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2
Good morning, LA
Bill Kaulitz odiava la
domenica. Se avesse avuto il potere di depennare quel dannato giorno
dal calendario, l'avrebbe fatto con piacere. Odiava la domenica
perché non faceva altro che ricordargli che se una persona così
detta normale – uno studente, un avvocato, un commesso –
vantava di un'intera giornata di riposo, per una rockstar era un
giorno come un altro. E si dava il caso che Bill Kaulitz rientrasse
in quella categoria.
Quando assieme a suo
fratello aveva deciso di firmare il contratto con l'Universal, non
aveva mai letto fra le clausole 'Dormire sarà un caro e lontano
ricordo'.
La sveglia sul comodino
accanto al letto stava scherzando con un fuoco molto, troppo ardente.
Quel fuoco era la sua pazienza. Non riteneva di dispensarne di
natura, figurarsi se stuzzicato.
Senza nemmeno
rendersene conto, sferrò un pugno deciso contro quella tortura
cinese che non appena atterrò con un forte tonfo sul chiaro parquet
smise di strillare. Voltarsi nella direzione opposta e trascinarsi il
cuscino sopra alla testa fu la semplice ed ovvia conseguenza di un
risveglio sofferto. Non aveva la forza di abbandonare quell'antro
caldo e confortevole che l'aveva cullato per tutta la notte.
Una fitta lancinante
gli attraversò il cranio ricordandogli quanto controproducente fosse
uccidersi di alcool il sabato sera. Lui e suo fratello si erano
concessi, la sera prima, un'uscita al Bootsy Bellows in West
Hollywood e qualche bicchiere di troppo. Da quando si erano
trasferiti a Los Angeles capitava di rado che partecipassero ad
enormi feste come facevano in Germania. Il motivo principale del loro
trasferimento era una legittima voglia di normalità ma, come ben
sapevano, non potevano nemmeno sottrarsi al lavoro. Appena tornati da
Cologne – dopo l'esperienza come giudici di Deutschland sucht
den Superstar – l'accoglienza dei paparazzi era stata alquanto
calorosa. Per non parlare della lunga lista di interviste e
servizi fotografici che il loro adorato manager, David Jost, aveva
stilato. E se vi era ancora spazio per lo stress, si sovrapponeva la
lavorazione al nuovo album.
Maledetto
a me, quando ho giurato ai fans che l'avremmo pubblicato entro l'anno
nuovo.
Decise che rimanere a
letto e rimuginare su tutto ciò che al momento rappresentava motivo
di ansia era del tutto inutile e sempre meno salutare. Con uno scatto
– di cui pochi secondi dopo si pentì – si sedette sul materasso.
Il violento capogiro che lo scosse gli fece venire voglia di piangere
e si chiese come avrebbe potuto affrontare un'intera giornata allo
studio di registrazione. E se il suo istinto gemellare funzionava
ancora bene, sapeva che Tom sarebbe stato alquanto irascibile.
Incalzò le pantofole e
si fece forza nel dirigersi verso la porta della sua camera
illuminata dai sottili raggi di luce che oltrepassavano le persiane.
Sin da quando era piccolo aveva la tremenda abitudine di dormire con
le persiane leggermente aperte poiché riuscire ad intravedere la sua
stanza gli infondeva sicurezza e lo aiutava a dormire bene. Al
contrario di suo fratello, il quale si rifiutava di assopirsi se non
completamente immerso nell'oscurità.
Si grattò con poca
eleganza ciò che i suoi boxer contenevano e si incamminò verso il
bagno. Lungo il tragitto, non mancò di sferrare un secco pugno
contro la porta di suo fratello. Uno solo. Avrebbe recepito il
messaggio.
***
Aveva già capito che
Bill era sveglio dal chiasso che aveva udito pochi istanti prima
quando – ne era sicuro – aveva distrutto la quinta radiosveglia
del mese. Compravano più radiosveglie che mutande e onestamente si
chiedeva per quale assurdo motivo si ostinassero a farlo, vista la
breve vita di ciascuna. Il tonfo al di là della porta gli aveva
solamente confermato quanto immaginato.
Si portò entrambe le
mani al viso e se lo strofinò con disperazione. Ormai era abituato
ai post-sbornia, nonostante non accadessero più così
frequentemente, ma ciò non lo aiutava a sentirsi meglio ogni volta.
