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4
Unexpected
Nel corso della sua
vita Liesel aveva avuto occasione di crearsi qualche nemico. Uno di
questi, l'emicrania.
Sollevò una palpebra e
la richiuse, accecata dalla violenta luce che aveva deciso di
oltrepassare le tende fino a ricordarle quanto vicino fosse l'arrivo
di quella mattina. Insopportabili fitte le attraversavano il cranio
rendendola molto più suscettibile di quanto già non fosse per
natura ed un peso allo stomaco la portò ad abbassare lo sguardo sul
suo addome.
Tatuaggi.
Sospirò e gettò
nuovamente la testa sul cuscino. Morris non aveva ancora tolto il
disturbo e come per magia gli eventi di quella nottata si rivelarono
incredibilmente nitidi nella sua memoria. Alle quattro avevano
abbandonato il Red, alle quattro e mezza avevano preso a rotolarsi
fra le sue candide lenzuola – poteva giurare di aver ripassato
tutto il manuale del Kamasutra, a giudicare anche dal dolore alla
schiena – ed avevano concluso alle sei del mattino. A quel punto
aveva deciso di concedersi un minimo di riposo pur consapevole di
dover presentarsi al lavoro di lì a tre ore, fresca come una rosa.
Aveva timore della
radiosveglia sul suo comodino. Ancor di più dei numeri lampeggianti
su di essa. Il sonno aveva preso il sopravvento e si era persino
dimenticata di attivare l'allarme.
Morris, al suo fianco,
respirava pesantemente. Odiava dover svegliare la gente e soprattutto
dover recitare la parte dell'amante dallo spirito libero che cacciava
di casa le sue conquiste.
“Hey.” borbottò
picchiettandogli con un dito il braccio pesantemente abbandonato sul
suo stomaco. Visto il fallimento di tale impresa, glielo scrollò con
decisione.
“Oh.” mugugnò il
ragazzo guardandosi attorno come disorientato. “Che c'è?” le
domandò quindi in un sussurro. La fronte aggrottata e gli occhi
piccoli.
“Ti avevo detto che
avrei dovuto lavorare stamattina.” lo rimbeccò Liesel mentre
sollevava un sopracciglio, piuttosto caustica. Odiava ripetersi. “Ti
conviene levare le tende.” continuò quindi liberandosi dalla sua
presa per sedersi sul materasso. Il lenzuolo le era caduto al bacino
ma non si premurò di ricoprirsi.
“Mi stai cacciando?”
ridacchiò il ragazzo sollevandosi sui gomiti per osservare meglio il
suo profilo. I capelli arruffati.
“Hai capito bene.”
sorrise con sarcasmo la bruna prima di alzarsi dal letto e recuperare
dei vestiti puliti. “Devo farmi la doccia alla velocità della
luce.” Solo in quel momento ebbe il coraggio di gettare un'occhiata
all'orologio. Si sentì quasi mancare nello scorgere un otto ed un
trentadue. “Forse no.” si corresse cercando di mantenere una
certa calma. Gli diede le spalle, per niente intimorita da quello
sguardo famelico sul suo corpo nudo, e prese a frugare fra i cassetti
della biancheria intima.
“Mi lasci il numero?”
lo udì parlare. Si immobilizzò per un attimo prima di voltarsi di
nuovo verso di lui, ora seduto sul materasso ed uno sguardo in
paziente attesa.
“Sei uno di quei
ragazzi che tampinano di telefonate?” chiese senza mezze misure.
Dapprima sorpreso da
tale domanda, si lasciò poi andare ad un sorriso.
“No.” rispose
tranquillo.
“Allora lasciami il
tuo sul comodino.” concluse lei prima di voltarsi di nuovo alla
ricerca degli slip.
“Paura delle
relazioni?” si informò Morris con tono chiaramente divertito
mentre lo sentiva trafficare con un pezzo di carta.
“Ho semplicemente
imparato a tenermi alla larga dagli uomini dopo una spiacevole
delusione amorosa.” ribatté lei, intenta ad indossare un paio di
jeans aderenti.
“Vuoi farcela
pagare?” sorrise di nuovo il biondo mentre posava un biglietto sul
suo comodino. Lo vide alzarsi dal letto e recuperare i boxer dal
fondo del materasso.
“No.” scrollò le
spalle Liesel. “Voglio solo dedicarmi un po' a me stessa ed evitare
qualsiasi coinvolgimento emotivo per risparmiarmi altri
inconvenienti.”
Morris si lasciò
andare ad un'espressione fintamente impressionata.
“Un po' drastico,
no?”
“Preferisco
previdente.”
Non voleva essere
costretta ad approfondire un sentimento di pura rabbia nei confronti
dell'intero genere maschile – escluso Neal – ad una persona di
cui non sapeva nulla se non che se la cavava eccellentemente a letto.
Erano cose private di cui solo Neal era a conoscenza e tali dovevano
rimanere.
Dopo essersi data una
sciacquata al viso e lavata i denti lo esortò ad abbandonare la sua
stanza.
Nel momento stesso in
cui scesero le scale udì forte e chiaro il rumore di una chiave che
ruotava all'interno della serratura. Prima ancora che Liesel potesse
chiedersi se fosse Neal – cosa inevitabile visto e considerato che
era l'unico ad avere una copia delle chiavi – il ragazzo fece il
suo ingresso in casa.
Trascorsero pochi
attimi di silenzio in cui i tre si scambiarono occhiate incuriosite
fino a che Neal non richiuse la porta alle sue spalle.
“Non dovevi essere al
lavoro?” domandò la bruna del tutto confusa.
“Ho un servizio solo
alle dieci e ho pensato di passare un momento a casa.” rispose
l'amico spostando lo sguardo da lei a Morris, il quale era ancora
immobile accanto alla ragazza.
Una delle tante fortune
del lavoro di Neal. Era lui a gestirsi orari, appuntamenti ed intere
giornate. Organizzare settimane di vacanza era sempre stato per lui
un gioco da ragazzi al contrario di Liesel che doveva sottostare a
chiari ordini e regole.
“Beh, io toglierei il
disturbo.” intervenne a quel punto Morris grattandosi con fare
impacciato la nuca. “Ci si vede.” disse poi a Liesel prima di
passare affianco a Neal con un semi-sorriso ed uscire di casa.
Neal, che aveva seguito
non con poco interesse ogni movimento del sedere del biondino, si
voltò nuovamente verso Liesel con espressione sorpresa e compiaciuta
al tempo stesso.
“I miei complimenti.”
esclamò posando le chiavi sulla ribaltina. “Niente male il tipo.”
Liesel fece un gesto
svogliato con la mano come la cosa non la toccasse.
“Sono in un ritardo
mostruoso.” borbottò affrettandosi a recuperare borsa e chiavi
della macchina.
“Lo sai che voglio i
dettagli più sconci a pranzo.” le ricordò il ragazzo con la
malizia negli occhi nonostante non la guardasse nemmeno.
“A dopo.” farfugliò
la bruna prima di chiudersi la porta alle spalle.
Corse lungo il vialetto
fino a salire a bordo della sua Opel.
Quelle nottate
riuscivano sempre a sconvolgerle i piani.
Mise in moto ed
abbandonò casa alla velocità della luce.
