You came back alone
-You
came back alone-
And
I was here, waiting for you
[Only
you]
Inciampò
su una radice, o forse nei propri stessi piedi, e nemmeno se ne
accorse.
L’odore
dell’erba nelle sue narici era così forte da stordirlo. Era
caduto? Sì. Credeva di sì. Sentiva freddo contro la
guancia, e freddo tra le dita, abbandonate inerti. Vedeva una delle
sue mani, davanti a sé, ed era sporca di sangue.
Sangue...
Il
suo odore si mescolava a quello dell’erba, ed era semplicemente
rivoltante.
E
a quei sentori, amaro, salato, e dolce al tempo stesso, si univa il
sapore delle lacrime.
Se
ancora ne aveva, da piangere. Forse le immaginava soltanto, forse i
suoi occhi erano vuoti come la sua mente, dopotutto. Chi avrebbe
potuto dirlo?
Non
sapeva nemmeno di essersi rialzato.
Non
sentiva nemmeno il dolore lungo il corpo, anche se sapeva di essere
ferito.
Semplicemente,
non
era più nulla.
E
il sangue colava, goccia dopo goccia dopo goccia,
e
tingeva di rosso l’erba scura, la rendeva nera, la rendeva malsana.
Il
sangue lo impregnava, e lo stordiva,
lo
annegava nella disperazione.
Il
sangue,
il
suo,
sangue...
E
quei capelli, coperti di un rosso così denso da sembrar
nero...
Di
nuovo in marcia, sempre in cammino.
Ma
c’era davvero un luogo in cui tornare?
Sì.
Doveva
esserci, anche se non lo ricordava, doveva esserci.
C’era
sempre un posto in cui tornare.
Aveva
sete. Tanta sete, improvvisa e lancinante. Si fermò, si guardò
attorno. Le chiome degli alberi erano tutte uguali, lo stormire delle
fronde sempre delicato e insinuante, ipnotico, immutabile.
Dov’era?
Perché era lì?
Che
ne era stato del sangue?
Si
fissò le mani, ma in realtà era lontano dal suo corpo,
lontano dalla sgradevole realtà.
Ah,
eccolo, il sangue.
Sulle
sue mani. Sempre sulle sue sporche mani.
Un
sorriso di scherno gli stirò le labbra, scherno per sé
stesso e per ciò che non era più.
Un
singhiozzo leggero gli salì dalla gola, e le dita tremarono
leggermente sotto lo sguardo offuscato.
Lacrime.
Allora
ne aveva ancora.
Aveva
pianto anche in quel momento.
Aveva
pianto mentre lo uccideva.
Aveva
pianto, e non se ne vergognava.
Perché
con un solo gesto,
un
solo, inevitabile gesto,
aveva
distrutto un intero universo.
Il
suo universo.
Con
Sasuke, tutto era sfiorito.
Ah,
ora gli sembrava di riconoscere qualcosa.
L’odore
dell’aria era cambiato, si era fatto più caldo... più
dolce. Era l’odore del ramen e dei ciliegi, l’odore dell’unica
casa che avesse mai conosciuto.
L’odore
giusto.
E
fu allora che lo stomaco brontolò con prepotenza, e la gola
arse rovente.
Fu
allora che i suoi sensi si risvegliarono, orribilmente acuti, e la
sua mente si snebbiò vorace.
Fu
allora che, per un lungo istante, dimenticò.
E
insieme alla dimenticanza, perfide conduttrici di memorie, tornarono
le lacrime.
Fu
così che lo videro tornare, lacero, sporco di sangue,
emaciato.
Lo
videro oltrepassare le porte di Konoha con la tuta opaca e i capelli umidi, sulla testa a malapena china.
Lo
videro solo.
E
lo videro piangere.
E
allora capirono, e chiamarono lei.
«Sakura,
non ce l’ho fatta»
«Lo
so, Naruto...»
«Sakura,
mi dispiace, mi dispiace tanto...»
«Lo
so, Naruto»
«Non
volevo farti piangere»
«Ma
anche tu stai piangendo»
«Lo
so»
«Naruto,
non potevi fare altrimenti»
«Non
è vero»
«Naruto,
io ti amo. Io sono sempre qui, ad aspettare»
«Come
aspettavi anche lui, da tempo...»
«No,
Naruto.
E
le lacrime non smettono di scendere,
dal
suo viso, sul suo ventre,
sulle
mani che accarezzano il bambino che cresce dentro di lei.
Ormai io sono qui ad aspettare soltanto te»
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Questa doveva essere un regalo di compleanno per Rhymes, poi non sono
riuscita a pubblicarla il 14 giugno! ç_ç Tra la linea che
non funzionava venerdì notte e gli impegni che mi hanno occupata
tutto sabato, mi trovo a proporvela solo oggi.
Chiedo scusa a Rhymes se non è ciò che voleva.
Mi avevi chiesto una NaruSaku, e in effetti questa è una fic
NaruSaku, ma probabilmente è più una Naruto-centric con
NaruSaku. Sigh. Ed è pure triste.
Ahh, ma che razza di regalo!
Comunque, auguri!
Aya
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