How It All Started
Disclaimer:
SHERLOCK è della
BBC. La storia appartiene a round_robin.
L'originale la trovate qui.
How
It All Started
1.
Iniziò
tutto quando John smise di
uscire con altre donne. Ovviamente, Sherlock fu il primo a notarlo.
“John”
gli disse una sera Sherlock
dopo tre ore in cui nessuno dei due inquilini del 221B aveva aperto
bocca “Lo sai che è da un mese che non esci con
nessuno? E dato
che sei solito intrattenerti con la tua conquista di turno almeno un
paio di volte a settimana...”
John
alzò gli occhi al cielo,
ignorando volontariamente il commento dell'amico in merito alle sue
abitudini. Sherlock lo notò – John lo sapeva -, ma
non lo diede a
vedere, troppo immerso com'era a leggere l'ennesimo libro di scienze
forensi.
“Sì,
beh... credo di aver fatto un
favore a tutta Londra, no? Nessuna di loro credeva di poter mai
competere in alcun modo con te: metà era convinta che
andassimo a
letto insieme, l'altra metà non ne poteva più di
venire ignorata a
causa tua. Ho pensato che per un po' potesse essere una buona idea
uscire di scena.”
“Uhm...”
mormorò Sherlock con fare
distratto prima di lasciar cadere il discorso.
John
tornò a guardare la televisione e
Sherlock continuò a leggere il suo libro. Esattamente come
tutte le
altre sere.
Dopo
un'altra ora trascorsa nel più
assoluto silenzio Sherlock chiuse le pagine con un colpo secco.
“Ti
va se ordiamo qualcosa da
mangiare?” domandò Sherlock “Offro
io.”
“Volentieri”
rispose John spegnendo
la tv “Indiano?”
“Come
desideri” fece Sherlock
andando in cucina e aprendo il cassetto con i menù dei vari
take
away, trovando immediatamente il ristorante indiano preferito di
John. Prese il telefono e ordinò da mangiare per entrambi.
Non c'era
bisogno chiedesse all'altro cosa volesse, lo sapeva già.
Quando la
loro cena arrivò, si accomodarono entrambi sul divano a
mangiare
mentre Sherlock fingeva di guardare un film di fantascienza che a
John sembrava piacere parecchio e il consulente investigativo dovette
fare del suo meglio per non smontare tutti gli anacronismi storici e
l'impossibilità scientifica che un uomo venisse risucchiato
da un
vortice del tempo e finisse nel 1866.
2.
Poi
fu uno scivolone su uno straccio
bagnato.
John
fu sul punto di cadere, ma
Sherlock riuscì ad afferrarlo in tempo.
“Stai
attento” gli disse Sherlock
con un sorriso. E John lo ricambiò.
Per
tutto il resto del tragitto verso
casa Sherlock mantenne la presa salda sul braccio di John, ma nessuno
dei due disse nulla a riguardo.
3.
A
Scotland Yard qualcuno iniziò a
notare qualcosa durante la festa di compleanno a sorpresa che era
stata organizzata per Lestrade. John si era preoccupato di comprare
un regalo per l'ispettore, Sherlock non aveva idea che ci sarebbe
stata una festa, anzi. Era rimasto parecchio deluso dal fatto che
John lo avesse trascinato lì con la scusa di andare a vedere
se
NSY[1] aveva qualche caso interessante da
sottoporgli.
Lestrade
aprì il pacchetto con il
regalo di Sherlock e John trovandoci dentro un bel paio di guanti da
motociclista cuciti a mano e fatti della pelle più morbida
che
avesse mai sentito.
“Grazie
ragazzi!” disse
l'investigatore sorridendo in direzione dei due. La maggior parte dei
suoi colleghi nemmeno sapeva che avesse una moto... un regalo per
dedicarsi a una delle sue più grandi passioni era stato
alquanto gradito “Sono fantastici!”
“Siamo
contenti ti piacciano”
rispose John sorridendo prima di andare a prendere qualcosa da bere.
Era
una cosa che aveva già fatto,
quella di riferirsi a se stesso e Sherlock parlando al plurale.
Questo
è il nostro
appartamento, abbiamo finito il latte...
tuttavia quel
siamo
implicava un noi
diverso dagli
altri.
