Scritta
per la "Sfida
4FA: Auguri Severus! del Forum Il Calderone di Severus"
TANTI
AUGURI, SEV.
9 gennaio 1971 –
Spinner’s End
La sveglia sul
comodino suonò le otto in punto. Una manina esile, dalle
dita bianche e
affusolate fece capolino da sotto il morbido piumone, interrompendo il
trillo
acuto che aveva spezzato un sogno felice, popolato da strane creature e
scope
volanti.
Il bambino si
rigirò nelle coperte poi, colpito da un’improvvisa
consapevolezza, scattò in
piedi e si avvicinò alla finestra per aprirla, incurante del
freddo pavimento
di pietra sotto i piedini nudi.
L’aria
fresca
del mattino, che entrò prepotente nella stanza, gli
accarezzò il viso e il
piccolo Severus aspirò a fondo. Un sorriso comparve sul suo
volto pallido e
affilato mentre gli occhi, scuri e profondi, vagavano sul paesaggio
oltre i
tetti imbiancati dalla neve che era caduta per tutta la notte,
avvolgendo ogni
cosa in un bianco abbraccio.
Una pace
silenziosa aleggiava nell’aria e perfino le squallide
stradine di Spinner’s
End, con i suoi vicoli bui e la neve ormai ridotta ad una poltiglia
fangosa, non
potevano cancellare il sorriso comparso sulle labbra del bambino,
perché quello
era un giorno speciale. Era il suo undicesimo compleanno.
Si cambiò
d’abito, infilandosi un maglione scuro, troppo grande per il
suo aspetto
minuto, indossò pantaloni e scarpe e si precipitò
al piano di sotto. Dalla
cucina proveniva il delicato aroma di una torta di zucca appena
sfornata. A
Severus venne l’acquolina in bocca e affrettò il
passo, il cuore colmo di
gioia.
Da diversi
anni, precisamente da quando aveva scoperto il segreto di sua moglie e
del
figlio che aveva dato alla luce, ad ogni compleanno, suo padre usciva
di casa
all’alba e rientrava solo a notte fonda. Trascorreva tutta la
giornata in
qualche sudicio bar di periferia, trangugiando, uno dopo
l’altro, bicchieri dal
contenuto ambrato e dolciastro, nel tentativo di cancellare
il ricordo di ciò che lo avrebbe
atteso al suo ritorno.
Ma a Severus
non dispiaceva. Quando Tobias Piton mancava di casa sua madre era
più
rilassata, non c’erano lacrime né strilli, non
c’erano offese gridata al vento,
né nuove macchie scure sulla pelle già livida di
Eileen.
C’erano
solo
loro due.
Seduto sul
divano del piccolo salottino, avrebbe ascoltato la voce pacata della
madre che rileggeva
vecchi libri di pozioni, lasciandosi avvolgere dal suo profumo
fruttato.
Avrebbero mangiato la torta appena cucinata e scartato il suo regalo.
Eileen
gli aveva promesso che per il suo undicesimo compleanno gli avrebbe
regalato
una scopa e Severus già pregustava il momento in cui
l’avrebbe portata fuori e
l’avrebbe mostrata a Lily. Avrebbe ammirato quegli occhi
verdi farsi ancora più
grandi e lucenti per lo stupore e avrebbe assecondato la gentile
richiesta
della sua amica a farle provare la scopa, magari solo per un momento.
Non aveva
ancora raggiunto il pianerottolo quando, dalla cucina, gli
arrivò la voce
strascicata e impastata del padre; il sorriso gli si gelò
sulle labbra e le
gambe si fecero improvvisamente pesanti.
Udì uno
schiaffò seguito dai gemiti soffocati della madre, la rabbia
gli offuscò la
mente e con un balzo scese gli ultimi gradini e comparve sulla soglia
della
stanza.
“Basta!”
Gridò,
mostrando un coraggio che sentiva di non possedere.
“Papà, basta!”