Quando si ritrovò
miracolosamente in piedi fece qualche passo mantenendosi la fronte,
come potesse aiutarlo a non perdere l'equilibrio. Si legò i capelli
neri in una coda ed uscì dalla stanza. Il contatto con la luce fu
doloroso e destabilizzante e represse una delle tante imprecazioni
volgari facenti parte del suo forbito repertorio.
Raggiunta la
destinazione, senza nemmeno bussare, aprì la porta del bagno.
“Fuori dai coglioni.”
borbottò quando trovò suo fratello intento a lavarsi la faccia.
“Buongiorno anche a
te.” fu la neutra risposta di Bill che non si era per nulla
scomposto a tale entrata. “Immaginavo di trovarti di buonumore.”
continuò con sarcasmo senza nemmeno guardarlo.
Afferrò l'asciugamano
e vi ci affondò il viso.
“Sì, beh... Esci, ho
bisogno di una doccia.” tagliò corto il chitarrista sperando che
si limitasse a fare come gli aveva detto.
Senza proferire
ulteriore parola, Bill abbandonò il bagno. Con un immenso sospiro,
Tom si liberò dai boxer e fece il suo ingresso in doccia. Quando
l'acqua congelata lo prese alla sprovvista scattò da un lato
maledicendola.
“Una cosa veloce!”
urlò suo fratello al di là della porta.
“Vaffanculo!” fu la
sua risposta.
Doveva ammettere di non
brillare di simpatia al mattino. Se c'era una cosa di cui la gente
era perfettamente conscia riguardo Tom Kaulitz era di guardarsi bene
dal rivolgergli parola prima che le sue palpebre si sollevassero del
tutto.
Si prese il tempo
necessario per svegliarsi sotto il getto d'acqua pregando perché
quella maledetta nausea lo abbandonasse.
Quanti bicchieri aveva
bevuto la sera prima? Non lo ricordava. Era stata colpa del barista
in ogni caso, poco ma sicuro.
Si era sorpreso di
svegliarsi solo. Da quando la sua storia con Ria era giunta al
capolinea dopo quattro anni per volere di entrambi, di tanto in tanto
si era concesso qualche scappatella. Nulla di cronico, in sei mesi
era accaduto un paio di volte. Forse tre. Il punto era che Tom
Kaulitz era cambiato, aveva fatto quel salto di qualità che tutti
gli rinfacciavano dall'età di dodici anni. Doveva riconoscere che
Ria aveva giocato un ruolo fondamentale e, nonostante le cose non
avessero preso l'andamento desiderato, l'aveva aiutato ad assaporare
per la prima volta l'amore vero.
Una volta pronto e
vestito, scese le scale e raggiunse Bill in cucina.
“Ora ti posso
parlare?” gli domandò con scherno suo fratello, seduto al tavolo,
non appena lo vide entrare.
Sorseggiava
distrattamente il suo caffè-latte e nel frattempo teneva d'occhio
una rivista di Gossip.
“Dio mio, non ti
stanchi mai di leggere le cazzate che scrivono su di noi?” commentò
il chitarrista per tutta risposta mentre recuperava dalla credenza
una tazza ed un cucchiaio.
“Se non leggessi le
cazzate che scrivono su di noi, non saresti stato in grado di dare
molte smentite che ti hanno fatto comodo.” ribatté Bill senza
staccare gli occhi dall'articolo, a Tom ancora sconosciuto.
“Forse.” scrollò
le spalle il moro sedendoglisi di fronte. “Ma vivrei sicuramente
meglio.” Versò il caffè-latte nella propria tazza. “E poi non
hanno più foto da scattarmi con Ria.”
“È questo il punto.”
fece il vocalist con tono saccente. “Dato che avranno intuito che
non state più insieme, saranno sempre dietro l'angolo, pronti per
immortalarti con la tua nuova fiamma e trarne una storia la
cui concorrenza potrebbe essere retta solamente da Beautiful.”
Tom sorrise.
“Però devi ammettere
che è divertente.” considerò ironico. Bill sollevò gli occhi al
soffitto e tornò a concentrarsi sulla rivista. “Piuttosto spremiti
le meningi per nuovi testi.”
“È quello che già
faccio senza che tu me lo dica.” ribatté il vocalist senza
guardarlo.
“Pensi che
LiesAngeles potrebbe esserti d'aiuto in questo?” domandò Tom con
un lieve cenno del capo in direzione della rivista.
“Chi lo sa, potrei
dedicargli una canzone.” borbottò il biondo con altrettanta beffa.
Tom fece finta di
riflettervi.
