06:09
6 minuti alle 06.09.
Correva Hinata.
5 minuti alle 06.09.
Percorreva rapidamente i corridoi, scansando rapidamente
persone e ostacoli.
4 minuti alle 06.09.
Incontrava sguardi sorpresi, perché non era da lei.
3 minuti alle 06.09.
Ansimava per la folle corsa che si stava costringendo a
fare.
2 minuti alle 06.09.
Correva Hinata.
1 minuto alle 06.09.
Non per un capriccio o una scommessa.
06.09.
Ma per vedere lui.
Qualche giorno prima,
in un appartamento
Naruto si era svegliato, e ancora assonnato si era
stropicciato gli occhi, cercando di capire dove fosse.
Si era stiracchiato: il divano non era uno dei posti
migliori per dormire, però ne valeva la pena.
Aveva guardato verso la cucina, e gli era scappato un
sorriso quando l’aveva vista.
Hinata.
Era rimasto a osservarla con il viso appoggiato al divano,
mentre lei stava preparando qualcosa.
Si era leccato le labbra: ramen!
Avrebbe riconosciuto tra mille l’odore del suo piatto
preferito.
Era ritornato a concentrarsi sulla figura della mora,
assumendo un’espressione dolce.
Uno sguardo riservato solo a Lei, perché non era solo
un’amica,
una consigliera o la sua ragazza.
No, Hinata era il suo angelo, colei che lo aveva salvato
dalla solitudine.
L’unica che gli era rimasta accanto, quando stava male per
il fidanzamento di Sakura e Sasuke.
L’unica donna che riusciva davvero a leggergli dentro con
uno sguardo.
Una salvatrice, che però aveva dovuto essere a sua volta
salvata dalla fredda e insensibile famiglia Hyuuga.
Le si era avvicinato silenziosamente, per abbracciarla da
dietro e baciarla a tradimento sul collo.
Il suo sorriso s’era allargato, quando l’aveva
vista
arrossire per l’imbarazzo.
“N-naruto-kun, c-che f-fai?”.
“Ti bacio: fanno così i fidanzati, no?”.
Lei era diventata ancora più rossa, scatenando le risate di
lui.
Dopo il momento d’ilarità, era ritornato a
guardarla,
chiedendosi come aveva potuto essere così cieco da correre
dietro a Sakura e da
non guardare Hinata.
Se solo fosse stato meno baka!
Avrebbero potuto avere più tempo per loro, ma
l‘importante
era rimediare.
E sapeva già come: avrebbe fatto molto presto la sua
proposta.
“Ah, è-è pronto il r-ramen.”
Ma dopo la colazione!
Dopo aver mangiato, aveva assunto un’aria pseudo-seria, e
aveva cominciato a parlare.
“Hinata?”.
“C-che c’è Naruto-kun?”.
“Sai che purtroppo ci vediamo poco, perché devo
trascorrere
molto tempo al lavoro, quindi…”.
Aveva preso un bel respiro per concludere:
“Che ne dici di venire a lavorare con me?”.
La mora aveva aperto gli occhi per lo stupore, poi aveva
risposto:
“N-non posso accettare.”.
“Dai Hinata! So che è un po’ pericoloso
lavorare in un carcere,
ma ti proteggerei io, non preoccuparti!
Sono la migliore guardia giurata, e ti proteggerò sempre
dattebayo!”.
“N-non è per questo.”
“E per cosa?”
“Beh…ecco…N-non vorrei approfittare
della generosità del
direttore, non credo che stia cercando qualcuno con una laurea come la
mia.”
Naruto le aveva sorriso.
“E invece sì! Anko s’è
licenziata, quindi c’è posto per una
consulente psicologica, e con i tuoi ottimi voti, avresti sicuramente
il
lavoro!”
Lei lo aveva guardato: era ancora incerta sull’accettare o
meno, ma poi lui aveva usato la sua arma segreta.
Il musetto dolce.
Nessuno avrebbe mai resistito a quell’espressione tenera e
semplicemente kawai che era apparsa sul viso di Naruto.
“Beh, posso provare…”
Il biondino l’era saltato addosso abbracciandola, urlando:
“Grazie!! Ti prometto che ti piacerà!”
