Capitolo
1 – UN RAGAZZO NEL CESPUGLIO
S’intrufolò veloce tra un cespuglio e l’altro di
basse piante odorose e aromatiche. Fece molta attenzione a non uscire
dalle zone d’ombra delimitate dalla fiaccole accese
nella notte fiorentina.
Poco lontano, al tavolo imbandito per il desco serale, gli invitati si
erano quietati dopo la cena abbondante, pronti per sentire declamare dei
bellissimi versi.
Ogni sera il signore faceva recitare agli ospiti del suo circolo,
qualche poesia nuova, o opera famosa.
O così sentiva dire nelle presentazioni di quei poeti.
Spesso non riusciva a udirle, costretto a lavare i piatti e i grandi
vassoi dove gli uomini avevano cenato ma, a volte, stando bene attento,
capitava che le fantesche si distraessero abbastanza da concedergli il tempo di
sgattaiolare fra gli alberi e nascondersi per ascoltare.
Come quella sera.
Rannicchiato, ginocchia al petto, dentro un grosso cespuglio, attese
che quell’ospite dall’aspetto giovanile ed elegante cominciasse a declamare.
Nell’attesa il cuore gli batteva per la trepidazione. Lo sentiva
battere forte nel petto, come un tamburo. TUM TUM TUM
«…Nel mezzo del cammin
di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era
smarrita…»
Sussultò, tenendosi le mani al petto. “La commedia in volgare!” pensò
entusiasta e azzittì anche i pensieri, tutto teso nell’ascoltare, rapito da
quei versi immortali.
***
Il giovane che citava a memoria i versi della Commedia, si fermò e gli
ospiti che lo ascoltavano, applaudirono soddisfatti.
Anche il giovinetto ebbe la
tentazione di applaudire ma, aveva paura di farsi scoprire, così rimase in
silenzio. Un secondo uomo, alto e moro, con uno sguardo sereno e un profilo
deciso, si alzò dal tavolo.
Poteva vederne la sua ampia schiena chiusa in un farsetto verde acqua.
L’uomo s’inchinò in modo cortese e trasse da una tasca una pergamena
accuratamente piegata.
«Questa piccola poesia è per lei, mio
signore. Spero che l’aggraderà ascoltarla» disse
l’uomo cominciando a parlare. Recitò un breve poemetto dedicato al dio Amore,
in volgare.
Il ragazzino, chino nel boschetto odoroso, rimase in un silenzio
ammirato, fino alla fine della poesia.
Lentamente gli ospiti della cena se ne andarono, parlando l’uno con
l’altro.
Il giovinetto rimase chiuso nel suo silenzio, meditabondo. Della sua
vita, solo la poesia e quei magnifici oggetti chiamati libri, erano stati
capaci di allontanarlo dalla sua miseria. Dalla sua povera
esistenza di orfano fiorentino.
Nostalgico, rimase accoccolato per un tempo che non seppe datare, fin
quando due uomini ritornarono lentamente verso il giardino.
Sentendo quei passi, rimase ancora più immobile per non farsi
scoprire.
I due giovani non li riconobbe, nella
penombra della notte, fin quando non parlarono tra loro.
«La tua memoria è sempre
prodigiosa, amico mio»
L’altro giovinetto sorrise: «E tu sai sempre
toccare al cuore, con le tue poesie. Marsilio era in estasi! E non ha smesso di
parlarmi di Eros fin quando qualcuno non me l’ha staccato di dosso!»
«A chi l’hai rifilato?» rise l’altro poeta dai capelli castani.
«A quel pittorino
che si è da poco aggiunto a noi»
«Quello pare farsi incantare
dalle idee di Marsilio!»
«Dai! Non prenderlo in giro! E’ bravo, ed ama la poesia»
Il bruno poeta sospirò, sedendosi su una panchina che era posta poco
lontano dal cespuglio dove era racchiuso il ragazzo.
Guardò la serena notte stellata ed esclamò: «Sotto questo cielo, Pico, dimmi, chi può non amare la poesia?»
Quella frase detta così con
serena compostezza da quel giovane sconosciuto, si piantò nell’animo del
ragazzo come un divin dardo nel cuore.
Prima di pensare, sbucò dal cespuglio, facendo sussultare i poeti.
Era lì. Quella breve frase era stata in grado di rappresentare tutto
il senso della sua vita. Eccola. Non vi era altro di prezioso che lui
possedesse, se non quelle perle di magnifica poesia. Quelle perle che riusciva a raccogliere, di
nascosto, mentre cadevano dalla bocca dei poeti.
Nel buio, i due uomini distinguevano a malapena quel giovinetto ossuto
sbucato dal cespuglio. Increduli lo fissarono.
Il fanciullo fece per parlare. Aprì la bocca
in un impeto di parola ma, poi la richiuse, muto.
Cosa mai poteva dire, lui, ad uomini che
sapevano giocare con le parole come cavalieri in una giostra?
Lui che a malapena sapeva leggere?
Con il cuore gonfio di triste rammarico, rimase in silenzio anche
quando il primo poeta chiese: «Chi è là?»
Non ebbe il coraggio di rispondere ma, un'altra voce lo fece per lui.
Quella di una fantesca: «Ecco dov’eri finito!
Diavolo di un ragazzino! Sempre ad oziare! Tutte le
volte che c’è da lavorar di più, tu sparisci!» e per
rendere chiara l’idea lo afferrò per un braccio. «Ma
adesso basta! Questa è l’ultima volta che fai il fannullone! Vieni con me!» e detto questo, lo strattonò fuori dal cespuglio senza
badare ai graffi e alle escoriazioni.
«No io non…» esclamò il ragazzino, lanciando un’ultima occhiata a due uomini poco lontano.
Lì guardò solo per un attimo, poi chinò il capo, seguendo la fantesca.
Non c’era proprio nulla che avrebbero potuto
dir lui.
***
Pico sorrise: «Era solo un servitore!»
L’altro inarcò un sopracciglio, perplesso: «Chissà che ci faceva in
quel cespuglio…».
«Non hai sentito? Scappava ai lavori in
cucina» rise Giovanni detto Pico: «Non si trovano più
i giovinetti volenterosi di una volta, non trovi Angelo?»
«Già!» sorrise.
«Rientriamo nella villa?»
L’alto giovane lanciò un’ultima occhiata perplessa al vialetto nel
parco dov’erano spariti i due servitori, poi annuì.
«Andiamo! Messer Lorenzo si chiederà dove siamo finiti!»
***