PROLOGO
Era
l'unica tomba a non avere neanche un fiore. Le lettere che componevano
il nome
del defunto erano state incise con una tale maestria da non lasciare
alcun
dubbio sul fatto che fosse stata usata la magia. Nessun artigiano,
nessuno
scultore poteva essere tanto abile.
Una
figura incappucciata sostava davanti a quella lapide, rispettosamente
inginocchiata a terra. Era consapevole che lì non vi fosse
alcun corpo
custodito, poiché laggiù, in quel luogo che era anche la sua terra
natìa, i
morti venivano bruciati, non dati in pasto ai vermi come facevano quei
volgari
esseri umani che vivevano dall'altra parte del mare.
Non
riusciva a smettere di rileggere quel nome. Aveva conosciuto bene
quella
persona... aveva anche avuto tantissime buone speranze per lei. Ma il
destino
l'aveva poi condotta su un pira in fiamme. Nessuno era andato a quel
funerale,
nessun famigliare, nessuna persona cara. Era stata una morte
forse troppo
prematura, eppure, in un certo senso, costretta. Non c'erano state
altre possibilità
di salvezza per lei.
Allungò
una mano, fino a sfiorare delicatamente quell'incisione. Percorse con
estrema
lentezza ogni singola lettera che componeva quel nome a lei così caro e
allo
stesso tempo così odiato: Rael.
Pregò gli Dei che avessero pietà per l'anima di quella persona, ma la
preghiera
non giunse mai a termine. Forse fu anche quello un volere divino. Non
tutte le
anime potevano essere salvate, in fondo. Un voce maschile alle sue
spalle
interruppe la sua supplica:
«L'Imperatrice
non riceve nessuno, dovreste saperlo.»
La
figura incappucciata si alzò in piedi, tenendo lo sguardo basso. Poi
voltò le
spalle a quella tomba dimenticata e fissò per qualche istante l'uomo
che aveva
di fronte. Dallo stemma che compariva sulla sua preziosa ed immacolata
armatura
- una rosa sormontata da una sfera di luce- e dal medaglione che
indossava, si
intuiva che fosse il capo della Guardia Imperiale. Sopra di lui, c'era
solo
l'Imperatrice.
Era
un uomo alto e dalla corporatura robusta. I suoi occhi autoritari erano
color
dell'oro, esattamente come quelli dello straniero e di tutti gli
abitanti
dell'Impero, e spiccavano notevolmente sulla sua carnagione olivastra.
Aveva
una lunga cicatrice a sfigurargli il viso. Gli tagliava la faccia a
metà,
partiva dal sopracciglio destro per arrivare all'angolo sinistro delle
sue
labbra. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, di un castano
tendente al
biondo. Per essere un soldato, aveva un aspetto fin troppo curato. Se
non fosse
stato per quella cicatrice, sarebbe potuto passare tranquillamente per
un
aristocratico. Evidentemente, vivere alla corte Imperiale imponeva una
certa
presenza.
Il solo fatto che avessero mandato lui, incoraggiò parecchio la
misteriosa
figura senza nome. Significava che la sovrana era incuriosita e voleva
saperne
di più sullo straniero incappucciato appena sbarcato nella grande città
di
Callisto. Egli seppe fin dal primo istante che avrebbe avuto ciò che
voleva,
ossia un incontro privato con l'Imperatrice.
Davanti
al silenzio dello straniero, l'uomo riprese la parola: «Provenite dai
territori
del Regno di Theires. Solo per questo dovremmo arrestarvi e
giustiziarvi per
alto tradimento. Eppure voi avete addirittura l'ardire di chiedere
udienza
all'Imperatrice in persona!» Le sue labbra si piegarono in una smorfia
di
disgusto. «Dovete aver appreso dagli umani tutta questa insolenza!»
Lo
straniero non si scompose ma anzi, sorrise quasi divertito dalla
prevedibilità
degli eventi.
Anche la persona della tomba senza fiori avrebbe riso. L'uomo che aveva
di
fronte, nell'udire quella risata, si spogliò di colpo di tutta la
propria
sfrontatezza. Non fu solo il suo sguardo smarrito a tradirlo.
Lo
straniero percepì distintamente la sua confusione mista ad un velo di
malcelato
turbamento. Cercò di non darlo a vedere, di rivestirsi della sua
maschera di
irreprensibile ed imperturbabile capo della Guardia Imperiale, ma ogni
suo
tentativo fu vano.
Fra
la gente del grande Impero di Keladia, l'inganno era pressochè
impossibile.
