per non dimenticare
Dopo mesi si assenza torno con una nuova
storia. Si può dire che è il seguito di Hide and Seek, ma può benissimo esser
letta anche in separata sede.
I personaggi sono del maestro Oda, anche se
vorrei fossero di mia invenzione, ma vabbè, mi accontento di usarli un pochino
in queste mie bravate. Buona lettura.
Per non dimenticare
Le risate
riempivano lo spazio circostante, chiacchiere, parole futili e cambi di discorso
continui. Tutto era tornato come una volta, sembrava quasi che la loro ultima
avventura non avesse mai avuto luogo. Sembrava quasi che tutti si fossero
lasciati alle spalle la paura -il timore- di non riuscire a salvare una di loro,
una loro compagna.
Nico
Robin.
Era lì, in mezzo
a loro. Sorrideva, parlava, scherzava, tutto con quel suo modo regale e pacato
che sempre l’accompagnava -come se nulla fosse-. Come se Enies Lobbie non fosse
mai esistita e con essa non fosse mai avvenuta quella strana avventura che per
poco non li aveva divisi per sempre.
“Certo che lo spadaccino è
ligio ai suoi doveri.” L’ennesimo commento, l’ennesimo cambio di argomento da
parte di Franky, l’ultimo arrivato, l’ultimo acquisto della ciurma, mentre
l’ennesimo tuono si abbatteva su di loro.
La pioggia scorreva
ininterrottamente da diversi giorni, e quel giorno il freddo si faceva sentire
più prepotente e la ciurma, ognuno avvolto in un pesante capo d’abbigliamento,
si era rintanata in cucina nella speranza di non ammalarsi e a sorseggiare
qualcosa di caldo che prontamente Sani aveva preparato non appena Nami glielo
aveva chiesto.
L’unico che mancava
all’appello era appunto Zoro, lo spadaccino.
“No, è solo un esagitato.”
Sani si accese una sigaretta senza guardare il compagno, che s’intravedeva
dall’oblò, occupato in uno dei suoi soliti massacranti e contorti allenamenti.
“Mi chiedo a cosa gli serva. Sono tre giorni che si allena come un
matto.”
“Lo sai com’è fatto…” Usop
guardava insistentemente l’oblò e lo spadaccino la fuori fradicio
-infaticabile-.
Zoro Roronoa. Un sogno
enorme e quasi irraggiungibile, tanto quanto quelli degli altri componenti della
ciurma. Ma per quanto potesse sembrare impossibile da realizzare non si era mai
tirato indietro dinanzi ad una sfida, no, non lo aveva fatto -e mai sarebbe
riuscito a farlo-.
“Per me è solo un
esagitato.” Una convinzione ferrea.
“Per lui è importante.” Una
frase che lascia di stucco. Si voltarono verso Rufy, il loro capitano, che
tranquillo finiva di bere la sua tazza di cioccolata
fumante.
Importante.
Cosa significava importante?
Cos’era di così importante da costringerlo quasi ad allenarsi costantemente
-ogni giorno- e con qualsiasi condizione climatica? Cosa sapeva Rufy su Zoro di
così importante che tutti loro ignoravano? Lo spadaccino era stato il primo ad
entrare nella ciurma, eppure credevano di conoscerlo. Ma non si erano mai
chiesti cosa lo spingesse ad intraprendere quegli assurdi allenamenti, ad
affrontare sfide impossibili.
“Che intendi Rufy?” Una
domanda posta con un pizzico di pura curiosità, ma anche voglia di conoscere più
a fondo il compagno spadaccino.
“Nulla. So solo che c’è di
mezzo una promessa.” Celiò quello alzandosi. “Buona
notte.”
*
*
*
Non era riuscita a chiudere
occhio. Aveva tentato in tutti i modi, in quelle poche ore, di addormentarsi ma
si era ritrovata a rigirarsi nelle coperte, che ora erano un groviglio attorno
al suo corpo, alla ricerca di una posizione comoda -sembrava che la sua mente
rifiutasse quell’idea-, ed ora si ritrovava ad aggirarsi per i corridoi della
nave. Il sonno un lontano ricordo.