“No, troppo
scontato.” concluse.
Ormai aveva imparato ad
affrontare quel lato della sua carriera con la giusta ironia e la
giusta leggerezza. Tutti dovevano farvi i conti prima o dopo e lui
aveva deciso di non farsi rovinare l'esistenza.
“A proposito, ha
chiamato David poco fa.” esordì nuovamente suo fratello. “Un
servizio fotografico questa settimana.”
Gli allungò sul tavolo
un foglietto sul quale aveva scribacchiato frettolosamente tutte le
coordinate necessarie. Lo afferrò e lo scrutò svogliatamente.
“Anche dalla Germania
riesce ad organizzare tutto.” commentò.
“Non per niente è il
nostro manager.” Bill si alzò dalla sedia e posò la tazza nel
lavello per riempirla d'acqua. “E vediamo di ricordarci di sentire
Georg e Gustav stasera.” Tom annuì distrattamente. Spesso si
dedicavano a lunghe video-chiamate su Skype. Da quando si erano
trasferiti, portare avanti il loro lavoro era divenuto piuttosto
difficile ma avevano comunque trovato il modo di partorire nuove idee
sempre insieme. Spesso suonavano per provare nuovi accordi, nuove
melodie, nuovi arrangiamenti. Certo, alle volte diveniva stressante e
Tom non poteva negare di provare una certa mancanza per i suoi
colleghi ma sapeva che presto si sarebbero riuniti per registrare
finalmente le tanto attese canzoni del nuovo album. “Bene, direi di
andare.”
***
Insinuare le dita fra i
granelli di sabbia morbida era sempre stato un gesto per lei
rilassante ed abbandonarsi al tepore rilasciato dai raggi solari su
ogni lembo di pelle era qualcosa di rigenerante. Uno dei tanti lati
positivi di Los Angeles era la quasi totale mancanza di inverno. La
gente si concedeva lunghe giornate in spiaggia in qualsiasi periodo
dell'anno, anche in quelle più fresche.
Sospirò ad occhi
chiusi, pronta per immergersi in uno stato di dormiveglia e
recuperare un po' di riposo.
“Cristo!” urlò
all'improvviso quando si sentì colpire sulla tempia da qualcosa di
pesante.
Si portò una mano al
viso e si sollevò immediatamente a sedere per scovare l'ennesima
causa di disturbo che non voleva farla riposare. Al suo fianco, la
risata di Neal la fece imbestialire. Quando si accorse che l'oggetto
incriminato era una palla da beach-volley vide rosso
ovunque.
“Scusi, signora!”
esclamò un bambino che doveva avere all'incirca otto anni mentre
camminava nella sua direzione.
Signora.
Si voltò
immediatamente verso Neal.
“Dice a me?”
domandò esterrefatta ed il suo amico non riuscì a fare altro che
ridere di gusto. Decise di ignorarlo ed afferrare la palla per
lanciarla di nuovo al marmocchio.
“Grazie!” esclamò
nuovamente questo per poi correre via e tornare a giocare con i suoi
amici.
“Bambini.” borbottò
tornando a stendersi accanto al biondo.
“Oh, andiamo.”
sorrise lui. “Smettila con questa storia di odiare i bambini.”
“Siamo semplicemente
due mondi paralleli. Loro non tormentano me, io non tormento loro.”
tagliò corto lei mentre si apprestava a chiudere nuovamente gli
occhi con l'intento di riprendere da dove era stata interrotta.
“E cosa farai quando
ti fidanzerai con un ragazzo che vorrà sposarti e avere figli?” la
stuzzicò Neal pur sapendo quanto inutili fossero le sue parole.
“Gli uomini non
muoiono dalla voglia di sposarsi, lo accetterà. Per quanto riguarda
i figli... Un paio di cani tengono comunque compagnia.”
Neal scosse la testa
con un lieve sorriso a increspargli le labbra perfette.
“Morirai sola.”
Ci
risiamo.
“E tu sarai l'unico
stronzo a starmi dietro. Sì, lo so.” sorrise Liesel.
Non aveva mai pensato
alla famiglia. A dire il vero, aveva sempre evitato quel pensiero
come la peste. Il problema di Liesel era un bisogno troppo insistente
della propria indipendenza. Odiava dover dipendere da qualcuno o che
qualcuno dipendesse da lei. Forse era vero, i figli erano per molti
la gioia più grande ma il solo pensiero di mettere al mondo una
creatura la cui vita sarebbe stata inevitabilmente fra le sue mani la
terrificava. Per anni si era chiesta come sua madre fosse stata in
grado di crescerla da sola. E forse era proprio quel modello
sbagliato di famiglia che aveva alle spalle a farle sviluppare tali
pensieri. Forse non voleva semplicemente ritrovarsi sola come sua
madre nonostante avesse incontrato l'amore pochi anni dopo.
