Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono, ma sono
proprietà di Masashi Kishimoto; questa storia è stata
scritta senza alcuno scopo di lucro.
Premessa: che è demenziale l'ho già messo nella descrizione della storia, ma
repetita iuvant. XD "Buona" lettura...
To the rescue – Di come Sasuke Uchiha si trasformò in un principe azzurro.
I.
La routine del menestrello
Il menestrello di Uchiha Country – Shisui lo chiamavano i pochi
intimi - saltellava a ritmo di cancan per le mura del castello,
accompagnava le tristi novelle ad allegre note di mandolino.
«Morì il cavaliere nell'intrepida fatica!» diceva.
«Incappò in morte tanto crudele, dolore per la famiglia.
Dritto nelle fauci dei coccodrilli sotto il ponte levatoio! Così
perì Rock Lee, il prode guerriero senza macchia!»
“Il dolore è nella gioia e la gioia è nel
dolore” gli aveva insegnato il nobile maestro Obito e così
Shisui si prodigava ogni mattina a inventare nuove melodie scherzose
per comunicare le morti di baldi cavalieri incaricati di salvare
bellissime e maledette principesse.
Sasuke Uchiha si rigirò nel suo letto. Causa un'insolita calura
di fine marzo, si era addormentato tra lenzuola di seta nere e petali
profumati con la finestra rigorosamente aperta. La voce di Shisui,
dannato quel burlone di corte, trillava nelle sue orecchie.
«Morì il cavaliere nell'intrepida fatica! Incappò
in morte tanto crudele, dolore per il clan. Precipitò nel
burrone di aculei d'acciaio! Così perì Choji, immane
guerriero di ferrei principi e mascella!»
E fuori due. Contò Sasuke Uchiha nel suo stato di dormiveglia.
Ficcò la testa sotto il cuscino nella vana speranza che le
strilla di quell'oca di un menestrello si spegnessero.
«Morì il cavaliere nell'intrepida fatica!»
Quand'è poi che suo padre, il re, l'avrebbe mandato in esilio
per oltraggio alla quiete? «Incappò in morte tanto
crudele, dolore per le donne! Così perì Neji, setoso
principe di un reame lontano!»
Che diamine, serviva un genio della lampada per capire che Sasuke
Uchiha voleva dormire? Lanciò la sveglia contro l'imposta della
finestra, sperando che il colpo riuscisse a chiuderla e a rendere la
voce stridula di quell'Uchiha rinnegato dal clan un sottile ronzio. La
sveglia, inutile strumento, crollò sul pavimento senza compiere
il suo dovere.
“La condannerò alla ghigliottina! Anzi no,
all'impiccagione! Sventrerò la sua pancia, la priverò di
ogni ingranaggio e rotella! Mi vendicherò di chi porta
così scarso rispetto per il miglior principe degli Uchiha... che
sarei io!”
Ma due note di mandolino preannunciarono un nuovo annuncio del menestrello.
«Avanti un nuovo eroe! Chi sfiderà or or la sorte, per
salvar la principessa dal castel della morte? Certo non un barbaro o un
ignobile buzzurro, ma un regale e strabiliante principe azzurro! Uchiha
Sasuke, che nome altisonante, per un guerrier che brandisce una spada
sfavillante!»
Ci mancava solo il ritornello in rima. E per cosa poi? Selezionare il
nuovo “cavalier coglione” condannato a morte per salvare
una femmina che non sapeva nemmeno scendere le scale, aprire il portone
e uscirsene di casa? Per l'amor di suo fratello! La gente non sapeva
proprio cosa fare di quei giorni. Poi però le ultime parole di
Shisui riecheggiarono nella sua testa. Uchiha... Sasuke... nome
altisonante... spada sfavillante...
“Sicuramente è un caso di omonimia” si disse.
“Chissà quanti genitori hanno chiamato i loro figli dietro
il mio nome per esaltar il loro eccelso principino... che sarei
io!”
«Uchiha Sasuke» tornò a cantar Shisui. «Colui
che ottenne il numero 275! Ora è il tuo turno!»
E così un neurone del cervello di Sasuke Uchiha pensò che
effettivamente il numero 275 suonasse familiare, ma che in fondo non
poteva essere il suo. Con tutti i cavalieri che esistevano nel reame e
tutti i numerini che erano stati distribuiti, come era possibile che
proprio il principe venisse sorteggiato per correre a salvare la
puttanella di turno?
Fu così che, tutto sommato tranquillo, cercò il libro
Harmony sotto il materasso e lo sfogliò per recuperare l'odiato
bigliettino con il numero. Lo trovò poco dopo una scena piccante
che era solito leggere ogni sera al posto delle preghiere.
«275» lesse con tono piatto. «275» ripeté scandendo bene le lettere. «275?»
Così Sasuke Uchiha, giovane rampollo e principe di professione,
riempì i suoi nobili e regali polmoni di una boccata d'aria al
profumo di incenso e si preparò ad invocare il santo nome
dell'unica donna che avesse mai amato nella sua vita:
«MAMMA!»
II.
Doveri di un principe
Vossignoria Sasuke Uchiha, futuro principe azzurro, si precipitò
da suo padre Sir Fugaku, re di Uchiha Country, nella consueta vestaglia
nera in cui era solito fare colazione. Strisciò le ciabatte
infradito sul pavimento d'argento fino ad approdare nella camera da
letto del regnante genitore. Non pensò che avrebbe potuto
interrompere un atto di amichevole unione tra il sovrano e la sua dolce
metà. Pertanto aprì la porta senza bussare.
Mikoto s'era svegliata di buona ora quella mattina – vuoi per la
soave voce del menestrello, vuoi per l'immane gioia da lei provata nel
sentirlo decantare il nome del secondogenito. Così, quando tal
secondogenito cadde in ginocchio ai piedi del marito, non poté
che soffocarlo in un abbraccio di congratulazioni.
«Tesoro! Ma è fantastico! Finalmente troverai una donna e
metterai su famiglia! La smetterai di passare tutto il giorno in quella
tua dannata stanza!»
Alla qual idea il principe Sasuke Uchiha inorridì.
«Mamma, potrei morire» disse.
In cuor suo sperava che l'atroce dolore di restar orfana di figlio
spingesse la madre a boicottare il sorteggio – dopotutto qui si
sta parlando di regalità! Tutto è lecito –, oppure
a emanare un comunicato che vietasse la partecipazione dei principi ai
salvataggi di damigelle.
«E' dovere di un principe proteggere le dame del reame da
infauste sventure» commentò Fugaku, sistemandosi la corona
in testa. «E' dovere di un principe preferire una morte dolorosa
a una vita infame!»
O su questo non ci pioveva affatto! Cresciuto all'ombra del fratello,
Sasuke Uchiha non voleva far altro che provare la sua abilità,
il suo talento, ma diciamolo: c'era modo e modo, occasione e occasione.
«Padre» disse, recuperando la calma e cercando di invitare
il genitore al proverbiale buon senso. «E' da secoli e secoli che
i cavalieri vanno al castel della morte senza mai riuscire a salvar la
principessa. Nessuno ha mai pensato che forse cotal principessa sia
morta di vecchiaia?»