Il giorno dopo, al
carcere
Hinata si era istintivamente voltata a guardare la porta
d’entrata, sbarrata, sentendosi improvvisamente terrorizzata.
I suoi respiri si susseguivano affannati mentre scorreva con
gli occhi i volti dei detenuti.
Era pieno di criminali adulti, lordi, che emanavano un lezzo
spaventoso, con lo sguardo fisso nel vuoto e la bocca contratta in
ghigni
animaleschi a dir poco spaventosi.
Le sembrava di essere in un carro bestiame più che in un
carcere.
E all’improvviso un dettaglio l’aveva colpita.
In una cella apparentemente vuota se ne stava un giovane
uomo, rannicchiato contro il muro, dall’espressione
assolutamente apatica,
quasi come se essere lì fosse la cosa più normale
del mondo.
Appena era passata davanti alle sbarre, quello le aveva
puntato addosso uno sguardo omicida pieno di violenza, furioso.
Lei aveva notato che quel ragazzo aveva un paio d’iridi
completamente fuori dal comune.
Erano di un intenso color acquamarina, gelide, severe,
cariche di biasimo.
Soprattutto tristi.
Si era fermata, come ipnotizzata, e lui si era alzato per
scrutarla meglio.
Separati solo dall’acciaio delle sbarre, vivevano nello
stesso momento, come due animali che si fiutano e si riconoscono per
capire se
attaccarsi o meno.
Lui, una volpe rossa e feroce chiusa in una gabbia.
Lei, una volpe bianca addomesticata alla libertà.
“Hinata-chan!” Naruto le era corso incontro,
abbracciandola
energicamente e strappandola al poetico contatto visivo con il ragazzo.
“Ciao…Naruto-kun.” Gli aveva sorriso con
dolcezza prima di
rivolgere il suo sguardo alla cella, nella quale lui
era tornato a
rannicchiarsi.
Era andata con il suo fidanzato a parlare col direttore del
carcere, che non aveva esitato ad assumerla come consulente psicologica
per i
detenuti.
Il colloquio era stato breve e superficiale: l’uomo aveva
sfogliato il carteggio del curriculum della ragazza, le aveva fatto un
paio di
domande e l’aveva liquidata in quattro e
quattr’otto dicendole di cominciare immediatamente..
Così, era iniziato il suo primo giorno di lavoro.
Aveva ascoltato per ben quattro ore le confessioni più
intime, gli incubi peggiori, i racconti degli spietati delitti di
quegli uomini
prima di avere dieci minuti di riposo.
Si era stiracchiata, per poi fare capolino dalla stanza che
avevano adibito frettolosamente a consultorio, ed aveva detto:
“Il prossimo!”,
infine era tornata dentro e si era seduta di nuovo alla scrivania.
Dopo poco era entrato nella stanza il ragazzo di prima.
La fulva volpe, sfuggevole e schiva.
“Il tuo nome?” gli aveva chiesto gentilmente.
“Gaara.” Aveva risposto lui prima di abbandonarsi
sulla
poltroncina davanti a lei. “E’ comoda.”
“Immagino di sì, è fatta apposta. Io
sono Hinata, studio
psicologia all’università e sono qui per fare
pratica di consultorio. Ti va di
raccontarmi qualcosa?”
Era rimasta in attesa, speranzosa.
“Una favola?” aveva commentato lui sarcastico.
“Preferirei qualche episodio della tua vita, o, se
preferisci, anche solo una sensazione ricorrente.”
Si sentiva improvvisamente in imbarazzo con quegli occhi
algidi puntati addosso.
Ed era arrossita, pregando che quello si decidesse a
parlare.
“Hmmm…Effettivamente, c’è una
sensazione che provo. Non è
propriamente ricorrente, ma più che altro continua, soffusa.
Mi sento
costantemente isolato. Un marginale. Quasi come se esistessi solo tra
le
quattro mura della mia prigione. Il mondo si è dimenticato
di me il giorno
stesso in cui ho sentito quella porta chiudersi dietro alle mie spalle,
e da
allora è stato come se la mia vita fosse cessata. Io non
sono morto…non ancora,
almeno…Ci sono, mangio, bevo, dormo, sogno, parlo, respiro,
pur non essendo del
tutto vivo. Il mio ricordo non sarà presente nella mente di
nessuno se non come
quello di un assassino. Hinata ti chiami, vero?-aveva annuito- Hinata,
io me ne
andrò senza aver conosciuto l’amore. Senza essere
stato amato. Senza aver visto
altro che non fosse la gabbia che mi preclude ad ogni cosa. Sono qui,
ma potrei
benissimo non esserci, perché lo sappiamo solo io, tu ed i
miei carcerieri. Io
sono un morto ambulante, che per chissà quale strano motivo
si è ritrovato al
mondo e che non vede l’ora di levarsi di mezzo.”
