Ciao a tutti ^__^
Finalmente, dopo un po’ di tempo passato a tradurre, sono riuscita
a completare questa songfic dedicata alla coppia Zel/Amelia. Questo è
il mio primo tentativo in questo genere, quindi siate clementi!! Non so nemmeno
se la lunghezza sia adatta a questo tipo di fic, ma non sono riuscita a fermarmi
dallo scrivere così tanto…questa canzone mi ha sempre fatto venire
in mente Zelgadiss e la sua perenne ricerca di una cura e trovo che gli si
addica molto. Fatemi sapere cosa ne pensate mi raccomando!!
Tutti i personaggi di Slayers sono Copyright © 1989-2003 di Hajime
Kanzaka / Rui Araizumi / Kadokawa Shoten / TV TOKYO / SOFTX / Marubeni ...
e di un sacco di altre persone…
Favola
By Quenya
La foresta era ancora immersa nella densa penombra notturna quando una figura
ammantata comparve, facendosi strada tra la vegetazione. Camminava lentamente,
senza nessuna fretta, facendo sollevare in lente spire la nebbiolina che si
stava formando, e poi all’improvviso si fermò, sollevando verso l’alto
il volto coperto dal pesante cappuccio del mantello. Era chiaramente un uomo
ed anche se restava immobile la sua figura alta e ben proporzionata dava
un’impressione di potenza, aumentata dalla spada che portava al fianco. Poteva
essere qualificato come un guerriero, tuttavia la strana aura che lo circondava
faceva intuire subito che in lui c’era qualcosa di diverso.
Non sembrava tanto strano, dunque, che fosse così tranquillo viaggiando
da solo nel cuore della notte in una terra solitaria come quella.
L’alba era vicina e sopra gli alberi il cielo terso e limpido d’un blu profondo
si stava lentamente sfumando in un turchese sempre più chiaro, appena
velato da sottili nuvole bianche che sembravano nastri di seta, orlati dall’oro
dei primi raggi di sole. Seguendo la fonte di luce la figura riprese a camminare
fino a che la vegetazione iniziò a diradarsi e il terreno cominciò
a salire verso un piccolo promontorio ; dopo un attimo di pausa l’uomo si
diresse decisamente verso quella direzione e aumentando il passo, arrivò
sulla cima proprio quando i primi raggi del sole illuminarono le rocce ai
suoi piedi.
Investito in pieno dalla luce, Zelgadiss Graywords socchiuse gli occhi mentre
con una mano abbassava la maschera che gli copriva metà viso ; la sua
pelle di pietra brillò per un momento, riflettendo i caldi raggi e
lui osservò con un sospiro il meraviglioso paesaggio che si estendeva
sotto di lui. Era arrivato in un punto da cui si poteva dominare l’intera
valle di Dariel, la selvaggia regione dove, secondo alcuni antichi testi,
un anziano e potente stregone aveva eretto la sua dimora secoli prima.
Zel aveva sperato di poter trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che lo avesse
potuto aiutare a ritornare normale, ma nonostante tutti i suoi sforzi, non
aveva trovato niente. Nei pochi libri che aveva faticosamente estratto dai
quei vecchi ruderi non c’era assolutamente niente che potesse restituirgli
il bene più prezioso che Rezo, il Monaco Rosso, gli aveva portato via
: la sua umanità.
Zel si lasciò cadere sul terreno. Quanto tempo? Quanto tempo e fatica
gli erano costati quell’inutile ricerca? Sempre in giro per lande sconosciute,
sempre chino su libri di magia in biblioteche male illuminate…perché
non riusciva ancora a capire che quello che stava cercando era semplicemente
impossibile? Ormai aveva imparato gli incantesimi più strani e rari
e aveva letto trattati sull’uso della magia considerati perduti, accumulando
un sapere tale da poter soddisfare anche il più esigente mago del mondo…
perché continuare ancora? Forse perfino quella pazza di Lina Inverse
a quel punto si sarebbe accontentata!
Zel sorrise lievemente al ricordo dei suoi compagni di avventure. Dopo la
conclusione della vicenda della Dark Star, non li aveva più rivisti,
preferendo concentrarsi nella ricerca della sua cura. Quanti anni erano passati?
Ormai non se lo ricordava neanche più. Anni di solitudine, di disagi,
di aspre delusioni e inutili scoperte.
E tutto per inseguire un’illusione.
Con un gesto di stizza Zel prese la borraccia vicino a lui e bevve un sorso
d’acqua fresca, cercando di mandare giù il sapore amaro del fallimento
che aveva in bocca. Quando la riposò a terra un lampo azzurrino attirò
la sua attenzione : il globo turchese di un braccialetto rosa legato al collo
della borraccia risplendeva nel sole.
Amelia.
Zel prese di nuovo in mano l’oggetto, guardandolo pensosamente. E piano
piano a quella consunta immagine si sostituì il volto sorridente di
una ragazza dalla pelle chiara, con i corti capelli neri che le danzavano
intorno al viso e gli occhi blu che lo guardavano intensamente.
Gli aveva dato uno dei suoi bracciali quando si erano salutati, in quella
fredda mattina di tanto tempo prima, pregandolo di fargli avere sue notizie.
Ma lui non le aveva mai scritto.
Nonostante la loro amicizia fosse stata spesso sul limite di un sentimento
ben più profondo, lui non era mai riuscito a vincere la propria diffidenza
e ad aprirle il suo cuore. Dato che non poteva concedersi distrazioni nella
sua ricerca aveva deciso che soltanto dopo aver trovato la cura avrebbe potuto
pensare a cose frivole come il suo interesse verso di lei.
Perché, nonostante avesse cercato di dissimulare la cosa a se stesso
in tutte le maniere, alla fine aveva dovuto ammettere che un interesse c’era.
C’era eccome.
