Hymnus ad Mortem

di Ginevra285
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~~Non aveva mai pensato alla morte; o meglio, ci aveva pensato tante, tantissime volte, ma mai come in quel momento. Gli era sempre sembrata un incubo lontano, troppo per riconoscerlo.
Invece lei era lì, vestita di nero, con un sorriso sadico sul volto che sembrava prendersi gioco di lui: sarebbe venuta o no?
Si stava divertendo a tormentarlo, come se volesse colpirlo alle spalle. E ci stava riuscendo, la maledetta; e lo sapeva lui, lo sapevano entrambi, lo sapevano tutti, che tanto avrebbe vinto lei. Aveva sempre vinto lei, dall’alba dei tempi. Aveva vinto lei da quando si erano estinti i dinosauri. 
Nessuno poteva salvarsi quando lei decideva che era giunta l’ora.
Vecchie storie popolari narravano che andasse a spasso col Tempo: si mettevano d’accordo, la Morte e il Tempo, magari giocavano ai dadi, e decidevano chi fare fuori quel giorno. Si diceva che fossero amanti; erano i più temuti dall’umanità. E anche lui, nel fiore degli anni, ora si accorgeva del loro infinito potere.
Si era messo a ridere istericamente quando si era accorto che si era inginocchiato accanto al letto e si era messo a pregare. D’altronde che altro avrebbe potuto fare? In quelle circostanze niente di terreno avrebbe potuto aiutare, così aveva ripreso il suo vecchio libro di preghiere e aveva recitato il Credo, l’Ave Maria, il Padre Nostro e aveva aggiunto qualche preghiera trovata sfogliando a caso il libretto, sperando che l’Altissimo l’ascoltasse, avendoci messo tanto impegno.
Fai che lei viva.
Fai che lei viva.
Fai che lei viva.

Urlava silenziosamente, mentre una parte di lui rideva, perché dopo aver cercato tanto di non credere in niente, in un momento di disperazione era tornato fedele al Dio che gli avevano insegnato a conoscere tanti anni prima. Rideva perché gli sembrava di voler convincere Dio della sua fedeltà; perché non era altro che un piccolo stupido umano che si aggrappava a qualcosa di più grande, che magari neanche c’era; perché dentro di sé sapeva che se le cose fossero finite male in Dio non ci avrebbe creduto mai più, anche se in quel momento gli aveva giurato fedeltà; rideva perché avrebbe tanto voluto piangere.
Maledisse la Morte, il Tempo, i loro stupidi accordi, il cuore di lei che non funzionava, i medici, il libro di preghiere, le infermiere, i lettini scomodi dell’ospedale, il telefono che squillava, il fatto di essersi reso conto troppo tardi del pericolo e il fatto che a soffrire, in quel momento, lei fosse sola.
Se le fosse successo qualcosa si sarebbe tatuato una croce greca, come la pianta di una grande chiesa, sul braccio immacolato. Così si sarebbe portato la sua croce sulla pelle per tutta la vita.
E sarebbero rimasti vicini, nonostante tutto.

 





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