I
Tokio Hotel non mi appartengono in alcun modo.
Tutto
ciò che è qui scritto non è a scopo di
lucro ed è frutto della
mia fervida immaginazione, quindi ogni riferimento a fatti o persone
reali è puramente casuale.
Peace
x
Bill
voltò con aria annoiata la pagina dell'ultimo numero di Bravo
che stava sfogliando ormai da qualche minuto.
“Com'è
venuto in mente a Tom di
rifilarmi una roba simile?” pensò, assumendo
un'espressione
vagamente disgustata mentre i suoi occhi scorrevano velocemente sugli
articoli, soffermandosi di tanto in tanto su qualche fotografia.
Dopo
aver sfogliato qualche altra pagina, chiuse la rivista con un colpo
secco, sospirando poi pesantemente.
Lanciò
un'occhiata all'orologio appeso sul muro di fronte a lui: mancavano
solo 10 minuti.
Si
torturò le mani, in preda al nervosismo, mentre l'insistente
ticchettio delle lancette iniziò a dargli tremendamente
fastidio.
Tic
tac. Tic tac. Tic Tac.
Ebbe
un tremore, e si accorse di come il
suo sangue freddo stesse venendo messo a dura prova in quella
situazione.
Cercò
di distrarsi, ed iniziò a
guardarsi in giro: intorno a lui solo alte pareti dipinte con un
tenue color pastello, tipico degli ospedali, rallegrate però
da
alcuni disegni che le fan gli avevano inviato in quelle settimane, e
che lui aveva chiesto di fare appendere.
Voltò
lo sguardo verso il comodino
accanto al suo letto, e notò la piccola lavagnetta che i
ragazzi gli
avevano regalato qualche tempo prima, con pennarello annesso.
-
Così potremo capirti senza che tu
debba gesticolare come un pazzo- aveva detto Tom sorridendo,
mentre glieli porgeva.
Bill
aveva inclinato la testa, con aria
dubbiosa: come se a lui e suo fratello servisse quell'arnese.
Sapevano
entrambi che a Bill sarebbe
stato sufficiente guardarlo o cambiare espressione per farsi capire
da Tom.
Aveva
però deciso di non protestare, e
lasciare che il gemello, Georg e Gustav si divertissero nel vederlo
intento a scarabocchiare, rosso in volto, qualche insulto o, nel
migliore dei casi, qualche supplica.
A
quel ricordo, le sue labbra
s'incresparono in un sorriso che non durò però
molto.
Il
viso del cantante, infatti, s'incupì
all'istante, al solo pensiero che quel piccolo oggetto sarebbe potuto
essere l'unico modo attraverso il quale comunicare per il resto della
sua vita.
Subito
scosse il capo con veemenza, come a scacciare quelle brutte
sensazioni dalla sua mente, per poi appoggiarlo al muro, sospirando
sommessamente.
Dodici
giorni.
Dodici
lunghissimi giorni di silenzio
assoluto, impostogli dai medici dopo l'operazione.
Non
poteva parlare, ridere, nemmeno
sussurrare.
Ma
ciò che più lo irritava – e spaventava
– era il divieto
assoluto di cantare.
Non
aveva potuto emettere nemmeno un solo la
da quando era uscito dalla sala operatoria.
Guardò
di nuovo l'orologio: 5 minuti.
5
minuti e poi alcuni uomini di mezz'età in camice bianco
sarebbero
entrati nella stanza, sedendosi sul bordo del suo letto, con
un'espressione disgustosamente compassionevole in volto, incitandolo
poi a dire qualcosa – una parola, una frase.
O
il verso di una canzone.
Tic
tac. Tic tac. Tic tac.
Nel
migliore dei casi, Bill sarebbe ritornato a parlare con la sua solita
voce.
Nel
peggiore, avrebbe emesso solo un indistinto gracchiare, che avrebbe
segnato definitivamente la fine del suo sogno più grande.
Niente
più concerti, niente più dischi, niente
più tour: sarebbe svanito
tutto quanto.
Ciò
che aveva costruito tassello dopo tassello era in bilico e la sua
voce, la forza più grande in suo possesso – l'unica,
a dirla tutta – era sufficiente a salvare ciò che
aveva ottenuto
con fatica o a distruggerlo completamente, lasciando che si
sgretolasse in mille pezzi, senza possibilità di ricomporlo.
-
Stai portando un peso molto grande-
gli aveva detto una volta Georg, osservando la sua espressione
malinconica – Forse troppo-
aveva aggiunto.
Quella
situazione, quella responsabilità troppo grande, quel
silenzio
imposto lo stavano divorando dall'interno, distruggendo con il
passare del tempo le sue speranze.
La
sua mente lavorava senza sosta, alla ricerca disperata di un piccolo
appiglio a cui ancorarsi per non essere completamente travolto
dall'ondata di paure che lo stava assalendo, mentre il rumore delle
lancette si stava facendo sempre più insistente, marcando
come il
giovane stesse ormai per trovarsi di fronte alla sfida più
grande.
Tic
tac. Tic tac. Tic tac.
D'un
tratto, però, il ticchettio fu
messo a tacere dal rumore di alcuni passi e da voci maschili che si
avvicinavano.
Bill
volse lo sguardo verso la porta,
mettendosi a sedere composto, mentre aspettava che questa si aprisse.
Le
voci, intanto, si facevano sempre più
distinte, e i passi più pesanti, e ad ogni secondo che
passava, Bill
sentiva il battito del suo cuore accelerare.
All'improvviso,
i passi e le voci
cessarono, lasciando spazio ad un breve silenzio, carico di tensione.
Dopo poco però, Bill sentì qualche colpo leggero
sulla porta,
seguito dal rumore stridente della maniglia di ferro arrugginito che
si abbassava.
Quando
la porta si aprì, davanti agli
occhi di Bill apparvero tre uomini alti e robusti, tra i quali Bill
riconobbe il dottor Meier, il medico che gli aveva diagnosticato la
ciste.
-
Herr Kaulitz- disse questo, con
voce profonda – E' arrivato il momento.
Spazio
autrice:
Buonasera,
mie care Aliens.
Ebbene
sì, sono tornata a riempire EFP con i risultati di alcuni
miei
piccoli schizzi.
In
questo caso si tratta molto semplicemente della descrizione degli
ultimi minuti di silenzio di Bill prima che i dottori gli dessero il
permesso di parlare.
Ho
cercato d'immaginare la sua ansia, la sua paura, e anche quel piccolo
barlume di speranza che l'ha spronato a credere nella sua completa
guarigione.
Ho
omesso la parte finale, perché sappiamo tutte
com'è andata a
finire!
Non
so cosa sia uscito dal mix di queste emozioni, ma spero che abbiate
apprezzato.
Fatemi
sapere cosa ne pensate!
A
presto!
Un
bacione,
Heilig
|