Rivetra
"Remake" del finale dell'episodio 22 - Gli sconfitti
La
raccolta dei cadaveri era un’operazione triste a cui lui non aveva mai
partecipato. Nessuno gli aveva mai rimproverato di stare fermo – scansafatiche – mentre gli altri facevano
il lavoro. Gli altri, quelli che erano troppo impegnati a piangere, per
accorgersi dei suoi occhi stanchi e secchi.
Capitano, mi dispiace che pensino che lei
sia una persona fredda. Io non penso che lo sia. Dopo tutto quello che ha
visto, con tutte le responsabilità che ha… Come potrebbe sorridere? E come
potrebbe piangere?
Quella
volta, le sue gambe dolenti lo portarono verso il cuore dalla foresta, dove i
soldati andavano e venivano, coi volti afflitti, con gli occhi deformi, il
terrore nelle mani che tremanti reggevano corpi sporchi e straziati. Zoppicava
un po’, il capitano, ma non si lamentava né se ne poteva dispiacere.
Era
riuscito a salvare quella ragazzina – imprudente
e innamorata – e la sua gamba sinistra sentiva di aver fatto il suo dovere.
Già
vedeva quell’albero mentre di fianco a lui portavano via il corpo di Gunther.
Poco lontano c’era il corpo di Auruo. Vicino al busto di Erd, il suo sangue, e
il vomito di qualcuno che cercava di guardarlo.
Quando
il cuore gli si fermava – pareva proprio così, che si bloccasse – Levi era abituato a ignorarlo.
Un
soldato era chino ai piedi dell’albero. Le spalle massicce e impotenti
tremavano. Dovette avvertire i passi di qualcuno dietro di sé perché si voltò
di scatto e quando riconobbe il capitano, il suo dolore si trasformò in
mortificazione. “Capitano” disse, tentando di mantenere un contegno nella voce
“Non so come prenderla, davvero… Ho paura di staccarle la testa.”
Levi
si spostò di un passo e vide il corpo dell’unica componente donna della sua
squadra appoggiata al tronco. Poteva essere una ragazza inciampata per sbaglio,
caduta di petto contro l’albero, il volto privo di schegge buttato
all’indietro, per proteggersi dall’impatto?
“Ci
penso io” disse Levi al soldato, comprensivo.
Quello
non si sorprese e si limitò ad annuire. Si alzò in piedi e Levi fu tentato di
chiedergli di restare – non vuoi rimanere
solo coi cadaveri. Ma quello se ne andò e il capitano non si voltò
indietro.
Si
buttò sulle ginocchia, con gli occhi fissi negli occhi vitrei di lei.
Poteva
essere una ragazza inciampata per sbaglio, caduta di petto contro l’albero…
Il
viso graffiato e sporco di sangue ricordava a Levi l’odio che provava. Non
esistevano incidenti, non esistevano sbagli, esisteva solo la colossale realtà
dei giganti, che li schiacciava.
Eppure…
eppure esisteva un’altra colossale realtà, quella degli stupidi. Avrebbe
trovato il traditore che manipolava il corpo del gigante donna, l’avrebbe
trovato.
Aveva
ancora gli occhi fissi negli occhi vitrei di lei. Dovevano aver avuto paura,
quegli occhi – ora sono freddi, proprio
come i tuoi.
Non
importa più che mi guardi, Petra, pensava, ora puoi riposare.
Alzò
una mano e con stupore si accorse che tremava. Si concentrò fino quasi a
perdere il contatto con la realtà – sei
abitato a mentire a te stesso. Le sua dita smisero di tremare e lui poté
chiudere gli occhi di Petra.
Tenendo
una mano dietro la nuca della ragazza, stando attento al collo, la mise supina
sul terreno. Poi la prese in braccio, gesti meccanici, si accorse con stupore
che era più facile che combattere contro un gigante – eppure lo avrebbe di gran
lunga preferito.
Si
alzò in piedi e camminò, e guardò dritto davanti a sé, mentre sentiva il sangue
di lei appiccicarsi alla divisa, i capelli di lei sfiorargli il braccio. Quanto
poteva essere pesante un corpo morto, la gamba destra si lamentava, il cuore
piangeva, gli occhi andavano avanti.
