Dangan Ronpate di Varia Natura, Forma e Dimensione di Subutai Khan (/viewuser.php?uid=51)
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Titolo: Un Solo
Errore, Pagato Salato come un Pretzel Gigante.
Personaggi: Makoto
Naegi, Kyouko Kirigiri.
Generi: angst.
Traccia: Dangan
Ronpa, Makoto Naegi/Kyouko Kirigiri, Fino alla Fine. Scritta per il
Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia divisa in tre parti
più o meno della stessa lunghezza che seguano uno sviluppo
temporale al contrario: futuro, presente, passato.
“Papà,
papà! Dove sei finito?”. Sento le urla di Toshiro
invadere i corridoi della Kibougamine, anche se non ho troppa voglia di
dargli retta.
Sono nel bel mezzo del
mio rituale e mi piacerebbe non venire interrotto, neanche dal sangue
del mio sangue.
Come succede una volta
al mese, mi sono piantato di fronte alla porta che su mia esplicita
richiesta porta ancora la targhetta “Kirigiri”. Per
fortuna Monokuma è stato abbastanza misericordioso da
lasciarci la possibilità di calcolare e tenere traccia del
tempo che passava, altrimenti concetti come minuto, ora e simili
avrebbero perso completamente di significato. Non è facile
raccapezzarsi quando vivi segregato in una ex-accademia con le finestre
e le porte murate.
Appoggio la testa al
legno, badando bene che la mia fronte tocchi proprio sulla ridicola
immaginina che serviva da etichetta.
Non ti ho dimenticata,
Kyouko. Non posso farlo.
Ti porterò
per sempre sulla coscienza.
“Eccoti qui,
finalmente. Si può sapere... oh”. Togami, lo sai
che voglio stare da solo in questi momenti. Dovresti averlo capito,
oramai.
Alzo un braccio verso
la mia sinistra, la direzione da cui veniva la sua voce, intimandogli
il silenzio. Recepisce e si quieta, anche se riesco a intravederlo
mentre si sposta e mette le mani dietro la schiena.
Lascio che una singola
lacrima cada per terra, andando a fare compagnia alle sue sorelle.
Se me lo avessero
raccontato prima dell’inizio di questa follia... avrei riso
come un cretino.
Makoto Naegi che
è direttamente responsabile della morte di qualcuno.
Impossibile. Grottesco. Fuori da ogni logica.
E invece mi
è successo pure questo. Non fidandomi del mio istinto, che
mi implorava di tapparmi la bocca e far finta di nulla, ho lasciato la
parte più cretina di me libera di sbugiardarla e di farle da
paggetto mentre la accompagnava verso quell’orribile
compattatore.
Idiota. Idiota. Idiota.
Lei era davvero la
nostra sola speranza di mettere il becco fuori da questa prigione. Lo
dimostra ampiamente il fatto che, in tutti questi anni, non abbiamo mai
cavato un ragno dal buco dai pur numerosi tentativi di scoprire
l’identità del mastermind. Nulla, niente di
niente. Potrebbe essere il preside, un barbone che si è
intrufolato e ha trovato divertente vederci squittire come topi in
gabbia, uno psicopatico qualunque.
Non lo sappiamo. Non
lo sapremo mai.
Ci servi, Kyouko. Ci
servi. Eppure sappiamo sin troppo bene che non tornerai, e di questo
posso solo ringraziare il mio lampo di genio.
Ci credi se ti dico
che ho bruciato la giacchetta che indossavo? E la felpa? E
più in generale tutto quello che portavo nel peggior giorno
della mia vita? Mi sentivo sporco, colpevole, indegno di rimanere al
posto tuo. E la sensazione, seppur non forte come allora, ogni tanto si
fa ancora viva e mi ricorda ghignando che sono scivolato al livello di
Kuwata, di Oowada, di Celes. Non era mia intenzione, come non lo era
per quasi tutti loro, ma la realtà resta quella.
Agli altri non
l’ho mai detto, ma io conosco la verità e mi
merito di soffrire da solo per tutto quanto mi resta da vivere.
Perché se è vero che è stato Monokuma
l’autore materiale, io mi considero a tutti gli effetti il
mandante.
Faccio trascorrere un
po’, immerso nel silenzio più assordante che possa
esistere. Assordante perché non è riempito dalla
tua voce.
Poi, finalmente,
rialzo la testa e subito mi giro verso Byakuya. Sì dai,
è stupido chiamarsi per cognome dopo aver condiviso
così a lungo un simile destino di cavie da laboratorio.
“Ehi”
dice, e ancora mi stranisco nel vederlo sorridere leggermente.