Per un momento si
chiese se Tom, Bob, come diavolo si chiamava, avesse agito
concretamente con la constatazione amichevole che era stata costretta
a compilare. Ormai aspettava la telefonata della sua assicurazione
che le ricordasse quanto odiava quei gemelli che nemmeno conosceva.
Abbandonò l'auto in
quello che nemmeno lontanamente poteva somigliare ad un parcheggio e
si affrettò a salire le scale dell'azienda.
“Hey.” mormorò
Samantha, immobile davanti all'ascensore con l'aria di chi aveva
appena fatto ritorno da una corrida. I capelli più scompigliati del
solito, le enormi borse sotto gli occhi a mezz'asta e la reattività
di un'ameba erano chiari indizi di una notte trascorsa in bianco.
“Ti trovo bene.”
fece ironica la bruna non appena la affiancò in paziente attesa.
“Non che tu sia messa
tanto meglio.” ribatté l'amica senza guardarla. “Almeno se la
cava?” le domandò poi senza mezzi termini tornando a gettarle gli
occhi stanchi addosso.
“Ne è valsa la
pena.” scrollò le spalle Liesel prima che entrambe finalmente
facessero il proprio ingresso in ascensore.
“Io mi sono trovata
Max ubriaco sotto casa.” parlò di nuovo Samantha quando le ante si
chiusero davanti ai loro sguardi.
Liesel non le chiese
nulla a riguardo. Sapeva che si erano rimessi insieme come da
copione.
Al din
dell'ascensore, uscirono incamminandosi lungo il corridoio.
“A dopo.” le disse
per poi sedersi alla scrivania. Samantha le fece un cenno con il capo
e sparì dietro l'angolo.
Con un gran sospiro si
apprestò a recuperare un foglio bianco dal cassetto ed una matita
ben temperata. Non era in grado di prevedere cosa la sua mente
potesse partorire quella mattina, soprattutto dopo la notte
movimentata, ma aveva scelto in ogni caso di fingere di essere ancora
provvista di buona volontà.
Abbozzò lo scheletro
di quello che avrebbe dovuto essere un abito da sposa ma – come
quello stesso disegno le avesse letto nel pensiero – vi sfregò una
gomma sopra, facendolo sparire.
Lei non credeva nel
matrimonio. Preferiva dire fosse una forma di allergia cui non poteva
porre rimedio. Odiava i matrimoni, odiava l'ipocrisia che vi si
nascondeva, odiava i motivi economici che spesso e volentieri
facevano da benzina. Lei non si sarebbe mai sposata, nemmeno avesse
trovato l'uomo della sua vita.
Fece una smorfia a tale
pensiero.
Ormai aveva talmente
tanto perso la fiducia nel genere maschile che anche solamente
ipotizzarlo era utopia.
L'unico matrimonio che
aveva visto funzionare – almeno per il momento – era stato quello
di sua madre e Phil. Dopo la fuga di suo padre e le corna che il suo
ex fidanzato aveva ben pensato di piantarle in testa dopo anni di
relazione apparentemente perfetta, Liesel aveva smesso di credere che
il principe azzurro arrivasse sul suo cavallo bianco. A dire il vero,
non vi aveva mai creduto nemmeno prima; aveva semplicemente
rafforzato la sua teoria. Ognuno a casa propria a dirigere la
propria vita, quello era il suo punto fermo da qualche tempo e
non l'avrebbe nemmeno modificato o cancellato per nessuno.
“Liesel?”
La voce della
segretaria, Jenna – una giovane ragazza di diciannove anni, ancora
alle prime armi in quell'ambiente – le giunse delicata alle
orecchie ricordandole di trovarsi in ufficio con un foglio ancora
bianco sotto il naso ed una matita in mano che attendeva di essere
finalmente utilizzata.
“Sì?” le rispose
gentilmente.
“Kate e Laura ti
vorrebbero nel loro studio.”
Come dopo un colpo in
testa, Liesel si alzò immediatamente dalla sedia, curiosa di sapere
quale fosse il motivo di quella chiamata. Che vi fosse qualche novità
sulla sua linea?
“Grazie.” le disse
prima di uscire dall'ufficio ed attraversare le enormi vetrate. Bussò
come sempre alla porta aperta.
“Eccoti.” sorrise
Laura. “Volevamo riferirti qualche novità che dovrebbe farti
particolarmente piacere.” Liesel – il cuore martellante – si
sedette di fronte a loro. “Prima di tutto, siamo fiere di
annunciarti che la linea uomo si farà.” Liesel si lasciò andare
ad un sorriso radioso, più eccitata che mai. “Siamo molto
soddisfatte dei tuoi lavori e troviamo che ne valga la pena.”
“Grazie.” annuì la
bruna.
“Seconda cosa.”
parlò Kate. “Essendo una nuova linea, verrà presentata con una
sfilata.” Liesel percepì un brivido lungo la schiena. “Tale
sfilata si terrà a New York.”
Oh
bontà divina.
“La data è ancora da
stabilire.” spiegò di nuovo Laura. “Ma, a grandi linee, sarà il
prossimo mese.”
Liesel era frastornata.
Stava accadendo tutto così velocemente.
“Infine...”
ricominciò Kate. “Come ben sai, da anni collaboriamo con Vogue.”
A quel nome, Liesel deglutì. “Ovviamente i capi saranno esposti
anche nella rivista con un servizio fotografico del quale si occuperà
la redazione.”
Servizio che, ne era
certa, avrebbe realizzato Neal. Già in precedenza si era impegnato
per Vogue.
“Il tuo compito è
quello di realizzare materialmente i capi da te disegnati non appena
si conosceranno i modelli per le misure necessarie.” Liesel si
chiese da dove giungesse tutta quell'improvvisa fortuna. Non poteva
credere alle proprie orecchie. “Con l'ausilio dei tuoi colleghi
ovviamente.”
“Siamo sicure che
farai un ottimo lavoro.”
Era convinta di dover
ancora metabolizzare tutto quanto ma annuì in ogni caso.
“Per ora è tutto.”
sorrise Laura. “Non appena sapremo qualcosa di più te lo
riferiremo.”
“Grazie.” ripeté
come il suo vocabolario disponesse solamente di quella parola.
Aveva da sempre
ritenuto che quando la fortuna manifestava la propria presenza – in
quei rari casi di benevolenza – la cosa migliore da fare era
prenderne atto e non guastare il tutto con inutili discorsi. Motivo
per cui si alzò dalla sedia con un semplice e lieve sorriso ad
illuminarle il volto, ora più rilassato.
***
Era stato convocato nel
prestigioso ufficio di Vogue per discutere sopra un presunto nuovo
progetto che lo riguardava da vicino. Da tempo la curiosità era
passata in secondo piano, visto e considerato che tutte le
soddisfazioni di cui potesse godere erano già state sperimentate.
Una chiamata da parte di Vogue – per un comune mortale motivo di
incredibile euforia – per lui rappresentava solamente una piacevole
routine.
La direttrice Anna
Wintour sedeva di fronte a lui con fare estremamente serio e
professionale, reduce da un lungo discorso che chiarisse a Neal il
motivo di tale colloquio.