Col cappero che avrebbe rischiato la sua eccelsa vita per una smorfiosa
tutta ossa e pomposo vestito in tulle! Bastavano le giostre, il braccio
di ferro, i tornei a dadi e le gare di bevute a dimostrare il suo
valore e a preservare l'onore di famiglia, senza alcun bisogno di
rischiare la vita. Lo sguardo del padre si fece torvo e il nobile
principe secondogenito unì le mani in segno di preghiera.
«Eppure Itachi ha salvato la sua principessa» proferì la saggia progenitrice Mikoto Uchiha.
E allor il bel viso del prode guerrier dal nome altisonante e dalla
spada sfavillante si ricoprì di verde disonore ed uguale
invidia.
«Costi quel che costi» disse con fare risoluto.
«Padre, salverò lo scheletr... ehm... la PRINCIPESSA dalle
fauci del drago a nove code. Pregate per me, madre.»
III.
Ad ogni cavaliere un nobile destriero
La madre di Sasuke Uchiha, nobildonna amante del decoro e delle tradizioni, non si limitò semplicemente a pregare.
«Magari si fosse limitata semplicemente a pregare» disse tra i denti il futuro principe azzurro Sasuke Uchiha.
Se proprio doveva compiere l'immane fatica e salvare la sgualdrina dal
rettile multicoda, tanto valeva brandire la spada, mettersi subito in
marcia e liberarsi della scocciatura. Eppure c'era un dettaglio che un
nobil principe non poteva scordare: l'etichetta.
Se Sasuke era distratto e poteva lasciar correre il galateo e i buoni
costumi, Mikoto era determinata a non disonorare gli antichi fasti di
famiglia. E se Sasuke doveva imitare il perfetto principe azzurro,
allora non esisteva miglior insegnante di un celebre e leggendario
ninja imitatore: Kakashi Hatake.
«Che altro può servirmi oltre alla spada?» chiese il
principino con il broncio e le braccia incrociate davanti alla sua
allegrissima casacca nera. Si pentì di aver posto la domanda,
quando il ninja imitatore srotolò ai suoi piedi una lista di
necessità. I fogli di papiro crearono un tappeto che da lungo
che era arrivò al ponte levatoio.
«Al diavolo le formalità» si lamentò Sasuke.
«Kakashi Hatake, avete davanti a voi il miglior principe del
reame... che sarei io. Quindi vado, la salvo e torno.»
Con la storica determinazione del sangue Uchiha si avventurò per
i corridoi del palazzo, sconfisse a colpi di tallone svariati acari di
polvere, fulminò ostili armature vuote, incenerì con
occhiate truci pericolosissimi fiori da aiuola e arrivò con
l'adrenalina sparata a mille ai cancelli del reame.
«Le formalità sono tali perché vanno rispettate.»
Kakashi Hatake, quel dannato di un segugio, lo aveva pedinato. Amara e
fredda sarebbe stata la vendetta. Nessuno viola la privacy del miglior
principe del reame... che sarebbe lui. Ghigliottine, impiccagione,
tortura.
«A vostra madre si spezzerà il cuore.» Kakashi si
soffiò il naso in segno di dolore. «Ama così tanto
l'etichetta e il decoro.»
Se non fosse stato in un luogo pubblico, Sasuke Uchiha si sarebbe
ciucciato il pollice e avrebbe piagnucolato il nome della mammina, come
aveva in passato fatto un suo celebre antenato, tal principe Giovanni.
Ma l'onore – per gli dèi, Sasuke, mai scordar l'onore e la
vendetta! - lo convinse ad abbassare semplicemente il capo.
«E che cosa vorrebbe l'etichetta?» chiese.
Kakashi sventolò il fazzoletto e con un “puff” il
rotolo di formalità si ristese a tappeto fino ai campi di grano.
«Punto primo» lesse l'insegnante. «Un principe azzurro deve essere azzurro.»
Giammai giammai, Sasuke Uchiha si sarebbe trasformato in un puffo, ma
il viso addolorato di una madre sofferente si dipinse nella sua
immaginazione e pertanto resistenza non oppose, quando il dannato
insegnante lo trascinò per la casacca nella stanza dei
preparativi.
Fu lì che Sasuke Uchiha scoprì che colorarsi la faccia di
blu non era il male peggiore. Guardò il vestito con occhi che
spruzzavano sangue. Colletto di pizzo: presente; maniche gonfie:
presenti; bottoncini a forma di cuore: presenti; imbarazzante color
turchese: presente.
«Non metterò quel dannato obbrobrio, maledizione!»
Attivò lo Sharingan per incenerire il pezzo di stoffa, ma Mikoto
Uchiha varcò l'arco di ingresso, bloccò l'attacco con una
finta lacrima e porse al folle secondogenito un paio di pantacollant
bianco panna. Super-attillati.
«Vanno abbinati alla casacca azzurra, tesorino bello della mamma» disse.
Ordunque sì, in quel momento Sasuke Uchiha credette alle parole
dei vecchi preti eremiti: le donne erano lo strumento del diavolo. E
per salvare una di loro – una demonessa! - il miglior principe di
Uchiha Country (che sarebbe lui) non avrebbe ingoiato un simile boccone
di umiliazione.
«Madre, c'è un limite a tutto» disse. «Nemmeno
per voi. Mi rifiuto categoricamente di indossare quella cosa. E'
totalmente gay.»
Mezzora dopo il nobile principino, candidato a diventare
“azzurro”, sfoggiava una casacca turchese a cuoricini e un
paio di pantacollant che gli bloccavano la circolazione del sangue e
non solo.
«Ora vado, la salvo e torno» disse in stato di mortal
dolore con una vocina acuta che non ricordava di avere. Non vedeva
l'ora di liberarsi di quel diabolico strumento di tortura. Che sarebbe
andato, che l'avrebbe salvata e che sarebbe tornato lo aveva già
detto, e ora che lo aveva ripetuto nessuna clausola di etichetta
avrebbe potuto trattenerlo.
«Tesoro mio!» esclamò Mikoto con le lacrime agli
occhi. «E' così bello vederti pronto a tenere alto l'onore
di famiglia, a voler salvare il mondo intero dal male, a vendicare gli
altri cavalieri caduti per la causa, ma vedi-» si interruppe.
«Il principe azzurro è biondo.»
La voce bassa e controllata di Itachi Uchiha, regal primogenito di
quella serpe lacrimosa di Mikoto, lo raggiunse ancor prima di vederlo.
E quando lo vide, Sasuke Uchiha si sentì abbagliare da cotanta
bellezza. Certo, lui lo aveva sempre saputo che il suo fratellone era
bello e di gran classe. Lo aveva sempre saputo che era intelligente
più del più intelligente dei Nara. Lo aveva sempre saputo
che era buono e pacifista quanto Gandhi, Gesù Cristo e il Dalai
Lama. Lo aveva sempre saputo che...
Suvvia, Sasuke, stiamo divagando. Insomma, al di là dell'elogio
del suo amato fratello, quel che Sasuke quasi azzurro voleva dire era
che Itachi Uchiha nella classica divisa nera del clan risultava
maledettamente “non ridicolo”. Mantenne intatto il suo
charme anche quando dimenò il codino a destra e a sinistra per
fare la réclame di una piccola scatoletta che Sasuke non aveva
mai visto.