“Stando così le cose, Levi, quindi non
proverai dolore quando morirò? Non ti sentirai più debole?”
Lui non la guardava mentre le rispondeva:
“Non mi è concesso.”
Il
dolore era l’unica disciplina possibile, soleva dire. Il dolore, quello vero,
ti afferra e ti scuote, ti cambia, striscia
all’interno del corpo, come un veleno. Il dolore lo puoi nascondere, ma non
lo puoi eliminare.
Aveva
visto così tanto dolore negli occhi delle persone forti, che fossero civili,
che fossero soldati. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, dicevano; gli
occhi, solo quelli non mentono.
Petra
era forte, pensava Levi, stringendola, ma i suoi occhi non mi hanno mai
nascosto nulla. L’ho sempre saputo quando soffriva, quando aveva paura, quando
amava.
Gli
altri si stavano accorgendo di lui, quando la gamba rischiò di cedergli.
“Capitano!”
gridava qualcuno che accorreva in suo aiuto.
I
miei occhi, invece, pensava, non funzionano come quelli degli altri, forse si
sono rotti, forse sono malati, forse la mia testa è malata, forse il mio cuore
è avvelenato.
Riuscì
a poggiare Petra sul suolo, di fianco agli altri compagni caduti. Non provava
nulla – possibile che non provi nulla?
Eppure era il vuoto che lo divorava.
“No”
esclamò qualcuno alle sua spalle. Levi si voltò e riconobbe Hanji. “No, pure
Petra…” Il vetro appannato e bagnato degli occhiali di Hanji non nascose lo sguardo
d’orrore che volgeva alla fila dei cadaveri. “La tua intera squadra… Levi…”
Levi
si voltò di nuovo. Gli altri stavano ricoprendo i cadaveri piangendo piano. La
mia intera squadra, pensò, presto sarà inghiottita da quei teli bianchi.
I
visi sporchi di Erd, Auruo, Gunther e Petra lo avrebbero perseguitato ogni
notte – ma non per quello avrebbe smessi di guardarli.
Si
inginocchiò con attenzione, e di nuovo fu vicino a Petra.
Quella
spedizione, fosse servita a qualcosa.
“Dove ho sbagliato, capitano, dove? Così
tanta gente è morta, devo aver sbagliato qualcosa… Me lo dica, mi dica cosa ho
sbagliato!”
Levi non immaginava di poter provare
dispiacere per le parole di un soldato vivo – quando stavano per morire, quella
era un’altra storia. Scrutò la ragazza che , di fronte a lui, accusava se
stessa ingiustamente, col viso alto, rosso per l’umiliazione, rigato per
l’angoscia.
Le si avvicinò, prendendo di petto tutte
quelle responsabilità che continuamente sembravano volergli scivolare via. “Non
hai sbagliato, soldato. Voi non sbagliate mai. Provi solo il rimorso che i
morti regalano ai vivi.”
L’altra sembrava essersi accorta dell’amaro
che Levi sentiva sulla lingua e tra i denti. “Mi dispiace” disse subito,
chinando la testa “Mi dispiace…”
In
ogni spedizione, doveva morire il trenta percento dei soldati. Se ne morivano
di meno, allora si poteva festeggiare. Se ne morivano di più, allora ci si
sentiva in colpa. Se moriva l’intera squadra speciale operativa, quelli più
forti, allora lo spirito del capitano moriva con loro.
Dove
ho sbagliato, mi chiedevi, pensava Levi guardando il corpo inerme di Petra, te
lo chiedo io, te l’ho sempre voluto chiedere io.
Alzò
le mani sulla divisa di lei e scucì il simbolo delle sue ali. Lo fece in
automatico, con la testa quasi vuota, aveva solo un vago pensiero in mente,
quello di conservare le sue ali della libertà, il loro stemma, per ricordarsi
sempre che ora lei era libera – tu no,
non ancora, non puoi.
Si
alzò stringendo il pezzo di stoffa.
“Levi”
lo chiamò Hanji “Come ti senti?”
Il
dolore gli imperlava la fronte, lo rendeva di cera, un manichino che aveva
smesso di vivere, e aveva cominciato ad essere perfetto.