Tutti erano investiti fin dalla nascita dello scomodo quanto utile dono
dell'empatia. Il volto di una persona può nascondere la verità, ma le
sue
sensazioni non possono farlo.
Bastava
così poco per prendere alla sprovvista un uomo addestrato e armato fino
al
collo... Era sufficiente fargli capire che aveva di fronte una donna a
tenergli
testa.
«Parlerò
solo in presenza dell'Imperatrice.» dichiarò la straniera, impassibile.
Lo
sgomento non abbandonò un solo istante il volto dell'uomo, che ora
fissava la
figura davanti a sé con occhi carichi d'ira e sdegno. «Ogni udienza di
Sua
Maestà avviene anche in mia presenza.»
«Ditele che sono in possesso di alcune informazioni molto importanti.»
continuò
la donna, serafica. «Informazioni che oserei definire vitali.»
La
pazienza dell'uomo parve incrinarsi in quell'esatto istante. La sua
mano corse
all'elsa della spada che portava alla cinta. «Cosa vi fa credere di
avere il
diritto di dare ordini a me?»
«Fatelo!» insistette lei, con un cipiglio più severo. «Perchè vi posso
assicurare che se non lo farete e l'Imperatrice venisse a sapere di
questa
conversazione, sarete voi ad essere giustiziato per alto tradimento.»
«Basta così!»
A
parlare era stata un'altra voce femminile. La Guardia si voltò
all'istante e
subito s'inginocchiò a terra in segno di sottomissione. La straniera
invece,
non si mosse. Rimase in piedi e non ebbe timore di fissare dritta negli
occhi
l'esile figura dell'Imperatrice che si avvicinava.
Quella era la prima volta che la vedeva. Se l'era sempre immaginata
anziana e
grassa. Generalmente, tutti i nobili erano grassi ed intontiti dal
troppo
lusso, ma lei non era niente di tutto ciò. Era una donna ancora
giovane, o
forse, portava bene i suoi anni. Aveva un fisico piuttosto infantile,
ad essere
sinceri. Esile e dalle forme acerbe. I suoi capelli erano di un nero
lucente,
lunghi fino alla schiena. Aveva il pallore tipico delle persone che
passano la
vita chiuse nei loro scintillanti palazzi. Tuttavia, l'autorità di cui
era
investita traspariva dai suoi occhi dorati. Persino la straniera ebbe
l'istinto
di inginocchiarsi e prostrarsi davanti a lei quando la vide. Emanava
un'aura di
potenza talmente elevata, da annullare completamente ogni sua
convinzione e
sicurezza. Tuttavia,
non s'inchinò. Si limitò soltanto ad abbassare il capo.
L'imperatrice
fece un cenno alla sua Guardia, «Lasciaci sole.»
«Mia
Signora,» provò immediatamente a protestare lui, osservando l'ambiente
circostante disseminato di umili effigi popolane «... in un posto del
genere?»
«Non
c'è posto migliore.» rispose lei , con una compostezza davvero
encomiabile. «I
morti non possono origliare, né rivelare segreti.»
L'uomo,
ormai sconfitto, si alzò in piedi e dopo aver accennato un altro
rispettoso
inchino, lanciò una fugace occhiata d'ammonimento alla straniera. Poi
si voltò
e si allontanò.
Ci fu
qualche lungo istante di assoluto silenzio. L'Imperatrice osservò la
donna di
fronte a sé con sguardo critico, soffermandosi a lungo sul mantello
grigio
che copriva il suo corpo. Dello stesso colore era anche il
cappuccio
calato sul viso e che lasciava intravedere solo le labbra, «Qual è il
vostro
nome, dama in grigio?»
«Dama
in Grigio va più che bene, Vostra Maestà.»
«Non
volete dirmi il vostro nome?» La compostezza lasciò il posto ad una
lieve nota
di fastidio.
«Con tutto il rispetto, ho questioni più importanti di cui discutere
con Voi.
Il mio nome non è fra queste.»
L'Imperatrice non parve troppo entusiasta di quella risposta, ma
decise, forse
spinta unicamente dalla curiosità, di concederle la parola. «Ebbene?
Parlate
pure, vi ascolto.»
Solo
a quel punto, la Dama in grigio trovò il coraggio di alzare gli occhi
da terra
per incontrare quelli della sua sovrana. Quella rivelazione che aveva
custodito
dentro di sé per tutta una vita, avrebbe sconvolto il precario
equilibrio non
solo dell'Impero di Keladia, ma anche del Regno di Theires, la patria
degli
Umani.
