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Questa volta sono
stata brava, no? Almeno sono stata rapida °_° E' che Liberaci dal Male ha un
andamento così "fluttuante" e da romanzo, più che fanfic, che voglio che non
venga a perdersi il pathos che rischierei di disperdere con la mia solita
puntualità -_- E' la fortuna di avere già il racconto bell'e finito XD Vi lascio
alla lettura, un baciotto.
Capitolo Nove
- Ricordo lontano -
Aaron aveva ragione, le volpi che apparvero nel bosco erano estremamente
diffidenti, guardarono Nero come un nemico ed esitarono prima di avvicinarsi.
Il cavaliere non riusciva a capire quello che dicevano, ma di sicuro percepiva
un’aura di ostilità rivolta verso di lui. La sua capacità di comprendere gli
animali era superficiale, empatica ma non approfondita, eppure era certo di non
avere mai sentito una tale aggressività nei suoi confronti. Tuttavia, dopo un
attimo, ne capì il motivo. La volpe che comparve dal bosco era ferita ad una
zampa, zoppicava e portava in bocca un cucciolo apparentemente privo di sensi:
una madre e suo figlio malato.
“Non temere, Fulva, è un amico, anche lui può capirti”.
La Volpe si girò di scatto verso Nero e lo guardò con occhi pieni di sospetto.
“E’ vero” disse il cavaliere accovacciandosi sulle gambe per essere più vicino
alla volpe “Non devi avere paura” e così dicendo tese le sue mani verso Fulva,
con i palmi rivolti verso l’alto. La volpe sembrò stupita da quel gesto e parve
guardare il cavaliere con aria interrogativa ma più tranquilla
“Non conosco il tuo linguaggio” le spiegò Nero “e non conosco te a sufficienza,
ma so che tutti voi vedete le mani degli uomini come la fonte dei vostri
pericoli, sempre così pronte a brandire un’arma per sopraffarvi… E come vedi non
ho portato armi con me”.
Fulva appoggiò il suo cucciolo per terra e si avvicinò cautamente al cavaliere,
ma poi si fermò di nuovo aspettando qualcosa.
“Vuole…” iniziò Lord Aaron
“…sapere chi me l’ha detto” concluse il Nero
“La capite?”
”No, a dire il vero non sento nulla, mentre quando parlo con Cleto, oppure col
mio cavallo mi pare di sentire la loro voce, però riesco a percepire la sua
titubanza e le sue variazioni d’umore…”
Aaron sorrise guardando prima il Nero poi Fulva
“Hai visto, è un amico” ma la volpe aspettava ancora una risposta
“Me l’ha detto Cleto, il mio falco. All’inizio, quando ci siamo conosciuti, era
molto diffidente, proprio come te. Diceva che gli umani sono falsi e m’ha
chiesto di porgergli le mani. M’ha spiegato che si possono capire molte cose
dalle mani di un uomo” disse guardando per un istante Aaron che,
inconsapevolmente, serrò in un pugno la mano che prima aveva stretto quella di
Nero. Entrambi, poi, riportarono la propria attenzione sulla volpe che questa
volta, pareva avere un’aria infastidita, quasi stizzita, tanto che trotterellò
incerta, sulla zampa malata, verso dove aveva lasciato il suo cucciolo e lo
riprese in bocca.
Aaron scoppiò a ridere “Va bene, va bene, arrivo” disse, e poi spiegò il
comportamento di Fulva “Non ne abbiate a male, c’è un conto aperto fra volpi e
rapaci che alimenta da sempre una rivalità viscerale” Nero lo guardò con aria
incredula “Non so bene da che cosa sia stata generata, né se sia risolvibile. So
semplicemente che gli uni hanno sempre da ridire su cosa fanno gli altri e non
vanno mai d’accordo”.
Nero sorrise”Assomigliano ai battibecchi degli umani”
”Sì, ho provato anch’io a dire loro di trovare una soluzione. Ma non ne vogliono
sapere.”
Aaron prese il volpacchiotto dalla bocca della madre e lo accarezzò.