“Arrabbiato,
come sempre” rispose guardando fisso davanti a sé, oltre i corpi, i soldati e i
cavalli, oltre gli alberi, fino all’orizzonte “Niente è cambiato.”
Diede
l’ordine di caricare i morti sui carri e si allontanò da quel cupo cimitero.
Incrociò lo sguardo di Mikasa, la ragazzina di Eren, quella che avrebbe fatto
di tutto pur di salvarlo, quella tanto innamorata e imprudente. I suoi occhi
erano tranquilli, a lei bastava che Eren solo fosse al sicuro – Levi la odiò
per un momento, un momento soltanto.
“Come
sta Eren?” domandò. Del resto la sua squadra era morta per lui, Eren, e per
Levi, e per Erwin, per i loro ordini – come
fai a chiedermi dove hai sbagliato, Petra? Sono io che voi seguite, sono io che
sbaglio! – per l’umanità.
“Riposa”
rispose Mikasa, con un cenno rispettoso del capo.
Mi
dispiace, piangeva Petra, mi dispiace – continuava
a piangere nella sua testa.
“Ehi”
fece una voce spezzata, che Levi conosceva bene “Levi, perché, perché…” Levi si
pietrificò ma non si voltò – li conosci
gli scherzi della tua mente.
“Levi,
perché continui a preoccuparti di Eren? Perché non riesci a vedere altro che la
tua missione?”
Petra
si era alzata e, come chi prova imbarazzo, le guance rosse – schizzate di sangue – e, come chi soffre da sempre, lo sguardo
spento – quello della morte – urlava
contro la sua schiena.
“Sono
qui, Levi… Sono morta… Sono morta!”
“Bene”
rispose Levi che, sigillando il suo cuore, continuava a guardare Mikasa. Avanzò
ancora mentre sentiva dietro di sé i suoi compagni che trascinavano i corpi. Fu
tentato ancora una volta ma non si
voltò più indietro.
“Non
posso accettarlo, comandante!”
Un
soldato urlava con le lacrime agli occhi di fronte ad Erwin e Levi li
raggiunse, incuriosito e impietosito. Un amico gli dava manforte. Cosa
facevano? Cercavano di litigare con Erwin? Per il fatto che li avesse tenuti
tutti all’oscuro di una missione suicida?
Erwin
sapeva fare le sue scelte, Levi aveva imparato ad accettarle. Del resto aveva torti
e ragioni, la colpa di aver tirato via dalla strada lui e i suoi compagni, di
averli buttati in mezzo a quel massacro, il merito di aver dato loro qualcosa
di giusto per cui combattere – era quello che faceva da tutta la vita,
combattere, e la gente si stupiva che lo sapesse fare così bene. Ti devi
sporcare le mani a questo mondo, Dieter, pensava Levi, guardando il soldato
biondo che continuava a gridare, se non porti dentro di te dei peccati non
avrai neanche valori.
“Dobbiamo
recuperarli! Il corpo di Ivan è proprio di fronte a noi!” Dieter aveva pugni
levati e la disperazione che uccideva qualunque forma di rispetto sul suo
volto.
“C’era
un gigante proprio lì vicino” replicava il suo caposquadra “Potrebbero esserci
altre vittime.”
“Se attaccheranno,
li sconfiggeremo!”
Levi
si avvicinò ancora mentre Erwin rimaneva zitto. “Dispute tra ragazzini?” fece,
lievemente stizzito.
“Capitano!”
lo chiamò Dieter, pieno di speranza.
Che
fai, Dieter, pensò ancora Levi, credi che sia dalla tua parte? Credi di
conoscermi?
“Se
ti sei accertato della morte, questo basta” disse, glaciale “Corpo o meno, un
morto è un morto.”
Era strano, per uno come lui, che il sangue
che gli colava continuamente dal viso, non gli desse fastidio. Insieme al
sudore, gocce di sangue scivolavano giù dalla fronte, sembravano provenire
dagli occhi, sì, le sentiva calde sulle guance, come fossero lacrime.
Ma è tutta la vita che ho il sangue addosso,
pensava con le lame sguainate e il lamento del gigante appena abbattuto dietro
di sé, allora perché penso che sia strano?