“Un servizio per la
nuova linea uomo di Liesel Petrova?” fu la sua domanda retorica,
giusto per assicurarsi che avesse capito bene. Sorrise non appena
Anna annuì. La sua migliore amica stava ottenendo tante meritate
gratificazioni e non vedeva l'ora di tornare a casa e festeggiare con
lei. “Quindi ho libera scelta per quanto riguarda i modelli?”
“Se riuscissi a
contattare qualche personaggio televisivo sarebbe meglio.”
Un campanello d'allarme
prese a suonare nella sua testa. I suoi pensieri erano planati a
grande velocità sui gemelli Kaulitz. Aveva già avuto occasione di
riferire loro che li avrebbe volentieri sottoposti ad un nuovo
servizio poiché tremendamente fotogenici ed affascinanti. Sembrava
l'occasione perfetta nonostante sapesse che Liesel non avrebbe
esitato a tagliargli la testa.
“Perfetto.” annuì
convinto.
***
Era decisamente
abituato alla bizzarria che lo caratterizzava da ventiquattro anni ma
quando si rese conto di aver dormito in bagno qualcosa gli disse che
questa si era ulteriormente evoluta.
I muscoli della schiena
– poggiata da tutta la notte al freddo muro in piastrelle bianche –
gridavano aiuto indolenziti ed un mal di testa lacerante lo stava
dilaniando. Era stato il suo cellulare, ancora nella tasca dei jeans,
a svegliarlo. L'improvvisa vibrazione alla gamba l'aveva fatto
sobbalzare riportandolo alla realtà con una velocità inaudita.
Doveva ancora regolarizzare il battito accelerato del suo cuore,
vittima di uno spavento.
Con un grande sospiro
si sfregò gli occhi appesantiti dal sonno per poi recuperare
l'oggetto malefico che ancora squillava imperterrito. Aggrottò la
fronte quando lesse il nome di David sullo schermo.
“Pronto.” borbottò
sfregandosi il viso quasi con disperazione.
“Considerata la
tua bellissima voce mattutina, deduco abbiate fatto baldoria ieri
sera.”
Considerato il mio
risveglio in bagno, direi lo stesso. Fu solamente un tacito
pensiero che si guardò bene dal pronunciare. David era di larghe
vedute ma quella mattina non aveva decisamente voglia di dare
spiegazioni.
“Che cazzo di ore
sono?” mugugnò guardandosi attorno come potesse trovare un
orologio, completamente dimentico di avere il cellulare a portata di
mano.
“Da voi è
mezzogiorno.”
Tom inarcò un
sopracciglio. Credeva fosse ancora l'alba.
“Quindi lì sono
le...” fece una smorfia mentre si sforzava di mettere in moto il
cervello e aggiungere un dannato nove al dodici. In quel momento
sembrava la cosa più difficile del mondo.
“Le nove di sera,
Tom.” gli venne in contro il manager.
“Giusto.” mormorò
il chitarrista per poi aggrapparsi con una mano al lavello nella vana
impresa di alzarsi dal pavimento decisamente poco comodo per la sua
schiena.
Una volta in piedi –
non senza qualche barcollio – si diede un'occhiata allo specchio. I
capelli erano raggruppati in una coda ormai sfatta e ciocche nere gli
cadevano davanti agli occhi completamente arruffate. Il viso segnato
da profonde occhiaie bluastre fu un futile dettaglio se paragonato
all'aria sbattuta che lo avvolgeva.
“Se ti parlo di
lavoro, riesci a capire?” gli domandò con chiaro sarcasmo
David portandolo a fare un'altra smorfia.
“Ci provo.”
Poggiò il cellulare
sul ripiano accanto al lavandino ed attivò il viva-voce. Aprì il
rubinetto dell'acqua.
“Dunque, mi ha...
Stai facendo pipì?”
Tom sollevò gli occhi
al soffitto con fare disperato.
“Mi sto lavando la
faccia, David.” bofonchiò prima di rinfrescarsi finalmente il
viso.
“Dicevo...”
si schiarì la voce il manager. “Mi ha chiamato Neal Evans.”
Per quanto si sforzasse
di ricordare, quel nome proprio non voleva trovare un'identità nella
sua memoria.
“Ricordami chi è.”
disse per poi nascondere il volto bagnato in un asciugamano.
“Il fotografo.”
Il moro si illuminò, ora conscio. L'amico della teppista,
ricordò la sua mente. “Mi ha detto che gli siete piaciuti
particolarmente e vorrebbe fotografarvi di nuovo.”
“Sì, ce l'aveva già
detto.” confermò mentre spremeva un po' di dentifricio sullo
spazzolino.
“Vi ha detto anche
che vi vorrebbe per Vogue?”
Tom immobilizzò lo
spazzolino a mezz'aria, sorpreso.
“No, questo gli è
sfuggito.” fece poi prendendo a spazzolarsi i denti con vigore.
“Beh pare che
Vogue voglia lanciare la nuova linea uomo, di marchio Rodarte, di una
certa Liesel Petrova e –”
Tom sputò
immediatamente la schiuma nel lavabo.
“Di chi?” domandò
confuso. Aveva sentito bene?
“Liesel Petrova.”
ripeté il manager pazientemente.
Si lasciò scappare un
sorrisetto scuotendo appena la testa.
L'ironia della
sorte. Non immaginava che quella pazza psicopatica fosse una
stilista e anche di alto livello. L'avrebbe vista meglio come pilota
di auto da corsa o qualcosa di simile.
Si sciacquò la bocca
con il getto d'acqua e chiuse il rubinetto. Una volta che anche le
mani furono perfettamente asciutte, recuperò il telefono e disattivò
il viva-voce.
“La conosco.” si
limitò a dire. “È quella che mi ha distrutto la macchina.”
decise di enfatizzare.
“Bene.”
esclamò ironico l'uomo. “Mi sembra un ottimo inizio.” Tom
borbottò un qualcosa che nemmeno lui seppe decifrare. “Ad ogni
modo, ti lascio il numero di telefono di Neal così potete parlarne e
mettervi d'accordo. Secondo me è una bellissima occasione per
apparire di nuovo dopo DSDS, almeno in parte.” Tom annuì
pensieroso, come David lo potesse vedere. Effettivamente da quando
lui e Bill avevano deciso di trasferirsi a Los Angeles e prendersi un
periodo piuttosto lungo di pausa, la notorietà era per forza di cose
andata a calare. Nonostante tutto, l'affetto di gran parte delle loro
fiduciose fan era rimasto immutato, motivo per cui provavano un gran
sentimento di gratitudine nei loro confronti ed una voglia di non
deluderle che non erano nemmeno in grado di quantificare. Forse
apparire in un servizio fotografico – per Vogue oltretutto –
sarebbe stato un modo per dire 'Siamo ancora vivi e stiamo lavorando
per voi, abbiate fiducia'. “Comunque ora ti lascio al tuo
traumatico risveglio. Fatemi sapere tutto, d'accordo?” continuò
David.
“Sì.” confermò
lui.
“Ciao, Tom.”
Chiuse la telefonata e
fece un sospiro di circostanza. Aveva bisogno di una bella doccia
rinfrescante ma prima di soddisfare i suoi bisogni uscì dal bagno
per dirigersi verso la stanza di suo fratello. Fece il proprio
ingresso come sempre senza bussare – non che avesse mai
rappresentato un problema – e riducendo gli occhi a due mezzelune
cercò di farsi strada nell'oscurità. Riconobbe il tasto della
tapparella automatica e non esitò nel pigiarlo così che qualche
raggio di luce illuminasse la stanza a soqquadro.