Questa volta il pensiero dell’inutilità dei suoi viaggi gli provocarono
un forte dolore al posto della solita rabbia e frustrazione. Non potendo tornare
umano non avrebbe potuto mai avere una vita normale…come poteva tornare da
lei dopo tutto quel tempo? Come poteva pretendere di venire accolto da una
società che per primo aveva rifiutato? Magari Amelia si era già
sposata…che diritto aveva di tornare dal passato come un fantasma? No, la
soluzione migliore era proprio quella : restare ai margini del mondo come
aveva fatto per tutto quel tempo. Quello era l’unico posto dove un mostro
come lui avrebbe potuto vivere.
Si lasciò cadere indietro, restando disteso a braccia aperte sul
terreno. Come sarebbe stato bello rimanere così per sempre…
L’idea gli venne in mente così, all’improvviso. Aprendo gli occhi
e osservando il lento scorrere delle nuvole nel cielo si chiese come sarebbe
stato osservare quel paesaggio per tutta la sua vita. Aveva girato per così
tante terre, senza sentirsi a casa sua da nessuna parte, quindi perché
non prendere come casa il mondo che lo circondava?
Quasi evocato dalla sua stessa coscienza un incantesimo gli si affacciò
alla memoria. L’aveva trovato in uno dei suoi tanti viaggi, in una delle tante
biblioteche sepolte chissà dove : era un testo che parlava di trasformazioni
di esseri umani in altri organismi viventi. Zel si era sentito sul punto
di trovare quello che desiderava ma sfortunatamente il libro, dopo aver illustrato
l’incantesimo per trasformare uomini in animali e piante, non riportava il
procedimento inverso. Forse erano stati solo degli studi sperimentali o forse
c’era un secondo volume, fatto sta che il paragrafo finiva solo con una frase
sibillina riguardante la volontà o il desiderio o una cosa simile.
Non ricordava bene la parola.
Qualsiasi fosse stata la ragione, in quel momento Zel trovò incredibilmente
allettante il pensiero di trasformarsi in qualcos’altro. Era così stanco…così
stufo di sentirsi estraneo in ogni posto, unico nella sua mostruosità…voleva
essere uguale ad altri esseri viventi. E se non avrebbe potuto tornare umano
allora sarebbe diventato un albero.
E raccontano che lui si trasformò
in albero e che fu per scelta sua che si fermò
e stava lì a guardare la terra partorire fiori nuovi.
Non ricordava nemmeno come fosse successo. Era stato quasi naturale, quasi
spontaneo pronunciare quell’antico incantesimo e quando una spessa corteccia
aveva cominciato a circondare il suo corpo, non si era sentito prigioniero,
non si era chiesto a cosa stava rinunciando…c’era solo l’immensa voglia di
riposare, di lasciarsi alle spalle tutti i problemi, tutti i cattivi pensieri
legati alla sua vita.
E così si era ritrovato ad osservare il mondo nella sua nuova forma
arborea.
Stranamente non aveva perso la sua identità. Zel aveva pensato che
magari si sarebbe addormentato e i suoi sensi si sarebbero assopiti, completamente
soppiantati da quelli vegetali. Invece non era stato così: si erano
modificati, questo era vero, ma lui rimaneva comunque consapevole di quanto
gli accadeva intorno.
Fu un nido per conigli e colibrì
il vento gli insegnò
i sapori di resina e miele selvatico
e pioggia lo bagnò.
Imparò a distinguere i profumi che gli portava il vento ed osservò
il lento mutare delle stagioni, gioì delle belle giornate di sole ma
capì anche la poesia della pioggia che batteva sulle sue foglie…era
incredibile quanto fosse meraviglioso osservare la natura con occhi diversi
: tutti quei fenomeni a cui prima non faceva caso o che addirittura lo infastidivano
avevano preso un significato diverso e gli comunicavano una grande serenità.
Il ritmo della vita che batteva dentro e intorno a lui gli fece dimenticare
i suoi giorni di affannosa ricerca e Zelgadiss scoprì di non rimpiangere
affatto la sua vecchia vita : finalmente aveva trovato quella pace con se
stesso che aveva cercato inutilmente per tantissimo tempo e per la prima volta
nella sua intera esistenza si sentiva veramente vivo. Non era più il
solitario spadaccino sempre rivolto alla sua egoistica ricerca, né
il suo corpo era più composto di sterile roccia…ora sentiva davvero
di fare parte degli esseri viventi, di tutta quella varietà di forme
che popolavano il mondo. Era talmente felice che si stupiva ogni volta che
sentiva la vita pulsare intorno a lui : gli uccellini che venivano a posarsi
sui suoi rami, dove nidificavano e ingaggiavano furiose battaglie canore…i
conigli e gli altri piccoli animali che scavavano tane tra le sue radici…osservare
i primi esitanti passi delle nuove cucciolate nel sole del mattino...tutto
questo lo faceva sentire veramente bene, come se nell’essenza della creazione
avesse trovato il naturale bilanciamento alla sua natura di chimera, creatura
nata dalla magia di un uomo folle e dall’ambizione di un ragazzo. Si era sempre
sentito come una specie di mostro, un insulto alla vita creato dal miscuglio
di un golem, di un demone e di un umano, ma adesso…adesso era tornato ad
essere una semplice, normalissima forma di vita.
La mia felicità - diceva dentro se stesso -
ecco l’ho trovata ora che sto bene
e che ho tutto il tempo per me
non ho più bisogno di nessuno.
Ecco la bellezza della vita che cos’è
Quando avrebbe potuto mai osservare ed apprezzare veramente tutte quelle
cose nella sua vita passata? Troppo preso dai suoi problemi non aveva mai
neanche cercato di guardare oltre i ristretti confini della propria misera
esistenza. Ma ora aveva trovato la via giusta, che lo aveva portato ad una
comunione con la natura tale da fargli comprendere la vera essenza della vita.
Senza nessuna preoccupazione, senza nessuna fretta, avrebbe continuato a
vivere in quel modo, offrendo riparo e rifugio agli animali, sicuro della
propria importanza ed utilità per tutto l’ecosistema sopra di lui.
