Capitolo 1
La regina delle onde
Sveglia. Mattina. Sole fastidioso che si infiltra nella
stanza attraverso il rotolante della sua porta-finestra rotta: una volta chiusa
non si sarebbe riaperta. Anna era lì, in quell’atmosfera che sfiorava il surreale,
distesa sotto il lenzuolo, testa sotto il cuscino che tentava di dormire.
“Una pecora, due pecore, tre
pecore…” contava. Ma ormai non c’era più niente da fare, quella fievolissima
luce di sole che era riuscita ad intrufolarsi nella stanza di Anna era
mentalmente riuscita a destarla.
Anna sbuffò sonoramente,
combattuta tra lo svegliarsi e il rimanere a vegetare a letto per ancora
qualche minuto. Alla fine la seconda opzione prevalse sulla prima, senza che
lei potesse evitarlo. Quindi buttò le gambe sotto al letto, seguite
faticosamente dal corpo e dalla sua bocca che pronunciava epiteti non proprio
carini contro il rotolante che permetteva al sole di insinuarsi in camera sua
mentre lei stava dormendo. Si trascinò a fatica fino allo specchio, osservandosi
e sorridendo nel pensare che sua madre quello lo definiva “look selvaggio”:
pigiama sistemato male, pieghettato e pendente dalla parte destra, i capelli
rossi mossi tutti scompigliati, che si preparavano alla loro quotidiana
battaglia contro Messer Pettine. E se i suoi occhi neri lanciavano fulmini, le
lentiggini rendevano quella rabbia poco credibile, e il contrasto poteva farla
sembrare quasi buffa.
Ma quello era il look che Anna
aveva quando era il sole che la svegliava con i suoi raggi insistenti. E di
solito questo precedeva di poco l’urlo di sua madre.
-
ANNA SVEGLIATI! – proveniva puntualmente dal piano di
sotto.
Anna finì di darsi un’occhiata
generale: il viso rotondo, il deretano all’in su, un seno prosperoso, e alta un
metro e 62. Una ragazza normale. A conoscenza di questo fatto, lei sapeva che
anche se di fisico non era il massimo, trovarne come lei di carattere era cosa
più unica che rara, quindi non si dispiaceva di essere più brutta della maggior
parte delle gallinelle che infestavano i luoghi dove svolgeva la sua vita. Poi
si lavò, si vestì, e scese le scale per fare colazione, sempre ovviamente
mantenendo quel suo buon umore mattutino, accresciuto dal fatto che Messer
Pettine quella mattina aveva subito una sconfitta eclatante.
E a sua madre non sfuggì questo
particolare insignificante. – Che è successo ai tuoi capelli, Anna? -.
-
Buongiorno, eh! – replicò Anna, offesa per il mancato
saluto. - È il sole. Lo sai che mi dà noia vedere la luce di prima mattina! -.
-
E, signorinella, questo dovrebbe essere un motivo
sufficiente per avere i capelli scompigliati? – domandò di rimando sua madre
addentando un toast.
Ma a togliere Anna dalla
situazione di dare alla madre una risposta poco conveniente fu una voce che si
levò cantando.
-
È primavera, svegliatevi bambine. Alle Cascine messer
aprile fa il rubacuor… -.
L’unica reazione di Anna quando
sentì il padre cantare fu un sospiro. Credeva di essere molto intonato… ma
entrambe le due donne che sedevano accanto al grande tavolo rettangolare
sapevano che non era affatto così.
Il padre di Anna entrò in cucina
continuando a mugolare e con tutta la non chalance di cui una persona dispone
prese un toast e ci spalmò sopra della marmellata di arance, la sua preferita.
-
Allora, usignolo, che programma hai oggi? -.
-
Vediamo… - Anna fece finta di pensare. - … sì, credo che
andrò in spiaggia. – e tornò a concentrare la sua attenzione sul suo toast con
la marmellata di ciliegie.
La madre inorridì a sentire
quelle parole, e le sue corde vocali si lasciarono andare in un gridolino
acuto. – Ma non ti ricordi che giorno è oggi? -.
-
Hai ragione. – rispose subito Anna, per rimediare la
gaffe. – Auguri mamma! Buon compleanno! -.
-
Ma che compleanno e compleanno! – il volto era diventato
rosso.
