I
just called
No
New Year's Day to celebrate
No
chocolate covered candy hearts to give away
No
first of spring
No
song to sing
In
fact here's just another ordinary day
Il
vecchio giradischi emise un soffice ronzio rassicurante quando si
accese; ne erano rimasti pochi simili, era un cimelio, temprato da
anni di utilizzo. Riproduceva il suono come i suoi successori non
riuscivano a fare, così digitali e freddi, impersonali. Era
antico e
familiare, un po' come quel liquido ambrato su cui galleggiavano due
cubetti di ghiaccio dentro allo spesso bicchiere. Avrebbe dovuto
tenerlo per le grandi occasioni, ma era da un po' che non c'erano
grandi occasioni, e nemmeno grandi speranze.
E
lui era convinto che bisognasse al tempo stesso crearsele da soli,
quindi non c'era niente di meglio che una spintarella fiduciosa per
il salto nel buio in quel giorno come gli altri.
La
soffice melodia intrise la stanza di un'inaspettata allegria mentre
si sedeva sulla poltrona anch'essa vecchia e cigolante, ogni crepa e
ruga sulla pelle profonda quanto un ricordo, davanti al camino
scoppiettante.
Non
c'era niente di speciale in quella serata di un mese banale e
tranquillo, senza particolari stelle in cielo (non che lo smog e le
luci della città aiutassero molto), ed una placida mezza
Luna che
non aveva significato. Non era una festività, né
una data storica,
né preannunciava un avvenimento. Non c'erano nemmeno partite
di
basket, football, baseball o un bel film in televisione.
Tutto
era semplicemente normale. E proprio per questo motivo, lui stringeva
nella mano sinistra il cellulare.
Sentiva
il bisogno di dare un senso a quella giornata, di ripulirla dalla
coltre di consuetudine che la ricopriva per non sprecarla; si era
stancato di sprecare i giorni, i mesi, gli anni, di nascondersi
dietro la routine e la banalità, perciò avrebbe
chiamato.
Forse
era solo lo scotch a parlare, ma il mezzo non era così
importante,
dopotutto.
Prese
un altro sorso, fissando le fiamme arancioni, lasciando che lo stesso
fuoco bruciasse dentro di sé, e compose il numero a memoria.
La
gola gli si strinse nell'ascoltare i cupi rimbombi dello squillo,
così contrari alla musica che lo aveva inspirato, ma di
nuovo diede
la colpa all'alcol. Probabilmente averne bevuto già due
bicchieri
non era stata una grandissima idea.
“Pronto?”
Gli
si mozzò il fiato come se fosse stata la prima volta che le
avesse
parlato: “Ciao.” riuscì a sussurrare
dopo qualche secondo, la
lingua impastata “Ti disturbo?”
“No,
sono in pausa pranzo,” la
sua voce era allegra e cristallina anche attraverso cavi e satelliti
“Piuttosto
tu sei dall'altra parte del mondo, quanto ti sta costando questa
telefonata?”
Gli
scappò una risata roca: “Non preoccuparti, lo sai
che non è un
problema.”
“Oh,
certo che lo so,”
rise anche lei, spensierata, identica a come la ricordava “Non
hai mai avuto remore a dimostrarlo.”
“Infatti.”
giocherellò con una delle crepe nel bracciolo, la mente
leggermente
appannata. Lo
scotch, non lei, non lei.
Dovette
prendere un altro sorso. La canzone stava per terminare.
“E'
praticamente notte da te, Shirogane-kun. Perché mi hai
telefonato?
C'è qualcosa che non va?”
Lui
scosse la testa inconsciamente, come se avesse potuto vederlo. Se
solo avesse potuto vederlo, ah,
già si immaginava la sua espressione corrucciata nel
trovarlo
leggermente alticcio, spaventato come un bambino, le difese
completamente abbassate, incapace di ammetterlo.
“No,
Ichigo, è tutto okay. New York è ancora al suo
posto, caotica ed
eccezionale come sempre negli ultimi otto anni. Ti ho chiamata
soltanto per dirti...”
“Diglielo,
diglielo”,
gridava Johnnie Walker nella sua testa con il suo pesante accento
scozzese, da
quando la sua mente gli parlava con l'accento scozzese?
C'erano
silenzio e staticità dall'altro lato della linea, come se
lei si
stesse aspettando qualcosa, e c'era il sintetizzatore
nell'appartamento e il ronzio della puntina sul vinile, e c'erano
tante cose che si sarebbero voluti dire per cui non sarebbero bastati
tutti i dischi della sua collezione né tutti quei bicchieri
di
scotch. C'erano macerie di ricordi pronti ad essere spolverati,
rimpianti accatastati come scatole negli sgabuzzini dei loro cuori,
in attesa di luce, di qualcosa di speciale.
Ma
quello era un giorno normale.
“...per
chiederti, ecco, se stavi bene. Sì.”
La
canzone finì.
No
April rain
No flowers bloom
No wedding Saturday within the
month of June
But what it is, is something true
Made up of
these three words that I must say to you
E'
lunedì, bell'inizio di settimana, vero? Mwahahah! Pensavate
di
esservi liberati dalla me cattiva, antipatica e sadica, invece no.
Bentornata alla vecchia me, vi prego di non trattarla troppo male ^_^
Oggi
avevo voglia di scrivere, ed in tre quarti d'ora ho scritto codesta
storia. La canzone credo la conosciate tutti, I just called
to say
I love you di Stevie Wonder (un tuffo negli anni '80) e
Johnnie
Walker è una marca di scotch scozzese, appunto :)
Bacioni
a tutti, grazie a chi
leggerà/commenterà/inserirà in
categorie, a
presto :)
Hypnotic
Poison
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