Hinata aveva gli occhi pieni di lacrime per la pena e la
tenerezza che Gaara aveva suscitato in lei.
In un gesto spontaneo, quasi infantile, aveva allungato la
mano per accarezzargli il viso, ma lui si era immediatamente ritratto,
ringhiando e assumendo un’espressione di rimprovero.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma lui l’aveva
anticipata
protendendosi verso di lei, si era allungato sulla scrivania e la aveva
afferrata per la nuca con delicatezza.
I loro volti erano così vicini da potersi sfiorare.
Gaara la scrutava con interesse, assorto, inspirando a fondo
il suo profumo di iris.
Hinata era a dir poco terrorizzata, in completa balia degli
eventi; stava diventando lentamente paonazza.
Poi, fulmineo, il ragazzo la aveva baciata con foga, senza
darle il tempo di capire cosa stava accadendo, lasciandola del tutto
inerme,
succube del suo impeto passionale.
Quel bacio stava diventando una lotta tra quei due esseri
così diversi, quei poli contrapposti, nella quale si
scontravano la purezza di
Hinata, che tentava di sfuggire, e la veemenza di Gaara, che desiderava
invece
possedere quelle labbra piccole e delicate.
E infine, senza rendersi conto del come e del quando, se
n’era andato, lasciandola nella stanza buia a fissare il
vuoto.
Si era portata una mano alle labbra, incredula, poteva
ancora sentire la forza esercitata dalle sue, il suo calore, il suo
odore
mascolino e selvatico.
Aveva chiuso gli occhi, confusa, ed aveva preso le sue cose
per uscire al più presto possibile.
Aveva un disperato bisogno di snebbiarsi la mente.
S’era rifugiata sulle scale, portando al petto le ginocchia,
mentre si stringeva le braccia con le mani, per darsi un po’
di calore.
I capelli disordinati, gli occhi lucidi e le labbra tremanti
mostravano il suo sconvolgimento interiore.
Come aveva potuto quel semplice bacio confonderla a tal
punto da rendersi a malapena conto di dove si trovava?
Non riusciva a spiegarselo, non aveva mai provato niente del
genere neanche con il suo ragazzo.
Come poteva essere?
Lei amava Naruto.
Il bambino biondo, sempre sorridente, personificazione
vivente del sole.
L’adolescente confuso dai suoi sentimenti, che non sapeva
come sfogare il suo dolore.
L’uomo che s’era risollevato, che l’aveva
finalmente vista e
apprezzata, il suo salvatore.
L’unico che la faceva sentire bene con i suoi baci dolci.
Almeno fino ad ora…
Era rabbrividita a quel pensiero.
Quel bacio non poteva significare qualcosa per lei.
Lei amava Naruto, non Gaara.
Lui doveva spaventarla, perché era
perverso e
malvagio, come mostravano i suoi occhi, i suoi atteggiamenti, i suoi
precedenti.
Aveva scosso la testa, come per scacciare quel pensiero
irrazionale.
Dopo un po’ s’era alzata, con una parvenza di pace
interiore.
Si era diretta verso la sua stanza decisa a continuare,
nonostante tutto, il suo lavoro.
Il giorno dopo, al
consultorio
Hinata s’era appoggiata completamente allo schienale,
trattenendo a stento uno sbadiglio di stanchezza.
Non era però riuscita a fare altrettanto con un lieve
rossore che le colorava le guance, mentre ripensava alla sera prima.
Naruto aveva intuito che qualcosa l’aveva scossa durante la
giornata, quindi s’era impegnato a fondo per dimostrarle
tutto il suo amore:
una cenetta romantica (non a base di ramen), parole gentili, minacce di
morte
per il detenuto che l’avrebbe toccata, e poi…
Le guance erano diventate ancora più rosse.
