Spin
off #3
Kim
Jonghyun e 101 modi di fare la cosa sbagliata
La
stazione centrale di Seoul era più gremita che mai. Persone
di ogni
età camminavano con passo rapido verso il proprio vagone,
controllando per l'ultima volta il proprio biglietto e trascinandosi
dietro pesanti trolley. Il vociare dei parenti che si salutavano,
degli altoparlanti che annunciavano gli arrivi e le partenze dei
treni e dei passeggeri che parlavano copiosamente al telefono si
sovrapponevano tra loro, creando un trambusto sopra il quale era
difficile capirsi.
Kibum
aveva riassunto il suo guardaroba in due grosse valige. Sembrava
dovesse trasferirsi per sempre, invece tutta quella roba –
secondo
il suo parere – era l'indispensabile per sopravvivere venti
giorni.
Jonghyun non aveva aperto bocca in merito (in effetti, dallo
spiacevole episodio del compleanno di Minho non aveva più
avuto il
coraggio di cercare un dialogo con l'altro), ma aveva pensato che lui
per una ventina di giorni fuori casa, si sarebbe portato meno della
metà della roba. Kibum era il solito esagerato, ma in quel
momento
non era importante. Jonghyun combatteva con il nervosismo e
l'imbarazzo, domandandosi se fosse il destino o una sfortunata
coincidenza, quella.
Il
manager che doveva accompagnare Kibum in stazione, avrebbe dovuto
portare Jonghyun solo un'ora più tardi in ospedale per una
visita
all'anca. Dovevano fare degli accertamenti e discutere se fosse da
operare o meno, e siccome la stazione non distava poi così
tanto
dall'ospedale, il manager aveva deciso che era il caso di prendere
due piccioni con una fava, portandosi dietro Jonghyun. Era
così
strano stare assieme ora, senza nessun altro intorno (a parte la
flotta di sconosciuti) e con il manager che controllava di continuo
l'orologio.
«Beh,
ragazzi, io andrei a prendere un caffè» aveva
detto l'uomo «Non è
un problema se vi lascio soli per una decina di minuti,
vero?»
Nessuno
dei due disse nulla, quindi il manager interpretò il
silenzio come
più gli conveniva e si allontanò verso il bar
più vicino. La
tensione trai due era così intensa da poter essere tagliata
con un
coltello. Jonghyun aveva troppe cose da dire, ma non aveva il
coraggio di aprire la bocca e lasciare che i pensieri uscissero
semplicemente fuori. Da quando aveva letto il diario di Kibum (o
almeno, parte di esso. Era arrivato più o meno a
metà, non aveva
mai troppo tempo per proseguire la lettura senza venir scoperto)
aveva realizzato che i suoi sospetti non erano del tutto infondati.
Il ragazzo era innamorato di lui (come aveva già sospettato
in
precedenza), provava risentimento per la storia di Se Kyung (ci
avrebbe scommesso) ed era in costante bilico tra “lo amo
è tutto
per me” e “lo odio, spero che crepi”. Lui
lo aveva capito,
aveva cercato di realizzare la cosa e accettarla, ma ora era diverso.
Kibum ora sapeva che lui sapeva e
questo era –
imbarazzante. Jonghyun non aveva idea di come comportarsi.
Una
sferzata d'aria gelida gli colpì la faccia, facendolo
rabbrividire.
Affondò di più le mani nelle tasche del suo
cappotto e socchiuse
gli occhi. Cosa doveva fare? Oramai passava le notte a tormentarsi
chiedendosi cosa lui provasse per Kibum. Era
chiaro che non
poteva considerarlo solo un amico, dal momento che era l'unico
ragazzo che desiderava baciare o toccare. Non avrebbe mai fatto la
stessa cosa con uno degli altri, anzi, il solo pensiero lo disgustava
un po'. Allora perché con Kibum era diverso? Era pur sempre
un
ragazzo, ed era un suo amico, quindi non doveva cambiare poi molto da
lui e, esempio, Minho. Forse il problema era proprio quello: siccome
era Kibum allora tutto sembrava semplice e giusto
agli occhi
di Jonghyun.
A
volte gli sembrava di impazzire, perché tutto quello che
voleva fare
era baciarlo, baciarlo e baciarlo fino a fargli diventare le labbra
rosse e gli occhi lucidi.
Spostò
lo sguardo su Kibum. Non lo avrebbe visto almeno fino a gennaio, loro
erano in un momento delicato e non sapeva se le cose sarebbero
cambiate per sempre dopo quella pausa. Ne era terrorizzato. Kibum era
la cosa più preziosa per lui, non poteva immaginare che tra
loro le
cose restassero per sempre così fredde.
Non ci poteva nemmeno
pensare. Lui amava parlare con Kibum, amava scherzare e ridere
assieme a lui, uscire assieme, chiacchierare fino a notte fonda,
amava in modo quasi ossessivo la forma della sua bocca, il suo sapore
e la morbidezza delle sue labbra contro le proprie. Amava
tutte
quelle cose, semplicemente perché amava Kibum.
E
non poteva rischiare di perderlo così solo per codardia. Se
fosse
accaduto, non se lo sarebbe mai perdonato.
D'improvviso,
senza alcuna anticipazione, prese Kibum per un polso e lo
tirò in un
angolo nascosto a ridosso di un'edicola. «Che
cavolo-» iniziò
Kibum, frastornato dal suo gesto improvviso, ma Jonghyun si
ripeté
che se non lo avesse fatto in quel momento allora probabilmente non
ci sarebbe riuscito mai più. Gli prese il viso tra le mani e
gli
baciò piano le labbra, sentendo il cuore quasi esplodergli
nel
petto. «Ti amo.» sussurrò prima di
baciarlo di nuovo.
Kibum
sgranò gli occhi, incapace di fare qualsiasi cosa, persino
di
respirare. Per qualche istante rimase così, fino a quando
non sentì
il corpo di Jonghyun premersi di più contro il suo. Lo shock
si
dissipò e cominciò a ricambiare il bacio,
passando le mani trai
capelli di Jonghyun e tirandoli piani. Lo amava.
Era così
sconvolto, mai nella vita si sarebbe aspettato una tale
dichiarazione, eppure era arrivata. Sarebbe rimasto lì a
baciarlo
per sempre, se solo avesse potuto.
I
macchinisti cominciarono a fischiare, segnalando che da lì a
breve
il treno sarebbe partito. Kibum fu costretto a staccarsi da Jonghyun
e lo guardò con rimprovero. «Dannazione, Jonghyun,
hai il tempismo
più orribile nella storia dei tempismi orribili»
lo baciò di
nuovo, brevemente, e poi sorrise.
«Scrivimi
quando sei arrivato» fece Jonghyun sfiorandogli la mano con
le dita.
«Okay?»
«Sì,
lo farò»
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