Si sedette ai piedi di un albero ed invitò la volpe a venirgli vicino sulle
gambe
“Vediamo prima come va la tua zampa…” disse adagiando il piccolino sulle sue
vesti morbide “Sai, anche questo cavaliere “le spiegò” è venuto al castello
perché un suo compagno era ferito gravemente.”
La volpe guardò Nero “Sì, sta meglio ora” le spiegò, ma non è ancora guarito.
Gli umani impiegano molto più tempo degli animali a rimettersi in forza, ci
vorrà ancora un po’ prima che si rimetta del tutto.” Poi si concentrò sulla
zampa della volpe: “Invece la tua ferita mi pare in via di guarigione. Immagino
anche che ti faccia meno male di un paio di giorni fa”
Fulva annuì.
“E’ stata scoperta mentre cercava di rubare una gallina del fornaio” Spiegò il
Lord a Nero “Le ho detto più volte che cacciare in città è pericoloso, ma lei
non vuole ascoltarmi”
”Istinto da cacciatore?”
“Qualcosa del genere. Dice che i polli del fornaio sono di gran lunga più buoni
della selvaggina che si trova quest’inverno nei boschi.”
Il Nero rise di gusto “Come darle torto? Immagino che saranno più pasciuti”
“Ma devo dire anche che penso ci sia della sana cocciutaggine femminile in tutto
questo”
“Vi sentisse Gillian, si arrabbierebbe moltissimo. “ scherzò il cavaliere
“Gillian..? La vostra donna?” Aaron si pentì subito della domanda appena posta:
suonava troppo morbosa. Non capiva bene neanche lui quale sentimento l’avesse
spinto a dire una frase così poco riflessiva, forse la curiosità, ma di sicuro
c’era anche un pizzico di fastidio.
Nero aveva una donna che l’aspettava da qualche parte?
Questo probabilmente voleva dire che avrebbe cercato di affrettare i tempi della
permanenza al castello Thurlow, e sarebbe voluto tornare presto da lei…
Aaron cercò di accantonare dei pensieri così stupidi, del resto non era affar
suo se il Nero avesse voluto tornare fra le braccia della sua donna. Tuttavia
una voce gli ricordò che era stato lo stesso Nero a dire che sarebbe rimasto al
castello fino a quando Forgia non sarebbe guarito.
Questa consapevolezza lo rasserenò, ma al contempo lo fece sentire
incredibilmente sciocco.
Ormai non poteva ritirare la domanda, però, e quindi aspettò la risposta di Nero
che scoppiò a ridere sotto gli occhi stupiti di Aaron che tutto si sarebbe
aspettato, fuorché una risata così aperta
“Dio non voglia che mi trovi mai una donna come Gillian” e scosse le mani come
per schermasi da un pericolo imminente “Non sono un santo! Probabilmente
troverebbe un motivo per alzare le mani contro di me in quattro e quattr’otto. E
temo che ne uscirei piuttosto malconcio”
Aaron non capiva e aspettò una spiegazione
“Era la cuoca del castello dove vivevo con Chiaro prima che me ne andassi” Aaron
notò che Nero non lo chiamò casa “Una donna fantastica, con un carattere forte e
risoluto, anche se spesso un po’ troppo violento. E aveva sempre da ridire sugli
uomini, nessuno pareva mai fare qualcosa di giusto. Diceva sempre che erano le
donne il senno di questa nazione”
Aaron sorrise “Quindi se m’avesse sentito fare un commento poco educato sul
genere femminile, l’avrebbe presa come un fatto personale?”
“Sicuramente…”
”Da come ne parlate sembra vi manchi molto…” Aaron aveva notato un profondo
affetto velato di malinconia nelle parole di Nero. Ormai che si era in
argomento, quindi, aveva pensato che potesse arrischiarsi e fare al suo ospite
una qualche domanda più personale.
