Il rumore dei passi della ragazza rimbombava in modo eccessivo e quasi
sinistro lungo il corridoio stranamente silenzioso: lei stessa se ne
stupì, avendo conosciuto quel luogo poco ameno in passato e avendo
dovuto passarci le mattinate per tre anni che, a suo tempo, le erano
apparsi eterni.
Raggiunse la porta cercata, controllò un'ultima volta il cartello
affisso e, mordendosi le labbra, bussò.
«Avanti.»
Entrò timidamente, venendo accorta da una donna dal sorriso dolce e
materno.
«Matilde cara, quanto tempo!» la accolse gioiosa, alzandosi per
salutarla «Come stai?»
La ragazza esibì un sorriso stanco. «Tutto ok prof.» borbottò, ma la
donna sembrò non averla neppure sentita.
«Come mai sei venuta nell'orario di ricevimento dei parenti?
Accomodati, così mi spieghi.» la invitò, mostrandole una seggiola di
legno. Matilde si sedette, si mordicchiò il labbro inferiore e prese
finalmente parola.
«Prof, si tratta di mia sorella.» spiegò, il volto colmo di sincero
allarme «Da un po' di tempo è diventata strana, distaccata: sta sempre
in camera sua, si fa vedere dal resto della famiglia solo per mangiare
e usare il bagno e non fa altro che stare incollata al computer.»
«Strano.» la interruppe la donna «In classe mi è sempre sembrata ben
integrata, solare, e il suo rendimento è sempre stato ottimo. Anche i
suoi temi sono molto interessanti per una bambina di dodici anni. Ma
credo che sia una questione genetica.» concluse con un sorriso.
Le guance della ragazza si imporporirono appena.
«Ne sono felice, ma sono comunque preoccupata.» insisté Matilde con
foga, venendo nuovamente interrotta.
«Teme forse che stia fornendo...» l'insegnante esitò un momento «Non
so, dati personali, fotografie, o che scarichi materiale inadatto alla
sua età?»
«No, ho controllato la sua cronologia un giorno in cui non era in casa
ed era tutto a posto. Solo che...» si interruppe, lo sguardo
concentrato alla ricerca delle parole adatte «da qualche tempo ascolta
un cantante piuttosto famoso. Un certo Andrew Bertrand.»
L'insegnante si lasciò sfuggire un sorriso «Ho notato, ha il diario
pieno di sue foto.»
«Appunto!» incalzò Matilde, battendo il palmo sulla cattedra «Prof,
secondo me quel tizio sta diventando un ossessione: la cronologia era
piena di suoi video, articoli, rassegne stampa...» iniziò a enumerare
«Camera sua è inquietante, ovunque ti giri c'è questo ragazzino
circondato da cuoricini. Non ricordo neppure di che colore sia il muro
della sua stanza, si figuri.»
Sbuffò alzando gli occhi al cielo e si portò le mani sulla fronte, come
per schiarirsi le idee: la professoressa approfittò di quel momento di
silenzio per dire la sua opinione.
«”Innamorarsi”» esordì, mimando con le dita le virgolette «di una
celebrità a dodici anni è assolutamente normale.» spiegò con semplicità
«Forse tu non ci sei passata, però sono in molte a fare ciò che fa
Carola. Passerà col tempo. E poi scusa se mi intrufolo nei fatti tuoi,
però se i vostri genitori sono tranquilli non vedo perché preoccuparsi,
no?»
Matilde annuì senza troppa convinzione. La docente sorrise.
«Carola è molto fortunata ad avere una sorella come te. Ma non
crucciarti dietro a cose che non hanno senso, che ci perdi in salute.»
consigliò in modo caloroso. Matilde si alzò, sorrise con la stessa aria
scarsamente convinta e salutò la professoressa; uscita dall'aula,
assicurandosi che l'insegnante non l'avesse seguita, iniziò a correre.
“Cretini.” si disse appena uscita dall'istituto, camminando a grandi
passi pesanti “Sia lei che i miei.”
A parer suo gli adulti troppo spesso dimenticavano come fosse vivere
l'adolescenza e, ancora peggio, la preadolescenza: le fragilità date
dall'età, dalla personalità che va via via formandosi, dai commenti
esterni di chi si ritiene influente...
