<> or how to fall in love
Aveva
promesso a Stephen di tenere d’occhio Astrid
perché
l’Ultra aveva scoperto che il nipote del capo aveva
confessato l’inconfessabile
ad un’umana, andando contro il protocollo che John stesso
aveva mandato al
diavolo, ma, dannata la sua boccaccia, aveva avvisato lui e anche Cara. Di nuovo, pensò. Dannazione.
Non sapeva in
cosa si sarebbe cacciato. E’ ancora così,
considera. Ad essere giusti, non ha neanche una maledetta idea di cosa
gli stia
succedendo.
Quando la
vide – in pigiama e pantofole – qualcosa sembrava
sbagliato, e mentre guardava più da vicino la sua postura,
– rigida e all’erta,
come lui stesso era stato, quando scappò
dall’Ultra per la prima volta – l’ha
colpito: era spaventata.
Appena il
pensiero prese forma nella sua mente, qualcosa
iniziò a tremare nel suo stomaco, spazzando via la sua calma.
L’idea
di Astrid che si isolava dal mondo lo turbava quasi
quanto pensare a ciò che aveva fatto a Roger, se non di
più. Imprecò di nuovo
contro Stephen, certo che avrebbe sentito tutto e non fregandosene
più di tanto
per la prima volta in un po’ di tempo.
<<
Non puoi continuare a farlo. >> la guardava
dritta in faccia, la voce ferma come lo era quando dava ordini ai
Tomorrow
People nel Rifugio.
<<
Lo so. >> sussurrò in risposta, la voce che
si spezzava.
Perché
doveva spezzarsi, come vetro che va in pezzi, come se
fosse stata l’ultima parola che avrebbe detto?
John
conosceva la sensazione – e sapeva quanto facesse male
sentirsi in quel modo –, ma, per qualche ragione ancora senza
nome, vederla sul
viso di Astrid – l’unico viso felice a cui si era
abituato, dalla festa di
Stephen – faceva più male che provarla.
<<
Posso insegnarti, sai? >> la sua voce era
bassa, determinata. Non c’era modo che lasciasse passare questa situazione come trascurata ed
irrisolta. << Ti fidi di
me? >> chiese, offrendole la mano. Astrid non sa nemmeno
perché l’accettò,
ma la trattenne, pensando: ti prego, John, aiutami.
Poco dopo,
erano nella metro e si stavano avvicinando alla
fine della carrozza e il salto a cui conduceva.
Erano
così vicini che Astrid poteva sentire il braccio di
John contro il suo e la sua barba cresciuta da poco che le solleticava
la
guancia.
<<
So che hai paura, ne ho anch’io, ma sono qui.
>>
disse con un bisbiglio, avvicinandosi sempre di più. Lei
aveva cominciato a sentire
il panico che le inondava il corpo, ma, sebbene le sue parole non
fossero il
massimo del conforto, gli prese la mano e saltarono non appena la
parola tre gli scivolò
fuori dalle labbra.
Mentre
saltavano. John pensò che non sarebbe andato da
nessuna parte, bersaglio dell’Ultra o meno.
Teletrasportandosi
nella sua stanza, pensò che le doveva un
grazie – anche se non uno di quelli che urlava scherzosamente
a Russel.
Aveva
estratto un
proiettile dal suo corpo, dopo tutto.
Quella notte,
John Young ringraziò Astrid Finch per la prima
volta, con un mormorio. << Grazie.
Per la canzone, intendo. >> la sua voce era
così soffice che Astrid pensò
di aver sognato quella frase per molto tempo, ma come e quando
l’ha scoperto
sono un’altra storia.
John ancora
non lo sapeva, ma si era innamorato, quella
notte – o, ancora meglio, quando
Un proiettile
gli era finito nei polmoni e Astrid aveva
fatto l’infermiera, cantando.
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