Atterrò e vide quella donna soldato avvicinarsi
riconoscente. Vicino a lei, il cadavere di un’altra donna col mantello verde
lacero insanguinato.
“Qual è il tuo nome, soldato?”
“Petra, capitano” rispose subito lei,
asciugandosi frettolosamente gli occhi. Parlò ancora, subito: “La ringrazio, io…”
“Non puoi rischiare la tua vita per portare
in salvo un cadavere” la rimproverò Levi.
Le lacrime tornarono a brillare negli occhi
della ragazza e lei si voltò a guardare l’amica. “Ma…”
“Morire così” la interruppe ancora il
capitano “ trascinandoti dietro i morti, sarebbe solo un oltraggio al loro
sacrificio. Non credere che sia quello che vogliono.”
Petra continuò a singhiozzare ma annuì. Con
gli occhi fissi sul terreno, timida disse: “Ho capito, signore, non succederà
più.”
Levi si addolcì. “Sei in gamba, Petra. Non
sprecare il tuo potenziale, rendi un onore a te stessa: non pensare ai morti e
salva più vivi che puoi.”
La ragazza alzò il viso ricambiò il suo
sguardo e, Levi ne fu sicuro per tutta la durata di quell’attimo, un’anima meravigliosa
si celava dietro ai suoi occhi.
“Diremo
che Ivan e gli altri sono dispersi” disse Erwin “Questa è la mia decisione.”
S’incamminò
e Levi lo seguì senza aggiungere altro.
Il
grido di Dieter lo raggiunse. “Ma voi due… Voi due non avete nessun sentimento
umano?!”
Levi
alzò lo sguardo e guardò la schiena del suo comandante. Continuava a camminare,
senza alcuna reazione, con tutti i suoi torti, e tutte le sue ragioni, sulle
spalle, che incessantemente avanzavano e non vacillavano.
Quando
fu il momento della partenza, Levi fece fatica a montare a cavallo ma poi tutto
fu più facile.
La
cinquantasettesima spedizione era terminata, potevano davvero tornare a casa.
Galoppava al fianco di Erwin quando ci fu uno sparo. Una minacciosa scia rossa
annunciava loro che non era ancora finita.
“La
retroguardia ha avvistato dei giganti!” esclamò qualcuno.
Levi
si voltò indietro e sgranò gli occhi. Maledizione!
Già
nella retroguardia qualcuno combatteva e qualcuno moriva – sentiva le urla.
“Non
vedo alberi o palazzi, combattere qui sarà difficile” disse.
“Sarà
meglio seminarli finché non raggiungiamo le mura” sentenziò Erwin.
Levi
annuì con una smorfia, già prevedeva come sarebbe finita, e fece rallentare il
cavallo. Abbandonate le prima file, si affiancò al carro che trasportava i
cadaveri. Guardò ancora indietro e vide nell’ultima fila due soldati sullo
stesso cavallo… No, un momento, uno dei due era morto, uno teneva in groppa l’altro!
Due giganti li stavano per raggiungere e ormai ne arrivavano da tutte le parti.
Dieter,
pensò Levi, arrabbiato, che cazzo hai fatto?!
C’era
parecchio movimento ma purtroppo lui non se ne poteva occupare. La gamba gli
doleva e, per quanto il cuore gli pulsasse in quei momenti, sapeva che non
doveva commettere sciocchezze.
Ormai
avevano giganti anche alle proprie spalle, ma potevano ancora seminarli – era quello
che aveva detto Erwin, no? Bisogna eseguire l’ordine – bastava solo andare più
veloci.
I
due soldati sul carro urlavano di voler combattere. Le lame in fuori, avrebbero
fatto di tutto pur di difendere i cadaveri?
“Non
pensateci nemmeno!” sbottò Levi. Non sarebbero morte altre persone, questo era
poco ma sicuro.
I
due si voltarono e lui proseguì: “Liberatevi dei corpi, o ci raggiungeranno.”
I
visi sbigottiti di loro furono una sufficiente risposta e a Levi parve di
rivedere Petra.
“In
passato molti corpi non sono tornati. Questi non sono niente di speciale.”
