Nova
Pioveva.
Cinici aghi
d’argento che laceravano il cielo, incuranti del
fragore dei suoi lamenti.
Un tuono
squassò la notte, lontano eco di suppliche e urla,
fantasmi di un recente passato che impedivano il sonno.
La superficie tumultuosa
del lago, trafitta dalla pioggia, era
increspata dall’incalzare rabbioso del vento. Si stendeva
come un’irrequieta
distesa d’acqua, scura e agitata, sotto il folgore dei
fulmini.
Le onde spumeggianti,
gelide e nere, s’infrangevano contro
gli scogli in miriadi di schegge di cristallo, illuminate dal debole
riverbero
delle fiamme nei camini di Black Manor.
Fumo nero si levava
nell’aria fredda, simile a un cupo
artiglio teso a squarciare le nubi scure.
Le fronde degli alberi del
bosco si agitavano irrequiete,
inchinate alla furia della tempesta.
Forse neppure a quella,
pronte com’erano a rialzarsi in ogni
istante.
Un lampo lacerò
l’oscurità, fugace schizzo di luce nel buio.
Si divise in tre lunghe e
storte dita d’argento, donando una
sinistra luminescenza alle nubi vicine.
Affacciato su
un’ampia finestra spalancata, Regulus inspirò
profondamente, scrutando con gli occhi plumbei la notte. I tratti
freddi ed
aristocratici, fiocamente illuminati da una candela consumata
lì vicino, erano
duri, rigidi.
Un fulmine,
l’ennesimo che squarciò la notte portando una
pallida imitazione di luce nel maniero, si riflesse nelle sue iridi,
tetra mano
tesa ad afferrare chissà cosa.
Forse
l’anima,
pensò Black, scostandosi una ciocca dei serici capelli nero
inchiostro dietro
l’orecchio, contrastanti con l’epidermide
alabastrina.
Le labbra sottili si
piegarono nell’abbozzo di un ghigno
–non certo di un sorriso: che senso avrebbe avuto sorridere a
quel punto?-,
mentre lo sguardo s’incupiva.
Le dita affusolate si
strinsero dolorosamente attorno al metallo
racchiuso rabbiosamente nella mano destra.
L’anima
l’aveva persa da tempo, Regulus Black, avvolto in un
mantello color inchiostro, lo sapeva fin troppo bene.
Non bastava forse quel
nero sfregio sul suo avambraccio
sinistro a fare da muto testimone?
Muto e beffardo, come quel
dio che per quanto implorato non
l’ascoltava più.
Non si può
salvare chi non vuole essere salvato, Black ne
era conscio.
E probabilmente anche il
suo dio, perchè lui non voleva
essere salvato.
Era precipitato
all’inferno -un inferno gelido e buio, così
diverso da quello che si descrive ai bambini per incutere loro paura-
di sua
spontanea volontà.
Un passo dietro
l’altro.
Il vento sibilò
sinistro, e un tuono squarciò il silenzio
calato per una manciata di istanti sull’abitazione. Il
ticchettio della
pioggia, ciclico e monotono –monotono?No, monotono no di
certo- lo ipnotizzava.
Gli occhi plumbei guizzarono verso le nubi scure, muti narratori di una
vita
breve e grati per questo. Non bisognava avere paura della morte,
Regulus ne era
convinto.
Era la vita che bisognava
temere.
Ma forse, a ben pensarci,
non era quel marchio a incatenarlo
all’inferno, e neppure il suo cupo padrone e signore dallo
sguardo vermiglio e
l’anima lacerata.
Il suo inferno era quel
cognome, nero come l’anima di chi lo
possedeva.
Nato con esso, incatenato
in quel mondo d’ipocrisia e
menzogne, di promesse infrante o non mantenute, persone egoiste e
superbe che
si curavano solo dei propri interessi, levando le braccia sfregiate in
quel
maledetto tintinnio di bicchieri che lui conosceva così
bene, sinonimo di una
sciagura –l’ennesima- pronta ad abbattersi sulla
sua famiglia.
Forse era
l’ammirazione e l’amore verso la sua Casata a
metterlo in ginocchio.
E
quest’anello, pensò
mentre stendeva il braccio sinistro oltre la finestra, bagnandolo
completamente.
Sul suo medio, muta
maledizione scaraventata da un fratello diverso
–migliore?No, semplicemente troppo diverso- che era riuscito
a recidere anche
l’ultima catena con quel mondo che tanto disprezzava
–soltanto perché era
diverso da quello che lui desiderava, lui, emblema
dell’ipocrisia come tutti in
quella famiglia-.
Quell’anello che
rifletteva la luce dei lampi era l’ultima
catena che lo inchiodava per sempre a quel cognome, quella che lo
designava
come erede unico della sua Casata.
Se fosse stato per lui,
quel titolo sarebbe rimasto
perfettamente al fratello.
Non glielo confermava
forse il suo stesso nome, piccole re
destinato al secondo trono?
Ma Sirius aveva scelto
anche per lui, condannandolo. Come
sempre.
Regulus alzò il
capo, volgendolo verso le nubi scure e i
lampi.
La stretta attorno
all’oggetto metallico si strinse
maggiormente. Il gemito di dolore non sfiorò mai le labbra
rosee, se non come
una nube argentea, così simile a un tetro fantasma di un
passato che non
ritorna. Che non ritorna.
Probabilmente avrebbe
lasciato un livido, ma non gli
importava.
Era beffardo il destino.
Black lo sapeva.
Lui, forse fin troppo
fedele alla sua famiglia, aderente a
quella stolta ideologia solo per amore, si ritrovava e essere
un’ombra nella
notte, benché portasse nome di stella.
Suo fratello, l’Alpha Canis Majoris,
traditore del suo sangue, l’infedele, splendeva.
Strinse ancor di
più la mano.
Una goccia di sangue,
stillata da un cuore troppo umano per
un mondo come il suo, s’infranse sul pavimento di marmo duro
e freddo.
Regulus scosse
impercettibilmente il capo, mentre piegava le
labbra in un malinconico sorriso.
Abbassò le
palpebre, e quando le riaprì rivelò le iridi. Due
profonde pozze dell’argento più puro.
- Kreacher –
Chiamò, con
voce roca.
L’elfo si
materializzò al suo fianco.
Il medaglione
d’acciaio stretto tra le dita da pianista, ormai
insensibili a causa del freddo, scivolò tra le piaghe del
mantello nero.
Un’altra goccia
vermiglia cadde al suolo. L’ennesima, forse
l’ultima, di una lunga serie.
- Seguimi, ed esegui ogni
mio ordine –
Lui sarebbe brillato in quella buia notte,
Alpha
Leonis,
stella destinata a splendere per un istante soltanto, prima di
scomparire. Per
sempre.
• Spazio
Autore:
Prima
di tutto, ringrazio per la lettura.
Con questa one-shot volevo
dare la mia visione di Regulus,
un personaggio che personalmente trovo molto interessante. In
particolare,
descrive la notte in cui Regulus si prepara a partire per raggiungere
la grotta
e rubare il medaglione di Serpeverde.
Ringrazio tutti coloro che
hanno recensito le mie
fanfiction, ma purtroppo (come al solito) non ho il tempo di
ringraziarli uno
per uno.
Spero che la storia vi sia
piaciuta, e vi invito a lasciarmi
un commento.
Grazie ancora,
Caesar
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