Nell’occasione della famosa foto “di
famiglia”, ci è venuto un mezzo coccolone quando
ha espresso un’emozione che non fosse la sua tipica arroganza.
“Ehi”.
“Scusa, non
sapevo che stavi facendo... quello. Non ti avrei disturbato altrimenti.
È solo che Toshiro reclama il suo papà e non ti
si trovava più...”.
“Sì,
perdonatemi. È che sapete quanto tengo a questa cosa. Certo
che...”.
“Che?”.
“A che punto
siamo arrivati, Byakuya? Viviamo da non so esattamente quanto tempo in
queste quattro mura, a turno ci siamo accoppiati tutti con la povera
Aoi che ormai è più un’incubatrice che
una persona... mi chiedo se...”.
“A parte che
sei disgustoso a definire la madre di tuo figlio in questi termini...
parla per te e per quell’altro rasta di Hagakure,
grazie tante. Sai benissimo chi è la madre di Ryo e sei
pregato di non mancarle di rispetto”.
“Va bene, va
bene. Scusa. Un’altra cosa di cui non vado orgoglioso,
l’aver dovuto... sopprimerla per evitare che Genocider
diventasse pericolosa. Ci sono momenti in cui ho delle ricadute e mi
pento della nostra decisione di lasciar perdere e rassegnarci.
È così... deprimente”.
“Scuse
accettate. Non fa nulla” concede prendendomi per le spalle
“ci siamo passati tutti e probabilmente, a rotazione, lo
rifaremo in futuro. Dai, ora andiamo da tuo figlio che sennò
gli viene una crisi isterica e poi sai quanto diventa
ingestibile”.
Ha ragione. Quel
piccoletto ha energia da vendere e un modo di piangere capace di far
esasperare anche un Buddha.
Getto
un’ultima occhiata verso la porta.
Kyouko, so che non
vale niente... ma scusami.
Che faccio che faccio
che faccio?
Quinto processo, per
la morte di Mukuro Ikusaba.
Dopo Sayaka Maizono,
Junko Enoshima, Leon Kuwata, Chihiro Fujisaki, Mondo Oowada, Kiyotaka
Ishimaru, Hifumi Yamada, Celestia Ludenberg e Sakura Oogami... ennesimo
cadavere.
Solo i kami sanno
quanta nausea ho di questo andazzo.
E sono persino
più impanicato del solito. Il perché è
presto detto: so che Kyouko Kirigiri sta mentendo.
Dov’è
il problema, direte voi. Starà cercando di coprire il
proprio misfatto, visto che ci sono un po’ di elementi che
danno adito a sospetti nei suoi confronti.
No, non è
così.
Kirigiri-san non
è un’assassina.
Lo so. Lo so per certo.
O forse non proprio
per certo. Le prove a suo carico, per quanto indiziarie, sono
piuttosto solide. In effetti non ha un alibi valido, essendo sparita
come un fantasma nelle ore precedenti al processo al punto di far
pensare a quel furbone di Hagakure-san che il corpo le appartenesse, e
in camera sua abbiamo rinvenuto la chiave dell’armadietto che
conteneva quella identificata come arma del delitto.
La sua posizione non
è delle più comode, lo ammetto. E non aiuta il
fatto che non voglia spiegarci le ore di buco, rifiutandosi
ostinatamente di rispondere.
Togami-san la sta
pressando, cercando di farla confessare. E lei si limita a ribadire che
quell’oggetto dev’essere stato messo a bella posta
in camera sua per incastrarla, dato che lei non ci può
più entrare.
Questo è
vero, è stato lo stesso Togami a sequestrarle le chiavi. O
meglio, lo era fino a quando siamo saliti sul montacarichi,
perché poco prima di farlo mi ha rivelato che cercando in
giro ha recuperato un passepartout che dovrebbe aprire tutte le porte
della scuola.
Inclusa quella di
camera sua, quindi. Mandando la sua giustificazione a farsi un giro.
In cuor mio so che
è innocente, ci metterei tutte e due le braccia e tutte e
due le gambe sul fuoco. Io mi fido di Kirigiri.
Il problema
è che una contraddizione così palese non
è nel suo stile. Cos’è, una metodica e
analitica come lei che si dimentica di avermi parlato di quella chiave?
Potrei sbagliarmi, ma
mi sembra di starla vedendo... sudare.
Credo abbia paura.
Paura di essere stata
scoperta come omicida... o paura di qualcos’altro?
Se una come lei perde
la freddezza... allora il motivo dev’essere grave. Realmente
grave.
E io immagino di
essere l’unico a sapere di quel particolare, cioè
sono l’unico che può smentirla.
