o finanziario
come pezzi grossi, visti gli abiti costosi che indossavano.
Appena Hidan prese una pausa per
riprendere fiato, uno dei due, dai lunghi capelli corvini e penetranti
occhi smeraldo, si rivolse al fanatico.
-Frutta, economicamente parlando, questa religione?-
La voce profonda dell'uomo venne
udita perfino da Tayuya, la quale si chiese quanto alto fosse il suo
tono di voce. Pareva essere anche piuttosto irritato.
La ragazza fece fatica ad ascoltare
la voce di Hidan che sovrastava a malapena il brusio del locale,
condendo l'aria di parole non proprio fini e termini a lei sconosciuti.
-Ma i religiosi non dovrebbero non
dire parolaccie?- chiese stupita la rossa a Pein, gli unici due
interessati alle avventure dello jashinista.
-In pratica, direi di sì. A quanto pare, però, gli jashinisti sono esentati dal farlo.-
-Un punto a loro favore.- il commento di Tayuya sorprese il ragazzo, costringendola quindi a spiegargliene il motivo.
-Non guardarmi così. Credevi veramente che una ragazzina tutta sola soletta sulla Route 66 non fosse almeno sboccata?-
-Non sembra.-
-Sarà, ma anche voi di
sicuro non sembrate ciò che siete.- Avrebbe voluto tenersela per
sè, l'ultima affermazione.
Pein sollevò un
sopracciglio, senza rispondere. Preferì lasciare che lo sguardo
si soffermasse nuovamente su Hidan.
A quanto pare la rossa aveva colpito nel segno.
-Se non ci guadagno niente, allora non mi interessa.-
La voce profonda dell'uomo dai
capelli corvini portò la ragazza a seguire l'esempio di Pein,
voltandosi nuovamente verso il fanatico sul cui viso ora aleggiava
un'espressione delusa e irritata.
-Com'è andata Pein, uhn?- chiese Deidara.
-Male, nessuno voleva ascoltarlo.-
Il biondo sbuffò.
-Che noia, ora verrà a
rompere a noi perchè nessuno vuole unirsi alla sua schifosa
setta, uhn. Io domani non guido accanto a lui, non voglio fare una
brutta fine, uhn-
-Tranquillo, lo terrò d'occhio io.- concluse Pein.
L'albino, nel frattempo, aveva
raggiunto il tavolo. Si buttò sulla sedia, stravaccandosi e
fissando irato il locale attorno a lui.
-Fottuti eretici, non ti ascoltano
nemmeno! Che Jashin li punisca nel peggiore dei modi, loro e i loro
sporchi soldi. Mi fanno schifo.-
Molto probabilmente Hidan avrebbe
continuato per cinque minuti buoni a sfogarsi sui suoi vicini di
tavolo, se non fosse stato per Pein e per la sua tempestiva occhiata di
rimprovero.
Il fanatico si zittì all'istante, continuando comunque a borbottare sottovoce.
Tornò la quiete, e Tayuya ne approfittò per origliare qualche discorso qua e là.
Deidara e Sasori discutevano
d'arte, litigando sulle loro diverse concezioni. O almeno, il biondo se
la prendeva con l'amico che lo ignorava alquanto, quasi infastidito
dalla sua voce.
La rossa aveva già sentito in precedenza un accento simile a quello del biondo.
Se non errava, la cadenza era
quella tipica di Iwa, città a ovest di Oto nella regione
montuosa a nord della Route 66. Ricordava di aver sentito alcuni
turisti provenienti da tale città avere lo stesso accento.
Aveva anche letto sul giornale,
tempo prima, di un gruppo di terroristi di Iwa. Ne parlavano in un
corto trafiletto, riportando le notizie essenziali: la loro passione
per le esplosioni, la loro improvvisa nascita e l'altrettanto
improvvisa scomparsa.
Nella mente della ragazza si fece strada il dubbio che Deidara fosse uno di questi terroristi.
Preferì trascurare tale particolare: non aveva bisogno di altri problemi.
Spostò quindi lo sguardo sul resto del tavolo.
