Lo so che è strano ma vi prego di credermi.
Quel giorno sono tornata a casa tardi, verso le due, perché ero uscita con delle amiche. Lo posso dimostrare, basta che lo domandiate a loro. Pensandoci, sarà già stato fatto. E allora perché sto ancora aspettando? Perché sono ancora qui?
Ricordo che prima di entrare fui assalita da una strana sensazione, molto sgradevole, come un brivido costante che mi percorreva tutta. Come prima di addentrarsi in un antro buio. Ha presente la sensazione? Ha paura del buio anche lei?
Quando aprii la porta esitai ad accendere la luce e proprio per questo mi accorsi di un bagliore nell’oscurità. C’era un odore strano nell’aria. Mi diedi come al solito della scema fifona e suggestionabile; ho sempre un po’ di paura a rientrare a casa di notte e quindi pensai che fosse normale e che io fossi solo agitata un po’ più del solito.
Quando ho acceso la luce però l’ho visto e sono rimasta senza parole.
Era appoggiato alla parete del soggiorno e si rigirava tra le mani un enorme coltello da cucina, uno di quello che stavano nel ceppo appoggiato sulla mensola vicino al fornello.
Io rimasi bloccata, esterrefatta e presa da una paura che quasi mi impediva di respirare. Lo fissavo senza riuscire a fare né dire niente, nemmeno pensare.
Era un ragazzo dai capelli neri, lunghi e dall'aspetto sporco, con gli occhi verdi e scintillanti che sbucavano da sotto delle sopracciglia cespugliose. Era completamente nudo e aveva un sorriso viscido che metteva i brividi.
Ma chi era? E che cosa ci faceva li? Che ci fosse qualcun altro? E perché c’era...tutto quel sangue? Queste domande furono le prime che mi vennero in mente quando finalmente riuscii a svegliarmi dal mio torpore.
Lui ha fatto un cenno con la testa ed io mi sono voltata nella direzione che mi aveva indicato. A quel punto ho resistito a stento dal vomitare; poi gli occhi mi si sono riempiti di lacrime e ho cominciato a vedere tutto girare.
Sulla tavola, come le avete trovate, erano disposte in fila la testa di mia madre, quella di mio padre e quella di mio fratello. I corpi giacevano sparsi intorno e il pavimento era inondato di sangue. Anche i muri. Anche il soffitto.
Le espressioni sui loro volti erano... no... non le posso descrivere... Mi trema la mano solo a sfiorare quel pensiero.
Sono rimasta a fissare quel macabro spettacolo per non so quanto tempo. Mi sembrarono anni interi. La mia testa era affollata da tanti pensieri ma non ne riuscivo ad afferrare nemmeno uno. Era tutto confuso e le tempie mi pulsavano come se stessero per scoppiare.
Distaccandomi a forza da quella visione, alla fine mi rivolsi al ragazzo sconosciuto. Lui era nella stessa posizione e ancora giocava con il coltello. Mi dissi che avrei potuto saltargli addosso in qualche modo, ma lui era armato e desistetti dalla mia idea. E poi avevo troppa paura.
-Tu! Chi sei tu?- riuscii a sputare fuori in qualche modo. Il mio tono, lo ricordo, parve quasi sicuro ma fu solo perché per riuscire a pronunciare quelle poche parole dovetti urlare.
Lui mi lanciò un’occhiata che scintillò alla luce delle lampadine ed io mi accorsi che aveva gli occhi di un gatto.
Si, aveva proprio gli occhi da gatto! Enormi, lucenti, con la pupilla stretta e allungata.
-Non mi riconosci?- disse, e aveva una voce che sembrava un miagolio. Mi metteva i brividi. Poi vidi che canini appuntiti gli spuntavano dalle labbra quando parlava. Sbadigliò e poi si scosse tutto. Sembrava proprio uno di quegli sbadigli annoiati dei gatti. La sua bocca si aprì molto più di quanto potrebbe fare quella di un uomo qualsiasi. Quando lo fece io vidi distintamente quei denti appuntiti di cui ho appena scritto.
Lo guardai per un po’ pensando che quanto stava accadendo fosse impossibile, che mi trovavo in un incubo e che mi sarei svegliata, ma non accadde. Era tutto vero. Allora mormorai –Macbeth?- e sperai di sbagliarmi. Macbeth era il nome del mio gatto. Un gatto nero, arrivato dal nulla quando era solo un cucciolo e stava con noi da cinque anni. Mi sbagliavo.
Lui ha emesso una specie di gorgoglio soddisfatto e ha sorriso di nuovo. Quel sorriso... non abbandonerà mai i miei incubi. Ricordo che mi dolevano persino le mani dalla tensione.
Cercai di domandargli il perché di quello che aveva fatto e come fosse possibile che avesse assunto quella forma umana. Non ci riuscii. Iniziavo a realizzare che la mia famiglia era morta. Un sentimento di opprimente consapevolezza mi fece cadere a terra, in ginocchio, senza forze.
-Mi sono fatto un favore, e l’ho fatto anche a te. Non dicevi sempre che non li sopportavi più?- disse lui con quella voce nauseante. Io rimasi esterrefatta.
-Ma...arrivare a tanto?- mormorai.
-Certo- mi disse. –Se lo meritavano. Mi tormentavano. E così tormentavano anche te. Lo sai che io ho sempre visto tutto. Come ti trattavano male, quanto ti opprimevano. Io ho visto anche più di quello che credi tu. Ho sentito più di quello che hai sentito tu. Esseri del genere non meritano di camminare su questa terra. Sono inutili e dannosi. Allora li ho uccisi-. Si mise a ridere e fu la risata più spaventosa che io abbia mai sentito. Un attimo dopo aver smesso di ridere urlò –Tieni!- e mi lanciò il coltello e io lo afferrai, tagliandomi, perché altrimenti mi avrebbe colpita al petto.
E con quello stesso coltello in mano mi avete trovato voi. A fatica sono riuscita a chiamarvi. Nel frattempo lui è sparito, non so come né dove. Non ho altro da dire. Sembra impossibile da credere, però è l’unica spiegazione che posso darvi. Io non ho mai fatto loro del male. Le mie compagne possono testimoniare che sono rimasta fuori casa fino all'ora che vi ho indicato. Non ho altro da aggiungere. Vi prego di credermi.