Un accordo di chitarra elettrica proveniente dal cellulare interruppe
il flusso dei suoi pensieri: Matilde lesse il nome del chiamante e
rispose svelta.
«Allora, sei andata a trovare la prof?» una voce maschile, bassa e
calda risuonò dall'altro capo del telefono: Matilde emise un sospiro in
risposta.
«Sì papà.» spiegò «Le ho anche spiegato di come mi preoccupa
l'atteggiamento di Carola in questo periodo.»
L'uomo rise.
«Come sei paranoica!» le rispose ridendo «È normale dai, crescerà, ti
fai troppe paranoie.» disse in tono saggio.
«Forse hai ragione.» si arrese lei, non volendo protrarre quella
discussione che andava avanti da ormai troppo tempo. Il padre pontificò
tranquillo.
«Capisco che tu sia apprensiva, sei comunque la sorella maggiore, ma se
ci pensi Carola è una persona normale che esce, studia e fa tutto
quello che fanno le ragazzine di dodici anni. Ora scusa» cambiò
bruscamente il tono di voce, facendosi frettoloso «ma il capo è uscito
dall'ufficio e mi sta guardando male. A dopo.»
Matilde lo salutò mesta, avviandosi verso casa e continuando a
riflettere: forse era vero che la sua testa era solamente carica di
paranoie, ma era anche vero (e quello, nella mente di Matilde, era una
certezza) che lei e Carola avevano due caratteri differenti.
Un secondo accordo si fece sentire tonante: Matilde accennò un mezzo
sorriso vedendo il nome della sorellina comparire sul display.
“Parli del diavolo...”
«Pronto?»
«Mati, ciao!» la salutò Carola con una voce allegra ed entusiasta
«Ascolta, non starmi a venire a prendere da scuola che dato che i
nostri non ci sono mangio da Ester!» spiegò in tono concitato, come se
non fosse un evento piuttosto ordinario: la sorella la ringraziò e la
salutò, dirigendosi verso casa e sforzandosi di rasserenarsi.
Forse le sue erano davvero solamente paranoie.
«Allora, che ne dici di studiare scienze?» esordì Ester pulendosi le
labbra con un tovagliolo.
Carola esibì una smorfia contrita «Mi dispiace, ho detto a Mati che
sarei arrivata a casa subito dopo pranzo.» spiegò con tono dispiaciuto:
i genitori di Ester si offrirono di portarla a casa, ma lei declinò
gentilmente l'offerta.
«Dato che cucini così bene ho mangiato tantissimo, non potevo
resistere» spiegò alla madre di Ester, che sorrise «e sono un po'
appesantita, quindi preferisco fare due passi.»
Si salutarono e, nonappena Carola fu fuori dal portone del condominio
sbuffò rumorosamente infilandosi gli auricolari: erano due ore e undici
minuti che non riusciva a rimanere sola con Andrew e stava iniziando a
diventare nervosa e irritabile per questo.
Spinse “play” sul lettore mp3 e assaporò la voce dolce, giovanile e
acuta di Andrew che cantava di belle giornate e nottate allegre,
dovendosi trattenere dal canticchiarle per non apparire sciocca agli
occhi di chi la vedeva; evitò di controllare se su internet erano
comparse novità riguardo a lui dovendo camminare e per concentrarsi
sulla musica, concedendo però un fuggevole sguardo allo schermo del
cellulare, dove Andrew le ammiccava simpatico e malizioso. Si bloccò un
momento lungo la strada chiudendo gli occhi e gustandosi
quell'immagine, immaginando il profumo della sua pelle, il contatto con
il viso glabro e godendosi la melodia che pompava gentilmente dalle
cuffie.
Arrivò a casa festosa e salutò la sorella con un sorriso, senza
togliere gli auricolari e dirigendosi nella sua stanza, chiudendo la
porta.
Non ci volle molto prima che Matilde la aprisse.
«Allora?» chiese, sedendosi sul letto. Carola si strinse nelle spalle
«Mh, niente, due palle come al solito, del resto la scuola è così.»