“Moltissimo. Lei e il mio maestro d’arme sono le uniche persone di cui sento
davvero la mancanza…Le uniche persone a cui ero legato…” lasciò morire la frase
senza concluderla, come se fosse oppresso da un peso che non voleva esprimere
“E cosa avete fatto quando ve ne siete andato?” C’era un qualcosa che spingeva
Aaron a voler sapere di più e di più ancora su quest’uomo. Non sapeva quasi
niente, le sue gesta in battaglia gli erano giunte all’orecchio prima che questi
arrivasse, Cleto gliene aveva parlato, ma c’era qualcosa che lo legava al Nero e
che non comprendeva appieno. L’uomo di fianco a lui sembrava capire cose troppo
difficili da spiegare a parole e che non venivano mai pronunciate, ma che
aleggiavano sempre quando Aaron passava il suo tempo col lui. Questo lo
rilassava e, soprattutto, lo rassicurava molto.
Il Nero non rispose subito a questa domanda e s’appoggiò al tronco dell’albero
dietro di lui
“E’ stata una decisione presa dopo averci pensato a lungo: andare via. E’ buffo
perché, col senno di poi, mi rendo conto di quanto fossi ingenuo e sprovveduto,
ma allora il mio unico pensiero era che me ne dovessi andare”.
Aaron voleva sapere il perché, ma sapeva che non era ancora il momento di
spingersi così in là. Sarebbe venuto, sparava, ma non sarebbe stato quel
pomeriggio.
“Notti passate a pensare cosa fare, come partire, neanche un attimo speso a
trovare un luogo dove passare la prima notte, ma ero fatto così… Non riuscivo a
pensare al domani più di quando riuscissi a preoccuparmene. Quindi la notte in
cui avevo deciso di partire, avevo portato con me nella stanza la mia spada, il
mio pugnale, i rivestimenti di cuoio e un po’’argento che avevo raccolto i
giorni prima dalle stanze della padrona. Non avevo vestiti di ricambio con me,
né una mappa … Partii così, senza nulla” sorrise al ricordo “Ero davvero un
ingenuo…”.
Il cavaliere non riprese subito a parlare, ripensò a quella baracca dove aveva
passato la prima notte e, per un istante, gli parve che anche il cielo di quel
pomeriggio s’oscurasse e diventasse nero, proprio come il cielo di quella notte
lontana. E poi gli rivenne alla mente un’immagine di lui zuppo e infreddolito,
rannicchiato vicino ad un covone di paglia. Si rivedeva con occhi esterni ma
vicini al corpicino tremante e spaventato. Il bambino cercava di nascondere
persino a se stesso di avere timore dei tuoni, ma a ad ogni boato non poteva
fare a meno di tremare con più forza, scosso da una paura irrazionale.
Perché, si chiese Nero, stava osservando la scena, invece di riviverla. Come
poteva lui vedere sé stesso con occhi non propri?
Dopo un tuono particolarmente intenso, quel ricordo sembrò zittirsi, nessun
suono poteva essere udito, neanche il rumore della pioggia.
E fu in quel momento che il Nero capì che quello che lui stava rivivendo era
davanti agli occhi di Aaron. Un attimo, un’immagine solamente, quel campo
sterminato, la tettoia ed il covone abbagliati da un lampo seguito dal tuono… Il
Lord aveva visto quell’istante, lì sotto un albero, quindici anni dopo.
Ma a discapito di quello che lui stesso s’aspettava, non ne fu irritato, neanche
si sentì violato o imbarazzato. Una sensazione di calore gli pervase il petto ed
ebbe la netta sensazione di un affetto paterno e celestiale che lo avvolgeva.
Non capì da dove provenisse, non dal Lord di fianco a lui che, sgomento, non
capiva che cosa stesse accadendo.
E poi tutto svanì, d’improvviso, esattamente come era venuto. Una semplice
immagine negli occhi di Aaron,instanti di un passato lontano per Nero.
I due si guardarono, increduli per ciò che era appena accaduto; l’aria sembrava
densa e difficile da respirare. Il Nero portò le dita sul volto di Aaron, le
fece scivolare delicatamente sulla guancia e poi nei capelli. Aaron non reagì né
si mosse, impietrito dal ciò che aveva visto e da quel tocco che sembrava
volergli bruciare la pelle.
I capelli di Aaron erano morbidissimi fra le dita di Nero che le affondò
ulteriormente, fino a raggiungere la nuca.