-
Mamma, è una giornata estiva, di sole. Dovrei ricordarmi
qualcos’altro? – Anna sapeva perfettamente che non era il compleanno di sua
madre… sperava solamente che la madre capisse da quella risposta ironica che
non aveva la più pallida di cosa potesse esserci di importante quel giorno.
-
Sì, dovresti! Oggi è la Comunione di tuo cugino Mattia. -.
Anna, che per un momento aveva
pensato di essersi dimenticata di una cosa importante, come per esempio un
campionato di surf, tirò un sospiro di sollievo non appena capì che la cosa
aveva meno importanza del tè che si stava raffreddando nella sua tazza. –
Allora fagli gli auguri anche da parte mia. -.
-
Smettila di dire assurdità. Avrai modo di farglieli tu
stessa. -.
Questa volta il volto di Anna si
contrasse in un’espressione contrariata. – Dobbiamo andarci per forza? -.
-
No. – ottenne come risposta. – Li ho invitati tutti qui,
al mare. Saranno qui, verso le cinque. -.
-
E io ci dovrò essere? -.
-
Che domande, certo che sì! Io e tuo padre ti concediamo di
andare in spiaggia ma sii qui entro le quattro. -.
Anna lanciò un’occhiata a suo
padre, e si leggeva negli occhi che era stata lei che aveva deciso tutto e lui
non aveva avuto alcun modo di replicare. Quindi si limitò ad accettare le
imposizioni dispotiche di quella donna. In effetti si chiedeva cosa ci trovasse
uno come lui in una come la mamma, avendo caratteri completamente diversi: lui
così allegro e gioviale, e lei invece così perfettina e tirannica.
Uscì di casa con il suo zaino in
spalla, decisa a godersi tutta la spiaggia che poteva, e forse forse anche un
po’ di più. E ovviamente a dedicarsi al mare, perché niente le dava più
soddisfazione che infrangere le onde col suo kite surf. I suoi genitori erano
convinti che fosse uno sport pericoloso, anche perché non troppo tempo prima un
ragazzo era morto praticandolo, ma lei provava troppo gusto a muoversi tra le
onde e un secondo più tardi a volteggiare indisturbata a 9 metri d’altezza, con
il soffio del vento che le sfiorava la faccia.
Nel tratto di strada che da casa
sua conduceva al suo paradiso personale c’era una pineta, con tanto di ferrovia
e ruscello. E piaceva passeggiare lì, anche se si allungava la strada di
qualche minuto rispetto al tempo che avrebbe impiegato usando la strada
principale. Eppure lei si ostinava a passare di lì, perché in qualche modo la
aiutava a riflettere. E forse a volte si immergeva un po’ troppo nei suoi
pensieri… sì, decisamente troppo… La sua attrezzatura da surf cadde a terra.
-
E sta’ più attento imbranato! – protestò lei mentre si
chinava per vedere che tutto fosse a posto e che nulla avesse subito dei danni.
-
Mi dispiace. – si scusò il ragazzo che l’aveva scontrata.
– Ma anche tu avevi la testa fra le nuvole. -.
-
Dispiace anche a me! – esclamò risentita.
-
Ti ho chiesto scusa. – replicò tranquillo il ragazzo.
Dopo essersi assicurata che
tutta la sua attrezzatura stesse effettivamente bene (e c’era da chiedersi come
potesse una ragazza come lei portare tutta quella roba), si decise a rivolgere
un’occhiata gelida al suo interlocutore. Si accorse che era un ragazzo, alto,
magro, non troppo muscoloso, con i capelli tagliati corti e di un biondo che
quasi sfiorava il bianco della sua pelle. I suoi occhi azzurri la stavano
fissando.
-
Lo so. – ribatté lei, in tono ostile. – E per tua fortuna
il mio surf non si è fatto niente. -.
-
Io mi chiamo Geremia. – si presentò lui, quando lei ebbe
finito di raccogliere tutto. – Per gli amici Gemia. -.
-
Sì, certo, va bene. – annuì lei con aria di sufficienza,
poi lo scansò e proseguì.
-
Come ti chiami? – la fermò.
Sospirò, innervosendosi ancora
di più. – Non penso siano affari tuoi. -.
-
Io però il mio nome te l’ho detto. -.