Greg
spostò lo
sguardo verso Sherlock per vedere se il consulente investigativo si
era accorto di qualcosa ma, a giudicare da come stava messaggiando (a
chi è che stava mandando messaggi se John era
lì...?) non ci aveva
fatto caso.
Lestrade
non avrebbe saputo dire se
Sherlock non si era accorto di nulla perché, tra lui e John,
le cose
semplicemente erano così.
Fu
piuttosto divertente il momento
quando fu proprio Sherlock a rompere il silenzio imbarazzante che era
calato.
“Scusa
Lestrade” disse l'uomo senza
guardarlo “Dobbiamo andare” continuò
indicando John con un cenno
della testa “Mycroft ha un caso per noi, di quelli che devo
risolvere per la Patria e la Corona”
concluse alzando gli
occhi al cielo.
John
gli rivolse un sorriso iniziando a
mettersi il cappotto.
“Ma
sembra interessante, e tu non
puoi dire di noi.”
“Esatto”
rispose Sherlock
assottigliando le labbra.
I due
salutarono – beh, John salutò
– e sparirono per le strade di Londra. Quando se ne furono
andati,
Greg fece del sul meglio perché tutti si dimenticassero di
quello
che avevano appena visto. In fondo non era nulla...
4.
Quando
Sherlock iniziò a sospettare
qualcosa, John gli stava ricucendo un braccio. In qualche modo
(scendere nei dettagli sarebbe stata una perdita di tempo e basta) il
consulente investigativo era riuscito a ferirsi con una rete
metallica. John immaginò che fosse dovuto a un caso che
Sherlock
stava seguendo ma non fece domande, si limitò a mettergli i
punti
prima di recuperare una siringa dalla sua borsa da medico.
“Sul
serio John, l'antitetanica?”
John
lo ignorò e disinfettò il
bicipite di Sherlock con un po' di cotone imbevuto di alcool.
“Due
parole: rete metallica. Di che
cosa sono fatte le reti metalliche?”
“Non
sono un bambino” gli fece
notare Sherlock con la voce bassa e il tono petulante che era solito
usare quando John esagerava con le sue premure da medico.
“Allora
sai perfettamente che è una
cosa necessaria. Stai fermo, mi serve solo un attimo” gli
disse
l'altro.
Il
biondo gli pizzicò leggermente la
pelle di Sherlock in modo da isolare l'area in cui infilare l'ago.
Sherlock non batté ciglio, si limitò soltanto a
voltare la testa
così che non dovesse guardare John. Questo, come al solito,
non
disse nulla.
Come
gli era stato promesso, il dottore
finì in un istante.
“Visto?”
gli disse John gettando
l'ago nel cestino adibito ai rifiuti chimici o pericolosi che
Sherlock teneva in cucina. Non ne era stato felice dell'arrivo di
quell'oggetto semplicemente perché voleva dire che Sherlock
era
intenzionato a dedicarsi a esperimenti sempre più pericolosi
ma,
alla fine, lo usava molto di più lui di quanto in
realtà non
facesse il consulente investigativo.
“Non
è stato poi così terribile,
no?” fece John sorridendogli e mettendogli un cerotto sulla
pelle
leggermente gonfia.
“Fa
ancora male” mormorò Sherlock
con il volto appoggiato sulla spalla, rifiutandosi di guardare John,
colui che non riteneva il suo corpo sufficientemente capace di
combattere da solo il tetano.
“Ok”
fece John chinandosi un po' e
lasciando un leggero bacio poco sopra il cerotto. Sul braccio di
Sherlock. Sulla sua pelle. Quando si raddrizzò, Sherlock lo
stava
finalmente guardando.
“Meglio?”
gli domandò John
offrendogli un altro sorriso.
Sherlock
deglutì rumorosamente.
“Sì”
sussurrò poi.
“Bene”
concluse John annuendo
alzandosi dal tavolo e cominciando a pulire il materiale che aveva
utilizzato per suturare la ferita gettando tutti i residui sporchi di
sangue nel cestino per i rifiuti chimici. Poi preparò il
tè.
“La
ferita si sgonfierà presto,
quindi tra un paio di giorni potremmo togliere i punti. Ma fino ad
allora, niente casi, ok?”
“Sì”
disse Sherlock senza in
realtà ascoltare quello che l'altro gli stava dicendo. Era
troppo
concentrato a capire se il lembo di pelle su cui John aveva posato le
labbra fosse effettivamente più caldo del resto del braccio
o se
fosse soltanto un illusione tattile creata dalla sua mente. Alla fine
concluse che non gli importava.