Non riuscì a
trattenere una risata nel mettere a fuoco la figura del vocalist
davanti a sé. Bill dormiva di sasso, steso con la pancia sul
materasso, goffamente abbracciato ad un ammasso di morbidi cuscini ed
un rivolo di bava – ormai asciutta – a tracciare uno strano
percorso dalla bocca alla federa. Tutto nella norma se non fosse
stato completamente nudo – il suo prezioso e roseo sedere all'aria
a testimoniare.
Soffocando un attacco
di ridarella improvviso, prese a punzecchiargli l'indice contro una
natica.
“Bill.” lo chiamò.
Il fratello non reagì. “Bill?” ripeté pazientemente, ora
scuotendolo dalla spalla. Se non fosse stato per il suo pesante
respiro, si sarebbe fatto prendere dal panico credendolo morto.
“Bill!” urlò quella volta, persa la pazienza, e sorrise nel
constatare che aveva funzionato.
Il biondo sollevò di
scatto la testa prendendo a guardarsi attorno con occhi piccoli.
“Che succede?”
domandò spaurito.
“Ti hanno stuprato o
hai deciso di far prendere un po' d'aria al culo?” sollevò un
sopracciglio con sarcasmo il chitarrista godendosi quella fantastica
scena di suo fratello che cercava di ricreare un contatto con la
realtà.
“Cosa vai
blaterando?” mugugnò il vocalist mentre si stiracchiava appena con
la faccia nascosta nel cuscino. “Fammi dormire, cazzo.”
“È mezzogiorno e ha
chiamato David, direi che faresti meglio ad alzarti.”
“Che voleva David?”
si informò il gemello senza sollevare il viso e rendendo in questo
modo la sua voce ovattata.
“Te lo dico quando ti
degni di sollevare quelle tue preziosissime chiappe dal letto. Per
quanto possa eccitare molte ragazze l'idea di vederti completamente
nudo, io preferivo vivere nell'ignoranza.”
Bill finalmente sollevò
il viso dal cuscino e con la fronte aggrottata si voltò in direzione
del suo didietro.
“Dove cazzo sono le
mie mutande?” domandò esterrefatto.
“Mi aspettavo che
almeno tu lo sapessi.” commentò Tom ironico. Sbuffando sonoramente
Bill si mise a sedere, questa volta in direzione di suo fratello che
inorridì alla vista dei suoi gioielli di famiglia all'aria.
“Diamine, fratello! Copriti!”
“Come non avessimo
mai fatto docce insieme.” borbottò Bill coprendosi il bacino con
il lenzuolo.
“Avevamo cinque
anni.” ribatté il chitarrista. “Ad ogni modo, mi ha dato il
numero di Neal, il fotografo.”
“Perché?” domandò
confuso il biondo mentre si sfregava un occhio. “Avevo capito che
avesse tendenze omosessuali ma che addirittura David gli desse –”
“È per lavoro,
idiota.” lo interruppe il moro dopo aver sollevato gli occhi al
soffitto con fare sconfortato. “Ci vuole per Vogue.”
Lo sguardo di Bill si
illuminò di pura sorpresa ed eccitazione, esattamente come Tom aveva
previsto.
“Così suona già
diversamente.” commentò interessato.
“Gli serviamo come
modelli per una nuova linea uomo Rodarte.”
“Adoro Rodarte!”
esclamò Bill entusiasta.
“Sì e scommetto che
adorerai anche colei che ha ideato questa linea.” sorrise
ambiguamente il chitarrista. Allo sguardo accigliato del fratello,
decise di chiarire. “La pazza psicopatica, attentatrice di auto.”
Il biondo lo scrutò
per qualche attimo, basito.
“Sei serio?”
domandò come un pesce in un acquario.
“Come la morte.”
“E da quando fa la
stilista?”
“Pare da sempre.”
Sospirò appena. “Comunque, alzati e cerca di riprenderti, sei
orribile stamattina. Così chiamiamo questo Neal per metterci
d'accordo.”
***
“Ma che cosa ti devo
dire?! Se la cava!”
Sbuffò per l'ennesima
volta mentre si apprestava a mescolare la pasta intenta a cuocersi
nell'acqua sotto le domande del tutto indiscrete del suo migliore
amico circa le doti fisiche ed il talento sessuale di Morris.
“Tutto qui? Non vai
mai con uno che se la cava e basta.” commentò con malcelata
malizia il biondo, alle sue spalle.
“Se la cava
egregiamente, contento?”
“No.” sorrise Neal
per poi affiancarla. “Voglio i dettagli.”
“Tu stai male.”
“E dai! Io ti
racconto i miei!”
“Ma non ti ho mai
chiesto di farlo!”
“Non ti sei mai
tappata le orecchie però.” Liesel sospirò affranta. “Mi
sembrava ben messo fisicamente, no?”
“A cosa ti
riferisci?”
“Solo al fisico in
generale, porcellina.”
“Io sarei la
porcellina?!” Lei e Neal avevano sempre condiviso tutto nella loro
vita, senza alcun tipo di tabù. Eppure riteneva esistessero ancora
quelle poche cose che preferiva mantenere private poiché ormai
scarseggiavano. Neal sapeva tutto della sua esistenza – non che
questo le dispiacesse – e voleva che almeno la sua vita sessuale –
quel poco che le era rimasto di privato – rimanesse tale. Il che
era piuttosto retorico dato che, in ogni caso, il ragazzo sapeva
sempre quando e con chi faceva sesso. “Comunque sì, era ben
messo.”
“Ora tu a cosa
ti riferisci?” fece il ragazzo furbescamente.
“Neal, giuro che ti
infilo il mestolo nel culo.” lo minacciò stringendolo in mano
mentre continuava a girare la pasta.
“Adoro la tua
finezza.” la prese in giro lui. “E poi, potrebbe essere
piacevole.” aggiunse con malizia sotto il suo sguardo quasi
scioccato.
L'improvvisa suoneria
del cellulare di Neal interruppe quell'infinito botta e risposta.
“Dio ti ringrazio!”
esclamò la mora, finalmente libera dalle grinfie dell'amico.
“Non credere,
continuiamo dopo. Pronto?” rispose senza abbandonare la cucina.
“Ah, ciao, Tom!” Liesel mollò immediatamente il mestolo e si
avvicinò a Neal con aria sospettosa. “Sì, ho sentito il tuo
manager stamattina.” sorrise il ragazzo mentre la mora lo scrutava
sempre più minacciosa. Cosa diamine stava confabulando con
quell'idiota? Liesel cominciò a gesticolare e sbracciarsi con
l'intento di fargli inserire il viva-voce scatenando così l'ilarità
di Neal, cosa che la innervosì ancora di più. Solamente il fatto
che il riccone avesse il suo numero di telefono era qualcosa da
dimenticare ed anche con una certa urgenza. Da quando erano entrati
così in confidenza? Perché aveva il suo numero? Perché gli aveva
telefonato? “Ah, bene!” annuì Neal con fare inspiegabilmente
soddisfatto.