Aveva bisogno di
fumare.
Prese a frugare nella
sua borsa da spiaggia alla ricerca del pacchetto di sigarette che
trovò leggermente schiacciato dall'ammasso di roba – prettamente
inutile – che si era portata dietro.
Lei e la sua maledetta
ansia di previdenza.
Sbuffò quando non
trovò l'accendino.
“Hai tu il mio
accendino?” borbottò a Neal, senza smettere di scavare nella borsa
come un cane da tartufo.
“No.” fu la
semplice risposta del ragazzo.
Troppo
secca.
Si voltò verso di lui
con sguardo accusatore.
“Neal.” lo ammonì.
“Liesel.” le
fece il verso lui.
“Dammi l'accendino.”
“Smettere di fumare
non ti farebbe male.”
“Non ho ancora fumato
oggi! Non rompere le palle.”
“Oh, i miei
complimenti allora.”
Era ovvio che si
prendeva gioco di lei ma con riluttanza glielo lanciò.
“Anche io ti faccio i
complimenti per la tua perseveranza. Ogni volta ci provi nonostante i
pessimi risultati. Bravo.” scherzò a quel punto lei mentre si
accendeva la sigaretta. Poi sventolò l'accendino. “Questo lo tengo
io.” disse prima di gettarlo in borsa.
Fumare era l'unico
vizio che poteva dire di possedere. Almeno in quello voleva essere
lasciata in pace.
Improvvisamente Liesel
riconobbe il lieve suono di una vibrazione provenire dalla sua borsa.
Ne estrasse il cellulare e sorrise non appena lesse il nome di sua
madre sullo schermo.
“Mamma.” rispose
lieta di sentirla per poi sbuffare una nuvola di fumo.
“Tesoro, come
stai?” domandò la donna dall'altro capo con quella tenera
cadenza italiana che non era riuscita a perdere. Sembrava sorridesse
anche lei.
“Bene, sono in
spiaggia con Neal.” le riferì ed il suo amico sorrise.
“Oh, salutamelo!”
Liesel si poggiò il
cellulare alla spalla e si rivolse a Neal.
“Ti saluta.”
“Passamela!”
esclamò a quel punto il biondo e senza nemmeno lasciarle il tempo di
replicare si lanciò verso di lei afferrando il telefono. “Mara!”
Liesel sollevò gli occhi al cielo limpido e scosse la testa. Non
aveva certo dimenticato le ore di telefonate fra sua madre e Neal.
Adorava il rapporto stretto e confidenziale che si era instaurato fra
loro. Laura lo considerava come un terzo figlio e per Neal non vi era
gioia più grande, visto e considerato il rifiuto da parte della sua
intera famiglia. “Sì, tutto bene. Tu come stai?” Forse aveva
imparato col tempo a celare il proprio dolore e prendere la vita con
ironia ma nulla cancellava dai suoi occhi quella sfumatura
malinconica, traccia di sofferenze ed incompletezza. Diceva sempre di
non sentire la mancanza di nulla perché Liesel era ormai divenuta
parte della sua famiglia ma era ovvio che non fosse del tutto così.
“Se fa la brava?” sorrise con malizia scrutandola di sottecchi.
Liesel dal suo canto lo osservò minacciosa. “Dici a parte rompere
le palle ventiquattro ore su ventiquattro?” la stuzzicò e lei non
perse tempo a tirargli uno schiaffo sul braccio sotto le sue risate.
“Non mi lamento.”
“Bene, ora potrei
parlare con mia madre, per favore?” intervenne a quel punto
una Liesel piuttosto spazientita.
“Ti reclama.”
continuò a parlare al telefono. “D'accordo. Ciao, Mara.”
Si riappropriò del
cellulare.
“Mamma.” borbottò.
“Tesoro.” ridacchiò
la donna. “Stavo per dire a Neal che io, Phil e Steven vi vorremmo
a cena da noi martedì sera. Se non avete altri impegni.”