Tobias Piton,
con la mano sollevata a mezz’aria che impugnava una Nimbus 1500, guardò il figlio
riversandogli addosso tutto l’odio che
infiammava gli occhi annebbiati dall’alcool.
Poi, con un movimento
fluido e
imprevedibile
avvicinò la scopa al ginocchio e fece pressione. Si
udì un colpo sordo e il
manico si spezzò in due, come se fosse stato un sottile
rametto di acacia.
Gli occhi di
Severus cominciarono a pizzicare, ma ricacciò indietro le
lacrime, non voleva
apparire un codardo davanti al padre.
“Ce
n’è
anche
per te, mostriciattolo.” Sibilò Tobias Piton
brandendo il manico spezzato della
scopa e facendo un passo verso il figlio.
Eileen
balzò in avanti,
mettendosi tra i due.
“Esci a giocare, Severus.” Gli disse la madre,
mentre la guancia, sui cui si
era abbattuta la furia del padre, si stava gonfiando.
Con un ultimo
sguardo di disprezzo, Severus uscì di casa e si mise a
correre lungo le vie assolate,
il fango schizzava ovunque attorno a lui, mentre nelle orecchie
riecheggiavano
le grida di disprezzo del padre.
L’aria
fredda
gli gelava i polmoni, mentre lacrime bollenti scendevano liberatorie,
rigandogli le guance. Correva, senza una meta precisa, lasciando che le
gambe
lo portassero dove volevano e si fermò solo quando
sentì le costole dolergli
per lo sforzo.
Era arrivato al
parco giochi e lì, su un’altalena, in netto
contrasto con il fulgido bianco
della neve sedeva la sua Lily.
Severus si
avvicinò piano, cercando di riprendere fiato, ma lo
scricchiolio della neve
sotto i suoi passi avvertì la bambina della sua presenza.
“Ciao, Sev.
Ti
stavo aspettando.” Lo salutò lei con uno sguardo
radioso, che subito si spense
davanti agli occhi arrossati dell’amico. “Che cosa
è successo?”
Severus si
asciugò il naso gocciolante con la manica, “non mi
andava più di stare a casa.”
Rispose con finta noncuranza, guardandosi la punta delle scarpe.
“Hanno
litigato
di nuovo? Ma è il tuo compleanno, speravo che almeno
oggi…”
Lui si strinse
nelle spalle e sollevò lo sguardo verso l’amica. I
suoi capelli mandavano
riflessi ramati e lui avrebbe potuto perdersi nel mare verde dei suoi
occhi,
dimenticando tutte le sue preoccupazioni.
“E la scopa
nuova?” chiese lei all’improvviso, sperando di
risollevare il morale dell’amico
dirottando la conversazione su un argomento, che sperava,
più allegro.
“Rotta.”
Rispose abbattuto.
Lily lo
guardò
perplessa, poi sorrise. “Aspetta qui un attimo.”
Disse e fuggì diretta verso
casa.
Venti minuti
dopo era di ritorno con in mano un involucro di carta molto lungo,
Severus la
guardò porgergli il pacco.
“Scartalo.” Gli
disse ammiccando.
Lui tastò
il
contenuto poi, con le mani che tremavano per il freddo e
l’emozione, lo scartò.
Dalla carta
colorata affiorò prima un manico e poi un terminale in
saggina. Sul manico di
legno scuro scintillava una parola, scritta con un pennarello
argentato: Nimbus
1500.
I loro occhi si
incrociarono, il verde si mescolò al nero brillante,
“Beh, non è esattamente
una scopa volante, ma…” si giustificò
lei mentre le guance le si coloravano di
un rosa pallido.
Severus
montò
in groppa alla scopa, “Vieni.” Disse tendendo una
mano all’amica che salì
cavalcioni dietro di lui e gli cinse la vita, Severus si
sentì come in
Paradiso.
“Tanti
auguri,
Sev.” Gli sussurrò lei all’orecchio, poi
corsero giù, lungo il declivio
innevato, in groppa alla scopa.
[Parole: 1068]
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