Liesel provò ad
attaccare il proprio orecchio al suo cellulare – con l'intento di
udire una semplice parola che potesse farle comprendere di cosa
stessero blaterando – ma Neal si allontanò.
“Neal, che cazzo!”
sbatté un piede per terra la ragazza, terribilmente curiosa.
“Sì.” continuò ad
ignorarla l'amico. “No, lei ancora non lo sa.” sorrise poi con
malizia nella sua direzione.
Se Liesel fosse stata
in possesso di antenne, si sarebbero drizzate immediatamente.
“Che cosa non so? Che
cazzo non so?!” esclamò velocemente questa volta ad alta voce
senza preoccuparsi del fatto che la potesse udire il chitarrista.
Cominciava seriamente a preoccuparsi. “Neal, passami l'idiota!”
“Sì, è qui.”
ridacchiò il biondo cercando di sfuggire dai suoi inutili tentativi
di afferrargli il cellulare.
“Neal, giuro sul mio
lavoro che se non mi dai immediatamente il telefono ti ritroverai le
valigie fuori di casa!”
“No, non ha il ciclo.
È così da ventitré anni.”
“Mi prendete anche
per il culo?! Vado a farti le valigie!” sbraitò infine facendo per
uscire dalla cucina. “Neal, sto andando!” lo minacciò ancora una
volta sotto le risate dell'amico.
“D'accordo, te lo
passo!” si arrese il biondo con disperazione. “Scusala.”
mormorò ancora a Tom prima che Liesel gli strappasse il telefono di
mano.
“Senti tu,
mangiacrauti che non sei altro, che diavolo state confabulando alle
mie spalle?” parlò senza nemmeno riflettere sotto lo sguardo
contrariato di Neal.
“Ti svegli sempre
così di buonumore, Bulgaria?” le domandò il ragazzo
dall'altro capo del telefono.
“Per tua sfortuna,
sì. Allora?” insistette battendo un piede a terra in un ritmo per
niente musicale e con evidente impazienza. Si sentiva particolarmente
irritata, ancor di più se presa in giro.
“Puoi fartelo
spiegare tranquillamente da Neal.” ribatté placidamente il moro.
Poteva sentire il fumo uscire dalle orecchie. “Indizio: c'entrano
le tue preziose manine.”
Liesel sgranò gli
occhi, rossa dalla rabbia. Si voltò con sguardo assassino verso Neal
– che indietreggiò spaventato – e fece qualche passo
intimidatorio nella sua direzione.
“Che gli hai
promesso, brutto stronzo pervertito?!” urlò livida sotto lo
sguardo esterrefatto del biondo.
“Eh?” sollevò un
sopracciglio questo come non avesse la minima idea di cosa stesse
parlando.
“Calma i bollori,
Italia. Non è niente di sessuale, non sono così disperato.”
sentì parlare di nuovo Tom dall'altra parte.
“Cosa vorresti
insinuare?”
“Assolutamente
nulla. Ora mi passi di nuovo il tuo amico così ci mettiamo
d'accordo sulle ultime cose?”
Liesel sbatté il
cellulare sul petto di Neal – che riuscì ad afferrarlo al volo –
e gli diede nuovamente le spalle per tornare ad occuparsi della pasta
ormai scotta. Interamente incollata, immaginava fosse immangiabile.
Era decisamente curiosa
di sapere che razza di scherzo di discutibilissimo gusto le stesse
organizzando Neal. Il fatto che non l'avesse nemmeno interpellata la
mandava in bestia.
Decise di tapparsi le
orecchie, anche se figuratamente, e smettere di ascoltare quella
conversazione poiché avrebbe solamente alimentato il suo nervosismo.
Chi si credeva di
essere quella rockstar viziata? Odiava le rockstar, odiava i ricconi
e odiava gli uomini. Ironia della sorte, Tom rientrava perfettamente
in tutte e tre le categorie, incluso suo fratello. Dopo lo scherzo
della macchina, l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era risentire
la sua voce così dannatamente irritante. Non aveva mai incontrato
quei due prima di allora, come poteva essere possibile che in un paio
di giorni fossero entrati così prepotentemente nella sua esistenza
quasi perfetta? Meno li voleva, più questi in un modo o nell'altro
si ripresentavano.
“D'accordo. Ciao,
Tom.” Neal chiuse la telefonata. Liesel gli dava ancora le spalle.
Scolò la pasta – o meglio, l'ammasso incollato di presunto cibo –
con fare seccato. “Rompipalle.” lo sentì parlare con quella che
doveva essere un'aria divertita in volto.
“Non ti aspettare che
ti parli.” ribatté la mora continuando a trafficare sul bancone,
intenta ad impiattare quel fallimento culinario.
“L'hai appena fatto.”
le fece notare lui. Liesel tacque, nervosa. “Se ci sediamo a tavola
ti spiego tutto con calma. Sono sicuro che non ti dispiacerà, anzi.”
“Mi stai diventando
amico per la pelle dei ricconi?” sbottò acidamente la bruna
dirigendosi nel frattempo al tavolo dove posò malamente i piatti.
“Sempre a trarre
conclusioni affrettate.” sorrise il ragazzo mentre le si sedeva di
fronte. “E poi ti ho già detto che sono persone piacevoli.”
“Non ho dubbi.”
fece una smorfia scettica lei cercando di districare con la forchetta
i dannati spaghetti che non volevano saperne di staccarsi l'uno
dall'altro. “Per colpa di quell'idiota mi si è anche scotta la
pasta.” sbuffò contrariata.
“Quanto la fai nera.”
la prese in giro Neal per poi portarsi alla bocca la prima
forchettata. “Comunque...” fece masticando. Attese di ingoiare e
riprese a parlare. “Ho contattato il manager dei gemelli per te.”
“Che pensiero
carino.” fece con sadico sarcasmo Liesel senza guardarlo mentre
continuava a combattere con la pasta.
“Vogue mi ha
assegnato il servizio fotografico per la tua linea.” A ciò, la
ragazza sollevò appena lo sguardo su di lui. “Mi è stato detto di
cercare personaggi televisivi e per quanto loro ti possano
infastidire, sono i migliori che io abbia mai fotografato. Sono
perfetti per lanciare la tua linea. Vuoi che tu non ne guadagni dalla
loro notorietà? Non ci hai nemmeno pensato per un momento.” Liesel
si morse un labbro. “Sono il tuo migliore amico, ormai dovresti
sapere che non faccio nulla per darti contro ma che cerco sempre di
trovare il meglio per te. E sei incredibilmente stronza a pensare che
io l'abbia fatto per dispetto.”
Era vero, l'aveva
pensato. Ma non per mancanza di fiducia.
Era già successo che
Neal in passato la ponesse di fronte a ciò che più la infastidiva
per farla ricredere; quel giorno aveva pensato avesse tentato di fare
lo stesso. Era un ragazzo bizzarro, investito da improvvise idee
spesso discutibili. Doveva dargliene atto.
Liesel distese il volto
in un piccolo ed ironico sorriso.
“Lo sai che io e la
stronzaggine non viaggiamo mai separate.” cercò di sdrammatizzare.
Vide Neal lasciarsi
andare ad una smorfia divertita.