Ecco, la goccia che fece
traboccare il vaso. – E quand’è che te l’avrei chiesto, scusa? – non aspettò la
risposta. – A mai più rivederci. -.
E tirò dritta per la sua strada
non guardando indietro, pentendosi per essere stata così suscettibile, ma quel
piccolo barlume di risentimento si spense al pensiero che quello aveva fatto
cadere il suo surf. E quindi dentro di lei cominciò a insinuarsi qualcos’altro,
ossia la spiacevole sensazione di aver dimenticato qualcosa di estremamente
importante per lei.
Arrivata alla spiaggia però
decise che qualunque cosa fosse non era più importante della giornata di surf
che le si prospettava davanti, quindi cominciò subito, e per mezza giornata ci
furono solamente lei, il sole e il mare. E tutto il resto era poco più che
un’ombra insignificante.
Erano le 3 e mezzo quando
cominciò a riporre a posto le sue cose, se non che vide venirle incontro una
sua amica di scuola, Sveva.
-
Anna, tesoro! Come stai? – era l’entusiasmo che Sveva si
portava dietro ovunque andasse.
-
Benissimo. Tu? -.
-
Altrettanto, grazie! – rispose lei, raggiante.
Notò che i lunghi capelli
castani di Sveva con il sole estivo stavano diventando biondi. Sveva era una
bella ragazza. I suoi occhi erano verdi, era più magra di Anna, e più alta. E
non era un’oca anche se a volte poteva sembrarlo. Eppure a lei mancava il
caratteraccio di Anna, e questo probabilmente la rendeva meno interessante agli
occhi dei più.
Anna era rimasta stupita della
sua presenza. – Come mai qui? -.
-
I miei genitori hanno deciso di venire in vacanza qui. Con
mio cugino. -.
-
Tuo cugino? – Anna era perplessa. Aveva sentito spesso
Sveva parlare del cugino ma non l’aveva mai visto. Da quello che aveva sentito
sembrava un tipo a posto.
E Sveva indicò un ragazzo biondo
che si stava avvicinando. Anna cambiò immediatamente idea: non era affatto un
tipo a posto.
Anna lo fulminò con lo sguardo.
– Tu! – sbottò.
-
Ciao! – salutò il biondo cordialmente, sorridendo.
Sveva sembrava sorpresa. – Vi
conoscete? -.
-
Avrei tanto voluto non farlo. – replicò Anna.
-
Mi dispiace per il tuo surf. – replicò quello. – Ma non ti
sembra di farla troppo lunga? -.
Anna come una furia si voltò
verso Sveva. – Hai parlato di me a… lui? – domandò, cercando un modo per
definirlo.
Sveva scosse la testa.
-
Si vede. – constatò Anna. – Altrimenti saprebbe che io e
il surf siamo una cosa sola. – guardò l’orologio, e sbuffò. – Adesso invece
arrivano i miei di cugini. Piaghe. – abbracciò Sveva. – Spero di rivederti
domani, se sopravvivrò alla Comunione di Mattia. – poi invece lanciò un ultimo
sguardo verso Geremia. – Quanto a te invece spero di non rivederti! -.
E girò sui tacchi, inoltrandosi nuovamente per la pineta.
Sospirò perché sapeva quello a cui stava andando incontro e non le sembrava
piacevole. Poi le capitò per caso di sentire una notizia alla radio di un
vecchietto seduto all’ombra di un albero, su una panchina.
Parlava dell’avvistamento di Stub nelle vicinanze. Si
guardò intorno sospettosa.
Stub era un assassino a pagamento. Pagato dalle grandi
organizzazioni di spionaggio ovviamente. In effetti si poteva dire che tutta la
sua famiglia era molto desiderata dalle organizzazioni dai spionaggio: lui era
un assassino, suo fratello era un rapitore e suo padre era una spia. Non c’era
male.
Solo che la madre di Anna diventava isterica quando
sentiva parlare di Stub e Anna credeva che se la notizia le fosse giunta
all’orecchio non le avrebbe più permesso di uscire di casa. Ma il mondo era
tanto grande, perché doveva venire proprio lì lui? Non le risultava che in quel
buco di località marina ci fossero persone talmente importanti da dover
giustificare la sua presenza.
Quindi decise di non dar importanza alla cosa.