Liesel fece una
smorfia. Dubitava che suo fratello Steven fosse anche solamente al
corrente di tale iniziativa. A dire il vero, lui odiava queste
stronzate di famiglia, come amava definirle, e fremeva
dalla voglia di concludere qualsiasi tipo di rimpatriata per uscire e
divertirsi con la sua discutibile compagnia.
“Non dovremmo avere
problemi.” annuì quindi. “Nel caso ci fossero, ti avviso.”
“Perfetto! Allora vi
aspettiamo martedì.”
“D'accordo, un
bacio.” Riattaccò. “Siamo da loro martedì sera.”
“Oh, finalmente un
po' di sano cibo italiano!”
“Come se morissi di
fame.”
“Sa il mondo intero
che sei un disastro in cucina.”
Liesel spalancò la
bocca esterrefatta.
Riconosceva di non
essere esattamente un genio culinario ma quella era spudorata
cattiveria.
“Vaffanculo, Neal.”
esclamò, dopo aver gettato la sigaretta consunta, buttandosi poi
sull'asciugamano a pancia in giù per prendere un po' di sole sulla
schiena.
Sentì il ragazzo
tirarle due pacche sul sedere con una lieve risata che la fece
sorridere.
“Comunque domani
mattina devo essere prima al lavoro.” lo udì parlare.
“Non c'è problema,
ti porto io.” Poiché Neal era solito svegliarsi più tardi di lei
al mattino per esigenze lavorative, si spostava con i mezzi –
benché non fossero il punto di forza di Los Angeles – mentre
Liesel utilizzava la sua preziosa auto – un'innocente Opel Astra –
che mai l'aveva abbandonata sulla strada nonostante l'età avanzata.
“Dovresti comprarti una macchina.” osservò poi.
“Stavo pensando di
andare in concessionaria uno di questi giorni, se non ho
contrattempi.” Spostarsi per Los Angeles senza un'auto era
impensabile. “Vieni con me?” le domandò poi.
“Se non lavoro sì.”
annuì lei. “Ora, bambini e telefonate permettendo, vorrei
rilassarmi un po'.”
***
Con una smorfia di
dolore cercò di allungare i muscoli della schiena tremendamente
intorpiditi. Si legò i capelli in una nuova coda per poi passarsi
stancamente le mani sul viso. La finestra al loro fianco rivelava un
cielo bluastro già cosparso di stelle.
“Per oggi ho dato.”
mormorò strofinandosi gli occhi.
Era tremendamente
stanco; il cervello sembrava volesse esplodergli nel cranio.
“Sì, anch'io.”
sospirò Bill, seduto di fronte a lui. “Credo proprio che dovremo
rimandare la video-chiamata con Georg e Gustav. Ormai è tardi.”
Tom annuì appena dopo aver scoccato una veloce occhiata all'orologio
da parete che segnava la mezzanotte. “Fumiamo una sigaretta e
andiamo?”
Senza rispondere il
chitarrista si sollevò ciondolante dalla poltrona e seguì suo
fratello in giardino.
***
Il Liquid Kitty era
letteralmente pieno. Liesel odiava i locali tremendamente affollati
ma sapeva che Neal teneva ad averla con sé. La musica a tutto volume
le faceva venire voglia di ballare nonostante non avesse ancora mosso
un muscolo e le luci psichedeliche le trasmettevano quella conosciuta
sensazione di quasi stordimento.
Poggiata al bancone,
teneva in mano un bicchiere di birra. Poiché guidava, i
superalcolici erano banditi. Neal dal suo canto le sostava affianco
intento a tenere un'allegra conversazione con i suoi amici. Non le
erano sfuggite le occhiate che di tanto in tanto lanciava a Damian,
al centro della pista. Liesel non sopportava Damian per il semplice
fatto che rappresentava fonte di insopportabile dolore per Neal e si
chiedeva come quest'ultimo potesse aver perso la testa per lui.
Modello affermato, Damian Powell nascondeva al mondo intero di essere
gay. Molte volte aveva illuso Neal, molte volte si era rotolato fra
le lenzuola assieme a lui per poi non farsi più sentire per
settimane ed impedirgli di parlare di loro in giro. Aveva una
certa reputazione, stando ai suoi discorsi. Ma ciò non fermava
Neal dall'incaponirsi sempre di più.
Damian si dimenava in
mezzo alla folla assieme a due biondine appiccicate ai suoi muscolosi
bicipiti. Ad un occhio esterno mai sarebbe passato per l'anticamera
del cervello di crederlo omosessuale.
Sollevò gli occhi al
soffitto disgustata e ripose l'attenzione su Neal.