Aprì la porta che portava
alla stanza adibita a cucina il più lentamente possibile, in silenzio, per non
svegliare gli altri. Forse, se avesse bevuto qualcosa di caldo, sarebbe riuscita
a conciliare il sonno e chiudere fuori quella strana agitazione -un senso di
vuoto- che si era impadronita di lei quella sera. Le parole di Rufy rimbombavano
ancora nella sua testa con un suono assordante e continuo.
Promessa.
Cos’era una
promessa? Qual era questa promessa? Il sapere che Zoro avesse una promessa da
mantenere non era poi così strano, anche a lei in fin dei conti aveva promesso.
Promesso di salvarla, promesso di esserci sempre se lei avesse avuto bisogno.
C’erano tante promesse nella sua vita, e lei sapeva che le avrebbe mantenute
tutte fino alla morte -una promessa è debito-.
Eppure…eppure una
semplice frase l’aveva mandata in una sorta di caos, uno stato confusionale
dovuto al fatto che ora si rendeva realmente conto di quanto poco conoscesse
Zoro Roronoa. E quella sensazione di ignoranza che sentiva nei suoi confronti la
considerava come un qualcosa di inaccettabile.
“Che ci fai
qui?”
Sobbalzò al suono
della sua voce proveniente alle sue spalle. La teiera, colma d’acqua, che teneva
ancora in mano quasi cadde a terra e solo grazie ai suoi riflessi riuscì a
rafforzare, quel tanto che bastava, la stretta attorno al manico.
Si voltò con
l’intento di urlargli contro per lo spavento avuto, ma quando incontrò i suoi
occhi scuri si bloccò, mentre quella parola rimbombava ancora più forte nella
sua testa facendola sentire come una bambina piccola, sgridata dai genitori
perché ancora non è in grado di capire i discorsi dei grandi. Facendola sentire
persa.
“Non riesco a
dormire.” Fu semplice la risposta che diede mentre abbassava lo sguardo
voltandosi.
Agitazione. Gli
occhi scuri di Zoro ora le sembravano così diversi, non erano più quelli che lei
conosceva -quelli che credeva di conoscere-. Le sembrava di avere davanti a se
un estraneo, uno sconosciuto, una delle tante persone che aveva intravisto nei
suoi molteplici viaggi, quando ancora era la cartografa di Arlong. E lei, di
isole, di villaggi, di persone, ne aveva viste a centinaia. Qualcuno che non
conosceva, non lo spadaccino burbero della ciurma di Rufy cappello di
paglia.
“Brutti sogni?”
Il mormorio di Zoro, rimasto accanto alla porta, la fece voltare ancora una
volta verso la sua figura. “Lo sai che se hai bisogno puoi venire da
me.”
Il tono
indifferente, come se non gli importasse realmente -un orgoglio smisurato-, lo
sguardo serio e le braccia intrecciate al petto. Ma per lui lei era importante,
nonostante ostentasse solita freddezza che lo caratterizzava. Un’ammissione che
fece sorridere Nami dentro di se. Perché si era ricordato di quella piccola
promessa fattale la notte di natale, quella notte passata da soli, solo loro due
mentre il resto del mondo rimaneva chiuso fuori, in disparte. Una promessa
sussurrata ai confini del mondo, nell’oblio del tempo.
Promessa.
Un altro
rimbombo, un ronzio più forte nelle orecchie. Quella parola continuava a
vorticarle in testa e il sorriso scomparve, lasciandola di nuovo in quello
strano stato confusionale, stordendola tanto da costringerla a voltarsi -perchè
non riusciva più a reggere il suo sguardo-.
“Nessun incubo.”
Verità, bugia.
Aveva sbagliato?
Non lo sapeva. Forse avrebbe dovuto dirgli cosa la tormentava. Ma cosa…cosa
avrebbe potuto dirgli? Non sono gli incubi a tormentarmi questa notte, ma tu?!
No, non sarebbe mai riuscita a rivelargli una cosa del genere -le veniva dal
ridere al solo pensiero-.
“Sicura?” Ancora
la sua voce a riempire l’aria.
Sentiva i suoi
occhi scuri, inquisitori, puntati sulla schiena. Le sembrava potessero
trapassarla da parte a parte, leggere la sua anima come un libro aperto. La
stavano mettendo in soggezione e la paura che potesse capire ciò che realmente
pensava, provava, si stava lentamente impossessando di lei. La rendevano
nervosa, facendole tremare leggermente la mano che ancora reggeva la
teiera.
