Ciò che
desideriamo e che affannosamente cerchiamo di ottenere è
ciò che davvero ci serve? Una vita dedicata alla carriera, a
seguire ideali che si credono indiscutibili per poi scoprire che tutto
ciò che davvero serve è semplice e necessario
come respirare. One shot ispirata dalla scena della morte di Oscar
nell’anime, quando per un istante rivede André che
l’attende sorridendo.
Estate 1766
Il silenzio. Questo la colpiva. E la luce, soffusa, paradisiaca che,
anche attraverso l’acqua verdastra e torbida del lago,
riusciva a filtrare colorando tutto attorno con un velo di azzurro e
smeraldo.
Poi sentì quel bisogno, quella fame d’aria e
controvoglia si rassegnò a lasciare quello stato di
benessere per soddisfare la necessità senza la quale non
poteva vivere: doveva respirare.
Diede un calcio sotto di sé, poi un paio di sforbiciate con
le gambe e cominciò a risalire verso la sfera luminosa che
intravedeva emanare raggi tutt’attorno, singoli, definiti
come quelli dipinti dai pittori nelle immagini sacre.
In un attimo tornò nel mondo, accecata dal sole di quella
tarda mattinata, quasi a picco, ora inguardabile senza quel filtro. Un
mondo che anche lì, nel mezzo della campagna desolata,
poteva dirsi silenzioso ma fastidiosamente reale per certi versi adesso
che aveva lasciato il limbo subacqueo.
- Allora? – gli domandò dopo avere preso qualche
profondo respiro, tenendosi alle tavole del pontile, muovendo piano i
piedi nudi per sostenersi a galla.
- Sì, sei migliorata Oscar, decisamente. – rispose
con un occhio al quadrante del cronometro ed uno a lei.
- Quantifica il decisamente. – lo incitò
aggrottando le sopracciglia.
- Tre secondi.
Lo sbuffo sconfortato e stizzito non fu una novità per
André: Oscar era sempre così intollerante con
sé stessa prima ancora che con gli altri. Ed ora che si era
fissata su quella cosa dell’apnea pretendeva sempre di
più dal suo corpo con insistenza quasi maniacale.
Era cominciato tutto quando l’ammiraglio Torquoi, pezzo
grosso della Regia Marina, era venuto in visita per qualche giorno a
palazzo Jarjayes e li aveva ammaliati con le sue storie di mare,
paurose ed eccitanti.
Uomo alla mano l’ammiraglio, con un carattere insolitamente
ciarliero e socievole per quel che si supponeva essere un solitario
lupo di mare che neppure il generale, con la sua abituale
austerità, era riuscito a trattenere; il marinaio in licenza
era rimasto piacevolmente soddisfatto dall’interesse che il
piccolo Jarjayes mostrava per i racconti delle sue avventure. Storie di
battaglie, contro gli uomini e contro la natura; storie
meravigliose di terre lontane, di mostri marini e di orribili usanze
marinare come il giro di chiglia che aveva terrificato André
e morbosamente incuriosito Oscar.
- Jarjayes, potrei rubarvelo questo vostro ragazzo! – era
arrivato ad esclamare l’ufficiale dopo una serie di domande a
raffica della ragazzina che, incantata ed eccitata, pareva essersi
scordata delle buone maniere impartitele dal generale e con
l’inseparabile André si era appollaiata gambe
incrociate sul tappeto del salotto, fissando senza finesse il nuovo
ospite ad occhi sgranati, spalancati sul mondo sconosciuto di cui lui
narrava.
- Ah no, Oscar è destinato ad una onorata carriera
nell’esercito come da tradizione famigliare, ammiraglio. -
aveva troncato il generale riguardo quella nuova possibile professione.
- Casomai cambiaste idea, gli troverei volentieri un posto nella mia
prossima spedizione. Ha davvero carattere questo vostro figliolo,
generale, e la marina è sempre in cerca di giovani ufficiali
determinati e pratici. – concluse il lupo di mare strizzando
l’occhio ad Oscar con aria complice.
Oscar, dopo la partenza dell’ammiraglio, si era persa a
rimirare immagini e modellini di navi e pur sapendo che il suo destino
non sarebbe stato quello di cavalcare le onde in mare aperto, si era
però messa in testa di migliorare il suo rapporto con
l’acqua. Da piccoli lei ed André avevano rischiato
di annegare nel lago del parco e, sinceramente, questa cosa non
l’aveva ancora superata. Aveva imparato a nuotare, meglio
sì, ma non abbastanza.