«Vuoi scintillanti e luminosi capelli biondo principe? Prova
l'Orèal di Konohà. Perché tu vali.»
«Itachi, che caspita è l'Orèal di
Konohà?» chiese Sasuke al suo regale modello di vita,
morte e miracoli.
«Itachi, per fortuna ci sei tu!» squittì Mikoto. Correzione:
«Itachi, che caspita è l'Orèal di
Konohà?» chiese Sasuke al suo regale e INVIDIATO modello
di vita, morte e miracoli. Alla fine decise di non lasciarsi distrarre
dalla nobil classe di codesto modello e recuperò l'ambita
scatoletta della réclame.
Ebbene sì, nell'istante in cui lesse l'etichetta, Sasuke Uchiha,
futuro principe azzurro, provò su di sé i sintomi di
ictus, svenimento, dissenteria e virus intestinale.
«Mi rifiuto categoricamente di farmi la tinta di questo colore-»
Non trovò parola adatta per descrivere l'indicibile colore
rappresentato sulla scatoletta. Pagliericcio? Pulcino Pio? Polenta di
patate? Decise di chiamarlo color biondo idiota e lui, non essendo
idiota ma il migliore dei principi di Konoha, non era assolutamente
“degno” di vestir cotal colore. E tante grazie.
Fu qui che Mikoto Uchiha riprese a tirare su con il naso e ad
asciugarsi gli occhi asciutti. Fu qui che Itachi Uchiha iniziò a
scuotere il capo e a sussurrare a ritmo di rap “folle”,
parola che l'illustre fratello minore odiava quanto niente al mondo. Fu
qui che Kakashi Hatake prese in mano la drastica e disastrosa
situazione.
«Ma una parrucca, no?» chiese con educazione mista a rispettoso stupore.
Sasuke Uchiha – ricordo ai lettori che lui lo aveva sempre detto
– amava Kakashi Hatake. Lo avrebbe fatto consigliere del re
quando il miglior principe degli Uchiha (che sarebbe lui) sarebbe
salito al trono. Avrebbe aperto miliardi di librerie per soddisfare i
suoi ambigui gusti letterari. Gli avrebbe persino regalato l'Harmony
che custodiva tanto gelosamente sotto il materasso, il suo tesoro.
In fondo, quando Kakashi Hatake, ninja imitatore, gli porse un'enorme e
riccioluta parrucca bionda, simile alla chioma di un afroamericano
ossigenato, Sasuke Uchiha non oppose resistenza. Di buon grado (e se
proprio non buono, almeno decente) tollerò i successivi
novecentonovantanovemila punti della lista di necessità, fin che
con enorme sollievo l'eccelso insegnante e futuro consigliere
arrivò all'ultimo.
«Ad ogni cavaliere un nobile destriero» lesse Kakashi e
spuntò il punto della lista con la matita a forma di ballerina
nuda.
Che cappero, finalmente un punto sensato tra quella marmaglia di
idiozie. Sasuke Uchiha, ridotto a una massa di colori azzurri, gialli e
bianchi, trascinò la regale madre e il regal fratello verso la
stalla, in cerca del suo nero, anzi nerissimo, cavallo.
«Folle fratellino» disse Itachi, passandosi una mano sul
bel viso. «Non lo sai che un principe azzurro va a salvare le
principesse su un cavallo bianco?»
In un certo qual senso Sasuke ne aveva sentito parlare. Certo un
principe non poteva andarsene in giro su un mulo, un asino o un panda.
Pareva logico che il nobil quadrupede scelto fosse un cavallo e lui
aveva giusto il suo Vendetta pronto a esser montato in sella.
«Bianco, Sasuke» ripeté Itachi, comprendendo che al
fratello era sfuggito il punto della questione. «Il cavallo deve
essere bianco. Vendetta è nero.»
Così, mentre quella nobildonna di sua madre tirava fuori
l'agendina per prenotare ulteriori visite oculistiche al secondogenito,
Sasuke si trovò a pensare che mai e poi mai quel traditore di un
fratello avrebbe dipinto il manto del suo illustre destriero color
intonaco per pareti.
«Non farei mai un simile torto a Vendetta» lo
rassicurò Itachi che per hobby si intrufolava nella mente del
fratello. «Semplicemente cavalcherai un altro cavallo.»
Schioccò le dita e un femminil nitrito librò nella stalla
regale, fintantoché lo stallier Deidara non arrivò con un
destriero degno di principi azzurri. Vendetta, puledro pudico e amante
della sobrietà, si coprì gli occhi con la tenebrosa coda,
mentre il suo padrone cercò una palla di letame in cui tuffarsi
per fuggir da cotanto orrore: manto bianco brillantinoso, coda e
criniera color biondo idiota arricciate in boccoli.
«Le presento Priscillo, vostra altezza» disse lo stallier
Deidara, piegandosi in un inchino. «Ancora un paio di colpi di
sole e poi sarà pronto per la tanto decantata e ardua
impresa.»
Sasuke Uchiha deglutì l'ultimo boccone di orgoglio, dignità e onore.
«Bene così» disse, sopprimendo un principesco conato di vomito. «E' perfetto.»
Non tanto per la bugia, ma per aver approvato quell'indefinibile orrore, il gran Dio lo avrebbe mandato all'Inferno.
IV.
La via per il castel della morte
Al sorger dell'alba, sua altezza regale Sasuke Uchiha si mise in
marcia, in groppa a Priscillo. Salutarono la sua partenza i pianti
dell'arpia Mikoto, lo staff di fotografi assunti da Itachi per
commemorare il momento e gli ultimi consigli di Hatake Kakashi, primo
fra tutti: seguire sempre il regolamento e le istruzioni. Mai fare di
testa propria.
«Eppur son certo che questa testa» si disse Sasuke,
accarezzando la bionda parrucca dalla forma afroamericana,
«Ebbene sì, son certo che essendo questa la testa del
miglior principe degli Uchiha (che sarei io) sia perfettamente in grado
di prender l'iniziativa.»
Marciò per due giorni con tal pensiero ben ancorato alla mente.
Superò vaste praterie di margherite, foreste abitate da
scoiattoli che lo salutarono con “squit” di buon augurio e
villaggi di passanti fin troppo pronti a lanciare crisantemi al suo
passaggio. Perché sì, l'indomani il menestrello Shisui,
quel gran burlone di corte, avrebbe cantato una nuova dolorosa
dipartita dalla vita.
«Col cappero!» esclamò il neo principe azzurro, facendo il gesto dell'ombrello.
Se proprio si fosse messa male, sarebbe tornato a casa con una finta
ferita, una prova del suo onore, ma anche dell'impossibilità
dell'impresa. Sua madre sarebbe volata al capezzale del suo letto
vedendo il dito del secondogenito mutilato da un gravissimo taglietto.
In fondo in fondo rincuorato, chiese informazioni a un paio di strambi
passanti e giunse nelle terre del castel della morte. E lo vide, il
famigerato castello. Nulla di decadente o di maledetto, almeno
all'apparenza. Si trattava di una rocca in cima a una collina di rocce
appuntite, con le mura bianco splendente e un insolito olezzo di
ciliegie che riempiva l'aria. Una schiera di gradini portava al portone
di ingresso.