Un cenno
affermativo col capo, l’unico modo per essere convincente. La sua voce, lo
sapeva, l’avrebbe altrimenti tradita -tremante ed insicura-. Posò la teiera sul
fuoco, nell’intento di darsi un tono e recuperò una tazza pulita dal mobile.
Sentiva ancora su di se quei gelidi occhi che di certo non le facilitavano le
cose.
“Zoro?” Lo aveva
richiamato, continuando a prestare attenzione alla teiera, quando aveva sentito
i suoi passi risuonare nel silenzio, sicura che se ne stesse andando. “Vuoi?”
Voleva trattenerlo, farlo restare lì con lei.
Sentì ancora i
suoi passi, questa volta diretti verso l’interno della stanza, verso il tavolo e
la sedia scricchiolare appena sotto il suo peso segno che si era seduto. Non
aveva parlato -le parole erano futili tra loro-, nessun cenno, nessun mugugno
d’assenso. Un tacito assenso colmo di tutto e nulla, solo le parole per litigare
non erano futili.
Prese un'altra
tazza guardandolo di sottecchi, oltre la spalla. Lo spadaccino con lentezza
trovava una comoda posizione, intrecciando le braccia al petto e poggiando il
capo alla parete, gli occhi chiusi.
Forse ora che
erano da soli, come quella notte, avrebbe potuto chiedere e levarsi di dosso
quella sensazione di ignoranza, di colpevolezza nei suoi confronti che sentiva,
ogni minuto che passava, crescere e schiacciarla all’altezza del petto. Forse
sarebbe riuscita a sciogliere il nodo che le serrava la gola e lo stomaco in una
morsa ferrea -una morsa gelida-, pesante da sopportare.
Si sedette
prendendo posto a capotavola, alla sua destra lo spadaccino. Posò le tazze
fumanti dinanzi a loro, ostentando silenzio, come per paura di interrompere
qualcosa di magico. Se ora avesse parlato poi non sarebbe più riuscita a
sollevare quel particolare e pungente argomento.
Ma le parole -la
voglia di sapere- premevano per uscire.
L’odore dolce ed
intenso di mandarino misto, misto a quel loro silenzio, si spandeva nell’aria
circostante. Nessuno dei due osava interrompere quell’agro-dolce silenzio, per
rispetto verso l’altro, per paura forse. Rimanevano lì a sorseggiare il te
caldo, godendo unicamente della presenza dell’altro, di quel calore che i loro
due corpi sprigionavano -così vicini eppure così lontani-, risvegliando in loro
sensazioni conosciute, inglobate in un lontano ricordo rimasto impresso come
orme sulla sabbia pronte ad esser spazzate via alla prima onda.
“Come mai ancora
sveglio?” La voce di Nami come un tuono.
“Non avevo
sonno.”
L’acqua
continuava a scorrere, picchiettando sul legno, sul vetro del piccolo oblò,
lavando via tutto. Scorrendo in mille stille argentee su di loro.
“Tu?” Avrebbe
voluto dirgli che per lei era solo troppo stanco a causa di tutti quei pazzi ed
insensati allenamenti che continuava a portare avanti nonostante non ve ne fosse
un reale bisogno. “Ma se ogni occasione è buona per dormire.”
Si rivolsero
un’occhiata di sfida. Ancora una litigata, l’ennesimo modo per sentirsi vicini.
Andando oltre a quella vicinanza fisica, cercando di raggiungere ancora una
volta la vicinanza che erano riusciti a sfiorare solo una volta, solo per una
notte -come una chimera-.
“In fatto a sonno
nemmeno tu scherzi.”
“Guarda che sei
tu il ghiro della nave.” Un sorrisetto da strega.
Un ghigno in
risposta. “Io sono sempre vigile.”
Vero.
Era su di lui che
tutti riponevano la loro fiducia. Era sempre lui che si accorgeva per primo dei
pericoli, dei cambiamenti. Tranne i cambiamenti del vento, era lei ad avere il
dominio incontrastato del vento.
Sorseggiò
lentamente ciò che rimaneva nella sua tazza, osservandolo
attentamente.