Questo era un pensiero che gli piaceva molto : essere utili agli altri era
una cosa che non lo aveva mai sfiorato, prima. Era vero che aveva aiutato
molte persone con la sua magia, difendendole e combattendo per loro
però…sopra tutto c’era sempre la necessità di trovare al più
presto una cura. Questa ansia gli aveva impedito di assaporare la vita e lo
aveva spinto a non fermarsi mai a riflettere sul vero significato delle sue
azioni. Quante volte aveva tagliato corto con i convenevoli delle persone
accorse a ringraziarlo per poter guadagnare solo dei miseri minuti di viaggio
in più? Adesso invece cominciava a capire il piacere di donare senza
chiedere nulla in cambio, ed era allo stesso tempo indipendente ed autonomo
come non lo era mai stato in vita sua.
Si, decisamente trasformarsi in albero era stata la cosa più giusta
e sensata che avesse mai fatto.
Ma un giorno passarono di lì due occhi di fanciulla,
due occhi che avevano rubato al cielo un po’ della sua vernice
e sentì tremar la sua radice
“Principessa, se lei permette io direi che potremmo accamparci qui per stanotte”
Il suono di varie voci maschili e dei loro lenti passi interruppero la quiete
della foresta, facendo sollevare stormi di uccelli spaventati dall’improvviso
avvicinarsi del rumore. Dopo qualche attimo, infatti, un gruppo di uomini
a cavallo entrarono in una radura e scesero dalle proprie cavalcature ; alcuni
iniziarono ad esplorare la zona per accertarsi che non ci fosse pericolo,
altri stiracchiandosi iniziarono a raccogliere legna per fare un fuoco di
campo. Sembravano tutti stanchi e affaticati dal lungo viaggio, ma il loro
viso si rasserenò subito quando una giovane donna, scortata da quattro
guerrieri in armatura, raggiunse lo spiazzo.
“Si questo mi sembra proprio un ottimo posto” disse sorridendo agli uomini
che attendevano il suo consenso. Poi, scesa da cavallo, Amelia Wil Tesla di
Seilune osservò con un sospiro di beatitudine la natura intorno a
lei.
“Finalmente siamo arrivati in cima al passo…credevo che quella foresta non
finisse più!” rise Jacob ed Amelia si voltò verso il capitano
delle Guardie Reali con un sorriso di scusa.
“Mi dispiace Jacob. Ogni volta che mi accompagnate in missione diplomatica
vi faccio attraversare territori sempre più selvaggi…dovrei limitarmi
ad usare i sentieri tracciati come fanno tutte le principesse degne di questo
nome” disse con aria un po’ triste.
“Ma che dite, Altezza! E’ proprio grazie alle vostre scorciatoie che ci
teniamo in esercizio! E poi sarebbe tremendamente noioso seguire le strade…il
pericolo più grande che si potrebbe incontrare sarebbe un duello su
chi ha diritto di passare prima su un ponte…bah…roba da rammolliti! Inoltre
grazie a questo percorso guadagniamo molto tempo” le rispose il soldato con
affetto. L’aveva vista crescere e diventare ogni giorno più bella.
Anche se l’avesse portato nelle terre popolate dai draghi o dai demoni, lui
l’avrebbe seguita fino in capo al mondo.
“Si, quando non ci perdiamo!” rispose lei, scoppiando a ridere. Poi salutò
il soldato e iniziò a passeggiare per il campo chiedendo a tutti di
permetterle di aiutarli in qualche modo. Gli occhi di Jacob la seguirono costantemente
e poi il maturo capitano sospirò.
“E’ meraviglioso vederla ridere di nuovo” borbottò, prima di dedicarsi
alle sue faccende.
Più tardi Amelia si allontanò dal campo per fare due passi.
Gli uomini chiaccheravano allegramente intorno al fuoco e alcuni stavano già
riposando, in vista dei turni di guardia per la notte. Di solito rimaneva
a parlare con loro, ma quella sera sentiva il bisogno di stare un po’ da
sola. Si diresse verso l’orlo del dirupo e quando vi arrivò si fermò
a scostare una ciocca di capelli dal viso. Il vento in quel punto era abbastanza
forte ma non era così fastidioso da costringerla a tornare indietro
e in ogni caso ne sarebbe valsa la pena : da quel luogo si poteva vedere
un paesaggio stupendo, immerso nella luce morbida del tramonto, con la foresta
che si estendeva ai suoi piedi e le montagne intorno che sembravano proteggere
quella valle come un piccolo angolo di paradiso. Guardandosi intorno vide
che sulla destra il terreno si alzava ancora e formava una specie di piccolo
promontorio ; desiderosa di avere una visuale migliore cominciò a
farsi strada in quella direzione ma venne bloccata da un improvviso dolore
alla base della testa e scoprì che una ciocca di capelli era rimasta
impigliata ai rami di un grosso cespuglio. Con pazienza tornò indietro
e iniziò a districarli. Erano cresciuti tanto in quei tre anni e adesso
le arrivavano oltre le spalle : a volte le creavano ancora qualche problema,
ma lei aveva imparato ad accettare anche quel piccolo cambiamento, insieme
a tutti gli altri che si erano verificati. Ormai era diventata una donna adulta
e non solo aveva dovuto affrontare molte più responsabilità
all’interno della complessa amministrazione del regno, ma ultimamente aveva
anche dovuto subire vari incontri a scopo matrimoniale che suo padre le aveva
organizzato. A sua insaputa, naturalmente.
Amelia sospirò, sedendosi ai piedi di un grosso albero che torreggiava
sul promontorio. Sapeva di essere diventata un po’ più bella rispetto
a tempo prima - il suo fisico aveva perso quell’aria ancora un po’ infantile
e le sue forme si erano ammorbidite nei punti giusti, trovando quel perfetto
equilibrio tipico della bellezza femminile - ma non avrebbe mai immaginato
che quel fatto avrebbe spinto vari principi a chiedere la sua mano! Non avrebbe
mai potuto sposare un uomo mai visto prima solo per ragioni di stato, neanche
per far piacere a suo padre! Se un giorno si fosse sposata sarebbe stato per
amore…e francamente dubitava di potersi innamorare di nuovo.
