Mark camminava nervosamente da oltre due ore nella sala d'aspetto,
attendendo che qualcuno venisse a cercarlo. Non aveva avuto il coraggio
di seguire la moglie in sala parto, così la gentile
infermiera lo aveva fatto accomodare sulle non troppo comode
poltroncine di plastica vicino alla porta.
Era nervoso. Era terribilmente nervoso. Il suo cervello studiava ogni
possibile cosa che potesse andare storta durante il parto. Aveva
elaborato decine di catastrofiche realtà parallele in cui la
moglie moriva, il bambino moriva, la moglie e il bambino morivano, il
dottore moriva, l'intera sala parto al completo moriva, lui stesso
moriva per il troppo stress. In effetti quest'ultima ipotesi era
piuttosto verosimile, visto che il suo cuore stava già
battendo all'impazzata, ed era sul punto di collassare. Si chiedeva
anche se suo padre avesse provato quelle stesse emozioni mentre sua
madre lo metteva al mondo, e se anche tutti gli altri padri al mondo
fossero così ansiosi nel momenti della nascita del
primogenito.
Continuava imperterrito a percorrere i dieci metri di lunghezza della
sala d'aspetto, e la gente attorno a lui lo fissava con tanto d'occhi.
Forse lo ritenevano un pazzo ad agitarsi così tanto per un
semplice parto, fatto sta che adesso tutti avevano indietreggiato per
non essere travolti dal tic nervoso dell'uomo. Camminare era infatti
l'unica cosa che rilassava Mark, e doveva essere veramente ridicolo da
vedere.
Alla fine le sue gambe cominciarono a protestare, e a ragione. Erano
quasi due ore che non facevano altro che andare avanti e indietro per i
soliti dieci metri, e i muscoli avevano cominciato a risentire dello
sforzo di restare tesi. Così decise finalmente di sedersi
sulle scomode sedie d'aspetto.
Erano a malapena passati tre minuti che un'infermiera si
presentò alla porta della sala:- C'è il signor
Mark Tickney?
Titubante, Mark si fece avanti. La sua andatura incerta tradiva il suo
nervosismo e la sua ansia. Una volta che fu giunto in
prossimità dell'infermiera, questa, con un largo sorriso,
fece un annuncio ad alta voce: - Complimenti, è appena
diventato padre di uno splendido maschietto.
Le altre persone, compreso il motivo dell'ansia dell'uomo, si
congratularono con lui e lo sostennero moralmente. - Posso fare una
telefonata? - chiese all'infermiera, che annuì.
Lo scortò ad un telefono, e Mark prese a comporre il numero
di casa. I primi che dovevano sapere della nascita erano i suoi
genitori. Avrebbero sicuramente pianto di gioia all'idea di diventare
nonni.
Ci furono due o tre squilli, e poi rispose una voce femminile: - Pronto?
- Mamma!
- Ah, Mark, sei tu. Come sta Mary?
- Sta bene! Ha appena partorito un maschio! Complimenti, sei nonna!
- Ma è fantastico - disse lei entusiasta, anche se con un
nonsoche di strano. Mark individuò subito quella piccola
titubanza, e visto che sapera fiutare i guiai lontano un chilometro gli
chiese che stava succedendo.
Ci fu il silenzio per alcuni secondi, e poi sua madre riprese a
parlare: - Si tratta di Growlithe.
Il cuore di Mark si fermò. Cosa era successo al suo amato
pokemon mentre lui era all'ospedale per assistere la moglie?
- E' morto.
Il cuore di Mark smise di battere del tutto. Il suo pokemon speciale,
quello che per più di trent'anni era stato il suo amico e
compagno fidato, era morto. Certo, se lo doveva aspettare, Growlithe
era malato da mesi, e quando se n'era andato dal centro pokemon stava
peggio che mai. Mark aveva confidato sul fatto che il pokemon fosse
abbastanza forte da resistere il tempo perché Mary
partorisse, ma evidentemente il destino aveva deciso diversamente.
- Quando è successo? - chiese, anche se in realtà
non gli importava. Se era morto era morto, e non si poteva tornare
indietro.
- Venti minuti fa. Ci ha chiamato il centro pokemon. Non avevamo il
coraggio di chiamarti noi, mi dispiace tanto.
Mark riattaccò lentamente la cornetta. In faccia aveva
un'espressione totalmente apatica. Non provava più
né la gioia per essere diventato genitore né il
dolore per aver perso il compagno di una vita.
Scuro in volto, tornò lentamente a sedersi sulla dura
poltrona di plastica.
La sala d'aspetto permanente era ben attrezzata, con letti sempre lindi
e puliti e un servizio efficente. L'ospedale aveva gentilmente offerto
a Mark di rimanere per la notte, in attesa che la moglie e il figlio
venissero dimessi dopo tutti gli accertamenti necessari.
In quel momento, nei dieci letti a disposizione, Mark era l'unico che
ne occupava uno, per il resto era solo. E forse un po' fu la
solitudine, un po' il dolore per la perdita di Growlithe, che portarono
una notte piena di incubi.
Se la sofferenza e il senso di colpa non si erano manifestati subito
quando la madre gli aveva comunicato la tragica notizia, ci aveva
pensato il sonno a rinfrescargli la memoria.