“Lo so, purtroppo.”
borbottò. “Ce la farai a collaborare con i ragazzi senza
ucciderli?”
Liesel sospirò appena.
“Tenterò il
mio meglio.” commentò ricevendo uno sguardo di rimprovero
dall'amico. “Lavorare con loro non significa farmeli piacere per
forza.” si giustificò con una scrollata di spalle.
“Sei prevenuta.
Nemmeno li conosci.”
“Due rockstar che si
fanno pagare per un graffietto alla macchina hanno già detto tutto.”
Neal prese a scuotere
la testa con un sospiro stremato.
“Fossilizzata sulle
sue idee.” borbottò facendola sorridere.
***
“Io continuo a
pensare che quella sia completamente pazza.” commentò Tom subito
dopo aver riattaccato.
Aveva avuto occasione
di incontrare nella sua vita gente poco normale, bizzarra, folle e
quant'altro. Eppure mai aveva rasentato livelli di nevrosi talmente
elevati. Gli sembrò di sopravvivere a quella telefonata come un
militare alla guerra. La parlantina della ragazza l'aveva non poco
sorpreso.
“Perché?” chiese
Bill senza guardarlo, troppo interessato a risolvere qualche strano
rompicapo sul suo i-phone.
“Ha cominciato a
sbraitare prima ancora di sapere di che diamine stessimo parlando io
e Neal.” gesticolò il chitarrista sedendoglisi di fronte, dalla
parte opposta del tavolo.
“Beh, per lei sei il
riccone che le ha fatto sganciare i soldi per un risarcimento.”
sollevò le spalle il vocalist con fare ovvio.
Sì, ma lei era la
psicopatica che gli aveva rovinato la macchina!
“Sì, risarcimento
che mai è avvenuto, peraltro.” commentò scettico il moro
picchiettando nel frattempo le dita sul tavolo.
“Questo lei non lo
sa.”
“Avrei potuto fare lo
stronzo e portare la constatazione amichevole all'assicurazione.
Anzi, sto cominciando a pentirmi di non averlo fatto.”
“Lascia perdere, che
ti importa?”
Sospirò pesantemente e
decise di alzarsi di nuovo.
“Vado a farmi la
doccia.” annunciò per poi salire di corsa le scale.
Al diavolo quella
pazza.
***
Cene di famiglia.
Avesse potuto depennarle dalla storia, l'avrebbe sicuramente fatto.
Non che avesse particolari problemi nel vedere sua madre o Phil o suo
fratello Steven. Il vero problema era vederli insieme, o meglio,
vedere Steven fremere per andarsene con i suoi amici, Phil
osservarlo con la delusione negli occhi e sua madre agitata per la
sua prossima mossa. Non era esattamente ciò cui più avrebbe voluto
assistere quella sera, dato che di gatte da pelare già ne aveva e
portavano il nome di Bill e Tom Kaulitz.
Due dannatissime
gatte da pelare.
Sbuffava, intenta a
frugare nel suo enorme armadio sperando di trovarvi qualcosa di
adeguato per una cena di famiglia – non che le avessero mai fatto
storie riguardo il suo vestiario – che non comprendesse minigonne o
maglie trasparenti. Alla fine optò per un vestitino dalle tinte
floreali ed un paio di sandali bianchi ai piedi. I lunghi capelli
castani furono raggruppati in una crocchia scomposta e gli occhi
colorati con dell'ombretto marroncino, una sottilissima linea
d'eye-liner e mascara.
Poteva andare.
Si affrettò a
raggiungere il bagno dove sapeva Neal si stesse preparando. Pur
essendo un uomo, impiegava il doppio del tempo che poteva impiegare
lei, il che era piuttosto inquietante.
Aprì la porta senza
troppi preamboli.
Davanti a lei il
ragazzo sobbalzò lasciando cadere a terra il rasoio con il quale era
intento a tagliarsi la barba per poi fulminarla con lo sguardo.
“Prego, entra pure.”
borbottò sarcastico mentre si piegava per recuperare ciò che aveva
involontariamente gettato con il viso per metà ancora coperto da
schiuma bianca.
“È una cosa
necessaria?” domandò Liesel picchiettando un piede contro il
pavimento.
“Sì se non voglio
dare l'impressione di un barbone.” rispose semplicemente lui senza
staccare lo sguardo dallo specchio, troppo impegnato a radersi per
prestarle reale attenzione.
“No, intendo questa
cena.”
Gli occhi dell'amico
finalmente la sfiorarono con espressione corrucciata.
Quella sera si sentiva
particolarmente in ansia. Non era la prima volta che Steven finiva in
commissariato ma non si erano mai più parlati da allora, se non
nella mezza telefonata del giorno prima durante la quale l'aveva
liquidata in nemmeno due minuti con la scusa del lavoro. Sapeva che
avrebbe regnato la tensione – come sempre – in quella tavola.
“Perché no? È la
tua famiglia.” rispose Neal con un'alzata di spalle prima di
tornare a rimirarsi allo specchio.
“Una famiglia
particolare.” commentò lei incrociando le braccia al petto.
“Solo per tuo
fratello. Tua madre e Phil sono le persone più piacevoli che io
conosca.”
“Sì, lo so.”
“E allora qual è il
problema?”
Liesel sbuffò
agitandosi appena.
“Non voglio che cali
il silenzio a tavola. È una cosa che odio.”
“Tutto qui?”
sorrise Neal. “Se è per questo, sfodererò la mia inimitabile
logorrea. Non sentirai nemmeno l'odore di punti morti. E sai che è
vero.” Sì, sapeva quanto instancabile potesse essere il biondo se
preso da uno dei suoi attacchi di logorrea acuta ma il problema era
ben diverso. Sentiva che quella serata sarebbe inevitabilmente stata
rovinata da suo fratello. “Senti, Liesel, se è Steven il problema,
cerca di non pensarci. Sappiamo tutti com'è fatto. È un ragazzo
difficile e ribelle e ormai ci si può aspettare di tutto da lui.
L'unica cosa che puoi fare è ignorare qualsiasi cosa negativa faccia
stasera. Pensa solo a passare un po' di tempo con tua mamma, ne avete
bisogno entrambe.”
Annuì.
Neal aveva ragione ma
Liesel non era per natura in grado di passare sopra alle
problematiche. Lei era quella che ribatteva, era quella che non
ingoiava le provocazioni o stava zitta di fronte a tutto ciò che non
le andasse a genio. Era un carattere esuberante, dinamico, istintivo
e fin troppo sincero. L'autocontrollo non sapeva nemmeno cosa fosse,
come aveva già avuto modo di dimostrare in non poche occasioni.
Quando finalmente Neal
si reputò presentabile, abbandonarono casa e salirono in auto.
Durante la guida,
Liesel prese a pensare alla serata che Neal aveva passato con Damian
e benché la voglia di sentir parlare dell'idiozia formato persona
fosse pari a zero, la curiosità aveva scelto come sempre di
prevalere.
“Non mi hai
raccontato com'è andata con Damian alla fine.” parlò
all'improvviso dopo aver abbassato di qualche tacca il volume della
radio precedentemente accesa.
“Ti interessa sul
serio saperlo?” le domandò Neal in tutta tranquillità ma non
abbastanza perché Liesel non se ne risentisse.
“Certo che mi
interessa, sei il mio migliore amico.”