«Niente ponte levatoio, Priscillo» disse Sasuke al nobile
destriero. «Niente coccodrilli o aculei, sia mai che abbia
sbagliato posto?» Ma poi si accorse della gravità
dell'affermazione. «E' impossibile che il miglior principe degli
Uchiha (che sarei io) metta un nobile e regale piede profumato in
fallo!»
Così con la schiena dritta e il mento alzato avanzò verso
il primo gradino della scalinata, fintantoché i suoi nobili
occhi da principe intravidero un'enorme insegna rosa acceso. Pensando
che in fondo un po' del suo tempo lo poteva concedere, degnò il
cartello della sua regale attenzione:
Sei un principe azzurro in cerca del solito castello?
Allora complimenti per esser sì gagliardo e bello!
Procedi orsù per l'impervio e mortal sentiero:
devi salvar la principessa, non è un gran mistero!
Una freccia contornata da lucette natalizie indicava il sentiero da
percorrere. E quel sentiero non erano le scale. O prova di valore, o
prova di coraggio! Pareva che i principi azzurri dovessero scegliere la
via più difficoltosa, mai la semplicità, e quindi
aggirare la meta agognata anziché accedere dal portone
d'ingresso, come un comune e plebeo mortale avrebbe fatto.
Sasuke Uchiha, per una volta fiero di essere principe azzurro,
poiché il roseo cartello l'aveva elogiato chiamandolo
“gagliardo” e “bello”, guardò il
sentiero che lui, guerrier dal nome altisonante e dalla spada
sfavillante, avrebbe dovuto percorrere. Poi studiò meglio
l'amato cartello, suddito fedele e riconoscitore della sua
impareggiabile grandezza. A bordo di esso i suoi eccellenti e
insuperabili occhi principeschi – Sharingan attivato
– individuarono una serie di simboli d'avviso:
«Teschi di morte, denti di coccodrillo, aculei d'acciaio, caduta
di massi, piante carnivore con diabolici denti aguzzi» lesse il
principino, interpretando con la sua superiore intelligenza i criptici
segnali di cautela.
Ardua sarebbe stata l'impresa, ma lui l'avrebbe superata con il
coraggio richiesto a un nobil principe azzurro. Pertanto fece
ciò che il migliore dei principi del mondo (che sarebbe lui)
avrebbe dovuto fare.
«Vai Priscillo!»
Con una pacca sul fianco spinse l'orrendo destrier per il sentier della
morte. Ovviamente prima si premurò di scendergli di groppa.
Restò a guardarlo da lontano, pronto a valutare i pericoli in
agguato. Al terzo passo, una pianta carnivora mangiò in un sol
boccone il tanto pianto Priscillo. Sasuke Uchiha sentì una
goccia di sudore – compianto e fatica; non terrore, badate bene!
- scivolare sul nobile naso incipriato.
«Non dovreste vendicare il vostro nobile destriero, sì
malamente perito?» gli chiese un uomo con la lingua da serpente.
«Vostra altezza» aggiunse in tono d'ossequio.
La pianta carnivora deglutì la tenera carne del tanto amato
Priscillo e sputò in un grumo di saliva criniera e coda color
biondo idiota. Giammai, giammai quel rude vegetale si sarebbe cibato
della carne di un principe eccelso!
«In fondo, come si suol dire, la vendetta non porta a
nulla» rispose Sasuke. «Credo proprio che opterò per
le scale.»
Evitò di salutare l'uomo serpente, perché in fondo la
plebe non si saluta, ignorò il roseo cartello con le istruzioni
e diede inizio alla lunga e impervia scalata. Quando giunse nel mezzo
della disumana fatica, incontrò una donna, amabilmente
stravaccata al suolo. La barbona, mostro di poco contegno e ritegno,
finì di scolare una bottiglia – volgare sakè di
provincia! - e scrutò il principino azzurro, accaldata per i
quaranta gradi di quell'insolito mezzogiorno di marzo.
«Finalmente uno un minimo sveglio, per tutte le bottiglie di
sakè!» disse la volgar donna tra un singhiozzo e l'altro.
«Tutti gli altri erano talmente idioti da obbedire al
cartello» gli spiegò poi.
Sasuke Uchiha in tutta la sua magnificenza pompò il petto in
fuori. Tanto era il suo splendore da costringere persino la vile
plebaglia ad elogiarlo e a riconoscerne la grandezza. Poiché la
signora sembrava infreddolita, le lasciò la casacca turchese a
cuoricini. Che non pensi male il volgo!
«Non è certo un tentativo di liberarmi dell'orrore,
rifilandolo alla prima disgraziata sul sentiero» disse ai resti
di Priscillo, per quanto distanti.
Mikoto Uchiha gli aveva semplicemente insegnato che l'educazione era il
più importante dei principi e quindi a rigor di logica persino
più importante dell'etichetta.
«Prendi questa, stronzetta di una madre. T'ho fregata!»
sussurrò Sasuke, cimentandosi di nuovo nel delizioso gesto
dell'ombrello. In fondo gli restavano ancora i pantacollant e la
parrucca a provar la sua bionda azzurrità.
Sennonché al cinquecentesimo gradino i pantacollant presero a prudere.
«Non sia mai che il principe Uchiha debba rallentar la marcia vinto da un pezzo di stoffa!» esclamò.
Con l'ira in cuore e la saggezza nell'animo brandì la spada e
trucidò il bianco nemico, rimanendo nei suoi principeschi neri
pantaloncini intimi, chiamati dal volgo “boxer”. Sollevato,
alleggerito e spensierato, continuò la scalata,
fintantoché una cicogna, solcando i cieli del castel della
morte, ritenne la bionda parrucca afroamericana un adeguato nido per
covar le sue uova.
«Sia mai, sia mai che il nobil capo di un principe eccelso si
riempia di guano di piccione!» si adirò il principino.
Tirò due perfetti fendenti per liberarsi del volatile, ma poi,
sentitosi in colpa per un gesto tanto iroso, decise in nome del suo
buon cuore di regalare la parrucca bionda al bianco volatile.
Oh, fu un distacco doloroso, una vera sofferenza liberarsi di un
oggetto sì bello ed elegante, ma dovere di un principe è
accontentare il popolo, e il suddito cicogna pareva necessitare
dell'obbrobri... ehm... della PARRUCCA molto più di lui.
«Alla tua faccia stronzetto di un Hatake!» Riecco il gesto dell'ombrello. «In culo l'etichetta!»
Così con una nuova gioia nel cuore arrivò senza problemi
al portone del castel della morte, ma quando si vide riflesso nella
lastra d'argento, in boxer e per niente azzurro o biondo, si
sentì mancare.
«Sarebbe questo un principe azzurro?» chiese alla sua immagine.
O la vendetta, o l'onore! O il ricordo della sua dolce mamma, sì
gravemente sofferente! E così con Priscillo diventato mangime
per piante, la casacca turchese ceduta a una vecchia megera, i
pantacollant ridotti a stracci e la parrucca piena di escrementi di
piccione, Sasuke Uchiha, il non più principe azzurro, pianse la
sua amara sorte di sventura.