Aveva scacciato via quei pensieri non consoni all’ambiente e
aveva chiamato il prossimo paziente.
Però, dopo averlo visto, un brivido le aveva percorso la
schiena: era lui.
S’era ripresa rapidamente, cercando di non far vedere quanto
l’agitava la sua presenza.
“C-ciao Gaara.”.
Il ragazzo aveva risposto con aria indifferente.
“Ciao.”.
Erano rimasti per qualche minuto in silenzio, poi lei
l’aveva rotto chiedendo:
“Hai qualcosa da raccontarmi oggi?”
Lui era rimasto ancora zitto, poi aveva accennato un sorriso
sinistro, facendola rabbrividire un’altra volta.
“Sì, una cosa c’è.”.
S’era sistemato meglio e poi aveva cominciato a parlare.
“Un paio di mesi fa ho avuto un compagno di cella, che non
faceva altro che imprecare contro il destino.”.
Hinata era sbiancata.
“Diceva che solo per colpa della sorte non era riuscito a
uccidere sua cugina.”.
Hinata era impallidita ancora di più.
“Una volta mi ha confessato che ha voluto provarci,
perché
voleva andare contro la sorte e non rassegnarsi ad una cosa.”.
Hinata aveva sentito la gola diventare secca e un pizzicore
agli occhi.
“Non riusciva ad accettare di amarla”.
Gli occhi bianchi della Hyuga s’erano spalancati, prossimi
alle lacrime, mentre stringeva fino a sbiancare le nocche la sedia.
E mentre ricordava.
* Flashback*
Hinata non riusciva né
a respirare né a parlare bene.
Troppo forte la presa
di lui sulla gola.
L’aveva guardato con
occhi colme di lacrime, mentre aveva usato il poco fiato che
l’era rimasto per
una sola parola.
“P-perché?”.
Allora Neji aveva
stretto ancor più la presa, mentre il suo sguardo colmo di
rabbia e follia
aveva incontrato quello terrorizzato di lei.
“Perché Hinata-sama?
Volete davvero scoprirlo?”.
La mente della ragazza
aveva cominciato a scivolare nell’oblio.
“Perché voi siete
un’incapace, una fallita che non è nemmeno capace
di essere degna del cognome
che porta.”.
I suoi polmoni
reclamavano aria.
“Perché non
può essere
che mi sia innamorato di una persona come voi!”.
Il suo mondo si stava
tingendo di nero.
All’improvviso la
presa era scomparsa, facendola afflosciare a terra.
Prima di perdere
completamente i sensi, aveva sentito un’altra voce, non della
sua famiglia.
*Fine Flashback*
Dopo in ospedale, aveva scoperto che l’altro era Naruto, che
l’aveva salvata dal cugino.
Da allora era andata a vivere a casa sua, dove il biondino
aveva cercato in tutti i modi di cancellare quel ricordo
così doloroso.
Però i suoi tentativi, anche se Hinata non lo dava a vedere,
erano stati vani.
Niente e nessuno le avrebbe fatto dimenticare quella presa
gelida al collo, quello sguardo folle che continuava a vedere nei suoi
incubi.
Lei semplicemente evitava di pensarci, così aveva raggiunto
un equilibrio fragile, ma presente.
Un equilibrio rotto violentemente da quel racconto di Gaara.
Questo aveva cominciato a osservarla, con un luccichio di
curiosità negli occhi di solito indifferenti.
Poi aveva cominciato a parlare.
“Credo che anche tu sia imprigionata.
La tua stia forse è peggiore, perché è
invisibile, come il
dolore che serbi nascosto nel cuore.
Quello forma le tue sbarre, non puoi sfuggirgli
semplicemente perché non lo vedi”.
Era rimasto in silenzio per qualche secondo, con lo sguardo
perso nel vuoto, poi aveva ripreso.
“Io ti capisco, sai.”
Negli occhi ancora lucidi di Hinata era apparsa
dell’incredulità, ma era rimasta in silenzio,
invitandolo implicitamente a
continuare.
“Mio padre mi ha fatto sempre vivere come un recluso, senza
nemmeno farmi vedere i miei fratelli, per non rendere nota
l’esistenza di un
bastardo in famiglia.