- Non abbastanza. – disse dando suono ai propri pensieri.
– Ci riprovo, André! Pronto … - e prese
fiato, turandosi il naso stretto tra due dita.
- Non credi di … - cercò di obiettare
l’amico, ma lei si stava già immergendo
ordinandogli con un gesto secco prima di scomparire del tutto sotto il
pelo dell’acqua di far partire il cronometro.
- … aver provato a sufficienza per oggi? … -
terminò parlando a sé stesso il ragazzino mentre
non poteva far altro che azionare il prezioso strumento donatole
dall’ammiraglio. – André, quando
sarà sufficiente lo dirò io! – fece il
verso imitandola – Ma certo, Oscar, chi sono io per farti
notare che la tua pelle sta raggrinzendo come una mela cotta? Chi sono
io per farti notare che, se ti prendi un malanno, la nonna mi
rincorrerà a mestolate per una settimana? Chi sono io per
… - sbuffò sconsolato – dire che mi sto
annoiando a morte a fissare questo orologio aspettando di vederti
ricomparire?
Lei si guardava attorno, nel verdastro colore del lago, circondata da
alghe trasparenti, flessuose, che ondeggiavano al minimo movimento
dell’acqua, scosse ogni tanto da qualche pesce guizzante che
giocava a nascondino in quella foresta. Era sola con sé
stessa e tutto pareva senza importanza in quell’oblio. Ma la
pace, il silenzio, la frescura mutarono in un istante in un malessere
profondo.
Guardò in alto verso la luce ed avvertì ancora la
necessità di aria, il bisogno di respirare di nuovo, di
lasciare il torpore per ricominciare a vivere. Una spinta e su, verso
la superficie, verso l’ombra indistinta oltre il confine
d’acqua, verso André che proteso dal pontile
guardava giù, attendendola.
- Accidenti, Oscar! Cominciavo a preoccuparmi, non ti vedevo
più! - esclamò spaventato rimuovendo
dalla mente l’immagine di Nanny che lo sottoponeva ad un giro
di chiglia per la sua negligenza.
- Quanto ho fatto?
- Troppo, dannazione! – disse mostrandole il cronometro, ma
nel farlo l’oggetto gli sgusciò di mano e, sotto
gli sguardi inorriditi di entrambi, cadde in acqua con un tonfo liquido.
- Imbecille che sei! Adesso lo vai a riprendere! –
gridò lei afferrandolo per il gilet e trascinandolo in acqua
con sé.
Si aiutarono con le braccia e le gambe, sbracciando e scalciando, senza
paura, spinti dall’ansia della caccia al recupero, verso il
fondale sempre più buio e limaccioso.
Per fortuna André riuscì ad afferrare
l’oggetto prima che scomparisse inghiottito dalle alghe del
fondale. Si sentì toccare una gamba e voltandosi
notò Oscar che lo aveva seguito. Anche nella penombra dello
stagno riusciva a vedere quanto fosse adirata perciò fu
svelto a mostrarle l’oggetto recuperato.
Oscar con un cenno gli intimò di risalire ma, quando ormai
il pelo dell’acqua era vicino, André smise di
nuotare e si attardò ad ascoltare. Ascoltava il silenzio.
Non sapendo perché, afferrò la mano di Oscar e la
trattenne sotto con lui.
Restarono lì, un istante eterno a fissarsi, estraniati da
tutto in quel limbo di pace, coscienti solo dell’acqua
carezzevole ad ogni loro anche appena percettibile movimento, di un
corpo senza peso, del battito lento del cuore, della consapevolezza che
una tale sintonia tra loro sarebbe mutata una volta risaliti.
Sorrisero, insieme, come se questi pensieri fossero condivisi da una
empatia difficile da sperimentare se non lì.
Compagni, complici come mai prima e, sotto sotto, la certezza di
sentimenti più grandi, difficili da capire, ammettere e
spiegare lassù, oltre il pelo dell’acqua.
Qualche bolla fuggì dalle loro labbra, segno che
poiché pesci non erano, il tempo concesso loro era scaduto.
Pochi calci, due bracciate ed il calore del sole li riaccolse nel
mondo, il loro mondo, quello in cui nel bene e nel male dovevano vivere.
