Su, giù. su, giù. Tirava un'aria leggera, un venticello umido che solleticava
la pelle di Eragon.
Su giù, su giù.
Il sassolino che si ostinava a lanciare e rilanciare in aria era di un bel
colore verde. Un verde chiaro, sfumato verso striature chiare. L'aveva subito
colpito per la brillantezza del colore, e su un lato il verde si diramava in un
bianco panna.
Gli ricordava davvero tanto Fir...no.
Non gli ricordava proprio nessuno.
Da quando era arrivato nei territori dell'oltreoceano Eragon non aveva più
avuto notizie da nessuno. Anzi, lui si
ostinava a volerle troncare: non che gli fosse arrivata un qualsiasi
messaggio, da nessuno, ma non si permetteva neanche più di pensare a qualunque
cosa gli ricordasse la sua vita passata.
Paesaggi, dialoghi, persone. Nessuno.
Avrebbe rischiato di piombare nella follia se si fosse permesso di rimuginare
su ciò che aveva perso.
"Tutto" si disse. Aveva perso tutto.
Il sole era ormai prossimo al suo zenit, e le poche nuvole sembrarono sparire
totalmente.
Saphira era da qualche ora a caccia, oltre la catena montuosa
Aerse.
Quando drago e cavaliere erano arrivati, avevano setacciato in lungo e in
largo il territorio.
Il viaggio era stato lungo, lunghissimo.
Si erano
trasferiti nella regione più a sud, ribattezzata da Eragon come Telnarae,
eppure lontanissima da chiunque.
Erano irraggiungibili.
Avevano attraversato il mare, quella grande distesa d'acqua limpida, che si
estendeva per chilometri e chilometri.
Poi, dopo esso, più nulla: solo grandi distese pianeggianti, che si ripetevano e si ripetevano.
Ci erano voluti Sei giorni per attraversare il mare, e altrettanti per arrivare a
destinazione.
Telnarae, era formata da una serie di dolci altipiani verde, con
alberelli e cespugli sparsi.
C'era un piccolo lago verso Nord, il Lago di
Greenere, di un brillante color verde.
Eragon e Saphira avevano eretto il loro
palazzo, sopra una collinetta che era un innalzamento dell'altopiano
pincipale, perchè il più grande, l'Altopiano Maegisti.
Era un palazzo semplice, ma al tempo stesso, spiccava coi suoi colori dorati
e ambrati
nella monotonia verde del paesaggio.
Più ad ovest, si trovava invece un picchio di un altezza vertiginosa,
formato da dura e nera roccia.
Si chiamavano "Il Picchio di Feilì".
Sulla sua vetta, c'erano forse due metri di spazio piano, la larghezza
perfetta per contenere una persona seduta.
Era su quella vetta che Eragon meditava ogni giorno.
Era li oramai, da due ore, seduto a lanciare in aria quel piccolo sassolino verde.
Erano passati quattro anni. Quattro interminabili anni, si ritrovò a pensare. Erano soli, soli in
una delle infinite
pianure, di quella landa desolata.
Erano soli.
Erano soli perchè nessun
cavaliere era ancora giunto loro, e sebbene Blodgharm e gli altri elfi lo
rassicurassero, Eragon se ne domandava il motivo ogni singolo giorno, con
crescente preoccupazione.
"Perchè le uova non si sono schiuse? Arya avrebbe dovuto fare in modo che lo
facessero!"
Arya. L'aveva pensata. Pur cercando di non farlo, l'elfa riaffiorava sempre
nei suoi pensieri,in un modo o nell'altro.
Da quattro anni non ne vedeva il viso.
Da quattro anni non ne
sentiva la risata, limpida, cristallina,seppur rara.
Quella risata che avrebbe sentito per sempre.
Il suo profumo di aghi di pino.
La sua camminata, il suo modo di parlare.
Lei non l'aveva cercato.E lui non aveva il coraggio di farlo.
I primi tempi in cui era arrivato a Telnarae la divinava ogni giorno, o anche
più volte al giorno.
Poi aveva smesso di farlo.
Sarebbe impazzito sul serio se avesse continuato.
Gli era quasi sembrato che l'elfa avesse cambiato idea su di lui, che provasse, seppur minimamente, ciò che lui provava per lei. Un'illusione, si era detto.
"Carne fresca, piccolo mio!" con un ruggito Saphira gli volò davanti, con ben
due carcasse di animali morti tra le fauci, interrompendo il Cavaliere nei suoi
pensieri.
Eragon non pote' che sorridere, e con un agile balzo saltò sulla sella
di Saphira.
Saphira gli trasmise immagini di quando era andata a caccia, mentre lui gliene
inviava alcune del suo periodo di meditazione.
Dopo qualche minuto di volo tranquillo Eragon le chiese:
"Quando arriveranno i Cavalieri?", la stessa domanda malinconica che rivolgeva alla
dragonessa praticamente ogni giorno-
" Il nostro futuro in mano al destino, Eragon. Lascia che la vita faccia il
suo corso." rispose Saphira, dolce.
Arrivarono al Palazzo di Elves, ma si fermarono nel giardinetto rigoglioso
che lo costeggiava.
Saphira mangiò subito la carcassa più grande, e stava per addentare anche la seconda
quando si ricordò che anche il suo copagno di cuore e di mente, doveva mangaire, ma lui rispose che non aveva fame, così Saphira banchettò allegramente.
Ad Eragon si era chiuso lo stomaco.
Aver pensato cosi intensamente ad Arya l'aveva sconvolto, dopo cosi tanti anni.
Saphira ovviamente, intervenne:
"Eragon.." incominciò bonaria.
Lui si alzò fulmineo e disse brusco:
"Lascia perdere Saphira"
Si sentiva così fragile, così spento e triste.
Non aveva nessuno scopo.
Non sapeva cosa doveva farne della sua vita immortale ora, perchè sono le persone
che ami che rendono la tua vita felice e degna d'essere vissuta, come Brom gli
aveva raccomandato.
Perse le persone a lui care, cosa gli restava da fare?
"Scusa", disse accostando il viso al muso di Saphira.
"Va tutto bene piccolo mio, sono sicura che tutto si risolverà presto. Me lo
sento"
"Lo spero"
Detto questo,Eragon camminò fino ad arrivare all'inizio della pianura, ed
estrasse Brisingr dal fodero: la mulinò sopra la testa, e si allenò come se ci
fossero schiere di nemici attorno a lui.
Poi, sentì qualcosa, un filamento di pensiero distante, molto molto lontano, ma pur sempre presente.
Anche saphira lo aveva percepito perchè quando lui si girò verso di lei, essa
stava guardando nella direzione da cui proveniva la coscienza. Un puntino
comparve all'orizzonte, in alto nel cielo, dopo due minuti.
Forse, l'ora era giunta.
Eragon trasse un profondo respiro, e si accinse ad
avvisare gli elfi.
Il compito suo e Saphira stava per cominciare.
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