V.
La principessa e il drago
Per una principessa non c'era regalo di compleanno migliore che essere
rinchiusa nella torre di un castello. Così, quando Sakura
Haruno, tre mesi prima dei suoi diciotto anni, aveva aperto il pacco
regalo e trovato all'interno della scatola colorata un biglietto di
soggiorno per il castel della morte, s'era cimentata nel ballo della
foca per due lune di fila e aveva ordinato al suo miglior servitore,
tal Naruto Uzumaki, di preparare i bagagli. Varie erano le ragioni per
cui una principessa poteva desiderare di essere rinchiusa nel castel
della morte.
Motivo numero 1, più comunemente noto come il motivo stupido: il
principe azzurro. Sakura aveva una teoria tutta sua sul principe
azzurro e fosse per lei, attuale principessa del castel della morte,
non si preoccuperebbe di renderla nota, ma l'addetto alla censura, tal
Shikamaru Nara, potrebbe cancellare le sue gentili e cordiali parole,
perché insomma il vocabolario di una dama deve essere quantomeno
rispettabile. Riassumendo, si potrebbe dire che per Sakura il principe
azzurro era un...
«Coglione gay con il cervello di un uovo di gallina alla coque e
la mascolinità di una ballerina di cancan senza mutande e con le
giarrettiere di pizzo.»
Testuali parole della principessina, per la precisione.
Motivo numero 2, più comunemente noto come il motivo di Sakura
Haruno: indipendenza, bella vita, cibo gratis, sette materassi da far
invidia alla principessa sul pisello, niente coprifuoco, niente verdure
a cena, niente damigelle che rompono il caz... Shikamaru si
schiarì la voce con un colpo di tosse:
«Il linguaggio, principessa!»
Sì, vabbé, niente damigelle che rompono i gioiellini
tondi con corsetti, scarpette, babbucce e tutte quelle puttanat-
«Principessa, la prego!»
Quelle altre sciocchezzuole che piacciono in genere alle fanciulle di
nobile stirpe. E poi c'era dell'altro: niente compiti, niente
istruzione e al contrario dormire fino a tardi, stare alzata tutta la
notte, giocare a vestire Naruto da donna, costringere Shikamaru a
perdere a scacchi.
«Nessuno mi costringe a perdere, principessa» disse
l'eccelso stratega, buttando due ceppi di legna nel caminetto della
camera da letto, nel castel della morte. «Siete davvero brava.
È la verità. Lo giuro.»
Ci avesse messo un po' di convinzione, non avesse incrociato le dita
nel dirlo, Sakura avrebbe potuto credergli, ma del resto quello non era
il momento di disperarsi. C'era un problema, un problema come non se ne
erano mai visti al castel della morte, non nello scarso mese in cui suo
padre l'aveva rinchiusa lì: stavano per rapirla.
«Come è possibile, Shikamaru?» chiese al genial servitore di corte.
Appena arrivata si era spaccata il suo regale cul... sederino... per
impedire che accadesse. Aveva comprato coccodrilli, piante carnivore,
aculei di ferro, trappole mortali; aveva speso la sua paghetta mensile
in leoni e serpenti velenosi. Tutto per impedire ai coglioni azzurri di
raggiungere la torre. Eppure quell'infingardo di un principe azzurro,
stando a quanto diceva il cane da guardia, si trovava davanti al
portone d'ingresso, incerto sul da farsi.
«Credo abbia preso le scale, principessa. Ha intelligentemente
barato e bellamente ignorato il vostro roseo cartello»
suggerì Shikamaru, muovendo le braci nel caminetto con il
bastone di ferro.
La principessa non conosceva pace. Si aggirava per la stanza come
un'anima in pena, uno spirito inquieto, tormentato nel profondo del
cuore. Consumava l'orlo della bianca vestaglia da notte in passi,
calpestando la stoffa con i talloni. Distruggeva i palmi delle mani,
conficcando le unghie mangiucchiate nella carne, recidendo la linea
della vita.
«Mi ucciderò» disse. Portò il dorso della
mano alla fronte e finse di svenire, cadendo nei sette strati di
materasso.
«Mi ucciderò.» Finse uno spasimo, finse di tirare
l'ultimo caramellato respiro della sua breve e infelice vita.
«Mi ucciderò, pur di non cadere schiava del rude guerrier che disonora il mio sesso» ripeté.
Rimase in attesa che Shikamaru corresse al suo capezzale con la brocca
dell'acqua e un panno intriso d'aceto, per salvarla dalle forbici della
morte. Rimase in attesa che Naruto, vestito da cane da guardia,
smontasse la sentinella e abbaiasse di dolore alla sola idea della sua
dipartita. Ah, la morte, malvagia rapitrice delle più nobili
fanciulle! Ah la morte, amante di giovani donne gradite agli dèi
inferi!
Sennonché nessuno accorse. La femminil principessa prese allora
un boccata a pieni polmoni, che tutto era fuorché l'ultimo
caramellato respiro:
«Lo volete capire che sto morendo, razza di imbecilli!»
L'urlo trapassò le pareti e si fuse ai lamenti del principe
azzurro, quel mascalzone di un disgraziato. Shikamaru in tutta la sua
intelligenza aveva fatto in tempo a munire le colte orecchie di tappi
di cera. Il cane da guardia, Naruto, entrò a gattoni, su quattro
zampe, barcollando per lo stordimento.
«S... Sa... Sakura-chan?» chiese quando i timpani furono di
nuovo al loro posto, senza più ronzare. «Che s... s...
succede?»
Ma la principessa, povera anima gentile, bella e leggiadra, piangeva
già come la fontana di Trevi nella lontana Roma. Cristalline
erano le sue lacrime, sentito il suo dolore. Bruciava il sensibile
cuore per la tragedia, pronta a recidere la sua vita. Mai, si ripeteva,
asciugandosi il naso con la carta igienica – i fazzoletti li
aveva finiti – mai, si ripeteva, sarebbe diventata prigioniera in
catene di quel rude vichingo, mai avrebbe accettato su di sé le
violenze di un barbaro!
«La vita» singhiozzava. «La vita mia se ne va, o
padre, o madre. Con questo lenzuolo troverò la morte, cappio al
collo di un'infelice disgraziata.»
Naruto si slacciò un poco il costume da cane, così da
poter respirare meglio, e iniziò a ululare al sole di marzo, che
tra parentesi era una grande scocciatura. Di quel passo con tutto quel
caldo e tutto quell'ululare sarebbe davvero morto come un cane.
Comunque... pianse, ululò, guaì di dolore,
giacché, senza la sua regale padroncina, nulla sarebbe stato
più come innanzi. Chi l'avrebbe umiliato vestendolo da cane ogni
mattina? Chi l'avrebbe preso a pugni al posto del sacco da box? Chi
l'avrebbe costretto a pulire il castel della morte due volte al
dì? Chi-?
«Perché non vi giocate la carta del drago, principessa?»
