“Children of Eden
Where have we left you!
Born to uncertainty
Destined for pain.
Sins of your parents
Haunt you and test you
This your inheritance:
Fire and rain”
“Children of Eden”(
musical omonimo)
Children
of Eden
La stanza è un macello:
sangue dappertutto, sangue di
ishvariani, uomini, donne, soprattutto bambini, che inzuppa le bende
sporche
sparse per il pavimento.
Sangue di un uomo e di una donna
dalla pelle più chiara,
ancora abbracciati sul pavimento, tra i bisturi e le garze, e i rifiuti
e la
sporcizia di un ospedale da campo tirato su in tutta fretta.
Roy guarda quella coppia ancora
abbandonata sul pavimento
polveroso – il braccio di lui ripiegato con naturalezza, a
cercare la compagna
nel sonno più profondo, riflesso involontario nel tentativo
di proteggerla –
guarda gli occhi chiusi e le mani sporche di sangue, sangue buono,
sangue che
altri hanno versato e che essi cercavano solo di arginare.
Lo stesso sangue che non sono
riusciti a trattenere nel loro
corpo e che ora sporca appena i bordi di quella foto di famiglia,
ripiegata con
cura nella tasca del dottor Rockbell.
Maes si china a raccoglierla,
osservandola da dietro gli
occhiali appannati.
“Un padre non dovrebbe mai
lasciare la sua bambina da sola.”
Vorrebbe dirgli che non è
stata colpa sua, che non ha deciso
lui di morire in quel modo, che forse cercava solo di dare ai bambini
di una
terra straniera dispersa nel deserto la stessa felicità di
quella figura bionda
sorridente nella foto.
Ma non lo fa, perché il
mondo punisce sempre le persone
sbagliate, e questo lo sanno entrambi.
Hawkeye è sulla porta, la
testa china – il mento che sfiora
appena lo sterno, come se si volesse ripiegare su se stessa: gli stessi
occhi
carichi di lacrime con cui osserva i bambini da dietro il suo mirino di
precisione, prima di esplodere il colpo – un pulviscolo di
sabbia e luce che
incornicia i contorni del suo pastrano e il profilo del suo capo.
Parla, ma la voce sembra arrivare da
una terra lontana,
troppo distante da poter essere raggiunta.
“Ma quella bambina ora è
sola.”
Sola al mondo. Sola con se stessa e
il suo dolore che corre
lungo la ferrovia, scritto a lettere stampate sul telegramma militare
già in
viaggio.
Con il capo ancora chino, non
può vedere il maggiore Mustang
avvicinarsi: può solo sentire il suo palmo contro la
schiena: il contatto
sottile e consolatore che lei sessa gli ha donato tante volte.
E’ davanti a lui inerme,
sconvolta, amareggiata nello
scoprire che il male di quel luogo di morte riesce ad espandersi
velocemente
anche al mondo esterno, come l’infezione di un dito che porta
inesorabilmente
alla cancrena di un intero arto.
Le conseguenze di quella guerra,
l’eco degli spari, l’odore
del sangue sembrano poter arrivare ovunque, nonostante lei stessa abbia
cercato
di ingoiare tutto il dolore, preservare altri dalla stessa sua sorte.
Roy la sente respirare a fondo
– il suo palmo che si alza e
si abbassa, che sente l’aria riempirle il torace, spingere
contro l’involucro
della pelle come un singhiozzo trattenuto.
Maes ripone la foto al suo posto,
prima di coprire in
silenzio i due corpi senza vita, con il lenzuolo più pulito
che riesce a
trovare.
Ed ecco la
tempesta…
>___< ‘’
Un
capitolo (anzi, due
visto il prossimo…) sulla famiglia Rockbell era
d’obbligo. Tuttavia non sono
riuscita a scriverlo dal punto di vista di Riza – o almeno
non interamente.
Il
fatto è che non
sono riuscita ad identificare che tipo di sentimento potesse provare
lei
(Rabbia? Dolore? Ricordi amari che riaffiorano? Impotenza?): era una
gamma di
emozioni diverse troppo grande, e troppo varia, oltretutto penso che
gli stati
d’animo di Riza rendano meglio con i suoi gesti, i suoi
silenzi e le sue parole
accuratamente calibrate, più che con gli strema of
consciousness.
Da
questo punto di
vista Roy è un personaggio più
“facile”…
La
canzone è tratta da
un musical ispirato alla cacciata dal paradiso di Adamo ed
Eva… avevo le parole
in casa, perché anni fa l’ho suonato al pianoforte
e mi è sembrato
particolarmente adatto.
Dice:
“Bambini
del paradiso
Dove vi abbiamo abbandonati!
Nati nell’incertezza
Destinati al dolore.
I peccati dei vostri
avi
Vi perseguitano e vi
mettono alla prova.
Questa la vostra
eredità:
fuoco e pioggia.”
Ah.
Tornando al
capitolo precedente: non preoccupatevi per le sorti di Jones. Sta bene
(più o
meno), si è preso una licenza (spontaneamente, eh!), vi
ringrazia per
l’interessamento e vi saluta tanto…
Ok, scherzi
a parte, Roy non gli ha fatto
niente: diciamo che gli ha dimostrato sulla prima tenda che ha trovato
davanti
a sé (che accidentalmente risultò poi essere
proprio la tenda di Jones: pensa i
casi della vita…) quale sarebbe stata la sua forma fisica se
non l’avesse
piantata con le sbirciate e i commenti pesanti su Riza…
neanche a dirlo, Jones
ha afferrato l’analogia al volo. XD
Grazie per i
commenti!
Un bacione a tutte, a presto!
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