“Perché allora?”
Vedendo l’espressione corrucciata e curiosa al contempo dello spadaccino, si
accorse che la frase, così formulata non aveva senso. Cercò le parole più
adatte. “Intendo….intendo perché continuare?”
Un lieve sorriso
increspò le labbra di Zoro. Il liquido caldo ancora nella tazza, le mani che ne
serravano nervosamente il bordo, gli occhi ad incontrarsi tra loro. Era la prima
volta, in quella serata, che i loro sguardi s’incrociavano.
“Per essere il
migliore.” La verità che usciva chiara e forte.
Sapeva del suo
sogno, del traguardo che rincorreva da anni. Lo aveva detto dinanzi a tutti
loro, quel giorno piovoso, quando erano partiti per quel lungo e strano viaggio.
Portava i segni addosso si uno scontro a cui lei, per sua fortuna, non aveva
assistito, troppo presa dai suoi di problemi. Anche ora poteva intravedere, dal
bordo della maglia bianca di lui, l’inizio di quella cicatrice che gli
attraversava diagonalmente il petto.
“E non lo sei
già?”
Voleva saperne di
più. Cercava una risposta a quella tacita domanda che le ronzava in testa. Ma
come fargli capire ciò che pensava senza sembrare invadente,
indiscreta.
“No.” Un mormorio
e lo sguardo corre sulle spade appese al suo fianco destro.
Due spade -non
erano più tre-. Solo in quel momento Nami si accorse di quel particolare
importante, nei giorni scorsi non vi aveva mai fatto caso. Un pensiero, un flash
preciso a ricordarle l’ultimo scontro e come quella spada, che ora non c’era
più, era andata distrutta. Le parve d’intuire i pensieri del
compagno.
“È per l’ultimo
scontro?” Esitazione nella sua voce. Paura di toccare un argomento troppo
delicato -una ferita ancora aperta-.
Un lampo. Un
tuono. Lo scrosciare insistente della pioggia a mischiarsi ai ricorsi, con i
pensieri, con le emozioni che prepotentemente tornavano a galla. Una mano a
posarsi sull’elsa bianca. Una spada, un ricordo, una bambina. Una promessa fatta
anni prima per non dimenticare. Era la seconda volta che Zoro si sentiva così.
Gli sembrava di aver fatto un passo indietro, come al Baratie. Gli sembrava di
trovarsi alla deriva.
“Mi sembra di
venir meno alla promessa fatta.”
Promessa.
Un nuovo ronzio
nelle orecchie. Il sangue che fluisce più velocemente nelle vene esplodendo in
testa, facendo temere a Nami di aver risollevato qualcosa di sopito o forse
scoperto una cicatrice coperta con cura. Ora quasi si sentiva in colpa per
averlo costretto a ricordare.
“Questa spada è
un ricordo. Mi aiuta a ricordare una promessa fatta tanto tempo fa.” Un mormorio
basso, la mano che lento si serra più forte attorno all’elsa, facendo sbiancare
le nocche. “C’era una bambina con cui mi allenavo ogni giorno.” Un sospiro più
pesante, lo sguardo rivolto verso il tavolo, a fissare tutto e niente al
contempo.
“E adesso dov’è?”
Una leggera nota di curiosità nella voce di Nami, mentre anche lei rafforzava la
presa attorno alla tazza.
Un sorriso dai
tratti tristi, un nuovo lampo nel cielo ad illuminarli. E la parte più
difficile.
“è morta.” La
voce atona.
Un brivido gelido
che scorre lungo la schiena. In quel momento capì, capì il perché di quella
stoffa scura legata attorno al braccio. Un qualcosa da cui non si separava mai.
Anche lui…anche lui come lei aveva perso qualcuno, una persona cara nella sua
infanzia. Due situazioni simili. Una madre, un’amica. Era questo ciò che si
nascondeva dietro Zoro Roronoa? Era questo che nascondeva dietro ai suoi
comportamenti, al suo distacco, al tono gelido che sempre usava ed ai gesti
impassibili che lo caratterizzavano?
“E ora mi sembra
di essere nella stessa situazione di quando Mihawk mi ha sconfitto.”
Risentimento verso se stesso.