Il dolore che provò Aaron fu così intenso che lo fece gridare. Spostò la testa
violentemente liberandosi da quel contatto e ritornò in sé
Anche Nero sembrò essersi appena svegliato da un sogno e sbattè gli occhi come
se fosse leggermente stordito. Il dito che aveva solo sfiorato la macchia sulla
nuca di Aaron gli pulsava e provò di nuovo provò l’affetto celestiale di poco
prima.
“L’alito di Dio…” bisbigliò, ma poi di scatto si girò verso Aaron
“Mi dispiace, io non…volevo, non sapevo…”
Ma il Lord lo interruppe “Io per primo ho violato la vostra mente… Non so
perché… Non ho nessun controllo… Ma io per primo vi ho arrecato dolore, e voi
non potevate sapere che cosa stavate facendo…”
Non dissero più niente per un po’, troppo confusi per qualunque parola. Il Nero
si guardò la mano e si chiese se quell’onda di calore fosse la presenza di Dio,
si chiese se attraverso Aaron lui non avesse percepito l’alito di Suo Signore.
Dunque era vero? I prescelti esistevano davvero, ma perché? E inoltre, che
compito avevano sulla Terra? Nero non riusciva a trovare risposte.
“E’ meglio che vada” disse alzandosi e facendo qualche passo verso la strada che
li aveva condotti lì.
“Aspettate!” disse con foga Aaron “Non…Non ve ne andate, ve ne prego”
Nero lo guardò per un attimo e Aaron abbassò lo sguardo
“Io non so spiegare quello che succede, non so dare risposte, né posso fare
promesse su quello che accadrà in futuro, dicendo che mai più violerò la vostra
mente. Perché…” e cercò delle parole che non trovava “perché tutto è
indipendente dalla mia volontà”. Scosse la testa. Era preoccupato che Nero
potesse andarsene, disprezzarlo per il suo gesto e sentirsi in pericolo “Non
vedetemi come un nemico” Quasi lo implorò. Avrebbe voluto dire mille altre
parole, di scusa, di spiegazione, la presenza del cavaliere gli dava sicurezza e
lui in quel momento ne aveva bisogno. Ma non disse niente e rimase in silenzio.
Si guardarono e poi il Nero sorrise con quello che ad Aaron sembrò un sorriso
bellissimo e rimase lì, con lui.
Aaron riprese ad occuparsi di Fulva e del suo piccolo che nel frattempo erano
rimasti lì, sopiti. Sollevò il muso del volpacchiotto
“L’hai portato con te a caccia, vero?” Fulva annuì
“Deve aver mangiato del cibo avvelenato. Poco, perché vedo che è solo stanco, ma
a sufficienza per farti preoccupare”. Poi si avvicinò di nuovo a Fulva
indicandole la bocca del figlio “Vedi com’è scura? Fagli bere molta acqua e
assicurati che per qualche giorno il cibo che mangia sia sano. Se dovesse
mangiare anche solo un altro po’ di questo veleno, rischieremmo di dover fare
fronte ad una situazione più grave.”
Fulva leccò il musino del cucciolo
“Sembra che le volpi, al pari degli uomini, facciano fatica a seguire i buoni
consigli”
Il Nero sorrise. Non c’era più traccia di disagio, nessuno strascico della
confusione provata pochi minuti prima. Lasciò che il frizzante vento autunnale
portasse via qualunque cosa, lasciandogli solo una sensazione di armonia.
“Quella notte ho pensato di tornare indietro, è stata l’unica volta che ho
davvero preso in considerazione l’idea …” disse ad un tratto Nero, di punto in
bianco. “Dopo di allora, non me ne sono mai più pentito, e anche oggi, non ho
dubbi: non tornerò mai più là, in quella che Chiaro si ostina a chiamare casa
nostra, ma che per me era una prigione” parlava forse più a se stesso che ad
Aaron, ma aveva un’intensa necessità di esprimere a parole quel groviglio di
pensieri sul luogo dove aveva vissuto da piccolo, sulla sua fuga, sulla sua vita
di mercenario.