Quando avevo 8 anni avevo un unico affetto, mio zio
Yashamaru, che su ordine di mio padre ha –aveva deglutito
impercettibilmente-
tentato di uccidermi, e per difendermi l’ho
ammazzato.”.
Aveva abbassato lo sguardo, non notando così
l’espressione
stupefatta di Hinata.
“L’unico modo che avevo trovato per sentirmi vivo
era
uccidere, sentire l’adrenalina della caccia.
Ma da quel giorno non sono più riuscito a dormire.
Perché so che, se sognerò, rivedrò lo
zio quella sera.”.
Gli occhi di Hinata si erano riempiti di lacrime, sentendo
dentro di lei il peso opprimente e angosciante delle parole di Gaara,
sia di
quelle rivolte a lei sia quelle della sua storia.
Anche se l’aveva fatta star male con il suo racconto su
Neji, non aveva potuto fare a meno di allungare la mano come il giorno
prima.
Però questa volta il rosso non s’era ritratto,
anzi, aveva
accettato con piacere quel contatto, che aveva cominciato a indugiare
sul viso
pallido del ragazzo.
Obbedendo a qualcosa dentro di lei che andava contro la
ragione, Hinata gli s’era avvicinata sempre più,
fino a trovarglisi di fronte.
Gaara aveva aperto gli occhi, che non erano più di un freddo
assassino, ma di un ragazzo cosciente di non essere mai stato amato.
Ed aveva accorciato la distanza fra i loro volti, così
vicini da riconoscere il reciproco profumo.
Poi l’aveva baciata di nuovo, ma in un modo completamente
diverso.
Il giorno prima quel bacio era stato passione, conflitto tra
due spiriti completamente opposti.
Invece ora era dolce, corrisposto, simbolo dell’unione tra
due prigionieri alla ricerca di una via di fuga.
Dopo un po’ s’erano separati, e lei aveva poggiato
la testa
sul suo petto, ascoltando il cuore di Gaara che finalmente, dopo tanto
tempo,
batteva un po’ più forte.
Dopo un po’ lei aveva tentato delicatamente di sciogliere
dall’abbraccio
che l’aveva avvolta.
“I-il consultorio è finito, d-dobbiamo andare
via.”.
Lui l’aveva lasciata,senza dire una parola.
E l’aveva osservata mettere a posto le sue cose, riporle
nella borsa, arrossire quando percepiva più chiaramente i
suoi sguardi.
“A-allora ciao.”.
Aveva fatto per uscire, ma s’era fermata alla sua voce.
“Promettimi.”.
“Cosa?”.
“Che prima di morire di rivedrò.”.
Lei gli aveva sorriso.
“Lo prometto.”.
Poi era uscita dalla stanza, cosciente di aver capito
finalmente una cosa.
Lei non amava Naruto.
Almeno non più.
Naruto aveva fatto tanto per lei, e gli voleva molto bene,
ma non bastava.
Gaara era semplicemente la sua metà perfetta, colui che la
completava.
Due persone uguali ma opposte, prigionieri nati per fuggire
insieme.
O, più semplicemente, yin e yang.
Un mese dopo, ore 20:00
Hinata si diresse decisa verso la guardiola.
Doveva dire una cosa a lui.
“N-Naruto-kun?” aveva mormorato con un filo di voce.
Il ragazzo si era voltato improvvisamente, sorridendole.
“Hinata-chan! Hai finito?” la ragazza aveva
annuito,
cominciando a strapparsi le pellicine dalle dita, nervosa.
“A-avrei bisogno di..di…s-sapere che p-pena deve
scontare
q-quel ragazzo, Ga-Gaara…” la maledetta balbuzie
la faceva incespicare mentre
cercava concitatamente di scandire le parole in modo chiaro.
“Ah quello, il matto…Deve essere giustiziato
proprio domani,
alle 06:09 di mattina per omicidio.”
Gli occhi di Hinata si erano riempiti di lacrime, il suo
cuore aveva mancato un battito.
“C-ci sono dei punti da chiarire r-riguardo a
lui…m-mi serve
il suo p-portfolio e tutta la documentazione.”
Naruto aveva aperto un cassetto dell’archivio e ne aveva
tirato fuori una cartellina, perplesso.
“Spero solo tu sappia quel che fai…” le
aveva detto,
guardandola: era stranamente turbata.
