Preda in casa propria

di lupacchiotta blu
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Caterina si alzò lentamente, appoggiandosi al lavandino e al muro. Le gambe le tremavano, era sudata e le girava la testa.
L’uomo era immobile, steso a faccia in giù sul pavimento in una pozza di sangue.
Per Caterina fu troppo: cominciò a singhiozzare rumorosamente, piangeva dalla paura e dal nervosismo.
Dopo cinque minuti buoni di pianto, e quando ormai sentiva il groppo allo stomaco distendersi, una voce gracchiante disse:
“Hey Gianni, quanto ci metti? Sono stanco di aspettarti qui fuori. I padroni di casa potrebbero tornare da un momento all’altro!Gianni?! Mi senti?! Hey?!”
La voce proveniva da un walkie talkie portato al collo del ladro.
Il cuore di Caterina quasi perse un battito: non poteva essere vero, non poteva essercene un altro!
Uscì dal bagno e barcollando un po’ si affacciò alla finestra in fondo al corridoio che dava sul giardino.
Un altro uomo vestito di scuro era nascosto accanto alla betulla in giardino e ora si stava avvicinando alla porta d’entrata!
Non poteva scappare nemmeno questa volta, ma aveva qualche secondo di vantaggio: andò in camera, prese il cellulare e aprì la botola che portava in soffitta.
Si arrampicò sulla scaletta in legno appena in tempo per sentire il complice salire i primi gradini.
Non poteva chiamare la polizia adesso, altrimenti sarebbe stata sentita.
Tese l’orecchio e sentì qualcuno calpestare sulle schegge di legno della porta del bagno.
“Cazzo!Gianni!”
Caterina udiva chiaramente che quell’uomo stava esplorando alcune stanze.
“Scommetto che sei ancora qui, piccolo bastardo” più che parlare, sembrava ringhiasse.
“Vieni fuori! Ti faccio fuori a forza di cazzotti!”
Si stava scaldando, e non si decideva ad andarsene dal primo piano.
La maglia di Caterina era zuppa di sangue e ormai era diventata fredda, facendo tremare ancora di più la povera ragazza. Come se non bastasse, l’odore le stava facendo venire la nausea. Pensò di togliersela e mettersi una vecchia felpa che era nel baule accanto a lei, ma nel farlo urtò qualcosa.
“Ti ho sentito, lo sapevo che eri ancora qui!”
L’uomo entrò ancora una volta in ogni stanza senza trovare nulla.
“Lo so che sei in soffitta! Esci subito!”
Caterina si decise a chiamare: ormai sapeva che era lì e sarebbe sicuramente riuscito a entrare.
Chiamò e spiegò in un sussurro, forse, il ladro non l’avrebbe sentita.
“Cosa stai facendo? Con chi stai parlando? Con la polizia, eh? Stai pur certo che prima di scappare da qui ti avrò già ammazzato!” e così dicendo si appese alla cordicella che apriva la botola.
Caterina aveva infilato uno stecchetto tra due anelli che sarebbero serviti per mettere un lucchetto, così da bloccare l’entrata per un po’.
Ma l’uomo era piuttosto pesante, e prima che lei potesse rinforzare la chiusura con dello spago o qualunque altra cosa, la botola si aprì e il ladro fu dentro.




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