Corrugò la fronte,
nell'incontrare l'inespressivo volto di Itachi. Non aveva nemmeno
mangiato, era rimasto tutto il tempo a fissare il grigio ripiano
circolare davanti a lui. Non perse tempo con lui, non sarebbe riuscita
a ricavare un ragno dal buco nemmeno fissandolo per giorni.
Voltò nuovamente il capo, fino a incontraredue iridi color ghiaccio.
Congelò, incapace di compiere qualsiasi movimento.
Il suo sguardo era incatenato a quello di Gaara anche se, a guardar meglio...
Lui fissava Naruto, alla sinistra della ragazza.
Lievemente delusa, si appoggiò allo schienale, continuando ad osservare i due centauri più giovani.
Il biondino continuava a sorridere
e fare battute, anche sciocche, nel vano tentativo di coinvolgere il
rosso, il quale rimaneva impassibile.
A Tayuya non erano mai piaciuti i ragazzi troppo freddi. Non la esaltavano.
Però l'aura misteriosa che
circondava Gaara, i suoi magnifici occhi...La ragazza non aveva potuto
fare a meno di farci un pensierino.
In fondo, in quel momento era libera.
Poteva fare quello che voleva, arbitrando la sua vita come meglio le piaceva.
Aveva la possibilità di baciare il rosso e poi scappare lontano con la sua Mustang.
Non l'avrebbe più rivisto, e
sentiva la gran voglia di trasgredire alle regole che per anni i suoi
genitori le avevano imposto.
L'unica pecca era la sua parte
razionale, la sua vocina interiore che, come un fischio fastidioso,
continuava a ripeterle come tutto fosse dannatamente sbagliato.
Non era giusto scappare di casa a sedici anni lasciando sola la sua povera madre.
Non era giusto viaggiare sola soletta in mezzo al deserto.
Non era giusto dar confidenza a degli sconosciuti dall'oscuro passato.
Rimanere a Oto sarebbe stata la scelta migliore, forse.
Oppure sarebbe stato l'ennesimo errore.
Aveva voglia di prendersi la testa
fra le mani e sbatterla contro il muro, giusto per fare un po' di
chiarezza fra le sue idee. Le pareva che qualsiasi via intrapendesse,
questa fosse un vicolo buio e malfamato.
Raccattò in fretta la sua
roba e, con la scusa di voler prendere una boccata d'aria, uscì
velocemente dall'autogrill.
Una volta fuori, il freddo della notte le punzecchiò le guance, colorandole di un tenue rosa.
Raggiunse il parcheggio e, scelto
un angolino, si appoggiò al muro e si lasciò scivolare
fino a terra, chiudendo le palpebre.
Lo sapeva, l'aveva intuito, la notte avrebbe portato solo guai.
Non avrebbe dovuto fermarsi, avrebbe dovuto continuare a scappare imperterrita dalla piovosa realtà di Oto.
La compagnia dei centauri aveva scacciato per poco tempo i suoi dubbi, per poi rimpiazzarli con altri.
Sospirò, inspirando la fresca aria notturna.
Si morse il labbro, cercando di reprimere la gran voglia di abbandonarsi al fiume di ricordi.
Era la figlia di Anko Mitarashi, e
come tale non poteva soccombere a simili sciocchezze. Doveva resistere,
continuare fiera a seguire il percorso scelto.
Magari a quell'ora sua madre stava
prendendo con filosofia la sua fuga, ragionando sulle sue motivazioni e
accettandone le decisioni.
Cullandosi in tale illusione, non avvertì la presenza del ragazzo che si stava avvicinando.
-Perchè sei fuggita?-
La voce di Gaara la risvegliò di colpo.
Sgranò gli occhi, voltando il capo in direzione del rosso.
-Co...cosa ci fai qui?-
In risposta, lui le si sedette accanto.
-Avevi un'espressione strana, e sei scappata all'improvviso.-
-Perchè mi hai seguita?-
Rimase in silenzio, senza dare una giusitificazione.
Anzi, pose nuovamente la sua prima domanda.
-Perchè sei fuggita?-
Tayuya sospirò, arrendendosi.
-Volevo prendere un po' d'aria.-
-Credo che dalla tua città fino a qui tu ne abbia respirata abbastanza.-
La ragazza sgranò gli occhi, stupita.