Quella magnifica vista e quel luogo solitario le fecero venire in mente
Zelgadiss.
Non c’era stato un singolo giorno, da quel lontano addio di tre anni prima,
in cui Amelia non avesse pensato a lui. Era sempre nei suoi pensieri e il
suo ricordo la accompagnava come una specie di angelo custode in ogni tipo
di situazione, dalle più difficili a quelle più noiose. Spesso,
mentre si concedeva un attimo di riposo tra i numerosi impegni della giornata,
lei alzava gli occhi al cielo e si chiedeva cosa stesse facendo e se stesse
riposando abbastanza. Lo conosceva così bene da sapere perfettamente
che quando Zel era impegnato in qualcosa che lo interessava, trascurava tutto
il resto, compreso il dormire.
Con un altro sospiro Amelia chiuse gli occhi ed appoggiò la testa
all’albero. Purtroppo le probabilità che lui tornasse da lei una volta
trovata la cura erano quasi inesistenti e le sue ostinate speranze si andavano
assottigliando ogni giorno di più…
Zel non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Si era svolto
tutto in pochissimo tempo, rapido come un battito d’ali o un soffio di vento
per la sua concezione temporale ormai dilatata dai lunghi ritmi della natura.
Aveva avvertito subito che qualcuno si stava avvicinando : i versi agitati
degli uccelli…le vibrazioni del terreno…ed era stato così strano sentire
nuovamente, attraverso l’aria tersa della sera, delle voci umane, anche perché
in quel luogo solitario non era mai passato nessuno. Per un momento aveva
provato un intenso desiderio di sapere chi fossero quelle persone e per quale
motivo si erano spinte fino a quel luogo così impervio, ma poi quella
curiosità era passata ed era tornato a sperare che la pace incontaminata
a cui era abituato tornasse presto. Ma questa volta il suo desiderio sarebbe
rimasto inesaudito e la motivazione era accoccolata proprio ai suoi piedi.
Amelia.
Era stato uno shock rivederla dopo così tanto tempo, un vero fulmine
a ciel sereno, soprattutto perché era successo in un luogo dove non
si sarebbe nemmeno aspettato di vedere anima viva. E proprio quando pensava
di aver superato tutte quelle fastidiose emozioni umane che lo avevano torturato
così tanto in passato…proprio quando gli sembrava di aver raggiunto
quella pace agognata così a lungo… era apparsa lei.
Era sbucata da dietro alcuni cespugli all’improvviso, senza il minimo rumore,
con gli occhi persi nella contemplazione di quello stesso paesaggio che, dal
momento esatto della sua comparsa, per lui aveva perso ogni significato. Era
diversa adesso, se n’era accorto subito, e sembrava molto più grande…più
femminile forse, ma anche più matura. E non era solo per i capelli
lunghi o per quei vestiti più sobri…c’era uno sguardo differente nei
suoi occhi. Una malinconia che prima non c’era, ma che le dava un’aria assorta
e tremendamente affascinante.
Si stupì di quel pensiero. Non credeva di essere ancora sensibile
a quel tipo di sentimenti…anzi, in verità non lo era mai stato. Quando
mai si era fermato a contemplare la bellezza della principessina che viaggiava
insieme a lui? Era sempre stata una semplice compagna di viaggio…
Eppure…il colore dei suoi occhi nel sole del mattino…il suo allegro sorriso
di buongiorno quando si incontravano a colazione…perfino l’arrossarsi della
sua carnagione chiara quando la foga le colorava le guance in uno dei suoi
soliti discorsi da paladina della giustizia…come avrebbe potuto ricordare
tutti quei particolari se non si fosse mai fermato ad osservarla? E perché
da quando l’aveva vista non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che
voleva nuovamente sentire quella pelle morbida e quei capelli sotto le sue
dita?
A Zelgadiss girava la testa ; cosa strana, considerando la sua natura arborea,
ma assolutamente incontestabile e tremendamente spiazzante. Cosa gli stava
succedendo? Che cos’era quell’improvvisa sensazione di impotenza? Fino a quel
momento l’impossibilità di muoversi e di parlare non gli era mai pesata…perché
ora si sentiva come chiuso in una gabbia? Per quale motivo la semplice presenza
della ragazza stava mettendo così in crisi tutto il suo nuovo
e razionale modo di vivere? Cercò di calmarsi. Perdere la testa in
un momento del genere sarebbe stato assurdo e incredibilmente stupido, considerato
il suo carattere. Probabilmente si trattava di una reazione naturale…in fondo
aveva parlato e camminato per tanto tempo prima di decidere di diventare
un albero e l’improvvisa rinuncia ad ogni attività motoria presto
o tardi si sarebbe comunque manifestata in una momentanea insofferenza. In
fondo non era strano che fosse successo proprio ora, con la comparsa di esseri
umani dopo un lungo periodo di assoluta solitudine. Il fatto che tra loro
ci fosse anche Amelia non era altro che una coincidenza in più e non
significava nulla.
Un movimento ai suoi piedi attirò la sua attenzione : Amelia aveva
alzato il viso verso l’alto ed ora stava osservando le prime stelle che erano
apparse nel limpido il cielo della sera. Considerato da quanto era ferma lì,
seduta con la schiena appoggiata al suo tronco, Zel aveva immaginato che
si fosse addormentata in quella strana posizione…ma a quanto pare lei era
rimasta assorta in profondi pensieri.
Ancora una volta una tremenda voglia di parlarle e di chiederle cosa la
impensieriva lo assalì, lasciandolo confuso. Non riusciva proprio
a capire la ragione di quelle strane reazioni : nonostante avesse analizzato
quei sentimenti da tutti i punti di vista, trovandogli una spiegazione perfettamente
razionale, continuava a sentire che c’era qualcosa di incredibilmente potente
che lo attirava verso di lei.