Naruto Uzumaki, al momento cane da guardia, avrebbe ucciso Shikamaru
Nara, il miglior stratega e generale di tutte le terre. Ma almeno la
sua dolce padroncina, sì vicina a morte certa, si sarebbe
salvata. Naruto abbaiò di gioia, le saltellò intorno,
oscillò la coda di stoffa quando la vide rimettersi in piedi,
priva del pallore di una defunta troppo bella.
«Sei un genio, Shikamaru» rise la principessa. «Gli farò vedere io a quel coglione azzurro-»
«Principessa...» Il genial consigliere di corte nascose il viso nelle ginocchia per l'imbarazzo.
«Non negare che solo un coglione azzurro si vestirebbe di
turchese e bianco, incipriandosi il naso» disse lei, puntando
l'esile indice dai venti anelli d'oro contro il servitore dalla sublime
intelligenza. «E ora l'armadio. Svelto, Naruto. Spogliati!»
Il povero cane da guardia tremò come un cucciolo abbandonato in
una pozza d'acqua, in pieno inverno. Emise un guaito di dissenso, ma
riuscì a soffocare il secondo, perché amava la gentile
anima della sua padroncina e mai avrebbe potuto spezzare un cuore tanto
delicato con un crudele rifiuto. La osservò saltellare qua e
là, davanti all'armadio, in cerca del costume che mai in
volontà sua avrebbe scelto di indossare. Riconobbe il completino
da cameriera che aveva portato due giorni addietro, la divisa da
cosacco in cui si era avvolto il secondo dì nel castel della
morte, i peli di cavallo che aveva indossato con onore durante una
passeggiata per le prigioni del palazzo. E poi lui...
«Eccolo qui» disse la principessa.
Gli occhi verdi della bellissima fanciulla si infiammarono di scintille
di potere. Il costume da drago. Squame di cartapesta tinte di vernice
verde, ali di carta velina issate ai bastoncini del gelato, code di
cartoncino rosso, nove come voleva la tradizione, con annessi petardi e
fuochi d'artificio.
«Spogliati, Naruto!» ribadì la gentil dama e il triste servitore ubbidì.
Rosso in viso per l'imbarazzo, slacciò il marron costume da cane
e rimase nell'unico costume che sempre la principessa gli consentiva di
portar: le mutande. Oh non indietreggiò per la vergogna, oh non
svenne d'estasi quando le leggiadre mani della fanciulla si posarono su
di lui e lo vestirono da drago. Oh non morì per il potere delle
fiamme quando in bocca le nobili dita di lei ficcarono un pugno di
peperoncini piccanti. Oh non perì quando l'incendio si diffuse
dalla gola allo stomaco.
Il piccolo piedino da fata dell'amata padroncina lo colpì nel
didietro, tra due delle nove code, e il drago volò giù
dalle scale della reggia, gradino dopo gradino.
«Andate mio prode drago!» gridava l'addolorata
principessina in punto di morte. Lo salutò sventolando un bianco
fazzoletto. Aumentò le lacrime quando lui aprì il portone
e si preparò alla battaglia.
«Salvatemi dal rude vichingo, il barbaro portator di morte e
disonore» diceva, vinta da una disarmante disperazione.
Con queste grida la principessina si accasciò al davanzale
dorato della prigione d'avorio e, proprio come stava facendo il
principe azzurro, pianse la sua amara sorte di sventura. Qualcuno poi
osava dire che quei due non fossero anime gemelle...
VI.
Il principe e il drago
Strilla soavi di donna e pianti umilianti di uomo avvolgevano il drago
dalle nove code. Inciampava Naruto, passo dopo passo, capitombolo dopo
capitombolo, verso il terribile nemico azzurro. In cuore ardeva l'amore
per la principessa. Lui l'avrebbe salvata dal maligno rapitore! Lui un
dì avrebbe vestito il costume dello sposo e l'avrebbe
accompagnata all'altare! Mai sarebbe potuto sopravvivere il
piagnucoloso principe che gli stava dinnanzi, mai avrebbe sconfitto i
potenti petardi delle sue nove code, la super alitata al peperoncino
delle sue fauci.
«A morte il vandalo disprezzator del gentil sesso»
gridò, colpendo il non più azzurro principe Sasuke con
un'ala di carta velina. «Oh dolore, la mia ala. Muoio!»
Il drago si accasciò al suolo, con l'ala bucata dalla testa nera
del biondo principe azzurro. La sua principessa sarebbe stata rapita da
quel vile buzzurro mezzo nudo, un barbaro tutto pelle, addominali
scolpiti e boxer. La sua principessa sarebbe stata trascinata via,
issata come una bandiera su un bianco cavallo boccoloso di nome
Priscillo o qualche orrore simile. La sua principessa-
«Non dirmi che tu dovresti essere il drago?»
Oh la sua principessa sarebbe stata rapita dal maligno diavolo dalla voce soave.
«Idiota, mi stai ascoltando?»
Che poi di soave non aveva nulla! Un attimo... Naruto tolse l'ala
bucata dalla testa del principe e si accorse che... non era azzurro.
Era mezzo nudo; era in boxer; era piagnucolante; era corvino; era senza
cavallo; era struccato. Un attimo... Naruto ripeté nella sua
mente il manuale del “principe azzurro”, che studiato aveva
in tempi remoti, prima che lo bocciassero e convincessero a diventare
il servitore della principessa. Però qualche regola la
ricordava.
«Dovresti essere biondo» disse, puntandogli contro il draghesco dito.
«Ma va?»
“Sarcasmo del peggior plebeo” pensò il drago.
“Indegno volgar essere, indegno rapitore della mia
principessa”.
«Dovresti essere azzurro» aggiunse. «E dovresti
essere a cavallo. A cavallo di un bianco destrier con la criniera
biondo idiota.»
Invece non una sola pagliuzza dorata, nemmeno un riccio color fieno
spento adornava il capo del rude vichingo rapitore. Non uno sguardo
soave, cortese, amoroso, come richiesto dalla tradizione, abbelliva il
viso gentile. Anzi, una truce occhiata, rosso sanguigna, minacciava di
incenerir il castel della morte e di uccidere la bellissima principessa
prigioniera nella torre. Il pensiero di sventura si mescolò al
dolore per la ferita all'ala di carta velina. E così il prode
drago si accasciò al suolo, accanto al buzzurro, suo acerrimo
nemico. Fintantoché un brontolio dello stomaco gli tolse le
restanti forze e il valoroso drago si preparò. Alla morte.
Attese che la metallica voce della dea dalle forbici lo raggiungesse...
«L'unico biondo idiota che qui vedo sei tu!»
... ma a coglier il suo draghesco udito fu un ruggito del principe azzurro, che azzurro non era.
«La Morte mi sta per afferrare, compagno» disse Naruto,
prendendo le mani dello straniero e pregandolo per l'estrema unzione.
«O compare, poiché voi non siete azzurro, vi affido la mia
principessa. Tanto l'ho amata, lei che è sì bella e
leggiadra. Vi prego, se in cuor vostro risiede uno spaghetto di amor
cortese, difendetela al posto della vostra inutile vita!»