-Come l'hai capito?-
-Fra fuggitivi ci si riconosce, non vi è un motivo particolare. Comunque, non mi hai ancora risposto.-
-Nemmeno tu.-
Gaara voltò il capo, fissandola.
-Va bene, comincio io.- si arrese nuovamente lei.
-Sono fuggita di casa perchè
rimanere a Oto, la mia città natale, non mi avrebbe fatto altro
che male. Vedi, mio padre è morto quattro anni fa, e da allora
non riesco proprio a convivere con quella dannata città.-
spiegò, cercando di non cadere in infidi dettagli che avrebbero
minato la sua resistenza. Magari sfogarsi l'avrebbe aiutata a
sopravvivere a quella notte, e non vi era niente di male a raccontare a
uno sconosciuto pochi dettagli di cui si sarebbe dimenticato il giorno
dopo.
-Capisco. Scappi anche tu dai fantasmi del tuo passato.-
-Anche? Vuol dire che tu...-
-Che noi, Akatsuki, fuggiamo da
crimini commessi tempo fa, di cui vogliamo cancellarne il ricordo sia
dalle nostre menti che da quelle dei nostri ex-concittadini. L'unico ad
avere la fedina pulita è Naruto, ma pure lui sogna di chiudere
con le sue vecchie abitudini e iniziare un nuovo capitolo della sua
esistenza, nel tentativo di diventare qualcuno di importante.-
-Ragioni nobili.-
Un sorriso aleggiava sul volto di
Tayuya, leggermente sollevata dall'aver appreso di non essere l'unica
in fuga da un passato doloroso.
-E ora, perchè sei fuggita dal locale?-
Appoggiò il capo contro il muro, la rossa, chiundendo le palpebre e rilassandosi.
-Avevo troppi pensieri per la
testa, temevo stessi per scoppiare. E una volta qui, i ricordi hanno
cercato di minare la mia resistenza. Voi siete fortunati: vivendo in
gruppo, non ripensate alle vecchie abitudini...-
-Non è vero.-
Sorpresa, la ragazza aprì gli occhi.
-Cioè?-
-Anche se siamo in molti,
continuiamo a essere noi stessi, a trascinarci dietro ogni minimo
dettaglio dei nostri pochi anni di vita. E' normale cadere preda della
malinconia, e non è neppure sbagliato, poichè ci ricorda
le motivazioni per le quali ora siamo ciò che siamo diventati.-
Abbassò lo sguardo, Tayuya, colpita dalle sue parole.
Pensò di complimentarsi per
il ragionamento profondo, ma, non essendone il tipo, preferì dar
retta al suo temperamento fiero e agguantare lei le redini
dell'interrogatorio.
-Perchè mi hai seguita?-
-Volevo provare qualcosa di nuovo.
Non mi è mai capitato di socializzare almeno un minimo con una
ragazza, e ora che sono libero, non mi dispiace tentare.-
Sorrise, la rossa, alle sue parole.
-Per questo ho accontentato le ragazze sedute al tavolo vicino al nostro.-
Una scossa di gelosia percorse il
corpo della ragazza, la quale fulminea si staccò dal muro per
poi voltarsi verso il centauro.
-Cosa hai fatto?-
-Loro mi hanno chiesto il mio numero, e io le ho accontentate...-
-Ma...ma...-
Come poteva ribattere? Lui aveva tutte le ragioni del mondo per provarci con un manipolo di ochette.
-Sai, ho sempre desiderato dare il numero di cellulare di mia sorella Temari a qualche ragazzina sciocca.-
Dopo lo sbigottimento iniziale,
Tayuya scoppiò a ridere, tradendo una nota isterica nella sua
voce. Stranamente, si sentì sollevata nel constatare che le
sciacquette erano rimaste a bocca asciutta.
Gaara aspettò paziente che lei si calmasse, prima di riprendere a parlare.
-E poi... beh, non mi dispiaceva seguire una ragazza carina.-
Le sue gote acquisirono un tenue
colorito. Non era tipo da arrossire, però non poteva certo
rimanere indifferente al commento di Gaara.
Non seppe come rispondere, fu così lui a prendere l'iniziativa.
-Mi sembri stanca, vuoi appoggiarti a me e riposare?-
Non costandole niente, Tayuya annuì, per poi accoccolarsi contro il corpo del ragazzo, la testa posata sulla sua spalla.