“Non volevo
offenderti. È che so che non ti piace quindi se preferissi non
sentirne parlare non sarebbe strano, anzi.”
“Invece ne voglio
sentire parlare se riguarda te.”
“D'accordo.” Si
schiarì la voce. “Abbiamo avuto una discussione.” Liesel
aggrottò la fronte e si voltò per un secondo verso il biondo prima
di tornare a concentrarsi sulla strada. “Diciamo che il tuo
discorso sul fatto di nascondersi mi ha fatto un po' riflettere così
ho avuto la geniale idea di farglielo notare.”
“Immagino la sua
reazione.” borbottò la bruna in una smorfia.
“La solita, insomma.
Io sono un modello, sono una persona nota, ho una certa
reputazione da difendere, sai cosa la società pensi dei gay al
giorno d'oggi... Sul serio, nulla di nuovo.” concluse Neal con
un sospiro frustrato.
Liesel percepì le mani
prudere. Se solo quel ragazzo si fosse accorto di quale incredibile
opportunità si stesse lasciando sfuggire. Aveva sempre sostenuto che
chiunque si fosse lasciato scappare Neal sarebbe stato un grandissimo
idiota. Lei per prima, se non fosse stato gay, l'avrebbe tenuto
stretto a sé – motivo per cui si reputava decisamente fortunata ad
averlo come amico.
“E com'è andata a
finire?” si informò di nuovo senza guardarlo.
“Secondo te? Con il
sesso.”
Tipico.
Scosse la testa
contrariata. Non ne sarebbero mai venuti a capo.
“Non potete
continuare a soffocare tutti i problemi nel sesso. Dovete parlare,
cazzo.”
“Fosse stato per me,
li avremmo già risolti da un bel pezzo di fronte ad una tazza di
tè.”
Liesel sospirò appena.
“È ingiusto, Neal.”
mormorò dopo qualche attimo.
“Ci risiamo.”
“Sì, ci risiamo e
penso che non la smetterò fino a che non ti renderai conto
dell'enorme stronzata che stai facendo.”
“Vogliamo elencare le
tue, di stronzate?”
“No, troppo
complicato.” Calò per qualche secondo il silenzio fino a che
entrambi non si lasciarono andare ad una piccola risata. “Sei uno
stronzo.”
“Lo so.”
***
“Tesoro.” sorrise
sua madre Mara – nel suo tenero accento italiano – non appena la
porta di casa venne aperta.
“Ciao, mamma.”
ricambiò Liesel lasciandosi stringere dalla donna.
Doveva ammettere che,
da quando aveva deciso di fare le valigie e cercare una casa tutta
sua, le loro tipiche chiacchierate madre-figlia di tanto in tanto le
mancavano. Ricordava i tempi del liceo, quando tornava a casa dopo
una giornata burrascosa – la scuola non le era mai andata a genio
e, per un motivo o per un altro, la sua antipatia nei confronti dei
professori veniva spesso ricambiata – e sua madre era pronta con un
bel piatto di pasta all'italiana che sapeva l'avrebbe tirata su di
morale, seguita da una lunga chiacchierata intrisa di risate ma
soprattutto tanta comprensione.
Sua madre era l'unica
persona cui avesse mai fatto affidamento nella vita. Forse perché
l'aveva cresciuta in completa solitudine per i primi tre anni. Erano
legate da qualcosa di viscerale.
“Neal, tesoro.”
Abbracciò il ragazzo
con lo stesso calore con il quale aveva accolto lei.
Anche Phil fece la sua
comparsa con un grande sorriso. Guardandolo si poteva facilmente
intuire da chi Steven avesse preso esteticamente. Erano due gocce
d'acqua. Stessi capelli color castano chiaro, stessi occhi del
medesimo colore, un corpo snello e muscoloso ed una buona altezza. Al
contrario, la somiglianza fra Liesel e Steven pareva inesistente.
Il ragazzo fece poco
dopo il suo ingresso in cucina dove tutto era già pronto a tavola.
“Ciao, Neal.” fece
senza troppo entusiasmo per poi fare un cenno alla sorella con il
capo.
Nulla di nuovo. Con un
po' di pazienza e sangue freddo sarebbe giunta illesa alla fine di
quella serata.
Un delizioso profumo le
invase le narici quasi stordendola.
Il lato positivo di
quelle cene era la cucina italiana, nonostante Phil fosse capocuoco
del Providence specializzato in pesce. Liesel aveva appreso qualche
ricetta passatale generosamente dalla madre ma il mondo era ormai al
corrente di quanto impedita fosse dal punto di vista culinario e, per
tale ragione, mangiare qualcosa di preparato da Mara era senza dubbio
più soddisfacente dei suoi esperimenti spesso pericolosi. L'unico
munito di coraggio in grado di mangiare le sue leccornie era proprio
Neal ma per una pura questione di sopravvivenza: se Liesel non era
brava a cucinare, Neal era anche peggio, e per forza di cose avevano
finito per optare per la cucina meno assassina delle due.
“Sento odore di
lasagne!” esclamò Neal sedendosi a tavola, affianco a Liesel.
Steven di fronte a loro e Mara e Phil a capotavola.
“Hai buon fiuto.”
sorrise Mara prima di sollevare il coperchio dalla teglia che aveva
precedentemente posato al centro del tavolo. Il fumo liberatosi da
essa lasciò il posto ad un aroma inebriante.
“Beh, buon appetito.”
si sfregò le mani Phil prima di servirsi.
“Allora, come vanno
le cose, tesoro?” domandò Mara alla figlia mentre anche lei si
riempiva il piatto.
“Tutto bene. Verrà
creata una mia linea uomo.”
“Ma è fantastico!”
esclamò Phil con sguardo sorpreso.
“Non me l'avevi
detto!” sorrise emozionata la madre. “Bravissima, Liesel. Sono
davvero fiera di te.”
“Grazie, mamma.”
Fin da piccola, quella
frase aveva rappresentato per lei una sorta di via libera. L'idea di
rendere sua madre orgogliosa per ciò che faceva nella vita era
qualcosa di terribilmente appagante e la spronava a fare sempre
meglio.
“Quando avverrà?”
si informò Phil.
“Non so ancora i
dettagli ma pare abbastanza presto.”
“Bene.”
La cena proseguì nella
calma e nella totale serenità, cosa del tutto inaspettata ed
insolita. Steven non aveva ancora proferito parola se non per farsi
passare il pane o il sale. Certo era che quel suo mutismo la rendeva
non poco ansiosa, come se da un momento all'altro scoppiasse una
bomba innescata di nascosto.
“Uomini in vista?”
domandò improvvisamente Mara prendendola in contropiede.
“Per me o per lei?”
chiese Neal facendo scoppiare tutti a ridere.
“Giusto,
dimenticavo.” ridacchiò la donna. “Per tutti e due.” scrollò
le spalle infine.
“Per me il solito
stronzo.” fece quindi il biondo come fosse una cosa da poco conto.
“Ma per il momento sto bene così.”
“Un certo Damian, se
non ricordo male?”
“Proprio lui.”
“Aprirà gli occhi e
si accorgerà del tesoro che si sta facendo sfuggire. E tu?” si
rivolse poi alla figlia, la quale aveva finto indifferenza fino a
quell'istante per scampare la fatidica domanda.