“Ci facciamo un
ballo?” le propose lui con un sorriso.
“Dai.” annuì
Liesel per poi finire in un sorso la sua birra.
Lasciò sul bancone il
bicchiere vuoto e seguì il suo amico in mezzo alla calca. Il suo
viso si contrasse in smorfie ogni qual volta percepisse un corpo
sudato venirle addosso.
Quando Neal raggiunse
una postazione – il più lontano possibile da Damian – si fermò
e si voltò nuovamente verso di lei prendendo a muoversi
energicamente. Liesel si lasciò scappare una risata ed accompagnò
ogni sua mossa. La gente attorno a loro saltava senza controllo con
le braccia sollevate e Liesel amava la sensazione di confusione nella
testa. Sorrise e prese a muoversi con più enfasi incrociando le
proprie dita con quelle di Neal. Sentiva le mani di chiunque addosso
ma non vi dette peso; probabilmente più di metà di quella gente non
capiva nemmeno dove fosse.
Una vibrazione
improvvisa al fianco destro la fece sobbalzare. Fece segno a Neal di
attendere un momento ed estrasse il cellulare dalla borsa. Quando
lesse il nome di suo fratello sullo schermo dell'i-phone un
campanello d'allarme prese a suonare nella sua testa. Steven non la
chiamava mai per semplice piacere.
“Steven!” urlò
tappandosi un orecchio. “Sono a ballare! Aspetta che esco, non
sento nulla!” continuò prendendo a farsi largo fra la gente non
senza fatica. Non ricordava fosse così distante l'uscita, per poco
non rischiò di perdere l'equilibrio sui tacchi. “Hey.” fece una
volta raggiunta l'aria aperta.
Tirò un sospiro di
sollievo nel percepire la tiepida brezza serale californiana sulla
pelle umida.
Le sue orecchie
fischiavano.
“Senti, Liesel, ho
un problema.” borbottò Steven dall'altro capo.
Come
mai non mi sorprende?
“Che hai combinato?”
ribatté lei preparandosi al peggio.
Ormai era ben conscia
che le cazzate di suo fratello non trovavano mai limite.
“Sono in
commissariato, dovresti venire a prendermi.”
“Cosa?!” Il sangue
prese a ribollirle nelle vene. “Steven, di nuovo!”
“Senti, non ho
detto niente a mamma. Mi vieni a prendere o no?”
“Sai, Steven, farei
bene a lasciarti lì dentro. E vedi di non parlarmi con quel tono,
non impiego due secondi a chiamare la mamma o tuo padre.” Prese a
fare avanti e indietro per il marciapiede, passandosi più volte la
mano sul viso con fare nervoso. “Dove ti trovi?” sospirò poi
massaggiandosi una tempia.
“Al Parker
Center.”
Non rispose nemmeno.
Riattaccò seccata. Si affrettò a scrivere un messaggio a Neal senza
scendere nel dettaglio – avrebbe comunque immaginato, conoscendo
Steven – e si diresse alla macchina. I piedi cominciavano a far
male e l'idea di raggiungere il commissariato con quel vestitino
succinto che le scopriva metà coscia le dava alla testa. Ed il lungo
spacco sulla schiena non giocava a suo favore.
Si
chiederanno che razza di famiglia siamo.
Mise in moto l'auto ed
abbandonò il parcheggio a tutta velocità – trovato dopo una
lunga, estenuante ed invana ricerca.
L'incredibile nervoso
la faceva respirare quasi a fatica. Non capiva per quale assurdo
motivo suo fratello si lasciasse trascinare da quella dannata
compagnia. Non capiva perché si divertisse a creare scompiglio in
giro, a mettersi nei guai. Era stufa di doversi ancora occupare di
lui come fosse un adolescente nella dura fase della ribellione. Aveva
vent'anni, era ora per lui di maturare.
Il piede schiacciò
improvvisamente e con violenza il pedale del freno e la macchina,
dopo un forte stridio delle ruote, inchiodò non prima di toccare con
il muso quello di un'enorme Range Rover bianca.
“Cazzo!” esclamò
la ragazza portandosi le mani al viso. Il cuore impazzito.
Ci mancava solo una
dannata denuncia per sinistro stradale.
Quando scorse le
portiere dell'auto aprirsi roteò gli occhi chiedendosi quale razza
di scherzo divino fosse quello. Aprì la propria e, facendo ben
attenzione a non slogarsi una caviglia sui tacchi, scese dalla
macchina.