E appena arrivò a casa, vide dei lunghi capelli corvini e
degli occhi viola guardarla, sul volto appuntito di una ragazza così magra che
poteva sfiorare l’anoressia. Taglia 38…
-
Ciao Lavinia. – salutò Anna senza metterci più
entusiasmo di quello richiesto per la cottura di un uovo al tegamino.
-
Anna! – esclamò quella ragazza, sorridendo e mettendo
in bella mostra i perfetti denti bianco Oral B.
Era la sorella di suo cugino Mattia, e quindi per la
proprietà transitiva era anche sua cugina. Cosa avesse fatto di male per essere
imparentata con lei Anna doveva ancora capirlo.
-
Mi sei mancata. – disse subito Lavinia, abbracciandola.
Anna la respinse. – Lavinia. Perché fingere così? Lo
sappiano entrambe che non ci piacciamo. Oggi stiamoci lontane e vedrai che
andrà tutto per il meglio. -.
Il volto di Lavinia si distese. – Sono contenta che sia
stata tu a dirlo, cugina. – sorrise. – Perlomeno se adesso ci chiederanno
perché non ci rivolgiamo la parola potrò dare la colpa a te. – alzò le spalle e
andò via.
Anna rimase a guardarla, cercando qualcosa da lanciarle
dietro, non troppo grosso per non farle troppo male, ma nemmeno troppo piccolo…
giusto qualcosa per farle venire un bel livido sull’occhio, ma a parte un
cazzotto ben assestato non riusciva trovare niente che avrebbe potuto far
passare la cosa come un incidente. A dire la verità nemmeno un cazzotto ben
assestato lo avrebbe fatto, ma almeno si sarebbe tolta una soddisfazione.
Ma fu distratta dai suoi pensieri da sua madre. – MA COSA
TE L’HO COMPRATO A FARE UN CELLULARE, EH? DOV’ERI FINITA? -.
-
Avevo da fare. – rispose lei liquidando in questo modo
la faccenda.
Ad un tratto diventò tutto buio. Qualcuno le aveva messo
le mani sugli occhi. Toccò le mani e indovinò subito. Sorrise, e si voltò,
saltando al collo del proprietario delle mani, che la prese e la sollevò per
aria.
-
Federico! – esclamò lei.
Federico era l’unico suo cugino che non detestava e una
delle poche persone a cui voleva bene. Aveva 2 anni in più di lei ed era alto
giusto giusto 2 metri. Snowboarder e giocatore di basket. Federico se la
sistemò sulle spalle.
-
No Fede, come quando ero piccola no! – protestò lei.
-
E invece sì, cugina. – annuì lui. E si mise a correre
per il giardino in direzione della casa di Anna, con lei sulle spalle. –
ARRIVANO I NOSTRI!!! – salì su uno scalino, prese uno skateboard e scese le
scale con quello… dallo scorrimano.
Appena toccarono il pavimento Federico rimise per terra
Anna, che stava ridendo. – Sei sempre il solito. -.
-
Certo. Non vorresti mai che il tuo cuginone preferito
cambiasse, ammettilo. – sorrise.
-
No. – rispose Anna. – Mai. -.
Poi lui le lanciò un’occhiata obliqua. Le vide il pareo e
il costume. – Bel look per una Comunione… - commentò.
-
Oh, accidenti! Prima ho incontrato mia madre ma era
troppo arrabbiata per accorgersene. – fece una pausa, e sorrise ancora di più.
– Sì, dai! Rimediamo all’errore. Andiamo da lei. -.
-
No, non serve far arrabbiare inutilmente tua madre. Ti
basterà entrare di nascosto in camera tua. -.
-
Al primo piano. – gli ricordò Anna scettica. – Santo
surf, manchi un solo anno da casa mia e ti scordi dov’è camera mia? -.
-
In effetti è un po’ complicato. – ammise lui. – Allora
facciamo così. Io distraggo tua madre e tu… -.
-
E TU VAI IMMEDIATAMENTE A CAMBIARTI ANNA! – urlò una
voce isterica dietro di loro.
Si voltarono tutti e due per vedere la madre di Anna
paonazzamente furiosa rivolta verso la figlia. Anna la guardò con aria di
sufficienza, e rivolse uno sguardo di sfida a Federico. – Chi arriva per ultimo
è una capra zoppa! -.