Il principe non più azzurro fu lì lì per dire che
la sua vita era tutto fuorché “inutile”. In fondo
qui si stava parlando del miglior principe degli Uchiha... che sarebbe
lui. Sennonché in quell'istante, nel pieno di una battaglia di
fendenti, ferite amare e colpi di fuoco – così fiera
sarebbe stata di lui la sua amata madre – anche il suo stomaco
emise un brontolio.
«O compare» disse allora al drago. «Rispetterei il
codice, se potessi. Mai negherei a un amico in punto di morte un ultimo
desiderio, ma già la vedo, la dea dalle forbici. Brancola per i
gradini del castel della morte.»
Indicò la figura avvolta nel mantello che trascinava i piedi
scheletrici e l'ampio seno verso le vittime prescelte. Però,
caspita, chi l'avrebbe detto che la crudele Morte vantasse un tale
davanzale fiorito e prosperoso.
«La vedo» pianse il drago, coprendosi gli occhi azzurri con l'ala bucata. «Riconosco il suo incedere.»
Sasuke non più azzurro serrò le palpebre, portando i palmi davanti al viso.
«L'ho vista» pianse. «Ho riconosciuto il suo incedere.»
Entrambi rifiutarono di guardare in faccia il triste destino che li
attendeva. Oh, avesse saputo il principino che la Morte lo avrebbe
colto, mai si sarebbe fatto convincere dalla sua amata madre. Al
diavolo l'onore, al diavolo la vendetta, al diavolo gli antenati e i
fasti! La Morte si schiarì la voce con un colpetto di tosse che
a Sasuke – ricordiamo ai lettori che lui era dotato di un olfatto
intelligentemente superiore alla plebaglia –, sì, insomma,
un colpetto di tosse che a Sasuke ricordò il sakè.
«Siete voi Sasuke Uchiha?» chiese le donna con un singhiozzo.
Sasuke tremò nei boxer di seta nera. Prima lui, avrebbe voluto
dire. Prima il drago. Dov'è finita la giustizia dei cieli in
questo mondo di dolore? Prima lui, avrebbe voluto ripete. Prima il
drago. Non sono io il miglior principe degli Uchiha? Non sono io tra i
due il più degno e meritevole di vita? Non è invece lui
una diabolica creatura delle tenebre?
«Siete voi o non siete voi, razza di imbecille?»
Sasuke trasalì. Razza di imbecille? Come osava! L'onore, quale
parte depravata di lui aveva solo pensato di poterlo perdere? Sasuke
saltò in piedi, sfoderò la spada, si preparò al
fendente. Avrebbe ucciso la Morte. Si sarebbe vendicato, l'avrebbe
condannata alla ghigliottina, no, all'impiccagione! Avrebbe innalzato
brindisi bevendo dal suo cranio, ma quando aprì gli occhi-
«Chi siete voi?» chiese con principesco stupore nella voce
soave. Al che anche il drago aprì gli occhi da rettile. Il
principe alla fin fine la riconobbe: l'ubriaca dei gradini, quella a
cui aveva, per bontà del suo animo, ceduto la splendida casacca
turchese.
«Non importa» disse la donna. «Siete voi Sasuke Uchiha-»
«Come potrei non esserlo?» chiese il principe non
più azzurro dimenticandosi di onore e vendetta e pompando il
petto in fuori.
«Bene» disse la rozza barbona. Gli porse una scatoletta
foderata da un fazzolettino nero. Ricamati nella stoffa vi erano dei
lecca-lecca bianchi e rossi, il sublime stemma della sua sublime
casata. «Tuo fratello mi ha detto di dirti che hai dimenticato a
casa la merenda.»
Visto che il principino non afferrava il concetto e tanto meno la
scatoletta, l'ubriacona la lasciò sulle scale e con la bottiglia
di sakè mezza vuota iniziò a scendere i gradini del
castel della morte. Sasuke sentì una lacrimosa pietà
mista a compassione nascergli in petto, un'umida nostalgia per il
fratello tanto caro, che sempre aveva amato. Perché suo fratello
era bello e intelligente e virtuoso...
«Che cosa c'è lì dentro?» chiese il drago, sbattendo gli occhioni da cucciolo.
«Ramen» disse Sasuke. Tolse il fazzoletto dalla scatola e
con un ulteriore brontolio di stomaco aprì il contenitore che
quella serpe viperosa di Mikoto Uchiha aveva ordinato alla
servitù di confezionare per il secondogenito.
«O compare» disse poi al drago. «Poiché
quest'oggi abbiamo sfuggito la morte, siamo diventati una squadra.
Ringraziamo gli dèi e dividiamo i doni di cui ci hanno graziato.
A mio fratello, l'eccelso Itachi Uchiha!»
Mangiarono di buon gusto, litigarono per l'ultimo pezzettino di carne,
ma alla fine riuscirono a lucidare il piatto senza inscenare una
battaglia a colpi di spada e di petardi. Quando ebbero riempito gli
stomachi di quel poco cibo che la buon'anima del santo Itachi aveva
concesso, si stravaccarono davanti al portone del castel della morte
per prendere respiro e recuperare le forze. Fintantoché il drago
di corte si ricordò della questione.
«La principessa!» balzò in piedi. «Voi siete
qui per uccidere la mia amata principessa, per portarla via dal
castello, incatenarla e farle violenza contro il suo nobile
volere» disse. Pianse lacrime di serio dolore. «O mio
compare! Mi strugge di dolore dovervi uccidere, ma la mia tanto amata
principessa non vuol lasciare il castello. Ella, leggiadra
com'è, aborra quei coglioni di principi azzurri-»
«Aborra i principi azzurri?» chiese il principino
interrompendolo. Si trovò a pensare, in fondo all'animo suo, che
forse cotal principessa non fosse tanto male, che lo scheletro che ella
ormai doveva essere contenesse ancora un briciolo di cervello
funzionante. E pensò dell'altro, nell'animo suo, ossia che lui
aveva un compito da svolgere, che a Uchiha Country doveva tornarci con
una principessa, fosse ella bella come un raggio d'aurora o scheletrica
come la carcassa di un cervo.
«A Uchiha Country, drago, ci sono piramidi di ramen, perfino
migliore di questo che per bontà del mio animo hai or or
mangiato» gli disse.
Così, sconfitto il rettile dalle nove code con annessi petardi e
fuochi d'artificio, il principe Sasuke Uchiha, tenendo la pericolosa
bestia per mano, varcò il portone del castel della morte e
andò alla ricerca dello scheletro regale.
VII.
Il principe, la principessa, il drago e il servitore sullo sgabello
Sasuke Uchiha, guerrier dal nome altisonante e dalla spada sfavillante,
batteva i talloni scalzi sulle piastrelle del tenebroso castel della
morte. Urla giungevano alle sue orecchie, urla duplici:
«Mi ucciderò!» sentiva in lontananza.
«Sconfitto è il mio drago! Schiava sarò fatta delle
brame di un buzzurro! Mi ucciderò! Mi ucciderò!»
Le seconda urla erano del drago stesso che aveva dato prova di polmoni
più efficienti di quelli del rinnegato Shisui, dannato di un
menestrello.
«Principessa!» gridava. «Non piangete! Non colpite il
tenero petto con la lama affilata della vostra spada. Vivo è il
vostro drago, principessa! Accorro! Accorro!»