Un altro movimento interruppe il filo dei suoi pensieri : la ragazza si
era alzata di scatto, dandogli le spalle e si era portata velocemente una
mano al viso come …come per asciugare delle lacrime, realizzò alla
fine con stupore.
“Quanto sono stupida…” mormorò poi, in un tono di voce basso ma perfettamente
udibile per i sensi rimasti acuti di Zel. Questo non fece che aumentare la
sua preoccupazione : anche se, in tutto quel tempo passato senza contatti,
non conosceva assolutamente nulla della sua nuova vita, Zelgadiss sapeva bene
che la principessina non era il tipo da lasciarsi andare facilmente allo
sconforto. Era sempre stata un tipo allegro e ottimista, anche nelle situazioni
più nere, quando c’era ben poco da sperare. A volte questa sua positività
eccessiva lo aveva irritato, ma in quel momento avrebbe dato tutto per veder
tornare il sorriso su quelle labbra.
Amelia sollevò ancora il viso al cielo . Sembrava un pochino più
calma ora, e fece un grosso sospiro.
“Spero che tu stia bene, Zel. In qualunque posto tu sia” disse alla fine.
Zelgadiss sentì qualcosa spezzarglisi dentro. Amelia…stava pensando
a lui. Stava piangendo per lui.
Quella che aveva considerato come una semplice infatuazione nei suoi confronti
non aveva perso neanche un briciolo della sua forza. In tutti quegli anni…
Quanto smarrimento d’improvviso dentro se
quello che solo un uomo senza donna sa che cos’è
e allungò i suoi rami per toccarla.
Come una corda tesa troppo a lungo il suo esasperato razionalismo si infranse,
lasciando aperte le porte della sua più profonda coscienza. Desideri
mai riconosciuti, che lottavano da anni in fondo al suo cuore, emersero con
una forza impressionante, oscurandogli la mente.
Voleva stringerla, voleva toccarla, parlarle…sentirla ridere di nuovo. Niente
in quel momento avrebbe potuto fermarlo, neanche quella prigione di legno
di cui lui stesso si era circondato.
Cercò di muoversi, ma scoprì che il corpo non gli rispondeva.
Provò a parlare ma, nonostante tutti i suoi sforzi, dalla sua gola
non uscì un suono. Ma non si arrese. Concentrando tutta la sua forza
di chimera e tutta la sua volontà cominciò a muovere i rami
che erano diventati le sue braccia.
Il dolore lo investì in pieno, cogliendolo di sorpresa. Ad ogni più
piccolo movimento delle sue mani sentiva il legno gemere e scricchiolare,
spezzandosi nelle giunture : era come se gli stessero rompendo una per una
tutte le ossa del corpo, ma strinse i denti e continuò. Lei era ancora
lì, ferma in quel punto che sembrava così vicino e allo stesso
tempo così irraggiungibile…cosa avrebbe fatto se per la paura o la
sorpresa fosse corsa via, lontano da lui? Zel scacciò quel pensiero
dalla mente e si concentrò ancora di più. Solo pochi passi e
l’avrebbe toccata…
Naturalmente Amelia aveva avvertito la presenza dietro di sè…era
sempre stata molto sensibile alle variazioni nelle emanazioni magiche, ed
anni di combattimenti contro demoni di tutti tipi insieme a Lina e agli altri
avevano affinato il suo sesto senso così bene da permetterle di percepire
subito un eventuale pericolo. Forse fu solo la sorpresa, oppure un’improvvisa
stanchezza, ma quando si girò e vide i rami dell’immenso albero protendersi
verso di lei, non reagì nella solita maniera.
Soltanto dopo anni sarebbe riuscita a capire per quale oscuro motivo in
quel momento non avesse reagito a quella che sembrava un’aggressione in piena
regola polverizzando il malcapitato albero con incantesimo.
Era stata una improvvisa intuizione.
Quando sentì i rami nodosi chiudersi intorno al proprio corpo, la
tentazione di scagliare un incantesimo per liberarsi fu fortissima, ma ancora
una volta qualcosa dentro di lei le impedì di farlo. Amelia sapeva
che gli alberi e le creature della natura non erano né buone né
cattive, e si dimostravano ostili solo per proteggere se stessi o l’ambiente
che li circondava. Era impossibile che avesse offeso la natura in qualche
modo, perché la magia sciamanica si basava proprio sugli elementi della
natura stessa, quindi quell’albero…o quella creatura doveva avere altri motivi
per attaccarla. Cercando di restare calma e di non muoversi, Amelia notò
un’altra cosa. La creatura non sembrava volerle fare male. I rami intorno
a lei la tenevano saldamente sollevata da terra, ma non la stringevano con
troppa forza ed alcuni si erano anche spostati sotto i suoi piedi per permetterle
di tenersi in piedi da sola. Quando lentamente raggiunse il tronco, lo spostamento
dei rami si fermò e lei rimase in piedi davanti alla massiccia parete
di legno, mentre la presa si allentava ancora, dandole spazio per respirare.
Adesso aveva spazio libero a sufficienza per poter fuggire, ma non
lo fece. Quell’albero…c’era qualcosa di strano e potente che lo circondava…e
voleva capire cos’era.
Appoggiò una mano al tronco e si chinò leggermente in avanti.
“Che cosa c’è? Cosa vuoi farmi capire?” sussurrò con dolcezza
al tronco.