Ecco il
perché della domanda di cui sopra: che devo fare?
Comportarmi come ho sempre fatto finora e urlarle uno dei miei ormai
proverbiali “Obiezione!” con tanto di dito
accusatorio... o fidarmi di lei e decidere di coprirla?
Lo ripeto, io le
credo. Ma il dubbio, e mi scoccia da matti ammetterlo, è
forte.
“Mi tocca
dirvelo un’altra volta: fate come volete, ma se io muoio qui
non avrete la minima possibilità di risolvere i
misteri della Kibougamine e di scoprire chi è il mastermind.
Non una. Siete spacciati”. E mentre ripete la nenia per
l’ennesima volta, noto in maniera indistinta che la mano
sinistra le trema. Leggermente per carità, ma trema.
Non mi piace essere
volgare, ma è evidente che se la sta facendo addosso. Se
Kyouko Kirigiri trema... vuol dire che è terrorizzata.
Santo dio, mi fonde il
cervello. Non so come devo muovermi. Non sono mai stato così
teso prima d’ora.
Però
aspetta, aspetta un secondo Makoto. Ti è già
uscito dalla testa quel che è successo non più di
dieci minuti fa? Di come la signorina Kirigiri stesse cercando di
scaricare il peso su di te?
E chi si comporta
così di solito? Chi ha qualcosa da nascondere. Nella
fattispecie la propria colpevolezza.
La bilancia ha appena
preso a pendere pesantemente da una parte.
Qualcosa dentro di me
si è fatto straordinariamente indigesto.
“Avanti
Kirigiri, confessa. Hai le spalle al muro, ti abbiamo inchiodata. Abbi
la grazia di perdere con stile”.
“Io non ho
ucciso Ikusaba, Togami. Non l’ho fatto. E sai bene il
perché. Questa è una trappola”.
Chiudo gli occhi.
Inspiro. Prego.
Svuoto la mente e
lascio che la mia bocca si muova da sola. O da sola resti ferma.
“Kirigiri-san...
stai mentendo”.
L’ho detto.
Alla fine l’ho detto.
“Uh? Cosa
blateri, Naegi?”.
“Non
è vero che non puoi entrare nella tua stanza. Tu stessa mi
hai mostrato la chiave di Monokuma. Quella chiave... apre tutte le
porte dell’accademia”.
Silenzio.
-
Corro a perdifiato
verso il compattatore.
Ho il petto in fiamme,
la testa mi duole e il mio battito cardiaco sembra completamente
impazzito.
No. Questo
è un incubo. E io sono uno sciocco.
Non ho tenuto conto
di una cosa fondamentale. Fondamentale.
Kirigiri-san, questa
notte, mi ha salvato la vita.
E io l’ho
ripagata mandandola al macello.
Stronzo irriconoscente.
Odio odio odio odio.
Sento ondate di odio travolgermi. Odio per me stesso.
Emetto un ululato
bestiale, sopraffatto dall’agonia. E dalla consapevolezza di
come abbia appena condannato me e gli altri superstiti a
un’esistenza da reclusi in questo posto.
Tocco la superficie
dello strumento di morte, macchiandomi in più punti di
sangue. Sangue innocente. Sangue di una persona che sarebbe stata la
mia miglior alleata e ora è solo l’ennesima
vittima di questo massacro.
Togami e gli altri mi
osservano da lontano, ma faccio persino fatica a distinguerli con gli
occhi pieni di lacrime che mi ritrovo.
Come posso essere
stato tanto deficiente? Come?
Kirigiri-san, per
quanto può valere adesso... scusami.
TOC TOC.
Vai via chiunque tu
sia, non voglio vedere nessuno.
TOC TOC.
Via, ho detto. Via.
Voglio rimanere a
riflettere in pace, chiedo troppo? Ho un tradimento da metabolizzare.
TOC TOC.
Uff. E va bene
scassaballe, hai vinto.
Mi alzo e apro.
Davanti a me
Kirigiri-san.
“Posso
entrare?”.
Mi scosto per farla
passare. Tanto ormai hai disturbato.
“Come stai,
Naegi?” chiede distrattamente mentre si guarda attorno,
osservando con aria... direi quasi professionale i segni rimasti dalla
colluttazione di Kuwata e Maizono.
“...”.
Ti è chiaro che non voglio compagnia, in questo momento?
No beh, ora sei
ingiusto con lei Makoto. È la persona che, praticamente, ti
ha salvato la vita laggiù in quel tribunale improvvisato.