5.
La
prima volta che dormirono insieme,
John aveva appena avuto un incubo.
Ultimamente
ne aveva pochi e lunga
distanza l'uno dall'altro, ma dopo che finivano un caso capitava che
qualche lontano ricordo venisse rievocato provocandogli un incubo. E
questa volta era toccato a uno di quelli particolarmente brutti.
Sherlock
era in salotto ad accordare il
violino quando udì un grido provenire dal piano di sopra
seguito da
alcuni gemiti di terrore e un tonfo. Probabilmente John era caduto
dal letto. Sherlock avrebbe voluto accertarsi delle condizioni
dell'altro ma sapeva che probabilmente non avrebbe fatto altro che
peggiorare la situazione. Dopo un incubo, il carattere e l'orgoglio
del dottore rendevano difficile l'interazione con l'uomo, ragion per
cui Sherlock aspettò alcuni minuti prima di salire,
cosicché John
avesse modo di ricomporsi.
Non
aspettò che fosse lui a scendere,
per qualche ragione sapeva che in quel momento non l'avrebbe fatto,
così iniziò semplicemente a suonare. Forse John
lo ignorava, ma
Sherlock sapeva che all'uomo piaceva in particolar modo la musica di
Tchaikovsky. Per essere onesto, riteneva i lavori del compositore
troppo ricchi e stravaganti ma John sorrideva sempre ogni volta che
Sherlock suonava qualche pezzo di Tchaikovsky... probabilmente era
quella la ragione per cui aveva cominciato a eseguirlo più
spesso.
L'uomo poggiò il mento sul violino e iniziò a
suonare Il valzer
dei fiori, uno
dei brani che
John amava particolarmente.
Dopo
nemmeno un minuto si udirono dei
passi – leggermente zoppicanti sulla gamba sinistra -
scendere
pesantemente le scale. Probabilmente l'incubo doveva avergli
risvegliato ricordi molto dolorosi, ragion per cui il disturbo
psicosomatico di John si era subito fatto sentire. Quando si
svegliava la mattina dopo un incubo era tutto passato, ma in quel
momento stava male. E per quanto psicosomatico, il dolore era pur
sempre dolore.
John
entrò in salotto avvolto nella
coperta. Rimase in piedi sulla porta per almeno un minuto a osservare
Sherlock che si muoveva lentamente a ritmo di musica e senza
ricambiare lo sguardo. Non ce n'era bisogno. Dopo qualche istante,
John andò a sedersi sul divano continuando ad ascoltare
Sherlock
che, senza smettere di suonare, scelse un Passo a due sempre
dalla stessa opera.[2]
Con la coda dell'occhio vide John rilassarsi e appoggiare la testa
alla bracciolo del divano con gli occhi già chiusi, pronto
per
addormentarsi di nuovo. E forse più serenamente.
Sherlock
finì di suonare quel brano e
ne iniziò un altro, giusto per essere sicuro. Quando
finì anche il
terzo il respiro di John si era fatto regolare, segno che si era
ormai tranquillizzato. Sherlock mise con cura il violino nella sua
custodia e si diresse verso il divano. Senza dire una parola, John
alzò il braccio invitandolo a raggiungerlo e facendogli un
po' di
spazio sotto la coperta.
Sherlock
si arrampicò sul divano
appoggiandosi a John e stringendolo con le sue lunghe braccia. Il
divano non era nemmeno grande abbastanza perché stessero
seduti
comodamente in due, ma in qualche modo funzionò.
S'incastrarono
perfettamente senza il minimo sforzo. John abbassò il
braccio e
coprì Sherlock, stringendolo a sua volta.
Si
addormentarono entrambi senza che
nessuno dei due sentisse il bisogno di dire qualcosa.
6.
La
mattina successiva la signora Hudson
li trovò ancora così e decise che quel giorno
avrebbe fatto a meno
di passare l'aspirapolvere.
Non
disse nulla perché non era niente
che già non sapesse. Quella era solo l'ennesima conferma.
7.
La
prima volta che Sherlock provò a
parlarne era stato per colpa di un proiettile. Non era ferito
gravemente, solo un graffio o due, ma questo non aveva impedito a
John di preoccuparsi come ogni buon medico avrebbe fatto.