Sentendo il calore della sua mano attraverso la spessa corteccia e il suono
dolce della sua voce Zel si calmò un poco. Ma il suo conforto fu solo
di breve durata. Ora che aveva la sua attenzione e che miracolosamente lei
non era fuggita via – dimostrando ancora una volta quella compassione e quella
bontà d’animo che la caratterizzavano – Zel non sapeva più cosa
fare. Il grande stregone che aveva vinto tante battaglie e che aveva guardato
con sufficienza chi tentava di comunicare con lui, adesso si trovava completamente
spiazzato ed inerme davanti agli occhi azzurri di una ragazza, desiderando
con tutto se stesso di poterle parlare e impossibilitato dalla sua stessa
presunzione di poterle fare un minimo cenno. Fosse stato in un’altra posizione,
Zelgadiss si sarebbe messo a ridere per l’ironia della sorte. Ma al momento
non aveva nessuna voglia di ridere. Non c’erano modi per tornare indietro,
lo sapeva. L’incantesimo non era stato completato dal suo artefice e lui
lo aveva usato troppo alla leggera, troppo sopraffatto dall’abisso di solitudine
in cui era precipitato. Ma ora una luce rischiarava le tenebre della sua
coscienza, riscaldando il suo cuore con un tiepido tocco. Perché non
aveva accettato quel tocco quando era ancora in tempo? Perché aveva
rifiutato di lasciarsi raggiungere da quella luce e si era ritirato nel suo
angolo buio? Conosceva già la risposta. Per il suo aspetto. Ma che
importanza aveva una forma esterna se dietro c’era un cuore che batteva?
La vita era preziosa in ogni sua forma, questo gli aveva insegnato la sua
lunga meditazione su quel promontorio, e soprattutto era importante viverla
in ogni suo piccolo frammento. Quanto tempo prezioso aveva perso per capire
questo semplice concetto? Ed ora era troppo tardi…troppo tardi per raggiungere
quel calore che, con la sua semplice presenza, gli aveva fatto capire che
cosa si era perso fino a quel momento…
Si sentì sopraffatto da un dolore terribile, più profondo
di quanto avesse mai immaginato e, per la prima volta nella propria esistenza
di chimera, Zelgadiss Graywords pianse. Pianse per la vita che avrebbe voluto
e che non era mai riuscito ad ottenere e pianse per un sentimento che non
avrebbe mai più potuto esprimere.
Pianse per una donna che troppo tardi aveva capito di amare.
Pianse per Amelia.
Due lente lacrime di resina sgorgarono dal suo tronco, scivolando lungo
la corteccia rugosa.
Quando Amelia le vide, capì subito la natura di quella reazione.
Sentiva l’aura di quell’albero agitarsi intorno a lei, densa e scura come
la più profonda disperazione, tanto che gli uccelli erano volati via
dai suoi rami, avvertendo con il loro innato istinto il cambiamento nella
creatura che li ospitava. Questo la convinse ancora di più della necessità
di aiutare in tutti i modi possibili l’infelice essere che aveva davanti.
Si concentrò al massimo per capire che cos’erano quelle strane emanazioni
che sentiva ; purtroppo non conosceva magie in grado di entrare in contatto
con le piante…era un tipo di magia molto antica e molto particolare, che pochi
conoscevano. Forse soltanto Zel sarebbe stato in grado di…
Un’idea improvvisa le attraversò la mente come un lampo a quel pensiero.
C’era qualcosa in quell’albero, qualcosa di molto lieve ma persistente che
le ricordava il tipo di energia di…
No, un attimo, non è possibile.
Come poteva esserci al mondo qualcun'altro con le emanazioni magiche di
un demone e di un golem? E cosa ci facevano in un ALBERO?
Sapeva che era stupido e che doveva certamente esserci un’altra spiegazione,
ma il suo cuore innamorato che si rifiutava di abbandonare ogni più
piccola speranza non le permetteva di pensare ad altro. Così, esitante,
il nome che aveva invocato così tante volte in passato, le sfuggì
dalle labbra con un lieve e debole sussurro.
“Zel?”
Quella semplice parola, quella domanda pronunciata a bassissima voce fu
sufficiente per rischiarare tutto d’un colpo la mente oscurata dal dolore
e dalla disperazione di Zelgadiss. Come una fiammella accesa nella notte
più buia, la speranza tornò ad accendersi nel suo cuore e gli
riportò istantaneamente la ragione momentaneamente perduta. L’aveva
riconosciuto! Dei del cielo…non sapeva per quale miracolo fosse stato possibile,
ma l’aveva riconosciuto! La gioia lo invase e per un momento rischiò
di ottenere lo stesso effetto del precedente ed opposto sentimento, cioè
di appannargli ogni discernimento. Ma per un breve attimo lui lasciò
libera quella sensazione e l’assaporò. Era così dolce…così
bello il pensiero che la persona che amava era giunta a salvarlo che non
ebbe il coraggio di pensare ad altro.
Poi, quando si fu ripreso, accantonò quelle idee e pensò a
cose più pratiche, come farle capire che era davvero lui. Pensò
febbrilmente a come fare, ideando e scartando subito almeno una decina di
opzioni. Alla fine si decise per la cosa più ovvia, ma anche più
difficile : tentare di scrivere qualcosa sul terreno. Allungò un ramo
e, stringendo i denti per il dolore e la concentrazione, provò a tracciare
delle linee che sembrassero lontanamente l’iniziale del suo nome. Scoprì
subito che era impresa quasi impossibile : la flessibilità di una mano
umana, anche nella sua forma pietrificata di chimera, era immensamente lontana
dalla attuale rigidità del suo corpo legnoso e sarebbe stato come
cercare di scrivere qualcosa tenendo una matita tra la punta delle dita. Tuttavia
Zel non pensò neanche una volta di abbandonare l’impresa : quella
era la sfida più importante della sua vita e non si sarebbe
mai arreso. Alla fine, dopo un tempo che gli sembrò eterno, qualcosa
di vagamente simile ad una Z comparve sul terreno umido ai piedi di Amelia,
nel punto in cui aveva faticosamente provato a scrivere.
La vide trattenere bruscamente il respiro e poi voltarsi di scatto ad osservarlo,
con le pupille dilatate e un’espressione che non avrebbe potuto essere più
stupita. Gli fece tenerezza vederla così, a bocca aperta come una bambina,
e allungò un'altra estensione della sua mano per accarezzarle leggermente
una guancia.
Fu quel lento movimento a sciogliere ogni dubbio nel cuore di Amelia.
Chiudendo gli occhi si appoggiò al tronco, bagnandolo con le sue
lacrime.