Il drago – Naruto disse di chiamarsi – spingeva il nobile
principino in mutande per le scale, lo intimava alla fretta,
singhiozzava al pensiero di trovare la bella dama sul letto, in un mare
di sangue, ma Sasuke Uchiha non si affrettava. Camminava con il passo
composto che si addice a un regnante, con la convinzione che uno
scheletro non potesse perdere sangue e che le paure del drago fossero
infondate. Quando varcò la porta ad arco e trovò la
principessa, rimase a bocca aperta. Fissò la bella dama
circondata da un mare di lacrime, anziché di sangue.
Ammirò i morbidi capelli boccolosi, rosa come i fiori di un
ciliegio, la pelle così candida che pareva pronta ad accettare
l'arrivo della morte, i seni che sbucavano dalla scollatura della
vestaglia da notte, le dita che annodavano le lenzuola, creavano il
cappio che l'avrebbe consegnata alla dea della morte.
Il principe Sasuke la vide e la riconobbe: lei, con i suoi rosa capelli
e gli occhi smeraldo, lei era la degna protagonista dell'Harmony
custodito con tanto amore sotto il materasso; lei corrispondeva
dettaglio fisico per dettaglio fisico alla dama di cui conosceva a
memoria le disavventure. Lei era gli occhi che lo tormentavano prima
del sonno, lei era la bocca che lo baciava nei suoi sogni, lei era...
«State facendo pensieri non adatti ai minori, principe»
disse il tizio seduto sullo sgabello. «Mi vedo costretto a
censurare.»
Oh poco importava che quel plebeo avesse interrotto l'amabile pensiero
d'amore. L'aveva trovata! Dopo averla vista nel libro, baciata nei
sogni e amata da lontano, il principe l'aveva trovata! E persa non
l'avrebbe. Sul suo onore.
«Principessa!» gridò. Corse verso di lei, pronta a
intrecciare l'ultimo cappio attorno al collo e a buttarsi a penzoloni
giù dal letto. «Principessa, non lo fate, vi scongiuro. Se
è vero che in questo uomo batte un cuore, è vero
sì che in ogni donna di questo mondo io abbia sempre cercato voi
e il vostro amore. Non condannate al tormento un uomo che è qui
per onorarvi e rispettarvi, nella gioia e nel dolore, in salute e in
malattia, nella buona e nella cattiva sorte.»
Si mise in ginocchio, davanti ai sette materassi sui quali la leggiadra
fanciulla si adagiava. La leggiadra fanciulla che sì, finalmente
lo aveva visto, finalmente aveva staccato il sì bello sguardo
dal lenzuolo portator di morte. Lo guardava con labbra ancora tremanti
di caramelloso pianto.
«Sposatemi» le disse.
La gentil fanciulla emise un sussulto di stupore, mentre l'abile
stratega si faceva una bella padella di affari suoi e il drago, bestia
immonda, gridava che no! Sua era la principessa, lui che tanto l'aveva
amata sin dall'infanzia. E poco importava che fosse egli un drago.
Sarebbe diventato un principe per lei, un rospo, una cavalletta, un
cane da guardia e un cosacco. Qualunque cosa la sua dama desiderasse.
E tale gentil dama si alzò, si avvicinò al principe
Uchiha, portò il naso vicino al naso di lui, lo indagò,
cercò traccia di menzogna nei suoi occhi e disse:
«Voi!» Prese un respiro. «Voi... chi cazzo siete?»
Crollò il mondo sulle spalle del principino, mentre il servitore
sullo sgabello sospirava “Il linguaggio, principessa!” e il
drago rideva che ancora aveva una speranza di non ritrovarsi con il
cuore spezzato. Fintantoché il cuore del povero rettile si
spezzò, quando la principessa toccò gli addominali ben
scolpiti, accarezzò il naso dritto e regale del principe,
passò le sottili dita dalle unghie mangiucchiate nei capelli
corvini di lui e disse:
«Confermate di non essere il principe azzurro? È la vostra risposta definitiva? L'accendete?»
E Sasuke che di azzurro non avrebbe mai voluto avere niente, che
venerava la sacra divinità del nero, annuì, con un ghigno
di vittoria sulle nobili labbra e gioì in silenzio quando la
principessa, dama dei suoi sogni
harmoniosi,
lo prese per l'elastico dei boxer e lo tirò a sé,
schiacciò i suoi seni contro il petto ben scolpito di lui e lo
baciò con foga, rapendogli il fiato assieme al resto del suo
cuore.
Così mentre il drago Naruto piangeva, il servitore sullo
sgabello diceva che era ora e la principessa Sakura metteva in pratica
gli insegnamenti di lingua imparati a palazzo, il principe Sasuke
Uchiha, sollevato dall'esito della vicenda, pensò che le
leggende fossero vere e che sul serio un essere focoso abitasse il
castel della morte, ma che per sua immane fortuna non si trattava del
drago.
VIII.
E vissero per sempre felici e contenti
Così infatti fu.
Vissero per sempre felici e contenti non appena tornarono a Uchiha
Country, cavalcando l'immondo drago che la principessa travestì
da cavallo nero. Perché Sakura nulla al mondo odiava quanto il
bianco, il giallo e l'azzurro.
Vissero per sempre felici e contenti, per la gioia di Mikoto Uchiha,
Itachi Uchiha, Kakashi Hatake e dello stallier Deidara, che dopo secoli
di tentativi era riuscito a liberarsi dell'orrendo Priscillo.
Vissero per sempre felici e contenti. Tutti tranne Shikamaru Nara che
da eccelso stratega passò il resto dei suoi giorni a manipolare
le menti della plebe e a convincere il volgo che il principe Sasuke
Uchiha aveva sconfitto coccodrilli, estirpato piante carnivore e ucciso
il drago, salvando la principessa da un destino di morte certa. Rimane
falsità, menzogna e censura, ma l'abbiamo già detto no?
Qui si sta parlando di regalità e in regalità tutto
è lecito.
The End
---
Buona notte (sì perché ormai il tempo di scrivere lo trovo solo di notte)
Nemmeno io saprei definire questa cosa, un delirio pseudo-demenziale,
che la mia mente ha iniziato a partorire ieri, mentre camminavo per
Lubecca (mi sono ufficialmente innamorata di questa città), e
che in queste due notti mi sono impegnata a mettere per iscritto.
Impegnata... certo... come no. Si può chiamare impegno inserire
aggettivi stupidi e improbabili accanto ai sostantivi? -.-'.
Sennonché scribacchiare questo delirio pseudo-demenziale
è stato esilarante e fin troppo divertente. Ho persino svegliato
i miei compagni di stanza, ridendo da sola davanti al tablet. Il
problema è che sono dotata di uno humor davvero pessimo. Gli
inglesi mi fanno un baffo! XD
Quindi spero che nel leggere questa cavolata vi siate divertiti, almeno
in minima parte e almeno in qualche battuta. Non pretendo che il resto
della popolazione mondiale condivida il mio pessimo humor, ci
mancherebbe. ;-)
E ora vi auguro davvero la buona notte.
Odiblue (determinata a diventare una persona seria, serissima,
serierrima) <3