“Sei
consapevole che l'unica ragione
per cui l'ospedale ti ha dimesso è perché ti sei
comportato come
uno stronzo con tutte le infermiere che hanno provato a curarti,
vero?” gli disse John trafficando in camera del coinquilino
mettendogli a disposizione quello di cui avrebbe potuto aver bisogno:
bottiglie d'acqua, antidolorifici, riviste mediche e di scienze
forensi per Sherlock, garze, guanti di plastica e disinfettante per
lui.
“Pensavo
fosse perché ho già un
dottore a casa che può prendersi cura di me molto meglio di
tutti
quegli idioti del Bart's” rispose Sherlock con un sorrise
divertito
iniziando a sfogliare la pila di riviste che gli aveva messo a
disposizione John. Da qualche parte sapeva di aver intravisto un
articolo interessante in merito alla putrefazione dei tessuti.
“Sei
consapevole del fatto che ho
studiato anch'io al Bart's, vero?”
“Certo
che sì” rispose l'altro
annuendo “E poi sei andato in Afghanistan dove eri solito
curare
ferite da arma da fuoco ogni santo giorno” gli fece presente
indicandosi poi le costole, all'incirca all'altezza dov'era era stato
colpito “Io ho una ferita da proiettile e tu sei un esperto
in
materia. Non avrei potuto essere in mani migliori.”
“Questo
per te è tutto uno scherzo,
vero?” disse John ribollendo di rabbia cercando di restare
calmo,
sapendo che comunque la cosa non avrebbe scalfito Sherlock neanche un
po' “Ti hanno sparato, Sherlock!”
“Sono
stato ferito solo di striscio”
lo corresse.
“Da
un proiettile!” sibilò John
voltandosi di scatto per recuperare delle garze, incapace di guardare
Sherlock “Non ti ho mai chiesto neanche di una volta di fare
più
attenzione. Non ti ho mai chiesto di smettere di fare il tuo lavoro o
qualunque altra cosa. L'unica cosa che ti chiedo Sherlock è
di
riflettere su quanto il tuo essere colpito” Sherlock
aprì la bocca
per ribattere “-ok, colpito di striscio
da un proiettile mi
abbia fatto preoccupare.”
Ci
furono alcuni attimi di silenzio in
cui Sherlock cercò di mettere insieme il senso delle parole
John,
capendo quello l'uomo stava cercando di dirgli.
“Ti
hanno sparato quand'eri in
Afghanistan e questo ha messo la parola fine alla tua carriera
militare” spiegò Sherlock mentre l'altro serrava i
denti in
un'espressione contratta che poteva essere confusa con rabbia, ma on
lo era. Era dolore. “Eri fiero di essere un soldato e ti
piaceva.
Al momento non rinunceresti a questa vita per nulla al mondo, ma ogni
tanto ti manca il passato. E...” ci fu un secondo in cui il
cervello di Sherlock fece fatica a mettere insieme i tasselli. Erano
sproloqui senza senso dall'aria troppo sentimentale ma, guardando
John negli occhi, trovò la risposta che cercava “E
hai paura che
se io venissi ferito in modo grave da non poter più fare il
mio
lavoro, la cosa che mi devasterebbe molto di più di quanto
non sia
successo a te.”
“Esatto”
disse John con un sospiro
“Ogni volta che riceviamo una chiamata come questa.... non
posso
fare a meno di preoccuparmi.”
Rimasero
di nuovo in silenzio, uno più
lungo però, come per mettere la parola fine alla
discussione. John
aveva detto quello che doveva dire e Sherlock l'aveva ascoltato.
Messaggio ricevuto.
Il
dottore finalmente si mosse e
recuperò un paio di rotoli di garza dalla pila dei
medicinali e
iniziò a medicare Sherlock. Quando finì
andò in bagno e ne uscì
poco dopo indossando un paio di pantaloni di un pigiama e una
maglietta a maniche corte. Senza dire una parola, John salì
sul
letto di Sherlock, sdraiandosi dal lato non occupato dall'altro.
Si
era immaginato di dovergli spiegare
che, ferito com'era, avrebbe avuto bisogno di assistenza medica
durante la notte e che se fosse stato al piano di sopra non avrebbe
potuto fornirgliela tempestivamente. Sarebbe stato soltanto per un
paio di notte, giusto il tempo per accertarsi che la ferita di
Sherlock iniziasse a rimarginarsi.
