Siamo a Forgotten
Realms, dopo “La strada del patriarca”, in un momento che
aspettavo da tanto: la decisione di Artemis Entreri di tornare a
Calimport, da Dwahvel «nell'unico luogo che posso definire
casa».
Per chi non fosse
pratico di quel mondo, la storia si può comunque leggere come
i pensieri di un assassino che ha appena fatto i conti con il proprio
passato.
Così
Artemis Entreri spronò il suo incubo verso Calimport. Non
importava quanta strada avrebbe dovuto fare.
Ciò
che importava era quello che si lasciava alle spalle e quello che
avrebbe trovato.
Alle
spalle...una donna di cui si era fidato e che lo aveva tradito, una
donna con cui aveva diviso il letto ed un frammento di vita (ma sarebbe
stato disposto a dividerne molta, molta di più).
Tutto
si era concluso in un attimo, quello in cui lei aveva tentato di
accoltellarlo e lui aveva deciso di lasciarsi morire, e poi, salvato
ancora una volta dagli elfi scuri, la aveva scaraventata fuori dalla finestra. Infine era
corso a cercarla e non la aveva trovata. Ma per dirle cosa, poi? Come
avrebbe potuto guardarla di nuovo? Dunque era meglio così, che
lei se ne fosse andata, che fosse morta o soltanto scomparsa, per
sempre lontana da lui, lei che rappresentava il più grande
sbaglio della sua esistenza (il suo più grande errore di
valutazione e il suo unico amore tragicamente concluso, come se lui
fosse stato uno sciocco, un ragazzino, e non il più terribile e
letale assassino del Faerun).
Alle
spalle...il compagno delle sue ultime avventure, quello che lo aveva
accompagnato nella riscoperta del suo passato e che in certi momenti
aveva creduto di poter chiamare amico e che lo aveva tradito, salvato
e poi...tradito di nuovo e contemporaneamente salvato in
quell'ultima, estrema intrusione nella sua vita e nella sua intimità
(era così difficile, per loro, parlare di amicizia).
Per
un attimo la sua volontà vacillò.
Jarlaxle
di Menzoberranzan era la cosa più vicina ad un amico che
avesse mai avuto. In certo momenti aveva persino creduto che l'elfo
scuro potesse provare affetto nei suoi confronti (ma lui aveva
provato affetto nei confronti dell'elfo scuro?). La verità,
tuttavia, era una sola. Artemis Entreri odiava i drow più di
quanto non odiasse qualsiasi altro essere vivente e Jarlaxle di
Menzoberranzan era pur sempre un drow. Non solo nell'aspetto. Questo
non era importante. Anche Drittz Do Urden era fisicamente un drow, ma
ben altro nel cuore e nello spirito. Jarlaxle era un drow nei
pensieri e nelle azioni, era portato al tradimento, al sotterfugio e,
soprattutto, a controllare chi aveva davanti. Questa era la verità.
Sì, era probabile che nutrisse una qualche forma di affetto
nei suoi confronti, ma questa si manifestava comunque nella necessità
di controllarlo. Una cosa che non avrebbe mai potuto sopportare. E,
per dirla tutta, era stanco di dover lottare ogni giorno.
Alle
spalle...infine, un re, una regina, un monaco, uomini che lo avevano
segnato, che lo avevano giudicato, che lo avevano combattuto e forse
vinto.
Sì.
Artemis
Entreri era stato battuto.
Mastro
Kane lo aveva sconfitto.
Il
mondo, tuttavia, non era finito come avrebbe immaginato.
No.
Il
Faerun era rimasto in piedi, indifferente a quanto era accaduto,
proprio come il giorno in cui era stato Drittz Do Urden a
sconfiggerlo (per un istante la sua mente tornò all'elfo
scuro, alle loro infinite battaglie, all'odio che aveva nutrito nei
suoi confronti e che adesso gli sembrava così sciocco e
lontano).