«Bene. Ora che fai?» indagò la sorella, cercando di spiare lo schermo
del PC.
«Una ricerca di scienze.» mentì Carola, cercando di porre fine alla
conversazione: la sorella alzò le spalle poco convinta, annunciando che
sarebbe tornata sui libri a sua volta e chiudendosi la porta alle
spalle.
Carola non aspettò neppure lo scatto della porta per aprire la barra
dei preferiti sul browser e aprire svariate schede alla ricerca di
novità su Andrew: per fortuna non era difficile trovare informazioni e
pettegolezzi su di lui, i principali siti internet di musica e gossip
amavano occuparsi di lui e della sua vita privata.
Come previsto, uno dei siti aperti presentava una fotografia di Andrew
nella homepage: una fotografia inedita e sinistramente bizzarra, con un
Andrew strano, sconvolto, mentre un titolo a caratteri eccessivi e in
colori fluorescenti campeggiava a lato dell'immagine; Carola non
aspettò molto a cliccarci sopra.
“Andrew Bertrand arrestato.
Il ballerino e popstar ventitreenne Andrew Bertrand è stato arrestato
ieri con l'accusa di possesso di sostanze stupefacenti e offesa a
pubblico ufficiale.
Il ragazzo si trovava all'interno della sua villa a Vancouver dove
stava dando una festa privata: si ritiene che la polizia si sia
presentata alle porte di Bertrand per l'eccessivo rumore e abbia
sentito un forte odore di marijuana aprendo la porta della casa. A quel
punto Bertrand ha...”
Carola non finì neppure di leggere l'articolo: come si permettevano dei
semplici poliziotti di avere da ridire sul fatto che Andrew Bertrand
stava dando una festa?
Schizzò su Twitter per controllare i pareri delle altre fans,
ritrovandosi la pagina principale invasa da braccia sanguinanti, rasoi
e taglierini.
«Ma che cazz...» commentò a mezza voce, documentandosi su cosa avesse
scatenato un tale tripudio di sangue, trovando la risposta nelle
tendenze nel sito: a quanto pare la notizia dell'arresto di Andrew
aveva già fatto il giro del mondo, e qualcuno aveva lanciato l'idea del
“Pain for Andrew”, letteralmente “dolore per Andrew”, esortando le fans
a incidersi i polsi con oggetti taglienti e postare una foto in segno
di solidarietà per il ragazzo.
Carola fissò lo schermo dubbiosa: avrebbe dovuto fare lo stesso?
“Sì che devo farlo.” si disse “Io amo Andrew, lo amo più di queste
miserabili sciacquette tutte insieme. Se non lo farò sarò una codarda e
lui non capirà mai quanto è forte il mio sentimento.”
Fortificata da tali pensieri si diresse con passo felino in bagno e
agguantò le forbici per le unghie e le bende, valutando come coprire il
taglio successivamente: rientrata in camera, nonostante la testa carica
di incertezze, sollevò la manica della felpa e piantò con decisione la
punta delle forbici nel polso, tirandole per riuscire a incidere
l'intero polso e mordendosi le labbra per non urlare di dolore. Il
polso bruciava e il sangue, denso e caldo, sgorgava in abbondanza dalla
ferita, tanto che Carola, pur essendo motivata, dovette fermarsi e
iniziare a tamponare il polso prima del previsto; scattò la fotografia
da mostrare in internet affinché Andrew venisse a conoscenza del dolore
della sua fan, bendò alla meglio la parte lesa e aspettò che il dolore
passasse, assicurandosi che il sangue non fosse colato da nessuna parte.
Avrebbe coperto le bende con la manica della felpa: tanto era inutile
spiegare ai suoi e alla sorella che si trattava di una buona causa.
Poco dopo qualcuno bussò alla porta della stanza di Carola.
«Hai visto le forbicine? In bagno non ci sono.»
Carola dovette trattenersi dall'imprecare: proprio allora Matilde ne
aveva bisogno?
Tirò alla meglio le maniche della felpa cercando di mantenere
un'espressione leggera nonostante il polso bruciasse e diede le forbici
alla sorella senza parlare: per una strana e fortunata coincidenza
Matilde non iniziò a indagare e la ringraziò sbrigativa per poi
richiudersi la porta alle spalle.