“Zel…allora sei tu…” singhiozzò, lasciando andare improvvisamente
tutta la tristezza che la lunga lontananza le aveva causato. Poi un pensiero
si fece strada nella sua mente.
“Ma…come sei finito così? Ti hanno imprigionato? Riesci a… a tornare
normale?” chiese alzando gli occhi ancora lucidi verso il tronco immobile.
Un altro ramo si avvolse intorno al suo braccio e lo strinse leggermente.
“Ovviamente no…che stupida sono a farti una domanda simile…” mormorò
poi, ricordandosi delle lacrime di resina e dell’aura di disperazione e dolore
che aveva percepito.
Uno sguardo risoluto lampeggiò nei suoi occhi blu. Ora che l’aveva
ritrovato avrebbe fatto di tutto per farlo tornare da lei, ogni cosa in suo
potere. Ed avrebbe scomodato anche i più potenti maghi del mondo se
fosse stato necessario.
“Zel, ascoltami. Devo trovare qualcuno che ci aiuti, qualcuno che sappia
come fare a sciogliere questo incantesimo. Ma per farlo devo tornare a casa,
nel mio regno. Ce la fai a restare così per un altro pochino di tempo?
Sarà brevissimo, te lo prometto!” disse cercando di sorridere .
L’idea di vederla andare via, di restare di nuovo solo, fece nuovamente
precipitare la mente di Zel nel panico. Sapeva, in qualche modo sapeva che
quella sarebbe stata la cosa più logica da fare, ma il suo cuore si
rifiutava di lasciarla andare via. Era stato troppo a lungo lontano dal calore
di quella luce per poter tornare di nuovo all’oscurità della solitudine,
anche se sarebbe stato per poco tempo.
No, non andare via! urlò la sua mente. L’aveva ritrovata,
dopo così tanto tempo…non poteva perderla di nuovo. Sarebbe morto
senza di lei, senza la sua luce, il suo calore, il suo sorriso che gli illuminava
la vita, sarebbe morto proprio come…un albero senza la luce del sole.
E allora capì.
Capì che per tutto quel tempo si era sbagliato, pensando di poter
vivere senza dipendere da qualcuno. Ogni cosa su quella terra aveva bisogno
delle altre, le piante avevano bisogno del sole, la terra della pioggia, gli
animali di altri animali, gli uomini dei loro simili. E una chimera aveva
bisogno di Amelia.
Ho bisogno di te.
Lo disse a voce alta e questa volta la sua voce risuonò profonda
nel silenzio della notte. Amelia lo guardò stupita, ma non fece in
tempo a dire una parola perché subito dopo un’improvvisa luce invase
il piccolo promontorio.
Era come se lo splendore dei raggi di sole si fosse concentrato tutto in
un unico fascio di luce, che illuminò a giorno quasi tutta la valle
e si distinse chiaramente anche a centinaia di chilometri di distanza. Lei
si schermò subito gli occhi con le braccia e riuscì a vedere
una fessura aprirsi nel tronco, ma poi la luce fu troppo intensa per poterli
tenere aperti e fu costretta a chiuderli.
Quando la luce cessò e Amelia riaprì gli occhi, aspettando
un momento perché si riadattassero al buio dopo tutta quella luce,
vide che ai piedi dell’albero c’era…Zel.
Gli corse incontro, temendo quasi che fosse una specie di visione e che
potesse scomparire da un momento all’altro, ma quando lo toccò e vide
che stava bene, tirò un sospiro di sollievo. Poi lo abbracciò,
stringendolo con tutta la forza che aveva.
Zelgadiss aprì lentamente gli occhi. La vide china su di lui, mentre
gli sorrideva tra le lacrime e lo stringeva con una forza degna dei più
corpulenti guerrieri del suo regno. Ma a Zel non importava. Vedeva solo i
suoi occhi, che brillavano come stelle, e allungò una mano ad accarezzarle
una guancia. La sentì finalmente, liscia e morbida sotto le sue dita
e sorrise.
Non era sorpreso di essere tornato normale : aveva capito cosa aveva fatto
sciogliere l’incantesimo. Il testo parlava di una parola per invertire l’effetto,
ma non era stata specificata…diceva solo qualcosa riguardo il desiderio e
la volontà. Ora lui aveva capito cos’era…che cosa andava oltre il desiderio
e la volontà : era il bisogno. Era un bisogno talmente profondo da
non poter vivere senza…era il bisogno di starle accanto.
Capì che la felicità non è mai
la metà di un infinito
Aveva pensato di poter essere felice così, vivendo in solitudine
lontano da tutti, e in un certo senso lo era stato…ma quella non era stata
che un lontano riflesso della felicità che stava provando ora.
La felicità di poter contare su qualcuno, qualcuno che avrebbe fatto
di tutto per aiutarlo ma a cui era bastato semplicemente il fatto di esistere,
per salvarlo.
“Zel ma cosa è successo? Dove…” iniziò Amelia, ma lui la zittì,
mettendole un dito sulle labbra. Si alzò, portandola con se, e la abbracciò
accarezzandole i capelli.
“Grazie” disse semplicemente, quando trovò la forza di parlare.
Amelia alzò gli occhi per incontrare il suo sguardo. In un attimo
passarono tra loro un mondo di emozioni non dette e lei capì che in
Zel era cambiato qualcosa. Forse adesso era ancora troppo presto, ma era sicura
che un giorno lui le avrebbe detto tutte quelle cose che leggeva nei suoi
occhi.
Gratitudine, rispetto, devozione e…amore.
Girò la testa a guardare l’albero e trattenne a stento un’espressione
di meraviglia. L’albero c’era ancora, fiero e maestoso nel suo aspetto, ma
anche lui era cambiato. L’aura magica che lo circondava non era sparita, ma
mentre prima diffondeva un cupo malessere, ora sembrava irradiare amore e
tranquillità. E le sue foglie, prima d’un verde profondo, adesso erano
bordate d’oro, che sfumava verso il centro in un verde brillante, simile a
quello dei germogli appena spuntati in primavera. Anche se era buio le foglie
dai bordi dorati sembravano risplendere ed al vento che le accarezzava suonavano
una dolce musica.