Gli altri mi davano
l’impressione di essere come un’orda inferocita
alla ricerca del mostro da linciare. Invece lei ha portato in quella
piccola assemblea calma, lucidità e capacità
analitiche da far invidia a un qualche membro del CSI americano. Non
che io guardi quei telefilm orripilanti.
“Che cosa
sei venuta a fare, Kirigiri-san?”.
“Volevo
farti una domanda su Maizono”.
Una domanda su
Maizono? Ohibò.
Ok, fai pure. Prima
fai questa domanda e prima potrai andartene.
“Prego”.
“Per quale
motivo credi che abbia lasciato il nome di Leon Kuwata sul
muro?”.
Che domanda del cavolo
è? Mi sembra più che evidente.
“Oh, non so.
Per vendicarsi del suo assassino, ad esempio?”.
“Probabile,
non lo nego. Ma io vedo una possibile altra interpretazione”.
“Eh?
Prego?”.
“Secondo me
Sayaka Maizono ha voluto discolparsi nei tuoi confronti. Oltre che per
aiutare noi con le indagini, perché senza quel particolare
avremmo avuto molte più difficoltà a beccarlo...
ecco, io penso abbia cercato il tuo perdono per il suo tentativo di
incastrarti. Credo se ne fosse pentita”.
“Su che basi
lo dici?”.
“Nessuna. Ma
è più bello pensarla così,
no?”.
“Tu sei
davvero Kirigiri-san?”.
“A volte
capita persino a me di avere una botta di vita”.
“Cerca di
fare in modo che non accada in tribunale, allora. Abbiamo bisogno della
tua invidiabile sagacia”.
“Percepisco
del sarcasmo, Naegi”.
“Nessuno
è perfetto”.
Scoppio a riderle in
faccia. Pardon.
Incredibile. Quaranta
secondi fa ero di pessimo umore e adesso mi sento tranquillo, sereno.
Probabilmente, quando
se ne andrà, il magone tornerà di gran carriera
ad appesantirmi le spalle e a stringermi il cerchio alla testa. Ma per
ora ne approfitto e rido a crepapelle, di fronte al suo sguardo
vagamente toccato dalla cosa.
“Sicuro di
non aver bisogno di qualcosa per frenarti?”.
Non le rispondo. Non
per maleducazione, è che non riesco a smettere.
Ci impiego un minuto
abbondante per recuperare un minimo di senno. Poi per fortuna riesco
nella titanica impresa e smetto di piangere dal troppo riso.
“Tieni”
mormora. Alzando la testa, che fino a mezzo secondo fa era ancora
piegata verso terra, la scorgo mentre mi allunga un fazzoletto.
Lo prendo
ringraziandola, lo apro in tutta la sua larghezza e per prima cosa mi
ci soffio rumorosamente il naso. Non ci posso far niente se perdo roba
verdastra dalle narici quando mi vengono simili attacchi di Ridancianite.
“Mi sembra
di capire che qualcosa, in quel che ho detto, lo hai trovato
particolarmente ilare” commenta e, se non pensassi
altrimenti, giurerei di averci colto una microscopica punta di
scocciatura.
“Ti prego di
scusarmi, non so cosa mi sia preso. Ammetto che lo scambio di battute
era moderatamente divertente, ma da qui a perdere ogni freno inibitore
in quel modo...”.
“Ti
dirò, non sono così dispiaciuta della cosa. Anzi.
Una risata non fa mai altro che bene, specialmente in una situazione
psicologica al momento delicata come la tua”.
“Beh
sì, devo ammettere che ora mi sento molto più
leggero”.
“La cosa non
può che farmi piacere. Ora che ho detto quel che avevo da
dire, posso anche levare il disturbo”.
Si avvia verso la
porta. La fermo d’impulso.
“Cosa
c’è?” chiede voltandosi.
“Io... penso
tu abbia ragione, su Maizono”.
“Su che basi
lo credi?”.
“Nessuna. Ma
non sei l’unica a cui è concesso. E poi
sennò è troppo triste e deprimente, e se
c’è una cosa in cui sono bravo è nel
non deprimermi”.
“Spero che
tu possa dimostrare questa tua dote. Ho idea...”.
“...che il
casino sia appena all’inizio”.
“Uh?
Io...”.
“Te
l’ho letto nel pensiero. Sono un esper”.
“...”.
“No,
scherzavo. Ho solo un buon intuito”.
Increspa appena appena
le labbra. Credo che nella sua lingua di emozioni inespresse equivalga
a un sorriso.
“Mi fa
piacere che tu abbia scelto di ricordarti così di
lei”.
“Preferisco
l’ottimismo al pessimismo. Ah, Kirigiri-san...”.
“Sì?”.
“Grazie”.
“Prego”.
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