Non
dovette dire nulla però perché
Sherlock non protestò in alcun modo. Anzi. Si
girò sul fianco sano
e mise un braccio sullo stomaco di John.
“John?”
lo chiamò Sherlock dopo
alcuni minuti di silenzio “Noi siamo...”
John
aspettò che l'altro finisse la
frase: Sherlock non era il tipo da pensare e non dire cosa gli era
passato per la testa. Ma quando non aprì bocca John
cercò di
venirgli incontro.
“Siamo
cosa?” domandò.
Sherlock
fece segno di no con la testa.
“Non
preoccuparti, non è importante.
Buonanotte John.”
“Buonanotte
Sherlock” gli rispose
l'altro chiudendo gli occhi. Immaginava cos'è che Sherlock
stesse
provando a chiedergli, ma in fin dei conti aveva ragione, non era
nulla d'importante.
Così
come non risultò importante il
fatto che qualche notte divenne praticamente ogni
notte.
8.
Poi
un giorno, per caso, arrivarono al
punto di non ritorno.
Come
al solito Sherlock stava mettendo
a soqquadro la cucina con uno dei suoi soliti esperimenti: era
chinato sul piano di lavoro vicino al lavandino con una lunga fila di
piastre di Petri in cui stava versando di tanto in tanto un qualche
liquido con un contagocce. Di solito a John non importava che
Sherlock conducesse esperimenti in cucina, fin tanto che puliva (e lo
faceva) per lui non era un problema. In quel momento sì,
però,
perché doveva prendere qualcosa da un armadietto sotto al
lavandino
e Sherlock era esattamente davanti all'antina.
“Sherlock”
disse John dandogli una
leggera spinta “Spostati un attimo, devo prendere la mia
cassetta
degli attrezzi da lì.”
“John”
disse Sherlock con la sua
voce paziente, quella che era solito utilizzare quando di pazienza
non ne aveva nemmeno per sbaglio “Devo aggiungere una goccia
a ogni
coltura di muffa a intervalli ben precisi, non posso spostarmi
un
attimo senza
il rischio di
mandare all'aria l'esperimento! Dovrai aspettare.”
John
alzò gli
occhi al cielo.
“Non
posso aspettare. Ho presso alla signora Hudson che oggi le avrei
aggiustato il forno e la mia cassetta degli attrezzi è
lì dentro,
quindi levati in qualche modo. Prova ad aprire un attimo le
gambe”
gli intimò l'uomo e, senza aspettare la risposta dell'altro,
John si
accovacciò sul pavimento, tenendo una mano appoggiata
all'anca di
Sherlock per non perdere l'equilibrio. Si fece strada –
seppur a
fatica – tra le gambe di Sherlock riuscendo ad aprire
l'armadietto
e recuperare la sua cassetta degli attrezzi prima di strisciare
all'indietro sul pavimento e rialzarsi in piedi.
“Visto?
Non è stata poi così dura.”
Poi
però notò che invece lo era stata eccome. O
meglio, che Sherlock lo
era.
Il
moro rimase
immobile davanti allo sportello, dimenticandosi completamente
dell'esperimento che stava conducendo. Con una mano ancora teneva il
contagocce mentre l'altra stava sfiorando leggermente il
rigonfiamento che aveva nei pantaloni, combattuto tra il desiderio di
nascondersi e quello di toccarsi.
La
pelle sotto la
stoffa dove John ancora teneva appoggiata la mano iniziò a
diventare
sempre più calda nel momento in cui Sherlock si rese conto
che
l'altro l'aveva visto. John vide il collo di Sherlock arrossire
deliziosamente: era indubbiamente la cosa più bella su cui i
suoi
occhi si fossero mai posati.
John
si ritrovò
incapace di pensare nel momento in cui si spinse leggermente in
avanti per andare a posare le labbra sul quel collo meraviglioso.
Gesto che però non fece altro che far arrossire Sherlock
ancora di
più. Se non altro John ebbe il buon senso di controllarsi e
non
iniziare a sfregarsi e spingersi in modo fin troppo eloquente contro
l'altro, così allontanò le labbra da quella pelle
caldissima e si
schiarì la gola.
“Vado
ad aggiustare quel forno” disse con la voce ruvida,
già carica di
desiderio “Non ci impiegherò molto. Finisci il tuo
esperimento e
quando torno possiamo... parlarne” concluse senza
però resistere
all'impulso di posare un altro bacio sul collo di Sherlock prima di
recuperare la cassetta degli attrezzi e uscire dall'appartamento.