“Io ho chiuso con gli
uomini per ora.” rispose decisa fissando il proprio piatto e
giocherellando con una mollica di pane.
“Non puoi ragionare
così a ventitré anni. Solo perché hai incontrato un imbecille
nella tua vita non significa che sono tutti così.”
“È quello che le
dico sempre anch'io ma non ne vuole sapere.” intervenne Neal.
Liesel gli scoccò un'occhiataccia. “Per esempio, quel Morris era
piuttosto interessante.” la stuzzicò poi.
Liesel si fermò dal
lanciargli il piatto.
“Chi è Morris?” si
informò Mara piuttosto interessata.
“Non è nessuno,
mamma.” borbottò Liesel stancamente.
“Vuol dire che ci ha
scopato.” commentò Steven senza nemmeno sollevare lo sguardo su di
loro, troppo occupato a smanettare con il suo cellulare.
“Tu sei stato zitto
fino adesso e tutto d'un tratto decidi di dar voce alle tue cazzate?”
ribatté Liesel irritata mentre percepiva la mano di Neal posarsi
leggera sul suo braccio, come per ricordarle di mantenere la calma.
“Io parlo quando e
come mi pare.” Questa volta Steven sollevò lo sguardo di sfida su
di lei. “Almeno io non vado in giro ad aprire le gambe.” la
provocò senza il minimo rispetto, cosa che le riempì lo stomaco di
incredibile ira.
“Steven!” lo
richiamò Phil nervosamente.
“Io invece non sniffo
fino a bruciarmi i neuroni.”
Il silenzio calò a
tavola. Liesel sentiva i muscoli tremare dal nervoso, persino dopo
aver pronunciato quell'ultima frase che l'aveva messo inevitabilmente
a tacere. Odiava doverlo fare davanti a sua madre, odiava dover
portare a galla ciò che con ostinazione ignoravano. Ma quella volta
suo fratello aveva superato il limite e troppe cose represse erano
dovute uscire dalle sue labbra. Lui non si doveva permettere di
giudicarla. Proprio lui.
“Sei una stronza.”
fu un sussurro.
A quel punto Steven si
alzò quasi con violenza dalla sedia per poi abbandonare con rabbia
la cucina. Tutti strinsero le palpebre al forte tonfo della porta di
casa che con forza veniva sbattuta.
Nessuno ebbe ancora il
coraggio di parlare. Solo un lieve ticchettio di posate che ormai
venivano abbandonate sui piatti fino a che sua madre non si alzò per
sparecchiare la tavola.
Liesel chiuse gli occhi
e desiderò levare le tende il prima possibile.
Quel sentore che
l'aveva perseguitata per tutta la sera ancora una volta si era
rivelato fondato ed ora si sentiva incredibilmente stremata. Non
avevano mai discusso a tavola menzionando la questione droga. Vi
avevano sempre girato attorno senza mai pronunciare quella parola che
pareva infuocata sulle loro labbra. Solo Liesel aveva sempre avuto il
coraggio di dire ciò che pensava senza farsi troppi scrupoli. Alla
fine, era un dato di fatto: Steven si drogava. Non vi era nulla di
difficile da capire, quindi perché tanto chiasso nei confronti della
semplice verità? La verità, per quanta paura potesse fare alle
volte, era inevitabile e necessaria, e questo sua madre lo doveva
capire. Immaginava quanto difficile potesse essere per lei e Phil
vedere il proprio figlio rovinarsi di giorno in giorno ma non
prenderne atto era da stupidi. Si andava solamente a mettere una
pezza laddove prima o poi tutto sarebbe esploso, esattamente come
quella sera.
Phil si schiarì
improvvisamente la voce.
“Beh, io sono un po'
stanco. È mezzanotte e oggi ho lavorato parecchio.” si arrampicò
sugli specchi con qualche difficoltà per poi alzarsi dalla sedia e
fare il giro del tavolo. “Ciao, Liesel.” le disse non appena la
raggiunse per poi stamparle un bacio sulla fronte. “Ciao, Neal.”
Gli posò una mano sulla spalla e poi sparì dalla cucina.
Liesel e Neal si
scambiarono un'occhiata veloce.
“Io vado un attimo in
bagno.” annunciò il ragazzo sotto lo sguardo grato di Liesel.
Sapeva che lo faceva per darle un po' di privacy con sua madre.
Capiva sempre tutto al volo.
Quando si ritrovarono
sole, Liesel sospirò.
“Mi dispiace, mamma.”
mormorò in colpa osservandole la schiena mentre era intenta a lavare
le stoviglie nel lavandino.
“No, non ti devi
dispiacere.” rispose la donna tentando di esternare dolcezza.
“Siamo noi che ci ostiniamo ad ignorare i fatti.” Liesel si alzò
per poi affiancarla poggiando un gomito sul bancone. “Forse non
siamo dei buoni genitori.” sussurrò mentre gli occhi cominciavano
ad inumidirsi.
Una morsa allo stomaco
per poco non fece piegare la bruna su se stessa. Odiava vedere sua
madre piangere ma soprattutto demolirsi.
“No, mamma, non siete
dei cattivi genitori.” si affrettò a consolarla. “Non è colpa
vostra. Steven ha solamente conosciuto le persone sbagliate.”
“Evidentemente perché
non siamo stati in grado di dargli un'educazione, di fargli capire
cosa sia giusto e sbagliato.”
Liesel sospirò di
nuovo e stavolta posò una mano sulla spalla di sua madre.
“Mamma.” la chiamò
facendole spostare lo sguardo su di lei. “Ti prego, non ti
incolpare di nulla. Non devi assolutamente sentirti una fallita. Tu
sei la madre che sono sicura tanti vorrebbero. Sei stata e continui
ad essere forte. Mi hai cresciuto da sola e l'hai fatto divinamente.”
Mara sorrise e una
lacrima scorse lungo la sua guancia, ma si affrettò a rimuoverla.
“Allora perché non
sono stata in grado di farlo con tuo fratello?” domandò
terribilmente indifesa.
Liesel scosse la testa.
“L'hai fatto anche
con lui ma non si può scegliere con chi farlo uscire. Se a sedici
anni non avesse preso questo giro, non avesse cominciato a
frequentare brutta gente, a quest'ora sarebbe un ventenne modello.
Perché tu e Phil gli avete trasmesso tutti i sani principi che avete
trasmesso anche a me.” Si prese una piccola pausa. “Ti prego,
mamma, non dubitare mai più di te stessa perché mi fai stare male.
Provo grande ammirazione per te e non posso accettare di vederti così
delusa.”
Era sicura di non
averle mai confessato quelle cose.
Liesel era per natura
una ragazza riservata che aveva sempre fatto troppa fatica a dar voce
ai propri sentimenti. Non era una persona dai facili abbracci, dai
facili 'ti voglio bene', dalle facili manifestazioni d'affetto, ma
vedere sua madre così in difficoltà le aveva stretto il cuore.
E quando Mara la
abbracciò non poté fare altro che ricambiare con un sorriso.
“Ti voglio bene.”
mormorò la madre poggiandole una tempia al petto, poiché più
bassa.
E anche se Liesel non
rispose, sapeva che aveva capito.
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