«So
dove si trova l'ultima Custode.»
L'Imperatrice
non lasciò trasparire alcuna emozione. Fece un passò verso di lei e la
sua voce
si velò di una sottile nota di minaccia. «Vi prendete gioco di me.»
«Non
ho affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso per prendermi gioco
di voi,
Vostra Maestà.»
«L'ultima Custode è morta molti anni fa. Ed essendo morta senza aver
adempiuto
al suo compito, non ne nasceranno altre. Non serve che io ve lo
ricordi! O forse
sì, dal momento che avete vissuto a Theires per tutto questo tempo?»
Avrebbe
dovuto avere paura. Aveva appena fatto infuriare l'Imperatrice in
persona.
Eppure non era spaventata, al contrario. Era euforica.
«Posso
provarlo.»
«Sì,
è esattamente quello che farete!» affermò lei, senza liberarsi di
quell'aria
minatoria che ora più che mai la contraddistingueva. «Vi concedo due
possibilità, Dama Grigia.» La straniera sorrise di quel nuovo
appellativo che
le era stato dato, e decise anche che le piaceva.
«Tornate a Theires, non osate
mettere più piede nel mio regno e io vi farò la grazia di dimenticarmi
di voi e
di questo spiacevole incontro. Oppure, se davvero ciò che dite è reale,
c'è
solo una prova che potete fornirmi: portatemi la Custode. Se sarà
davvero lei,
verrete ben ricompensata. Avrete tutto ciò che desirate, qualunque
cosa. Ma se
invece si rivelerà essere una ciarlatana, come me ne hanno
portate tante
in questi anni, non sarà solo lei a morire. Voi la seguirete!»
La
Dama Grigia sorrise, e questa volta l'inchino lo fece con piacere. «Non
rimarrete delusa, Vostra Maestà.»
Il suo pensiero corse istintivamente alla Rael della tomba senza fiori.
Non
c'erano dubbi. Ovunque lei fosse, in quel momento, stava bruciando di
nuovo. E
la sua anima si stava macchiando sempre di più, allontanandosi
ulteriormente da
quella salvezza a cui ormai sembrava anche inutile anelare.
***
Nel
Regno di Theires, a nord della città di Valcalia, capitale della Contea
di
Sheiran, un bambino fissava immobile ed impotente la propria casa
bruciare.
Ciò
che lo teneva inchiodato a terra, incapace di muoversi, era la
consapevolezza
di essere rimasto completamente solo. Era quel silenzio spettrale,
rotto
solamente dallo scoppiettio delle fiamme, a suggerirglielo. Non si
udiva alcun
grido di aiuto. Era lui l'unico ancora in vita. La sua famiglia stava
bruciando
assieme alla casa in cui lui aveva sempre vissuto. Non tentò di domare
le
fiamme, non chiamò i suoi genitori, non corse a cercare suo fratello
minore.
Nemmeno pianse…
Semplicemente,
assistette alla fine di quell'esistenza sicura e pacifica che aveva
sempre
conosciuto.
"Mi hanno trovato," quello fu l'unico
pensiero che la sua
mente riuscì a formulare.
Era stato preparato ad una simile eventualità. I suoi genitori gli
avevano
spiegato come agire nel caso in cui il suo nascondiglio fosse stato
scovato.
Gli era anche stato detto di non arrendersi e di non lasciarsi prendere
dallo
sconforto. Solo adesso riusciva a dare davvero un senso a quegli
avvertimenti
che un tempo gli erano sembrati tanto inutili.
La
tentazione di smetterla di nascondersi, di rinunciare a salvarsi, era
davvero
tanta. Con gli occhi liquidi di paura e disperazione, il bambino si
sforzò di
reagire come gli era stato insegnato.
Le persone che amava erano state uccise per proteggerlo. Non avrebbe
mai potuto
vanificare il loro sacrificio. Deglutì a vuoto, ricacciando indietro
l'urlo di
dolore che minacciava di distruggerlo in ogni maniera possibile.
Lui
non era mai stato davvero un bambino. Aveva sempre vissuto una
realtà troppo
crudele, troppo dura per qualsiasi uomo adulto, resa però il più
possibile
accettabile da quelle persone i cui corpi si stavano carbonizzando
sotto le
macerie di quella casa.