Non per molto.
La porta si riaprì con violenza, nonostante Matilde mantenesse un'aria
serena e una voce calma.
«Carola, scusa, puoi staccarti un attimo dal computer?»
La ragazzina si voltò incrociando le braccia sul petto per nascondere
il più possibile il polso tagliato. «Cosa c'è?»
Il tono avrebbe voluto essere fermo e secco, ma le tremò la voce e si
sentì pervasa da sudori freddi: sua sorella aveva appena preso le
forbici con cui lei si era appena tagliata un polso in onore di Andrew,
che Matilde trovava insopportabile. Di sicuro...
«Sai per caso da dove viene questo sangue?»
Merda! Aveva scordato di pulire le forbici! Come aveva potuto essere
così stupida?
Tentò comunque di apparire serena e spiazzata al contempo, rispondendo
con un vago «Boh.»
«Perché stai sudando?» indagò la sorella maggiore, la voce di un'ottava
più alta e il viso che andava indurendosi «Sei pallida e ti trema la
voce.»
«No no, ti sbagli.» rispose Carola, messa alle strette: allungò un
braccio intimando la sorella di renderle le forbici senza riuscire a
celare la sua preoccupazione.
Nel tendere l'arto la manica della felpa si sollevò, mostrando le bende
fissate con il nastro adesivo, macchiate da una chiazza rossastra e
scura: il volto di Matilde si fece scuro, orripilato, sconvolto, e la
voce che uscì dalla sua gola fu altissima e tagliente.
«Carola, cosa cazzo hai fatto?» urlò con quanto fiato potessero
incamerare i suoi polmoni afferrando il braccio della sorellina e
osservando disgustata le bende, mentre Carola gemeva dal dolore e
iniziava a piagnucolare.
«Non capiresti, Mati.» pigolò tra le lacrime, mentre la ragazza più
grande mollava la presa e si fiondava sul PC, il volto sempre più
sconvolto, quasi da pazza; persino i capelli sembravano elettrizzarsi
dal terrore e dallo schifo. La voce, però, quando emerse, era bassa e
quasi pacata.
«“Pain for Andrew?” Ma...» esitò, iniziando a balbettare «Perché?»
«È stato arrestato ed è in carcere.» bisbigliò Carola, chiusa a riccio
e massaggiandosi il polso «Sta soffrendo, e questo è un modo per
soffrire con lui.»
«No, forse non hai capito la domanda.» chiarì Matilde, portando le mani
alla fronte «Perché l'hai fatto? È uno sconosciuto fino a prova
contraria!»
Carola schizzò in piedi.
«Io lo amo!» strillò «Ho capito la sua vita fin da quando l'ho visto
per la prima volta in TV, guardandolo negli occhi, siamo fatti l'una
per l'altro!»
«Cresci!» fu la risposta gelida di Matilde «Non esistono realmente le
storie da fiaba dove ci si conosce da mezza giornata e scoppia l'amore!
E anche se fosse, l'amore non è tagliuzzarsi un polso perché il tuo
amato è finito in carcere!»
«Che ne sai? Tu non hai mai amato nessuno!»
«Ti ricordo Marco.» rispose stranamente calma Matilde, alludendo al
ragazzo che frequentava.
Carola sbuffò, roteando gli occhi al cielo.
«Oh, giusto, quell'altro con cui cospiri contro me e Andrew: “bububu, a
mia sorella piace uno sfigato”» iniziò a scimmiottarla «“gnegnegne, a
me mi fa schifo...”»
Cinque dita si stamparono sul volto di Carola, lasciandola zitta e con
una guancia arrossata.
«Ero preoccupata per te, imbecille, e direi che facevo bene! Anzi, sai
che ti dico?»
Si voltò verso uno dei poster più grandi che figurava Andrew mentre
cantava, ci piantò le unghie e iniziò a dilaniarlo e a strapparlo, tra
le urla della sorellina.