Nami avrebbe
voluto aiutarlo -ma come?-, avrebbe voluto essere in grado di colmare quel vuoto
che sentiva, che sapeva lui provava in quel momento. Ora capiva il perché di
quegli allenamenti al limite del possibile. Ora capiva la promessa che lui aveva
fatto.
“Rufy ha parlato
di una promessa.” Tentennò con le parole.
Il silenzio che
ancora calava su di loro. Un’altra notte eterna. Una notte ancora solo per loro
due, ancora una volta ai confini del mondo, nei loro silenzi e nelle loro
parole, nei loro sentimenti nascosti. Lo guardò. Il capo chino, la presa che
piano veniva allentata, i muscoli che si rilassavano visibilmente.
“C’eravamo
promessi che uno di noi due sarebbe diventato il migliore.”
Non vi fu bisogno
di altre parole. Ora sarebbero state futili.
Promessa.
Il ronzio che
cessava, il sangue tornava a scorrere normalmente nelle vene. Ora capiva
appieno. Ora sapeva anche lei, l’unica che fosse riuscita a guardare oltre
quella facciata, quella maschera che giornalmente lo spadaccino indossava,
posava sul suo volto.
Avrebbe
conservato gelosamente nel suo cuore quella confessione.
“Vedrai, ce la farai.”
Non lo aveva
detto per rassicurarlo -non ve n’era bisogno-. Sapeva quanto fosse forte,
determinato e testone quello spadaccino, ne aveva avuto la conferma già dal loro
primo incontro. Lo aveva constatato con Mihawk, e poi contro mister One. Quella
volta lo aveva trovato steso al suolo e aveva avuto paura, paura che seppur
avesse vinto l’incontro, non lo avrebbe visto rialzarsi -aveva torto-, per la
prima volta si era sbagliata. E ne era stata contenta. E poi, aveva avuto
l’ennesima conferma contro Kaku del CP9. Ce l’avrebbe fatta.
“La strada è
ancora lunga però.”
“Vero. La strada
è lunga come quella di tutti noi, ma ce la faremo.” Un sorriso dolce, la presa
attorno alla tazza si sciolse. “E poi non eri tu a dire che una promessa è
debito?”
Una presa in
giro. Punzecchiarsi, per non far trapelare quella strana concessione che Nami
aveva rivolto al compagno, quella di ricambiare il favore -io ci sono, sempre-.
La pioggia che ancora scorreva -non può piovere per sempre-.
“Strega.” Un
ringraziamento.
Due solitudini si avvolgono
[esitazioni]
E le loro mani
che ora si toccavano appena, raggiungendo quel contatto fisico che avevano
cercato troppo a lungo senza mai trovarlo realmente -solo una volta lo avevano
raggiunto-.
Due corpi estranei s’intrecciano
[solitudini]
Gli sguardi ad
incatenarsi tra loro, creando un contatto che andava al di là di ogni
comprensione umana. Il respiro lento, il fiato mozzo in gola e labbra contro
labbra.
Un bacio leggero
come un battito d’ali di una farfalla.
Duemila esitazioni sbocciano
[luci]
L’ennesimo lampo,
gli sguardi confusi. Un nodo in gola e il cervello sconnesso. Cos’era
successo?
Un
bacio.
Si erano spinti
troppo in là? Forse era stata l’atmosfera, forse era colpa di quella vicinanza
fisica. Eppure non era la prima volta che si trovavano così a stretto contatto,
non era la prima volta che accadeva. Di occasioni come quella, di contatti ve
n’erano stati. Eppure quello era stato diverso, così diverso da portarli a fare
qualcosa di non calcolato, di imprevisto -era bene, era male?-.
“Io…” La voce che
si perdeva nel vuoto, facendo tornare il silenzio.
Stai con me [stai con
me]
Non era stato un
errore.
Guardandosi negli
occhi, per minuti che sembravano ore, si accorsero che non avevano aspettato
altro se non quel momento.
Le mani che si
stringevano in una presa dolce e forte, calda al tempo stesso. Un nuovo
sfiorarsi di labbra. Un contatto lungo, cercato e poi trovato. Un nuovo lampo
poi il buio.
Le frasi in grigio non sono ma dei Subsonica: Dentro i
miei vuoti.
This
Web Page Created with PageBreeze
Free Website
Builder
|