“Guarda Zel! Non è meraviglioso?” disse Amelia in un soffio, osservando
rapita quello spettacolo.
Zel alzò la testa a guardare l’albero che era stato allo stesso tempo
la sua casa e la sua prigione. Si, era meraviglioso quello che l’amore poteva
fare…poteva rendere magiche anche le cose più semplici.
“Si è bellissimo” mormorò in risposta, poi spostò lo
sguardo su di lei.
Quando Amelia tornò a guardarlo e osservò la sua espressione,
rimase senza fiato davanti all’intensità dei sentimenti che questa
le trasmetteva. Zel era sempre stato una persona piuttosto enigmatica da quel
punto di vista…la sua compostezza raramente faceva trapelare cosa pensasse
veramente. Ma in quel momento era come se tutte le sue difese, quel muro che
lui stesso aveva costruito, fossero crollate in lampo. Si sentiva come se
stesse guardando nel fondo della sua anima, quella stessa anima che lui ora
le stava esponendo senza timore. Incapace di distogliere gli occhi dai suoi,
sussultò leggermente quando Zel iniziò lentamente a parlare.
“Quando decisi di diventare un albero” iniziò, facendo poi una pausa
per raccogliere i pensieri. “credevo che vivere in quel modo mi avrebbe dato
tutte le risposte che cercavo. La pace, l’armonia con la natura mi avrebbero
fatto dimenticare il mio problema e vivendo in quel modo credevo veramente
di aver trovato il mio posto in questo mondo. Ma non è stato così.
Ho capito tante cose, è vero, ma continuava ad esserci un vuoto dentro
di me, qualcosa che mi mancava senza la quale mi sentivo incompleto e insoddisfatto…
sapevo che dovevo trovarla dentro di me, ma non capivo ancora cosa fosse e
per il momento mi ero illuso di aver trovato nella pace di questo posto ciò
che cercavo” si interruppe per un attimo, lanciando ancora una volta uno
sguardo al maestoso albero che torreggiava sopra di loro.
“Poi, quando sei comparsa tu, tutto il mio mondo costruito con quelle false
illusioni è andato in frantumi ed alla fine ho capito quello che stavo
cercando, quello che mi mancava. Era l’amore, il mio amore verso di te. Avevo
sempre pensato che soltanto trovando una cura e tornando umano avrei potuto
ricominciare ad amare…fino a quel momento non mi ero mai concesso di accettare
i tuoi sentimenti e di ricambiarli, perché mi sentivo nient’altro che
un pezzo di sterile roccia, incapace di qualsiasi sentimento e soprattutto
senza alcun diritto di affliggere un’altra persona con la maledizione della
mia forma. Ma la tua presenza mi ha costretto ad ammettere quello che da anni
tenevo chiuso in fondo al cuore…che ero innamorato di te, come lo sono tuttora.
Che la tua mancanza mi aveva quasi ucciso. Che avevo bisogno di te…della
tua presenza, del tuo sorriso. Ed allora ogni cosa è andata al suo
posto : ora mi sento finalmente completo, anche se non tornerò mai
umano. Ma in fondo questo non mi importa più. Non ho più bisogno
di essere umano per poterti amare” concluse, sfiorandole la guancia ancora
una volta con un dito.
Ora era insieme luna e sole, sasso e nuvola
era insieme riso e pianto
o soltanto
era un uomo che cominciava a vivere.
Era vero e se ne accorse soltanto dopo che lo aveva detto. Tutta la sua
ansia di diventare umano, le sue inquietudini e paure erano state cancellate
come neve al sole davanti allo sguardo pieno d’amore di quegli occhi azzurri
colmi di lacrime, che stavano brillando di felicità. E quando lei,
non riuscendo più a parlare, gli buttò le braccia al collo
e lo baciò, Zel sentì il suo corpo di fredda roccia riscaldarsi
come se fosse stato davvero umano. Quelle labbra morbide avevano fatto improvvisamente
nascere dentro di lui qualcosa che non avrebbe mai pensato di poter provare
: una passione travolgente, assoluta, che lo prese alla sprovvista e che non
gli lasciò altra scelta se non quella di cedergli. Zel si arrese volentieri
a quella nuova esperienza : approfondì il bacio e sorrise sulle sue
labbra quando avvertì lo stupore di Amelia. Ma poi la sua mente smise
di funzionare del tutto quando lei gli rispose con tutto il suo amore
Le pietre potevano diventare incandescenti al sole e lui aveva finalmente
trovato il sole della sua anima.
Da quel momento non lo avrebbe più lasciato andare via.
Ora c’era un canto che riempiva la sua grande, immensa
solitudine
era quella parte più sincera che ogni favola d’amore
racchiude in se, per poterci credere.
Fine
Breve nota sull'uso della magia :
Ad essere sincera, non ricordo esattamente se Amelia sappia usare anche la
magia sciamanica, oltre quella bianca. Dato che usa gli stessi incantesimi
di Zel, suppongo di si, ma è una mia supposizione... quindi se qualcuno
ha qualche suggerimento o correzione da fare su questo argomento, sappia
che sarà il benvenuto ^_^
Nota dell’Autore :
ACK!! * sviene sulla tastiera con gli occhi a spirale per l’eccessiva quantità
di zucchero in quello che ha appena scritto *
Cosa dire? Decisamente mi è venuta fuori una cosa molto più
melensa di quello che avevo intenzione di fare…ma a volte l’ispirazione gioca
brutti scherzi. ^__^;;
Un grazie sentito alla mia sorellina minore ‘adottiva’ Shiva, per avermi
pazientemente corretto tutti i noiosissimi errori di battitura di questa storia
e per avermi dato la spinta a pubblicarla.
La canzone a cui è ispirata questa fic è la bellissima ‘Favola’
di Eros Ramazzotti ed è © del suddetto autore e della casa di
produzione BMG Ricordi Spa.