“Dico, sei idiota?!”
esclamò un ragazzo alto e moro – con un curioso accento tedesco –
camminando nella sua direzione con rabbia. Un altro ragazzo,
altrettanto alto, era sceso basito.
Liesel fremeva dalla
fretta di rimettersi alla guida e raggiungere il dannato
commissariato.
“Senti, mi dispiace.”
borbottò gesticolando eccessivamente. “Sono un attimo di fretta.”
“Non me ne frega un
cazzo. Ora vediamo di risolvere la cosa.” ribatté il moro
indicando la sua Range Rover.
“Non vedo nemmeno un
graffio.” obiettò lei inarcando un sopracciglio mentre il ragazzo
biondo controllava da vicino il fanale destro.
“Correvi come una
pazza!”
“Questo perché ho
una certa cosa urgente da fare!”
“Ti pare una
giustificazione?!”
Quel bel visino
cominciava ad irritarla.
E aveva fretta.
“Senti, facciamo
così...” borbottò prendendo a frugare nella borsa con una certa
urgenza. Ne estrasse il telefono. “Segnati il mio numero. Domani,
quando il cosmo avrà smesso di mettermi i bastoni tra le ruote, ne
riparliamo.”
“E io come so che
quando chiamerò risponderai?” la scrutò di sottecchi.
“Non c'è nessun modo
se non fidarti e fare come ti ho detto.”
Il ragazzo lanciò
un'occhiata al biondo come per cercare un'approvazione.
“Mi sembra innocua.”
scrollò le spalle questo quasi con beffa, cosa che la infastidì.
Il moro sospirò e
recuperò l'i-phone dalla tasca dei jeans. Liesel gli dettò
pazientemente il numero di telefono ed attese che il ragazzo le
facesse uno squillo.
“Come ti chiami?”
gli domandò mentre digitava sullo schermo.
“Tom.” rispose lui.
“Io gradirei sapere anche il tuo cognome.”
“Liesel Petrova.”
bofonchiò lei. “Ora, se non vi dispiace, devo andare ad infrangere
un altro po' di limiti di velocità.” fece poi con sadico sarcasmo
riaprendo la portiera della sua Opel Astra.
“A distruggere
qualche altra macchina.” sentenziò lui mentre anche loro
risalivano a bordo della vettura.
“Ma vaffanculo.”
mormorò a quel punto Liesel ripartendo a tutta birra.
Le enormi ed imponenti
palme sfrecciavano pericolosamente ai lati della strada. Ormai
conosceva a memoria il tragitto. Steven le aveva dato la meravigliosa
possibilità di farsi un giro in commissariato almeno una volta ogni
due mesi.
Giunta a destinazione,
parcheggiò con noncuranza e salì di corsa le scale.
“Sono Liesel Petrova,
la sorella di Steven Lee.” annunciò non appena un ufficiale la
fermò.
“Mi segua.” rispose
questo con una serietà che detestò.
Lo seguì lungo il
corridoio fino a che non giunsero ad una piccola stanza. Suo fratello
sedeva alla scrivania, di fronte al commissario, con il capo chino e
l'atteggiamento di chi non vedeva l'ora di togliersi dai piedi per
combinare qualche altro casino altrove.
“Salve.” mormorò
Liesel al commissario.
“Comincio ad essere
stanco di vederla, signorina Petrova.” disse con sarcasmo l'uomo.
“Anche io, se posso
essere sincera.” sibilò lei lanciando nel frattempo un'occhiata
truce a Steven.
“Questa volta abbiamo
detenzione di stupefacenti.” continuò lui sollevando una busta per
poi farla ricadere sul tavolo con fare quasi rassegnato. Liesel
percepì un brivido lungo la colonna vertebrale. “La sua fortuna è
che non ha superato la quantità massima.” Tornò a scrutare suo
fratello quasi con odio mentre la voglia di prenderlo a schiaffi era
insopportabile. La cosa che più la sconvolgeva era la sua totale
indifferenza. L'uomo si sporse sulla scrivania e vi poggiò i gomiti
incrociando le dita. “Che cosa abbiamo intenzione di fare?”
domandò sia a lei che a Steven. “Vogliamo darci un freno?”
questa volta parlò solamente con suo fratello. Steven dal suo canto
lo sfidò con lo sguardo. Non lo distolse e non proferì parola. Il
commissario annuì appena abbassando il proprio per poi lasciarsi
andare ad un lieve sospiro e tornare a poggiare la schiena alla
sedia. “Vai.” lo congedò senza guardarlo ed il ragazzo non perse
tempo ad alzarsi.