Nuotarono fino a riva dove il peso del loro corpo tornò a
farsi interamente sentire e fu una sensazione davvero spiacevole, quasi
opprimente e per Oscar davvero irritante. Si trascinarono
nell’acqua bassa, lo fecero aiutandosi con le mani mentre
gambe e piedi si opponevano a riprendere la loro funzione di sostegno
finché non fu più possibile, scoprendo che questo
procrastinare la permanenza aggravava solo la difficoltà
dell’uscita.
Barcollando un poco si tirarono a riva ed Oscar, seccata,
strappò dalle mani di André il prezioso e, come
loro, zuppo orologio.
- Dai qua! – esclamò e lo portò vicino
all’orecchio. – E’ morto, lo sapevo!
André glielo strappò a sua volta per ascoltare.
- Ma no, ticchetta ancora. Hai solo le orecchie piene
d’acqua! Te lo dicevo che ci sei stata per troppo tempo!
Si lasciarono crollare seduti sull’erba, esausti e grondanti.
Il sole lampeggiava sull’acqua appena increspata del lago,
come mille specchi la luce vi si rifrangeva ed abbagliava la vista
costringendoli a strizzare gli occhi fino a doverli serrare per non
provar bruciore. E tuttavia una luce arancione filtrava ancora
attraverso le palpebre.
Scossi da un medesimo pensiero, nello stesso istante riaprirono gli
occhi e si voltarono l’uno verso l’altra.
Uno sguardo intenso e per un momento il ricordo di quella sintonia
provata sotto la superficie del lago tornò a farsi concreto
e le paure, le tensioni della vita si azzerarono in una sensazione di
sciocca beatitudine.
- Che facciamo? Torniamo a palazzo? – chiese lui per
interrompere il sogno di una intimità che sapeva impossibile
a concretizzarsi e che iniziava a sconvolgerlo.
Oscar fece spallucce, distogliendo lo sguardo da lui come se il legame
invisibile creatosi là sotto si fosse sciolto come le
estremità di un scivoloso nodo di seta.
- Ma no, restiamo ancora un po’, il tempo di asciugarci.
– propose atona.
- Approvo. - disse lui lasciandosi crollare sull’erba, pancia
all’aria.
- Bene. - commentò lei imitandolo, ma senza energia.
- Bene. - sospirò lui, riponendo con quella parola desideri
e sentimenti che avrebbe represso per molti anni.
***
14 luglio 1789
Stava morendo. Era una cosa che capiva, che sentiva naturalmente,
nonostante gli amici al capezzale la incitassero a resistere, mentendo
anche a loro stessi; era una cosa di cui non poteva fare e rifare
esperienza, ma sapeva che era arrivato il momento: lo riconosceva e ci
si arrese.
La vista le si appannò, chiuse gli occhi e rivide
mentalmente le stelle indicibilmente vivide di quella loro unica notte,
le lucciole numerose e brillanti; poi calò in un silenzio
irreale, ovattato, in un torpore benvenuto, invitante dopo
l’orrore di quei giorni ed il desiderio di abbandonarsi in
quella pace la pervase.
Ma il benessere durò poco trasformandosi repentinamente in
un freddo mai tanto freddo; ed arrivò la paura della
solitudine assoluta, dell’ignoto, con l’assenza di
lui, di lui che prima c’era sempre stato, rassicurante, di
lui che mancava terribilmente e faceva male come
quell’assenza di respiro, come la fame d’aria, come
sottacqua quel giorno al lago quando aveva fatto i conti con
sé stessa senza però farne né parola
né tesoro. Stava abbandonando la vita, dove la fortuna le
aveva concesso la possibilità di avere tutto ciò
che desiderava, sebbene ciò che aveva a lungo desiderato non
coincidesse con ciò di cui aveva realmente bisogno, bisogno
come l’aria. E poi, attraverso il velo, inaspettatamente lo
vide. Lui, oltre il pelo dell’acqua, che
l’attendeva con quel suo sorriso rasserenante.
Sorrise anch’essa e si lasciò andare, il corpo
senza più peso, di nuovo senza più freddo
né dolore, senza più nulla di importante dietro
di lei, consapevole che lì dove l’aria mancava non
era più il suo posto, che il tempo era scaduto. Sciolse le
resistenze, si arrese alla forza che la sospingeva fuori dal corpo, le
membra molli e si lasciò sollevare verso la luce.
Un’apnea. Solo il tempo di un’immersione in apnea e
sarebbe stata ancora con lui in quel nuovo mondo che le persone
chiamano aldilà dove il respiro non le sarebbe mai
più mancato.
- fine
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