Fece innumerevoli incubi, quella notte. Sognò di essere
giudicato da un tribunale, con una giuria di pokemon e con giudice suo
figlio appena nato. Oggetto: la regione di Annor contro Mark Tickney
per aver abbandonato il suo amico Growlithe sul letto di morte. Il
verdetto arrivava implacabile: colpevole. Colpevole. Colpevole.
Colpevole! Colpevole! COLPEVOLE! COLPEVOLE! E a nulla valevano le
fragili parole di discolpa di Mark.
COLPEVOLE! Quel grido risuonava nella sua mente, furioso e implacabile.
COLPEVOLE! COLPEVOLE!
Continuò a sognare terribili incubi e a girarsi e a
rigirarsi inconsapevolmente. La sua era una caduta interminabile fra
colori cupi: nero, viola, rosso cremisi, blu notte. Era una spirale di
sofferenza senza fine.
All'improvviso, tutto si interruppe. Niente più grida,
niente più dolore, niente di niente. Solo bianco. Uno sfondo
bianco candido isolava Mark da qualsiasi cosa. Era un sogno, ne era
consapevole, eppure sembrava troppo reale per esserlo.
Mark si aspettò chissà quale spavento a
sorprenderlo, ma non successe nulla per un po'. C'era solo il bianco
attorno a lui. Era come se qualcuno avesse cancellato con la gomma
l'ambiente attorno a lui.
Ad un certo punto un bagliore proveniente dall'alto, ancota
più bianco del bagliore che lo circondava,
richiamò la sua attenzione.
Era un fascio di pura luce. Questa conclusione attraversò
limpida e fulminea la mente di Mark. E dalla lice stava uscendo
qualcos'altro. Qualcos'altro che Mark conosceva bene.
- Growlithe?
- Sì, Mark, sono io.
Normalmente si sarebbe spaventato a sentire un pokemon parlare, ma in
quel momento non era quello che gli premeva.
- Sei davvero morto?
- Sì, lo sono.
- Come sto facendo a parlarti?
- La mia anima non ha ancora lasciato questa terra. Volevo venire a
trovarti prima di andarmene.
- Sul serio te ne vai?
- Si, Mark. Me ne vado.
- Mi sembra impossibile... dopo tutto quello che abbiamo passato
insieme. Trent'anni. Ti rendi conto? Trent'anni!
- Come passa in fretta il tempo.
- Ora che anche tu te ne vai, mi ritornano in mente tutte quelle cose
che avremmo potuto fare e che non abbiamo fatto. E' colpa mia,
Growlithe. Non dovevo lasciare il centro pokemon. Avevo promesso di
restarti a fianco fino all'ultimo, e me ne sono andato appena mi hanno
detto che Mary era all'ospedale. E' tutta colpa mia. Sono un essere
ignobile.
- Non dire così. Anche se fossi rimasto, sarei morto lo
stesso. E' così la vita. Sinceramente preferisco che tu non
mi abbia visto negli ultimi istanti della mia vita. Non è
stato per nulla piacevole, e scommetto nemmeno bello da vedere. Sono
contento che tu abbia assistito invece a qualcosa di felice, di
straordinario.
- Mi dispiace, Growlithe.
- E di cosa? Sei padre, non ti devi dispiacere di nulla. Sarebbe
piaciuto anche a me conoscere tuo figlio, ma è stato deciso
diversamente. Avrei tanto voluto anch'io stringere tra le zampe dei
cuccioli miei, ma non ho mai trovato il momento giusto. Non me ne
dispiaccio, perché tutto il tempo che abbiamo passato
assieme mi ha reso felice, e tanto basta.
- Quindi non sei arrabbiato perché ti ho lasciato solo?
- Certo che no.
- Adesso che farai?
- Andrò avanti. E' l'unica cosa che posso fare, ora come
ora. Non so cosa ci sia dopo, ma ormai è arrivato per me il
momento di scoprirlo. Questa è l'ultima volta che ci
parliamo, ne sei consapevole?
Mark annuì tristemente.
- Non ti abbattere - lo consolò Growlithe - Questo non
è un addio, ma un arrivederci. Sono sicuro che un giorno ci
rincontreremo.
- Addio Growlothe - e così dicendo una lacrima
scappò dall'occhio destro di Mark.
- Addio Mark. A presto. O forse è meglio di no.
Fece per andarsene, ma si voltò ancora di nuovo.
- Vivi la tua vita, non pensare più a me. Ho fatto il mio
tempo, e adesso devo cedere il mio posto ad altri. Ama tuo figlio come
avrei amato anch'io i miei. Guardalo crescere, guardalo diventare padre
come sta succedendo a te. Con un po' di fortuna potresti anche vederlo
diventare nonno.
Un'ultima cosa. Ricordami per come ero, non per come potevo essere.
Addio. Mark.
Si voltò, stavolta definitivamente, e scomparve nella luce.
- Addio. Growlithe.
Quando Mark si svegliò, una nuova energia albergava in lui.
Una nuova vita gli si era aperta. Si alzò dal letto, e
uscì dalla stanza.
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