Note
dell’autrice:
non
mi appartengono, non ci lucro sopra – ci piango solo sopra
– e tutto ciò è
false as false falsely can be.
Dedicata
a Cey e Monica che me l’hanno praticamente promptata davanti
al cinema. <3
We were ready to behave
But there’s no freedom without a cage
Whatever you think you’ve become
Don’t worry, baby
It’s where you’re coming
from
John
glielo comunicò un martedì mattina, a Baker
Street, mentre stavano studiando i
particolari di un caso sul computer.
Sherlock
immaginò che il suo tono fosse molto simile a quello che
usava per i dispacci
di guerra in Afghanistan, quando portavano buone notizie.
Come
il ritrovamento di un disperso. O la fine di un conflitto.
“Mina”
disse John, il viso illuminato dallo schermo del pc. Sherlock lo
guardò annuire
come per confermare a sé stesso l’appropriatezza
del nome. “Mina Amanda Watson.”
Sherlock
continuò a guardarlo. John sorrise quasi timidamente e solo
dopo secondi interi
incontrò i suoi occhi.
Mary
non si vedeva più i piedi oltre la pancia. La bambina
sarebbe nata fra un mese.
John
era di nuovo a Baker Street, seppure fuggevolmente. Sherlock era di
nuovo a
Londra, e per restarci.
L’aveva
potuto rivedere. Solo questo aveva importanza; che fossero ancora in
grado di
condividere una stanza, una conversazione, un silenzio che valeva
più di mille
parole.
Sherlock
sapeva che sarebbe venuto un tempo in cui lo status quo non gli sarebbe
bastato
più, perché non era un uomo né
paziente né timido – sapeva che il sollievo
provocato dall’essere di nuovo insieme
presto si sarebbe trasformato nell’acuto dolore di un insieme che per lui era da tempo
insufficiente.
Ma
per il momento si scoprì capace solo di sorridere e di dire:
“Sì”.
Sì
era tutto quello
che intendeva dire a John Watson, ora che ne aveva di nuovo
l’occasione.
*
“A-man-da”
scandisce pomposamente Mycroft, battendo la punta
dell’ombrello a tempo.
Sherlock
rotea gli occhi e tenta di ignorare quella tortura cinese che
è la musica assolutamente
demenziale dei negozi di giocattoli per bambini.
“Gerundio
del verbo latino amare”
continua
Mycroft seguendolo per corridoi infestati da dinosauri che straripano
dalle
mensole e bambole intrappolate nelle loro prigioni di plastica.
“Significa ‘colei
che deve essere amata’. Molto grazioso.” Una breve
pausa. “E molto adatto per
un figlio concepito in tempi di… mare mosso, se
così si può dire. Immagino che
la signora Morstan voglia prendere precauzioni anche
linguistiche.”
“Risparmiati lo
sproloquio” ringhiò Sherlock
occhieggiando con impazienza gli scaffali del reparto neonati.
“C’è un motivo
per cui ho rimosso il latino dal mio Mind Palace.”
“E
sarebbe?” indagò Mycroft, sollevando un porcospino
di peluche a mo’ di teschio
amletico.
“Inutile”
liquidò secco Sherlock. “La sovrabbondanza di
cattivo gusto presente in questo
negozio è nauseante” cambiò poi
discorso con un sospiro irritato.
“Tsk
tsk” lo rimproverò mutamente Mycroft.
“Male, molto male. Sapere la provenienza delle
parole è fondamentale. Significa afferrare la radice
più profonda di tutto.”
Sherlock
sollevò un sopracciglio polemico. Mycroft ghignò.
“Pensa,
mio caro fratello. Pensa a… cose mai concluse.”
Indicò con la punta dell’ombrello
la cima di uno scaffale. “A proposito di conoscenze utili che
hai rimosso dal
tuo Mind Palace, quello mi sembra oltremodo adatto.”
“Mycroft,
cosa stai-” cominciò Sherlock in tono infastidito.
Poi il suo sguardo si posò
sull’oggetto scelto da suo fratello, e per un attimo
dimenticò tutto, e
sorrise.
*
John
fece lentamente girare con un dito la luna e i pianetini appesi sopra
la culla.
“Morire
ha migliorato il tuo senso dell’umorismo” disse con
un sorriso.