E cominciarono entrambi a correre verso camera di Anna
passando tra gli invitati che lanciavano sguardi scandalizzati a quella
ragazzina dai rossi capelli ribelli. Ma a lei non importava. Arrivarono in
camera e si chiusero la porta dietro le spalle ridendo.
-
Capra zoppa! – esultò Federico. – Sono arrivato prima
io. -.
-
Pura fortuna… -.
-
No, è la bravura del tuo cuginone super sportivo. – le
scombinò i capelli.
Anna aprì l’armadio e prese il primo vestito che le capitò
a tiro. – Questo andrà benissimo. – decise.
Federico la guardò dubbiosa. – Sai potresti almeno provare
a fingere che te ne importi qualcosa e che tu sia felice che noi siamo qui. -.
-
Io sono felice che tu sia qui. Siete tu e mio
padre la mia famiglia. Il resto potrebbe anche sparire e non mi mancherebbe. -.
Federico sapeva bene che il carattere non ipocrita e
difficile della cugina le causava dei problemi. Più che causare problemi a lei
li causava agli altri che non lo sopportavano.
Federico uscì dalla stanza per permettere ad Anna di
cambiarsi senza sentirsi imbarazzata. Poi lei uscì. Aveva indossato una maglietta
bianca, sbracciata, e un paio di pantaloni dello stesso colore, ed era anche
riuscita a dare una spetto decente ai capelli.
-
Togli il fiato. – le disse lui.
-
Sì sì. – minimizzò lei. – Non ti ho chiesto pareri. -.
Uscirono, tornando giù, e suo cugino Mattia le venne
incontro. Quella piccola peste.
-
Allora cugina? – domandò. – Sono il festeggiato. Non si
usa più fare gli auguri? -.
-
Auguri. – sibilò Anna con tutta l’intenzione di
augurargli sciagure.
-
Su, è un giorno di festa! – esclamò Federico. – Che ne dite
di mettere da parte ogni tipo di ostilità? -.
Tentarono tutti e due di scambiarsi un sorriso amichevole
ma tutto quello che uscì sui loro volti fu una smorfia molto tirato.
E poi Anna vide una chioma bionda che si avvicinava alla
casa. Tirò leggermente una gomitata a Federico, mentre Mattia era piegato per
sistemarsi i pantaloni eleganti.
Federico vide il ragazzo che si avvicinava alla casa e
afferrò al volo il messaggio della cugina.
-
Anna deve finire di sistemarsi Mattia. Andiamo. – e senza
tanti complimenti afferrò il fratello e lo portò via, mentre Anna usciva dalla
porta sul retro.
E prima che qualcuno potesse vederlo si slanciò su Geremia
e caddero tutti e due dietro a un cespuglio.
-
Anna! – esclamò Geremia.
-
Che ci fai tu qui? – sibilò lei.
-
Hai scordato questi stamattina. – le porse i suoi
occhiali da sole.
-
I miei occhiali da sole! – esclamò lei afferrandoli. –
Non vivo senza. -.
-
Credo che un semplice “grazie” possa bastare. -.
Lei li indosso subito. – Con questi va decisamente tutto
molto meglio. -.
Geremia la osservò. – Stai bene vestita così. – le disse.
Per tutta risposta ebbe uno sguardo torvo. – Attento a non
guardarmi troppo. Adesso devo andare. -.
-
Stasera ci sarà una festa sulla spiaggia. Mi farebbe
molto piacere se tu venissi. -.
-
Non contarci. -.
Anna fece per uscire dal cespuglio quando vide che la sua
madrina la stava guardando dal porticato con sguardo interrogativo. – Io… -
perché non le venivano in mente scuse credibili?
Fortunatamente Geremia le venne in aiuto porgendole un
mazzo di chiavi.
-
Io ho scordato le chiavi. – le sventolò per aria in
modo che la madrina potesse vederle.
Quella annuì un po’ sospettosa, ma poi tornò a
concentrarsi sulla chiacchierata che stava svolgendo con un’altra parente.
Geremia afferrò Anna per un braccio e la tirò giù. – Sono
le chiavi della mia macchina! -.
-
Non posso dartele adesso. -.
-
Non le voglio adesso. – sorrise. – Le aspetto alla
festa. -.
Anna era stata incastrata. – Non mancherò di fartele
arrivare. – sibilò minacciosa.