No,
lui non era mai stato davvero un bambino. Perlomeno, non si era mai
sentito
tale fino a quel momento. Adesso, sentiva i suoi dieci anni gravargli
addosso e
rivelarsi in tutta la loro impotenza ed incapacità. Giocare a fare
l'adulto era
ben diverso dall'esserlo sul serio. E ora lui, doveva diventarlo per
davvero. Le
persone che l'avevano lasciato solo non erano i suoi veri genitori, ma
questo
non rendeva certo quella disgrazia meno dolorosa. Loro erano stata
l'unica
famiglia che lui aveva mai avuto.
Combattè strenuamente contro le lacrime che prepotenti premevano dietro
i suoi
occhi. Non gli era più concesso piangere. Non gli era più concesso
essere un
bambino. Adesso c'era solo lui contro il mondo intero.
Fu il
rombo di un tuono a destarlo. Alzò gli occhi dorati al cielo e si
lasciò
accarezzare il viso dalle gocce di pioggia che un istante dopo
iniziarono a
scendere.
Con
il cuore a pezzi e l'improvviso bisogno di sentirsi stretto nel
confortevole
abbraccio della donna che aveva sempre chiamato madre , un vago
quanto
terribile sospetto si fece largo fra i suoi pensieri.
Erano stati i soldati del Re a compiere quella carneficina. Lo sapeva,
perchè
era da loro che si era nascosto per tutta la vita. Eppure, venne
naturale
chiedersi dove loro fossero andati.
Cercavano lui. Era andato nel bosco a cacciare e non l'avevano trovato
assieme
ai suoi famigliari. Perchè allora non erano rimasti lì ad attendere il
suo
ritorno? La risposta era già crudelmente troppo chiara nella sua testa,
ma una
parte di lui la rifiutava.
Chiamò
a raccolta tutto il proprio coraggio, fece un profondo respiro ed
obbligò le
proprie gambe a rianimarsi. Trattenendo il fiato, si avvicinò alle
macerie
della sua casa. La pioggia stava gentilmente scacciando le fiamme, ma
ad ogni
passo, l'odore acre di carne bruciata era sempre più intenso.
Il bambino si portò una mano alla bocca, soffocando a stento un conato
e
lottando contro l'istinto di scappare via. Non poteva farlo, doveva
sapere se i
suoi sospetti erano fondati o no.
Il fato ebbe pietà di lui e gli risparmiò la vista dei corpi martoriati
dei
suoi genitori adottivi. Tuttavia, lo condusse dritto dinanzi il
cadavere del
bambino con cui era cresciuto insieme e che aveva imparato a
chiamare fratello.
Una
forza sconosciuta gli impedì di urlare. Sconvolto e tremante, cadde
all'indietro e, con lo stomaco e il cuore in subbuglio, scappò.
Inciampò di
nuovo, cadendo sulle ginocchia. Sfogò la sua rabbia e il suo dolore sul
terreno, conficcandovi le dita. Sentì lo strato di sale marino che
affliggeva
la terra della Contea di Sheiran, scricchiolare fra le sue mani.
L'immagine
di quel corpicino bruciato e decapitato, rischiò di farlo impazzire.
Per
evitare che ciò accadesse, il bambino con gli occhi dorati, smise di
lottare e
scoppiò in un pianto rabbioso e disperato. Nulla poteva essergli di
conforto, nemmeno il fatto che gli uomini del Re
avevano scambiato il suo fratellino per lui, e in quel momento stavano
portando
al loro sovrano la testa sbagliata.
Il Re
si sarebbe accorto quasi sicuramente dello scambio di persona, me nel
frattempo
lui avrebbe potuto scappare e trovare un altro nascondiglio. Suo
fratello,
morendo, gli aveva regalato una possibilità di salvezza. Ciò
nonostante, la
disperazione non si placò. Al contrario, s'intensificò fino a
stringergli il
petto in una morsa dolorosa.
Con
lo scroscìo della pioggia e il fragore dei tuoni che occultavano i suoi
singulti, il piccolo Kalintz chiese perdono a qualunque divinità
disposta ad
ascoltarlo. Pregò per la salvezza delle anime della sua famiglia
adottiva e
continuò a chiedere scusa per essere venuto al mondo.
***
In
quello stesso momento, sotto la pioggia che imperversava anche nella
Contea di
Sien, in un bosco troppo ostile per ospitare un qualsiasi insediamento
umano,
una bambina dai capelli rossi ed incapace di parlare, accettava
titubante
l'aiuto di uno sconosciuto per la prima volta.
****
E' solo il prologo, non mi
aspetto che colpisca più di tanto. Però sì,ecco... spero almeno
incuriosisca un po'.
Dico fin da subito che gli aggiornamenti potrebbero risultare parecchio
altalenanti ^^
DearDiary
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