Sherlock
si strinse nelle spalle.
“Sono
stato costretto a imparare. Risorgere ha un suo prezzo.”
John
smise di sorridere. La cameretta era buia, illuminata solo un piccolo
abat-jour
rosa intonato alla carta da parati e alle lenzuola della culla.
“Già”
disse infine John. Sherlock deglutì e si fece immobile.
La
data di nascita della bambina era prevista fra tre settimane.
“John-”
cominciò il detective con voce incerta.
“No”
lo interrompe John con voce tremante di rabbia. “La mia
bambina non è un
prezzo. E’ la mia bambina. Nient’altro.”
Le
spalle di Sherlock si incurvarono sotto il peso di un grande sospiro.
“Non
mi sono mai sognato di considerarla in altro modo” disse,
sfiorando con un
lungo indice pallido la luna appesa sopra la culla. John
sospirò a sua volta e
fece dondolare piano il sole con un colpetto d’unghia.
“Non
ti chiedo di amarla” disse. “Ti chiedo solo di
aiutare me e Mary a proteggerla.”
“Sai
che odio ripetermi, John” sussurrò Sherlock. Il
loro tono di voce si era
abbassato, come se avessero paura che orecchie indiscrete potessero
udirli. Ma
Mary stava dormendo al piano di sotto, e per il resto la casa era
vuota. “Ho
già fatto questa promessa.”
“Bene”
replicò John, più calmo.
“Bene.” Si girò per guardarlo negli
occhi e gli
sorrise debolmente.
Per
qualche ragione nessuno dei due riuscì più a
parlare.
Pensa,
mio caro
fratello.
Sherlock
batté piano le ciglia e si massaggiò una tempia.
John continuò a fissarlo con l’aria
quietamente rassegnata di chi, avendo ormai mostrato le proprie carte,
non
aveva più niente da perdere.
Pensa
a… cose
mai concluse.
Sherlock inspirò
bruscamente e sgranò gli occhi.
William
Sherlock
Scott Holmes.
John
gli strinse delicatamente gli avambracci e fece un passo in avanti.
Se
avete bisogno
di idee per il nome.
“Risorgere
ha davvero un suo prezzo, allora” sussurrò sulle
sue labbra con un sorriso che
Sherlock decise di custodire come ultima immagine da proiettare sulle
sue
palpebre chiuse prima della morte. “Sei diventato
lento.”
Scostò
il copriletto rosa della culla. Sul bordo delle lenzuola si leggeva,
ripetutamente
ricamato a punto croce: W. A. W.
“Ce
l’ha fatto la signora Hudson” disse John in tono
affettuoso. Poi, distogliendo
la sguardo dal suo viso incredulo e pallidissimo: “Capirai
che Wilhelmina per
intero è un nome un po’ desueto. Bisogna pensare
ai compagni di scuola, alle
prese in giro – è un po’ da nonna, senza
offesa. Però Mina mi piace davvero e
allora pensavo, cioè, pensavamo -”
Sherlock
si divincolò da quello che era diventato ormai un abbraccio
e uscì dalla stanza
quasi correndo, senza voltarsi indietro.
John
non fece nulla per fermarlo. Ormai non potevano più fare
nulla per fermare alcunché.
Valeva
la pena
provare.
Note
dell’autrice:
il
girandolino col sistema solare è un piccolo omaggio alla
bellissima fic che
earlygrey ha dedicato alla-prossimamente-sui-nostri-schermi infanta
Watson. Non
ricordo il titolo, ma la trovate su A03, ed è semplicemente
bellerrima.
Questa
è la mia versione, à la Johnlock, ovviamente,
perché se non slashi godi solo a
metà.
Le
parole in introduzione sono prese dalla bellissima “Becomes
The Color” di Emily
Wells.
P.S.
Amanda è un nome che per il suo significato mi è
sempre piaciuto moltissimo, e
beh, visto che the universe is rarely so lazy, non vi devo dire che
è una
coincidenza che mrs. Abbington si chiami proprio così.
Seppelliamo l’ascia di
guerra, tesoro, che le facce buffe che facevi in TSO3 quando bevevi il
vino
schifido scelto da te mi piacevano davvero. Se scleri di meno tu
scleriamo meno
tutti. <3
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