E Anna tornò in casa, andò nella sala dove si trovavano
tutti gli invitati, individuò Federico, lo afferrò per il braccio e lo trascinò
quasi di peso in camera sua, chiudendo la porta dietro di lei.
-
Che c’è? – domandò Federico.
-
Ho un problema! E tu devi aiutarmi! -.
Nulla di nuovo. Federico era abituato ad assecondare la
cugina. E infatti lei cominciò a parlare. – C’è una festa sulla spiaggia
stasera. E devo andarci. E tu mi coprirai! -.
-
Aspetta un minuto signorina! – esclamò Federico. – Chi
era quel ragazzo? -.
-
Un amico di Sveva. – rispose Anna. – Mi ha incastrata.
-.
Federico sorrise. – Allora è in gamba se è riuscito ad
incastrare te. Come ha fatto? -.
-
È praticamente riuscito a darmi le sue chiavi e vuole
che gliele restituisca alla festa. -.
Federico scoppiò a ridere. – E bravo il nostro Don
Giovanni. Sai che ti dico cuginetta? Va’ e divertiti stasera. – dopodiché uscì
per pensare ad un modo credibile per coprire la cugina.
Anna rimase in camera per decidere i vestiti che avrebbe
indossato quella sera. Che le piacesse o meno aveva un debole per gli abiti e
le piaceva abbinare i colori… in fondo era comunque figlia di sua madre.
Così mentre lei frugava nei meandri dell’armadio, Mattia
chiuse a chiave la porta della camera di Anna dall’esterno… lei non si accorse
di nulla, perché si era incantata a guardare il mare dal balcone con la
finestra aperta. Venne un colpo di vento. La finestra si chiuse.
-
Oh, fantastico! – esclamò lei. – E adesso chi la
riapre? -.
Si diresse verso la porta e mise la mano sulla maniglia.
Provò ad aprirla senza riuscirci. Riprovò e di nuovo nulla.
-
Magnifico! – esclamò. – Che cosa può succedere di
peggio? -.
Un secondo dopo sentì uno strano odore provenire dal piano
di sotto. Non riusciva a classificare quella puzza… poi la riconobbe. Fumo.
Puzza di fumo. E con quella urla isteriche provenire dal piano di sotto.
-
INCENDIO! -.
Anna impallidì. – Come sarebbe incendio? – cominciò a far
forza sulla porta. Cominciò a battere i pugni in modo che qualcuno la sentisse
e magari aprisse o sfondasse la porta. – APRITE LA PORTA! -.
Ma le parve evidente che in casa ormai non era rimasto
nessuno, mentre il fumo ormai stava entrando in camera sua. Si allontanò dalla
porta respirando piano e prendendo un fazzoletto con cui coprirsi naso e bocca.
Pensò per un momento di passare dal terrazzo per poi ricordarsi che la
portafinestra si era chiusa accidentalmente e non poteva essere riaperta. Si
voltò di scatto per trovare altre possibili vie di uscita, ma nel farlo urtò il
suo surf che le cadde addosso. Svenne, cadendo per terra con un sonoro tonfo.
Il fumo fu raggiunto dal fuoco, bruciando la porta.
Lei giaceva lì, per terra, priva di sensi.
E nessuno l’avrebbe aiutata.
L’Angolo della Matrix
Ciao a tutti.
Eccomi qui tornata con una nuova storia.
Su questa ff ci sono da dire un po’ di cose: la prima è
che come la maggior parte delle mie storie è imprevedibile e che quindi
accadono cose strane che nella vita reale non accadrebbero mai (o
perlomeno non che io sappia…), quindi se leggete cose che vi sembrano impossibili
sappiate che lo sono e che lo so perfettamente…
La seconda cosa è che tra poco tempo andrò in vacanza e
quindi causa viaggi vari non potrò aggiornare costantemente.
La terza è che sono gradite recensioni sia positive sia
negative.
La quarta è che questo è il riadattamento di una storia
che ho scritto 2 anni fa… quindi lo svolgimento dei fatti è già deciso..
premetto questo perché in alcune altre ff ho cercato di accontentare i desideri
dei miei lettori… cercherò di farlo anche qui per quanto mi è possibile ma non
sconvolgerò questa storia, a cui tra l’altro sono molto affezionata.
Credo di aver detto tutto…
Spero che la storia vi piaccia ^^
@matrix@