Poi
pensò a ciò che avrebbe trovato.
Poco.
Quasi
nulla.
Calimport.
Una
città di miserie e di schiavi. Una città di dolori. Una
città di tradimenti e di inganni, dove la sola legge era
quella della giungla. La città dove lui, proprio grazie a
questa legge, aveva prosperato. Quella dove aveva capito di non voler
più servire, di voler essere libero.
Ecco
perché quell'odio gli appariva sciocco...per tutta la vita
aveva creduto che il perseguimento della forza fosse fine soltanto
alla ricerca della perfezione, e dunque al miglioramento di sé,
al superamento dei proprio nemici, e la morte dell'elfo scuro era un
passo necessario in questa direzione (nei suoi occhi leggeva la
condanna di tutto ciò che era), poi qualcosa di banale gli
aveva rivelato la verità: essere forti permette di guadagnarsi
la libertà.
Sì.
A
Calimport lui aveva combattuto contro la schiavitù.
Poteva
dire di aver vinto?
Sì.
Aveva
scelto, dunque era stato libero.
E da
libero sarebbe ritornato a Calimport, un assassino non legato ad
alcun pasha, svincolato da ogni corporazione, un assassino che tutti
avrebbero temuto e rispettato, Artemis Entreri.
Una
leggenda.
Scosse
la testa. Ma dopotutto, era quello che voleva? Adesso che aveva
vendicato sua madre, adesso che aveva ucciso suo zio (avvertiva
ancora il ribrezzo di quel corpo che si strusciava contro di lui
bambino) e il suo vero padre, insieme a tutta la sua lurida e fasulla
chiesa cosiddetta buona, adesso che Jarlaxle gli aveva impedito di
morire là dove avrebbe voluto, nel compimento della sua
vendetta, voleva davvero tornare ad essere una leggenda?
Essere
una leggenda comporta obblighi e doveri.
Essere
una leggenda comporta una battaglia eterna.
Forse,
per la prima volta in vita sua, pensò con un sorriso amaro,
Artemis Entreri voleva solo un po' di pace.
Voleva
un luogo dove potersi sedere senza doversi continuamente guardare le
spalle.
Voleva
un luogo dove poter parlare e magari bere un bicchiere di birra (non
beveva mai alcolici per una questione di prudenza e autocontrollo),
voleva un luogo dove potersi rilassare, almeno un'ora, voleva,
voleva...
Voleva
qualcuno da cui non temere tradimenti. Ecco la verità.
Rise
tra sé.
Trovava
ridicolo questo desiderio dopo il tradimento di Calihye. Si
era fidato della mezzelfa. Non aveva imparato niente? Non aveva
capito che gli esseri viventi tradiscono, che producono male come le
api producono miele? Non ne era lui la prova più evidente?
Sì certo. Lui era
malvagio. Ma come aveva detto una volta, quante delle vittime di
Artemis Entreri non avevano meritato davvero di morire? E non era
neppure questo.
Era che, a prescindere da
come era poi finita, aveva amato. Dunque aveva scoperto di saperlo
fare (e questa era stata un'autentica sorpresa).
Qualcosa gli si era
risvegliato dentro.
E adesso, sì,
desiderava potersi fidare. Magari gli sarebbe occorso del tempo.
Magari non ce l'avrebbe mai fatta.
Ma il suo pensiero
correva lontano, a una halfling di nome Dwahvel Tiggerwillies, con
cui sentiva di dover almeno tentare.
Non fosse altro perché
lei era la sola persona che gli aveva dato senza chiedere nulla in
cambio. Non fosse altro perché lei era la sola persona che gli
era rimasta accanto fino alla fine di quella assurda avventura a
Calimport, sebbene lui le avesse procurato soltanto guai.
Non fosse altro...
Non fosse altro perché
la Moneta di Rame, dove lei viveva, e quella stanza dove tante volte
avevano parlato, era il solo luogo che avesse mai sentito di poter
chiamare casa.
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