Quando
Sherlock si
ricordò che era nel pieno di un esperimento, quello oramai
era già
ampiamente rovinato. Per qualche ragione però, la cosa non
gli
importò minimamente.
9.
Quando
John tornò nell'appartamento
trovò Sherlock seduto sul divano con le ginocchia strette al
petto.
Nel tentativo di darsi un contegno, il dottore andò in
cucina e
rimise la cassetta degli attrezzi al suo posto (cosa che
però non
gli rubò più di qualche secondo); poi fece un
respiro profondo e
tornò in salotto.
L'uomo
si fermò davanti al divano e si
schiarì la voce.
“Sherlock,
se vuoi anche solo-”
“John?”
lo chiamò Sherlock,
interrompendolo e alzando lo sguardo prima di distendere le gambe
appoggiando i piedi per terra. Non ci volle molto perché
l'altro
capisse quello che Sherlock stava cercando di mostrargli: era ancora
eccitato.
“Non
voglio parlarne.”
“Ok”
disse John annuendo, anche la
sua voce era poco più che un sussurro.
Sherlock
alzò un braccio e avvolse le
dita attorno al polso dell'uomo, trascinandolo verso di sé.
E John
non oppose la minima resistenza. Si sedette sulle gambe di Sherlock
ed unì le loro labbra.
Non
sembravano esserci le premesse per
un bacio, eppure arrivò comunque.
10.
La
loro prima volta avvenne solo dopo
molti mesi che dormivano insieme.
Di
solito, non si baciavano mai così
quando erano a letto perché John aveva paura che
l'eccitazione li
spingesse verso quel qualcosa che Sherlock non era ancora pronto ad
affrontare. Quella sera però avevano ancora troppa
adrenalina in
circolo a causa dell'inseguimento di qualche ora prima e avevano
pensato che sarebbe stato più facile prendere sonno se
fossero stati
già a letto. Non fu così.
John
afferrò con forza un'anca di
Sherlock, stringendolo possessivamente mentre si scambiavano un bacio
umido e affamato. Quando Sherlock interruppe il contatto
iniziò a
depositare una lunga scia di baci sul collo dell'altro (in quel modo
che faceva impazzire John) e mosse le anche in avanti, così
che le
loro erezioni, ancora nascoste dai vestiti, si scontrassero.
“John”
gli mormorò Sherlock sulla
pelle del collo “Toccami” fece poi muovendo
nuovamente il bacino
“Per favore.”
John
si immobilizzò e guardò l'altro
negli occhi.
“Sei
sicuro?” chiese.
Certo
che voleva che questo momento
arrivasse ma... non ne avevano mai parlato. John era certo che
Sherlock avrebbe voluto parlarne prima, se mai avesse voluto fare
quel passo in più.
“Sì”
rispose Sherlock annuendo e
spingendosi ancora una volta verso il dottore “Toccarmi, per
favore...”
John
non esitò a ribaltare le loro
posizioni con un colpo di reni, ritrovandosi così a
sovrastare il
corpo di Sherlock cercando di capire come potersi controllare e non
venire da un momento all'altro. Prima Sherlock, tutto sarebbe dipeso
da come avrebbe reagito l'uomo.
John
gli abbassò i pantaloni del
pigiama liberandogli così l'erezione.
“Cristo”
bisbigliò il dottore.
Non
che non l'avesse mai visto...
vivevano insieme e da tempo oramai condividevano bagno e camera,
quindi non c'era niente di nuovo. Ma adesso era diverso. Meglio.
John
dovette appellarsi al suo
autocontrollo per evitare di gettarsi sul corpo dell'altro e
spingersi contro di lui finché non avessero raggiunto
entrambi
l'orgasmo, ma sapeva che doveva andare piano. Voleva che Sherlock si
godesse ogni istante. Così con una mano circondò
l'erezione calda e
svettante dell'altro ed entrambi gemettero mentre Sherlock afferrava
le spalle di John mormorando il suo nome.
“Sono
qui” gli bisbigliò il
dottore all'orecchio chinandosi su di lui e lasciando una lunga scia
di baci su ogni centimetro di pelle dell'altro che riusciva a
raggiungere: guance, labbra, collo, spalle.