“Arrivederci.”
soffiò Liesel per poi uscire dalla stanza.
Steven aveva cominciato
a recare problemi alla famiglia all'età di sedici anni, quando le
prime compagnie sbagliate ricoprivano un ruolo troppo rilevante per
un adolescente. A vent'anni, quei problemi si erano triplicati ed
erano i principali motivi di discussione con sua sorella. Passava il
tempo a rinfacciarle il fatto di accaparrarsi dei meriti di madre che
non aveva solo perché più grande di lui. Ma Liesel non voleva
semplicemente che suo fratello si distruggesse con le sue stesse mani
e dove non poteva arrivare Mara, cercava di intervenire lei. Non
raramente aveva nascosto tanti episodi a sua madre e Phil, solamente
per salvaguardare suo fratello.
Una volta fuori, Liesel
lo strattonò per la giacca – prima che potesse svignarsela – e
fece in modo che si voltasse verso di lei.
“Hey! Lasciami
stare!” si dimenò lui.
“Io ho smesso di fare
figure di merda per pararti il culo, Steven! Vedi di aprire bene le
orecchie!” fece lei frenando l'impulso di urlare. “Cosa cerchi di
dimostrare con le tue stronzate? Cosa stai cercando di dirci? Vuoi
attenzione? Che cazzo vuoi, Steven?!”
“Voglio che mi lasci
in pace!” ribatté lui con la minaccia nello sguardo ma Liesel non
lasciò la presa sulla sua giacca, la rinforzò.
“Certo, ti lascerò
in pace! Ma non provare a telefonarmi la prossima volta che ti trovi
nei guai! Te la vedrai direttamente con tuo padre, ti piace l'idea?
Ti fa ancora venire voglia di fare il gradasso?”
“Smettila di
comportarti come fossi mia madre.”
“Io mi comporto come
una persona che non ne può più di vedere suo fratello in
commissariato, sempre appeso ad un filo. Arriverà un dannato giorno,
Steven, in cui non ti daranno più un'ennesima possibilità. Arriverà
un fottutissimo giorno in cui ti ritroverai dietro le sbarre. E tutto
perché? Perché devi fare lo spaccone con i tuoi amici. Oh,
sì, drogarsi è forte, sei proprio figo.”
“Vattene a 'fanculo,
Liesel.”
Si liberò con uno
strattone dalla sua presa e le diede le spalle incamminandosi verso
una meta a lei sconosciuta.
“Continua così, ti
ringrazierai un giorno.” gli disse ancora prima di risalire in
macchina per poi sbattere la portiera con ira.
***
Rientrò in casa che
aveva solamente una gran voglia di gettarsi fra le coperte. Il mal di
testa che le era esploso era insopportabile. Aveva sentito Neal poco
prima e le aveva riferito che era stato riportato a casa da un amico.
Si sentiva mortificata anche per lui.
Gettò le scarpe a lato
dell'ingresso, buttò le chiavi sulla ribaltina e per poco non urlò
quando il suo coinquilino comparve davanti a lei come un fantasma.
Era di nuovo in mutande.
“Cristo, Neal.”
mormorò slacciandosi la giacca che successivamente appese.
“Allora? Che ha
combinato stavolta?” le domandò consapevole a braccia conserte.
“Detenzione di
stupefacenti.” fece una smorfia. “Che novità.”
Neal era basito.
“Giuro che non lo
capisco.” commentò scuotendo la testa.
“Non lo capisco io
che sono sua sorella, direi che è legittimo.” borbottò lei
incamminandosi verso le scale con passo trascinato. Perfino la borsa
cominciava a pesarle. “Comunque non ho voglia di parlarne.
Preferisco andare a dormire visto che domani mattina devo anche
lavorare.”
L'idea di mettere piede
in azienda non era delle più emozionanti.
“D'accordo, buona
notte.” la salutò Neal prima che lei si congedasse.
Una volta in camera,
gettò vestito e reggiseno a terra per poi sprofondare fra le coperte
come non vi fosse un domani.
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Questo capitolo in
realtà faceva parte del primo ma ho deciso di dividerli, almeno come
inizio, dato che i prossimi saranno piuttosto lunghi. Diciamo che con
questi due vi ho un po' introdotti alla storia, si è delineato il
contesto.
Fatemi sempre sapere
che ne pensate! Un bacio a tutti!
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