Lui, d'altro canto, non sapeva come
comportarsi: aveva esaurito i consigli che i suoi compagni di viaggio
gli avevano detto prima che anche lui lasciasse il locale per seguirla.
Mai era stato intrapendente con una
ragazza, e ora, dopo aver improvvisato una mossa, si sentiva preda
dell'insicurezza. Sua sorella non aveva mai guardato film romantici,
così lui non aveva mai appreso l'arte del "passo successivo".
Incerto, fece ciò che gli sembrava più naturale.
Le passò un braccio dietro alle spalle, avvicinandola a sè.
Abbracciati, si proteggevano dai freddi fantasmi del passato.
****
La notte era ormai un vago ricordo per il deserto vittima del sole cocente.
Tayuya, finalmente tornata alla guida della sua più fida compagna di viaggio, si sentiva padrona della strada.
Accellerava pian piano, godendosi l'alta velocità.
Erano passate già tre ore da quando aveva salutato il gruppo di centauri all'autogrill, ancora intento a far colazione.
Non aveva voluto rimanere oltre:
fremeva dall'impazienza di ripartire, di tornare a sentire il vento
sferzarle con violenza il volto.
E poi, affezionarsi troppo a quei
ragazzotti in giubbotto di pelle non l'avrebbe aiutata. La sera prima
era stata solo una piccola parentesi di un lunghissimo viaggio; un
piccolo tassello della sua nuova realtà.
Gaara non era stato altro che il
principe misterioso, e cucirvi sopra illusioni sarebbe stato sciocco.
Era realista, e sapeva che le favole non erano altro che fantasia.
Aveva strappato alla sua lotta
contro il passato un piccolo spiraglio di felicità, portando
novità nella sua monotonia.
Sorrideva al pensiero di lei, ormai
anziana, seduta su una sedia a dondolo a raccontare ai suoi nipoti di
aver incontrato una vera banda di centauri.
Sorpassò a gran velocità un cartello stradale, su cui lesse il nome della località più vicina.
A quanto pareva, Konoha era ancora lontana.
Stava per accendere la radio, quando un rombo giunse da lontano.
Controllò nello specchietto retrovisore: dietro di lei, sette nere moto avanzavano a gran velocità.
Spostò il piede sul freno,
diminuendo la velocità. In poco l'Akatsuki la raggiunse,
affiancandosi alla sua Mustang.
La circondavano, Gaara alla sua sinistra accennò un debole sorriso verso di lei.
Forse, quella piccola parentesi sarebbe durata un po' di più. Viaggiare con loro non sarebbe stato male.
Si lasciò cullare dal rombo delle moto, la colonna sonora di quel viaggio. Di quella fuga verso una nuova realtà.
Anche se inconsciamente, loro si
trovavano in un nuovo universo, dove le pagine della vita si
cancellavano proprio per essere riscritte.
La Route 66 non è solo la strada per la libertà, come loro pensavano.
Era già la libertà,
il mondo alternativo dove i sogni di una vita migliore trovano un
terreno fertile su cui ergersi, concreti.
****
Ecco a voi la fic che è arrivata quinta al concorso AU indetto
da Talpina Pensierosa e Kurenai88, proprio come l'ho spedita.
Non mi dispiace, ma non mi piace più di tanto. Maledetto Gaara, carattere troppo da OOC è.é
Comunque, il quinto posto è puccioso u.u *me accarezza la scritta 'quinto posto' a mo' di Salad Fingers*
Ancora complimenti alle podiste e a HopeToSave, vai ragazza mia che questa sì che è Sparta! *-*
L'autrice comincia ad andare fuori di testa appena alle nove e mezza, sarà meglio pubblicare e via xD
Ultima cosuccia: dopo aver scritto questa fic, ho aggiunto un nuovo
sogno alla mia infinita lista di desideri : percorrere la Route 66 su
una Mustang rossa circondata da centauri pucciosi *-*
Ultimissima cosuccia: i commenti sono graditi ^-^
Ancora ultima cosuccia (mo' qualcuno mi uccide...): la Gaa/Tayu mi ispira incredibilmente *-* Me lovvah questo crack pairing *-*
Alla prossima!
kiara_chan
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