“Sei
stupendo” disse John
“Fottutamente meraviglioso!”
Con
un altro paio di movimenti decisi,
Sherlock venne e John non fu in grado di resistere a quella visione.
Iniziò a spingersi contro una coscia del moro
finché anche lui non
raggiunse l'apice del piacere.
Rimasero
così, avvinghiati in un
ammasso appiccicoso di gambe e braccia, finché entrambi non
si
addormentarono con un sorriso sulle labbra.
11.
Quando
Sherlock tirò nuovamente fuori
l'argomento, John era in ospedale.
“Si
tratta solo di una piccola
commozione cerebrale” spiegò ila dottoressa
mostrando a Sherlock e
John gli esiti delle radiografie “Ma considerato il suo
passato
medico e militare, preferiamo tenerlo in osservazione per una
notte.”
“Sono
in grado di assisterlo
perfettamente anche a casa nostra” rispose Sherlock facendo
del
proprio meglio per tenere sotto controllo il tono di voce,
riuscendoci. Più o meno. Il suo corpo non ne voleva sapere
di
collaborare e i suoi occhi continuavano a fissare con aria
preoccupata la radiografia. L'unica parola che conosceva e che
avrebbe descritto perfettamente il suo stato d'amico era panico.
“Signor
Holmes” disse la donna sorridendo gentilmente “Ci
prenderemo cura
di lui.”
Sherlock
fu
travolto da uno di quei rari momenti di debolezza in cui non riusciva
a trattenersi dal verbalizzare le sue paure.
“Non
voglio che resti qui da solo. Non abbiamo mai dormito l'uno senza
l'altro da quando...” Dio, non si ricordava nemmeno quando
tutto
era iniziato.
“Può
stare con lui” disse la dottoressa “Chi ha
contratto un'unione
civile ha gli stessi diritti di tutte le altre coppie
sposate.”
Sherlock
distolse
lo sguardo dalla radiografia per osservare la donna. Loro non
erano... era solo- no, no. Era meglio se non dire nulla. Se le
deduzioni – sbagliate – della donna gli avrebbero
permesso di
restare con John, lui di certo non l'avrebbe corretta. Ma c'era
davvero qualcosa da correggere?
“Sì”
disse lui annuendo “Grazie” aggiunse girandosi e
facendo
svolazzare le code del cappotto dietro di lui mentre tornava verso la
stanza dov'era ricoverato John.
Entrò
quando
l'infermiera stava uscendo, rassicurandolo sul fatto che aveva appena
fatto una visita di controllo a John e che avrebbe potuto dormire
senza problemi ma che comunque sarebbe tornata a svegliarlo tra un
paio d'ore.
“Ok”
fece Sherlock annuendo di nuovo e ringraziandola. Non appena
l'infermiera se ne andò, Sherlock collassò sulla
sedia accanto al
letto e prese una mano di John tra le sue.
“John?”
provò a chiamarlo.
Due
occhi dall'aria
alquanto assonnata di aprirono a fatica.
“Rilassati”
sussurrò il dottore “Sto bene.”
“Certo
che stai bene” fece Sherlock sforzandosi di sorridere ma John
riusciva chiaramente a vedere la fatica che gli stava costando quel
gesto “Cosa farei senza il mio blogger?”
John
si limitò a
sorridere prima di richiudere gli occhi.
“John?”
lo chiamò nuovamente Sherlock dopo un paio di minuti.
“Uhm?
Che c'è...?” fece John con
la voce impastata dal sonno. Sapeva che doveva lasciarlo risposare
ma...
“Noi...
abbiamo una relazione?”
domandò.
John
sospirò divertito e aprì gli
occhi prima di portare l'altra mano su quelle di Sherlock e
carezzarlo dolcemente con il pollice.
“Chi
è che te l'ha fatto notare?”
chiese ridacchiando a fatica “La dottoressa o
l'infermiera?”
“La
dottoressa” rispose Sherlock
“Crede abbiamo contratto un'unione civile. Ovvio che non
è così.
Non abbiamo i documenti che lo attestano ma... abbiamo ugualmente una
relazione?”
John
ridacchiò sul serio e strinse una
mano di Sherlock.
“Sherlock,
io e te abbiamo una
relazione da che mi sono trasferito al 221B. All'inizio era una
relazione aperta, visto che uscivo ancora con delle persone, ma alla
fine ho smesso. Io e te abbiamo sempre funzionato meglio.”