Senza rispondere, la ragazza era corsa via, la testa
affollata di idee in disperata ricerca di un piano per salvare il suo
amato.
Una volta a casa, aveva indossato il pigiama, raccolto i
lunghi capelli in una coda alta e, munitasi di blocco, penna e matita
si era
messa a lavorare al “caso Gaara”
con una foga ed una concentrazione tali
che, quando il suo fidanzato era tornato a casa, lei non se ne era
nemmeno resa
conto, ma aveva continuato a scervellarsi sul come
riuscire a trovare un
alibi inoppugnabile, una motivazione che potesse coprire e giustificare
a 360°
i delitti atroci di quel ragazzo.
Naruto aveva più volte tentato di aiutarla, di capire che
cosa avesse, cercando di risollevarle il morale, senza rendersi conto
che la
sua presenza più che aiutarla la metteva in angoscia.
Come dirglielo? Come poteva fargli capire che non era più
lui ad occupare i suoi sogni? Come spiegargli che di notte si svegliava
improvvisamente, sperando che quello steso accanto a lei fosse
quell’assassino,
mentre puntualmente scopriva che era solo lui?
Alla fine, si era alzata, indispettita dal quel
comportamento tanto infantile,e si era messa a letto, rileggendo la
mappa
concettuale che aveva buttato giù.
Il sonno cominciava ad avere la meglio sui suoi occhi affaticati
quando, improvvisamente, le era balenata in mente la soluzione per
salvarlo.
Dopodiché, si era addormentata, domandandosi con quale
coraggio avrebbe fatto la sua comparsa il giorno dopo.
La sveglia aveva suonato alle 05:00 e sia Naruto che Hinata
si erano svegliati.
Lei aveva nascosto il viso nel cuscino, angosciata alla sola
idea di quello che la aspettava.
Lui invece si era alzato sorridente ed era tornato dopo
qualche minuto, portandole un bicchiere di latte, una ciotola piena di
fragole
ed una brioche, schioccandole un tenero bacio sulla fronte.
Hinata si era limitata ad abbozzare un sorriso ed aveva
mangiato silenziosamente.
Poi Naruto, indossata l’uniforme, si era preparato ad
andare.
“Ci sarai anche tu stamattina?”le aveva chiesto.
“Sì, devo avere un consulto con Gaara prima che
venga …” la
parola giustiziato le era morta in gola, era a
stento riuscita a
trattenere un impeto di pianto.
Si era alzata ed aveva indossato un vestito nero, lungo fino
alle ginocchia, e dei tacchi di vernice.
Naruto era uscito prima di lei, lasciandola sola con le sue
riflessioni.
“Dipende tutto da te. Se taci, lascerai che venga ucciso.
Lo abbandonerai anche tu in quel modo. Sarai anche tu colpevole della
morte di
Gaara. Ma soprattutto…
Avrai sulla
coscienza l’uomo che ami.”
Era uscita, rendendosi conto che era in ritardo.
Non sarebbe mai riuscita a parlare con Gaara prima
dell’esecuzione, perciò l’unica cosa che
le restava da fare era andare dritta
nella sala della sedia elettrica.
Correva Hinata…
Si faceva strada tra i corridoi freddi della prigione,
piangendo senza sapere esattamente
perché, andava dritta verso quello
che sarebbe stato il suo momento cruciale, l’attimo in cui
avrebbe fatto
probabilmente la cosa migliore della sua esistenza: salvarlo.
Quando era entrata nella sala sbattendo le grandi porte
antincendio gli occhi degli spettatori, dei carnefici e, naturalmente,
della
vittima si puntarono su di lei.
Hinata poteva sentire il suo cuore galoppante salirle in
gola, la tensione si era completamente impossessata di lei, si sentiva
quasi
prigioniera in quella cornice subdola di sguardi torvi e sgomenti che
si erano
concentrati su di lei.
Aveva deglutito, poi, facendosi mentalmente coraggio, aveva
percorso la stanza a grandi passi ed era salita sul basamento di legno
dove
stavano in piedi, fieri, i secondini ed il direttore del carcere,
pronto ad
abbassare la leva che avrebbe determinato la morte o la vita di Gaara,
seduto
con la testa reclinata sullo strumento di tortura.
