The happiness' Tale

di Gese Lohya
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In una città senza nome, viveva un bambino che non era mai stato felice da quando era venuto al mondo.
La cosa,  dando uno sguardo alla sua vita, sembrava assolutamente priva di giustificazioni: le maestre lo lodavano, i compagni di scuola,lo adoravano, i genitori  lo amavano senza riserve.
Eppure, il piccolo era sempre triste.
Molto preoccupati dal fatto, i genitori facevano di tutto pur di riuscire a strappargli un sorriso. Lo portavano a vedere ogni circo che si fermasse in città, al luna park, ad assistere all’esibizione dei migliori pagliacci e prestigiatori di tutto il mondo… cose che avrebbero fatto ridere qualsiasi bambino ma con il loro ogni tentativo era vano, perché rimaneva sempre e comunque impassibile. Cominciarono a smettere di provarci.
Un giorno davanti alla loro casa si fermò un grande carro da gitani, trainato da due zebre dalle strisce multicolore, sulla cui fiancata c’era scritto a lettere cubitali “Mr. Winston e Md.lle Yvette”.
Da una porta sul retro, scesero appunto i due, che si diressero subito alla porta della villetta.
Dling dlong
Visti i loro abiti sgargianti, i genitori li scambiarono per clown e, senza neanche salutarli, li fecero accomodare  nella stanza del figlio. Egli, accoccolato sul suo letto ricoperto di peluche,  quando i due entrarono li guardò con occhi annoiati.
«Se siete venuti per farmi vedere il vostro spettacolo, per farmi ridere e guadagnarvi la riconoscenza dei miei genitori, vi conviene andarvene subito, così almeno nessuno di noi perderà il proprio tempo: quelli come voi, a me, non divertono affatto.»
Madamoiselle Yvette, che si era accomodata su una poltrona, ricambiò quelle parole astiose con un sorriso amorevole.
«Piccolo mio, noi non siamo qui per tirare fuori il coniglio dal cappello ed altri trucchi di magia, giocoleria e quant’altro… Moi e Mister Winston, siamo venuti qua per farti un regalo.»
Dalle tasche del lungo cappotto color pavone, Mister Winston estrasse un vaso, colmo fino all’orlo di terra.
«Qui dentro, nascosto tra il terriccio», gli disse dandoglielo tra le mani, «E’ piantato il seme del fiore più bello che si sia mai visto sulla Terra; per farlo sbocciare, ogni giorno al mezzogiorno in punto, dovrai innaffiarlo e, perché no?, cantargli una ninna-nanna.»
Il bimbo, rigirandosi il vaso tra le mani, studiandolo attentamente, gli chiese come potesse esser certo che lui non lo stesse ingannando e che lì dentro, anziché una piantina, non ci fosse piantato  un bel nulla.
«Se non ci provi, come potrai saperlo?» , gli rispose prima di andarsene, a braccetto con la sua compagna.
Le zebre, non appena i loro proprietari non furono saliti, trottarono via, lasciandosi alle spalle la villetta.
Il bambino, visto che era molto curioso di veder questo fantomatico fiore, seguì le istruzioni lasciatogli. Giorno dopo giorno, alle dodici precise, correva a casa per dar da bere  a quella pianta e presto cominciò anche a cantargli e a raccontargli quel che gli passava per la testa.
Passarono tre mesi ed in un fresco venerdì, dopo tanta perseveranza e tanta dedizione, quando tornò a casa ebbe una sorpresa:  due foglioline verdi erano spuntate, ed un bocciolo minuscolo si ergeva tra di esse.
In quel momento, il bambino seppe cos’era la felicità. 




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