Smettila di piangere, Petra. Ricordati che
sei un soldato. Non sei stata addestrata per cedere allo sconforto in una
situazione di disagio. Non sei stata addestrata per piangere i tuoi amici
morti, quello lo puoi fare di notte, in camera, dove nessuno può sentirti. Nessuno
vuole vedere la disperazione sul volto degli altri, nessuno vuole vedere quello
che si sente dentro. Devi concentrarti su un obiettivo alla volta, solo così
potrai andare avanti. Pensa con lucidità alla situazione in cui sei e a nient’altro,
vivi per i vivi e salva tutto ciò che è salvabile, anche quando questo
significa rinunciare a qualcosa. Solo così potrai fuggire dal dolore dei
rimorsi.
“Lo
vuole davvero fare?” gridava uno dei due compagni, atterrito “Lo faremo
davvero?!”
I
giganti si avvicinavano, con le loro facce anguste, orribili, i loro denti, e
quegli occhi… Quale orribile segreto… Un obiettivo alla volta, Levi, un
obiettivo alla volta! gridava Levi nella sua testa.
“Dannazione”
digrignò tra i denti, guardando la sua gamba impotente.
I
due soldati avevano cominciato a buttare i corpi e quelli reagivano con un
tonfo sul terreno. Ma non era niente, un rumore e poi scivolavano via, tutto in
un attimo, non era niente, non sarebbe cambiato niente…
Invece
di guardare avanti, Levi si concentrò sui cadaveri, i suoi compagni, quelli che
venivano abbandonati, calpestati dai giganti, quelli di cui non sarebbe rimasto
più nulla.
Morire così, trascinandoti dietro i morti,
sarebbe solo un oltraggio al loro sacrificio. Non credere che sia quello che
vogliono.
Ma
era davvero così? Non era solo quello che diceva ai suoi sottoposti per farli
sentire meglio? E se fosse stata solo una banale giustificazione per quello che
quotidianamente lui faceva?!
No,
si disse Levi, fermamente, no, Petra, Auruo, Erd, Gunther capirebbero.
Capirebbero tutti.
Ma
nel momento in cui il suo sguardo incrociò quelli che sembravano i capelli di
Petra – potevano davvero essere stati i suoi? Eppure sono già passati: è tutto
così confuso, tutto così veloce! – che col vento venivano trascinati verso l’inferno,
non ne fu più così sicuro.
“Abbiamo
finito! Andiamo!”
Il
carro acquistò velocità e anche Levi non perse tempo. Riprese a galoppare con
furore, quasi gli sembrava di fuggire. Se avessi sacrificato la vita di quegli
uomini per cercare di salvare il corpo di Petra, pensò, Petra mi avrebbe
odiato, lo so.
Emanava
sicurezza solo con lo sguardo ma nella sua testa… Oh, cosa c’era nella sua
testa.
Galoppava,
correva, fuggiva. Diceva di essere un combattente, di combattere da tutta la
vita, eppure si trovava sempre sulla strada del ritorno, da solo.
“Non ho intenzione di legarmi
sentimentalmente a te, Petra.”
Petra abbassò lo sguardo, del resto doveva
averlo già immaginato. Non c’era segno di rimpianto sul suo bel viso, solo il
carezzevole rossore di chi prova qualcosa.
Non chiedeva nulla ma Levi pensò lo stesso
di doverle dare delle spiegazioni.
“Un giorno uno di noi due si ritroverà in
una brutta situazione, e l’altro non dovrà vacillare neanche un secondo. L’amore
rende deboli, e noi non possiamo essere deboli.”
Petra, che di solito era così obbediente e
rispettosa, aggrottò la fronte e replicò: “Un giorno uno di noi due morirà. E
sarò io, so bene che sarò io.” Aveva il volto fermo, aveva imparato a tenere a
freno le lacrime, ma la sua voce, traditrice, si spezzò e Levi sapeva che non
era paura, solo emozione. “Ma proprio perché dovrò morire, io… Io vorrei…”
“Legarti a me, per poi abbandonarmi?”
ribatté lui, più rude di quel che avrebbe voluto“Rendermi triste e debole? Un
po’egoista da parte tua, non credi?”