Aaron lo capì e sorrise: gli andava bene. Ascoltare frammenti del passato di
quest’uomo andava bene, raccogliere le schegge per completare il puzzle andava
bene, non voleva intromettersi, né imporsi, i tempi e i modi di Nero sarebbero,
anche loro, andati bene.
Appoggiò la testa alle ginocchia e si girò verso il suo interlocutore “E che
cosa accadde dopo quella notte?”
“Non avevo idea di cosa fare, allora seguii l’istinto. Accantonato il pensiero
di tornare a casa, decisi che la cosa migliore sarebbe stata quella di
allontanarsi il più possibile da tutto quello che m’era noto. Volevo slegarmi
dal mio passato e persino dalla mia terra, volevo ricominciare daccapo. E così
presi la prima nave disponibile a Dover per il continente. Al capitano dissi che
potevo fare il mozzo per pagarmi il tragitto, ma lui non credette che ne fossi
capace, e mi richiese metà dell’argento che avevo con me. Erano tempi difficili,
che avrebbero portato a questa guerra…La sua nave sbarcava a Calais, portare un
clandestino Inglese in terra Francese costava per lo meno quella cifra, mi
spiegò. Non avevo scelta e quindi gli diedi quello che chiedeva. Lasciai a Dover
il cavallo, grazie al quale riuscii a racimolare un po’ d’oro, e portai con me
solo la spada ed il pugnale…”Rise “alla fine il capitano mi fece lavorare come
se non di più di un mozzo e ricordo che arrivai in Francia stremato, tanto che
al porto, dormì per un giorno intero, per trovarmi la mattina seguente senza più
un soldo e senza un’arma. E’ imbarazzante per me dirlo, ma fui derubato di tutto
senza che me ne accorgessi!”
“Tutto? E come avete fatto?”
”S’impara dai propri errori” si schernì Nero, “non m’hanno più rubato niente da
allora. Anche se devo essere sincero, Cencio c’è andato molto vicino”
”Un ladro professionista, allora!” scherzò Aaron
“Uno dei più scaltri che abbia mai visto”
Il loro discorso fu interrotto dal suono di un corno.
Aaron sospirò “Mio padre mi chiama, devo andare da lui però…”Esitò un istante
“Mi farebbe piacere continuare ad ascoltarvi. Purtroppo ho avuto così poche
possibilità di viaggiare che posso farlo solo attraverso occhi altrui”
Perché Nero aveva questa intima necessità di raccontare a quest’uomo, in fondo
uno sconosciuto, la sua vita? I suoi viaggi? Ma trovare una risposta non era
così importante, in quel momento, voleva e tanto gli bastava. “Vi racconterò
quello che volete sapere”
“Posso quindi aspettarvi in biblioteca, dopo cena?”
“Certo” disse sorridendo e si chiese quanto mancasse al calar del sole.
***
lili1741
: E' che LdM è lento di suo. Ad un certo punto accelererà, ma all'inizio deve
davvero prendersi il suo tempo. Quando l'ho scritto non riuscivo a staccarmi dai
"momenti". C'era quello, quell'altro momento che volevo descrivere... Perciò è
nato così. Riguardo alle visite, ho letto un libro che descriveva il quotidiano
nel medioevo e diceva che, è vero, i parenti lontani raramente si recavano a
trovare i propri cari (per via delle distanze, soprattutto), ma se lo facevano,
di solito era durante una festività cristiana. Una volta nella vita, magari
quindi a Natale. Devo essere sincera, la mia fonte è unica, non mi sono
documentata di più, perciò può essere che ci sia un grosso errore di
ambientazione. Vado a controllare più a fondo, allora, perchè se così fosse,
dovrei cambiare il pezzo. Vero che LdM ha un'enorme dose di sovrannaturale che
falsa il "racconto storico", ma mi dispiacerebbe fare errori grossolani :( [E
soprattutto, potrei aspettarmi la mia prof. di storia del liceo prendermi a
calci. Dio mi scampi XDD). Grazie davvero tantissimo per le tue recensioni. *hugs*
Bigi:
Nero dev'essere bellissimo *_* Avremo... sì, un "ragazzetto", per così dire O_ò
E' necessità di copione, non me ne volere XD
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