«Da ora in poi» iniziò a scandire Matilde, seguitando a devastare
poster e ritagli di giornale «Andrew John Bertrand non esisterà più per
te. Piuttosto uscirai con me e i miei amici, ti porterò a fare da
candela tra me e Marco, ma dovrai dimenticarti Andrew.»
Carola non stava neppure a sentirla, tentando piuttosto di coprire quel
fiume in piena di cattiverie con urla acute e penetranti intervallate
da profondi singhiozzi, ricordando con inquietudine una scena che
l'aveva traumatizzata da bimba: Re Tritone che entrava nella grotta di
Ariel, distruggendo ogni oggetto che ricordasse gli esseri umani.
«Ma Ariel e Eric si mettono insieme!» sbottò all'improvviso, il volto
illuminato da un sorriso radioso nonostante le lacrime: Matilde si
incantò per un istante, assumendo un'espressione interrogativa.
«Nella “Sirenetta”» spiegò Carola, più a se stessa che alla sorella
«Ariel fa di tutto per fidanzarsi con Eric, anche se Re Tritone non
vuole... e lo sposa!» concluse con un sorriso trionfante. Matilde le si
avvicinò e si rivolse con inaspettata dolcezza.
«La fiaba originale è un pochino diversa: Eric si fidanza e sposa con
Vanessa, e Ariel, distrutta dal dolore, muore. Fattene una ragione.»
Con aria seriosa e ispirata andò via, lasciando la sorella a
confrontarsi con il muro tornato bianco e la distruzione della sua
infanzia.
“Distrutta dal dolore, muore...”
A cena i genitori non notarono il polso fasciato di Carola, né che
entrambe le sorelle erano più taciturne del solito; Matilde non
spifferò il gesto e Carola si guardò bene da accennare ad oggetti
taglienti, continuando a riflettere sulle parole della sorella.
Dopo mangiato si trincerò in camera come suo solito, sdraiandosi sul
letto e ossevando il muro vuoto e i ritagli devastati ancora sul
pavimento: non volle gettarli, secondo lei descrivevano il suo stato
d'animo attuale. Anima vuota e cuore a brandelli.
I suoi genitori sembravano fregarsene di lei, Matilde invece se ne
sbatteva dei suoi sentimenti: che senso aveva vivere quindi? Guardando
in faccia la realtà non poteva certo fare le valigie e prendere un
aereo per Vancouver, l'aeroporto distava almeno cinquanta chilometri ed
era talmente piccolo da non avere sicuramente voli diretti. Anche
volendo, era impossibile raggiungerlo: non aveva mai preso un mezzo che
non fosse l'auto dei suoi o dei genitori di Ester.
“Ariel, distrutta dal dolore, muore...”
Si alzò in piedi, osservandosi allo specchio: era il ritratto di una
persona infelice, distrutta dall'orrore della vita reale, così diversa
da quella di quand'era bambina. Una vita dove Ariel si trasformava in
un'umana senza voce per poi vedere l'uomo della sua vita sposare
un'altra donna, dove probabilmente Biancaneve veniva avvelenata dalla
mela e Aurora stava ancora dormendo.
Si spogliò dei vestiti casalinghi e indossò la maglietta comprata in un
negozietto poco tempo prima, col volto di Andrew stampato sopra,
sfilandola dal sacchetto dove la custodiva: prese il sacchetto, lo
osservò e, non mollando la presa, si infilò le cuffie nelle orecchie.
“Oh, lovely, sweet girl
just look in the mirror, you are so beautiful...”
Aprì il sacchetto e lo indossò come se fosse stato un buffo cappello.
“Oh lovely, sweet girl
you don't believe me, but I'm so sure”
Lo calò fin sotto la glottide, assicurandolo con un nodo.
“Our love will be so pure...”
Si sdraiò sul letto, paziente, e sorrise.
“You deserve so much more
and I can give you all...”
L'aria si fece via via più calda, pesante e umida; la testa prese a
farsi greve, la vista scura, il respiro e il battito cardiaco
accelerati. Improvvisamente si sentì venire meno, immaginando che fosse
il momento da lei tanto atteso: riuscì a sorridere.
«Lo faccio per te, Andric.»
Inspirò ed espirò. Inspirò ed espirò. Inspirò ed espirò.
Spirò. |