Petra si mordicchiò il labbro. Una lacrima
finalmente scese lungo la sua guancia. “Stando così le cose, Levi, quindi non
proverai dolore quando morirò? Non ti sentirai più debole?”
Lui non la guardava mentre rispondeva: “Non
mi è concesso.”
Quando
si fermarono per capire dove erano e riprendere la rotta giusta, Levi si
avvicinò a Dieter. Saltò giù dal cavallo e senza guardarlo trafficò sotto il
suo mantello.
“Capitano”
disse subito Dieter “Io…”
“Questo
prova che erano vivi, almeno per me” disse Levi, mostrando lo stemma che aveva
preso dalla divisa di Petra.
Notò
che Dieter aveva lo sguardo mortificato, ma subito parve sorpreso. Si aspettava
di venire sgridato? Punito? Congedato?
Con
quale coraggio potrei punire l’affetto e il dolore, pensò Levi, non è quello
che avrebbe voluto Petra.
“Questo
era di Ivan” mentì, tendendo la stoffa verso il suo subordinato.
Non
si aspettava che Dieter gli credesse, probabilmente non lo fece ma le ali della
libertà, quelle che aveva ora Ivan sul dorso, lo avrebbero rincuorato.
Commosso,
il soldato si mise a piangere e non riuscì a mormorare altro se non: “Capitano…”
Levi
non disse nulla e si allontanò. Non voleva ringraziamenti, non li sopportava.
Gli si appiccicavano addosso e lo facevano sentire ancora più responsabile di
tutto.
Aveva
avuto davvero voglia di sgridare quel soldato, di infierire, di fargli notare
cos’avesse combinato, ma a cosa sarebbe servito? Aveva imparato la lezione da
solo, aveva dovuto abbandonare ancora il corpo del suo amico, e già soffriva
così tanto.
Levi
aveva pensato di strappare un ricordo di Petra, di tenerlo – mentre avrebbe
solo dovuto staccarsene e dimenticare, per il bene dell’umanità.
Ma
lui non era quel tipo di persona che si attaccava ai simboli, Dieter forse sì,
lui ne aveva più bisogno.
“E se vivessimo in un altro mondo?” disse
ancora Petra, non dandosi per vinta – anche lei era una combattente. “Oppure se
le cose cominciassero ad andare meglio, se cominciassimo a vincere… Allora, sarebbe
diverso?”
Gli prese la mano e Levi la lasciò fare.
“Sì, senz’altro sì” rispose. Non si era
accorto che anche lui la stava stringendo.
Petra sorrise e Levi cercò di imprimere
nella mente quel sorriso – lo sapeva anche lui che lei sarebbe morta, che non
avrebbe potuto salvarla. Voleva ricordare quel sorriso in eterno.
“Questo mi basta.”
La
minaccia era passata e sarebbero riusciti a raggiungere finalmente le mura. Ma
avevano fallito.
Levi
non avrebbe vacillato, non avrebbe pianto e non avrebbe ceduto alla
disperazione, ma la rabbia, quella non riusciva mai a mandarla via. Quella che
gli aveva sempre fatto fare cose orribili, quella che lo avevano sempre macchiato
di sangue, quella che non lo lasciava dormire, e lo divorava, la sua sete di
vendetta.
Ma i
morti non reclamano niente e sono già lontani – era così difficile accettarlo.
Anneghi nell’orrore e l’orrore è un mare
nella tua testa.
La
mia prima e unica fanfiction! Di solito scrivo originali perché
non mi piace prendere personaggi di altri - non mi soddisfa, diciamo -
e, tra l'altro, trovo molto difficile riuscire a renderli con una certa
coerenza. Però Attack On Titan è un anime/manga che mi ha
colpito davvero molto e non ho resistito a tentare di entrare nella
testa di Levi *-*
La scena è tratta dall'episodio 22, ho solo aggiunto il
particolare di Levi che raccoglie il corpo di Petra, il resto non
proviene dalla mia testa. Invece i pensieri dell'amato personaggio e
tutte le parti in corsivo (che sarebbero vecchi trascorsi tra lui e
Petra) assolutamente sì, inventati di sana pianta - spero con un
minimo di coerenza.
Se a qualcuno va, mi dica cosa ne pensa!
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