I loro occhi si erano incrociati.
Quella che sembrava una volpe ferina e selvatica in quel
momento era là, ammansita, alla mercé di quella
schiera di cacciatori senza
scrupoli.
Tutto attorno a lei si era fatto il silenzio più assoluto,
in attesa che parlasse.
E lei si sentiva come qualcuno che fa un commento sbagliato
ad una riunione di famiglia.
Poi, si era ricordata di “quel” bacio, di quelli
che erano
venuti a seguire, e di quell’insano desiderio di riceverne
altri, altri ed
altri ancora.
Così, aveva preso la parola e, nonostante il timore di
balbettare e la voglia di scappare via, aveva iniziato il suo discorso.
“B-buongiorno a tutti.-si era mentalmente obbligata a non
balbettare- Sono Hinata Hyuuga, e in qualità di responsabile
del consultorio e
referente psicologica del qui presente detenuto, ho da addurre
un’attenuante.
Questo ragazzo è mentalmente infermo…non ha la
percezione del peso delle sue
azioni e, di conseguenza, è soggetto ad uno sdoppiamento tra
un’indole feroce
ed una remissiva. Non è da condannare, ma da sottoporre ad
un’accurata terapia
psichiatrica e ad un ciclo di sedute di terapia individuale. In
virtù di quanto
appena detto, rimetto la decisione al signor Direttore, sicura di una
scelta
giusta e ponderata, nel rispetto dell’inviolabile diritto
alla vita.”
Lentamente si era cominciato a levare un brusio nella sala,
scaturito dalle parole della ragazza, che ora si era rintanata
nell’ombra,
sconvolta lei stessa di esser riuscita a fare un discorso filato, senza
incespicare né interrompersi.
“Liberatelo.” Aveva sentenziato l’uomo, e
subito Naruto ed
un altro ragazzo avevano sciolto le cinghie di pelle che legavano Gaara.
Si era alzato e le era andato incontro incredulo. Una volta
davanti a lei, era crollato in ginocchia e si era limitato a fissarla,
pieno di
riconoscenza, sconcerto e commozione.
Hinata si era chinata e lo aveva abbracciato, timidamente,
poi lo aveva aiutato a rialzarsi, ritrovandosi davanti gli sguardi
confusi di
tutti i presenti.
“Hinata-chan, perché lo hai fatto?”
aveva chiesto Naruto,
prendendo la ragazza per un braccio.
“P-perché io…io…io lo
amo.”gli aveva risposto lei,
addolorata, protendendo le braccia verso il biondo, che però
le aveva scansate,
abbassando lo sguardo.
“Ecco cos’avevi..”
“Mi…mi spiace, i-io…”
“Per favore, non dire nulla. Io ho svolto il mio ruolo, ho
fatto quello che era in mio potere, ma è ora che io mi
ritiri dalla scena.
Sappi che hai in me un amico ed un sostegno, sempre. Io amo te, ma non
posso
costringerti a ricambiare. Perciò vai, Hinata-chan, vai e
spiega le tue ali.”
Le lacrime scendevano silenziose lungo le guance pallide
della ragazza.
“N-Naruto..” aveva detto con un filo di voce.
“Sei stata fantastica.”aveva ribattuto lui,
asciugandole il
viso con la mano, per poi andarsene via dalla sala mestamente.
Gaara ed Hinata si erano poi allontanati, finalmente liberi
di varcare la porta di quel carcere insieme.
Ed una volta fuori, avevano entrambi compreso che non
sarebbero mai più rientrati lì dentro.
“Quindi ora…sono libero?” aveva
domandato il rosso,
emozionato.
“No, Gaara. Ora sei vivo!” gli aveva detto lei, il
viso
illuminato da un sorriso nuovo.
Perché molto spesso il vivere coincide con
l’amare…
Spazio di Lady e Baby
Speriamo che vi piaccia!
^_^
Questa one-shot è arrivata seconda al concorso a coppie
indetto da Sae e memi.
Abbiamo scelto come temi gabbia, libertà e 06.09.
Ci congratuliamo anche con le prime, HopeToSave e Kiara_chan, e con le
terze, MillyMalfoy e WishfulThinking ^^
Recensite in tanti ^^
Lady (hinata hyuuga) e Baby (Talpina Pensierosa)
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