“Sì”
disse Sherlock. Aveva senso e
ricordava senza la minima difficoltà quando John aveva
smesso di
uscire per i suoi appuntamenti occasionali. E ricordava anche tutto
il resto: il momento in cui avevano iniziato a dividere lo stesso
letto, a tenersi la mano, a baciarsi... e tutte le altre cose.
Guardando le cose da una prospettiva più generale, quella
che
avevano non poteva definirsi in altro modo che una relazione. Era
stato uno stupido a non capirlo prima.
“Quindi
si può dire che abbiamo una
relazione da due anni?” domandò l'uomo vedendo
John annuire “Non
è cosa che avrei dovuto in qualche modo notare?”
John
rise di nuovo.
“No,
questa non lo è.”
“Già...”
rispose Sherlock non
potendo obiettare, strano, visto che non era da lui “Non
è nemmeno
una cosa di avremmo dovuto in qualche modo parlare?”
John
smise di sorridere e la sua
espressione si rilassò.
“No”
rispose semplicemente il
dottore “E' qualcosa di cui non è mai stato
necessario parlare.”
Ancora
una volta, Sherlock annuì.
John
aveva ragione, non c'era bisogno
che ne parlassero. Non era stato necessario dichiararsi
perché,
semplicemente, l'avano già fatto.
12.
Alla
fine, per pura e mera praticità
logica, fu Sherlock a proporlo.
“Stiamo
invecchiando” gli aveva
detto l'uomo facendo alzare gli occhi al cielo a John. In effetti
aveva senso che Sherlock avesse iniziato a fare piani per il futuro
nel momento in cui, guardandosi allo specchio, aveva trovato un primo
capello bianco. John già ne aveva quando si erano incontrati
per la
prima volta e la cosa non gli aveva mai creato problemi. Anzi...
Sherlock gli aveva detto che gli piacevano.
“Ok...”
fece John sorridendogli
“Come desideri.”
“E
considerata la natura pericolosa
del nostro lavoro. Se-se dovesse succedermi qualcosa, vorrei che
fossi... al sicuro. In tutti i modi possibili” gli
spiegò
Sherlock.
Le
labbra di John si curvarono in
sorriso e gli prese la mano poggiata sul tavola, stringendola
dolcemente.
“Lo
stesso vale per me.”
Non
ne fecero un caso di stato, si
limitarono semplicemente ad andare a firmare i documenti. Sherlock si
era ampiamente lamentato perché avevano dovuto aspettare
anche
troppo perché tutto fosse pronto, ma questo gli aveva dato
modo di
abituarsi all'idea. Non dissero niente a nessuno anche se John
sospettava fortemente che Mycroft avrebbe saputo tutto entro un'ora
dalla firma e gli avrebbe fatto recapitare un regalo assurdo e
stravagante direttamente a Baker Street. Comunque fosse, non serviva
che gli altri lo sapessero, quella era una cosa tra loro due.
John
aveva deciso di indossare un
anello. Sherlock no. A entrambi andava bene così.
13.
Non
ne avevano mai parlato. Non avevano
mai sentito il bisogno. Non perché era molto più
semplice, ma
perché non serviva farlo. La verità era che
stavano insieme dal
momento in cui John si era trasferito a Baker Street con Sherlock.
E
così era stato.
Note
dell'autrice:
Probabilmente
ho fatto un po' di confusione nel quinto paragrafo ma ho voluto
inserire Tchaikovsky perché Lo
Schiaccianoci è
la mia storia di Natale preferita. Se ho fatto qualche errore e
qualcuno ne sa più di me, ditemelo pure!
Note
della traduttrice:
[1]l
NSY, New Scotland Yard.
Si chiamava solo Scotland Yard era ai tempi del vero Sherlock Holmes.
[2]
L'opera in questione, sia per il Valzer
dei Fiori che il Passo a Due
è Lo
Schiaccianoci.
Questa
storia è stata una bella sfida
da tradurre perché, nonostante la semplicità
della trama, era
scritta molto in inglese in uno stile decisamente
diverso dal mio e al quale mi sono dovuta adattare. E' diversa rispetto
a quello su cui
lavoro di solito ma... è troppo bella. L'autrice spera
vivamente che
vi sia piaciuta e la traduttrice spera di essere riuscita nell'intento!
LaTuM
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