La bambina raccolse un sassolino
rotondo e levigato. Scostò dal viso i capelli biondi, un po’ ribelli. Doveva
avere circa dieci anni, come il suo compagno, che sedeva su una pietra proprio
sulla riva del fiume.
Lontano, una campana suonò dodici
rintocchi.
“E’ già mezzogiorno”, disse lei,
e con una mossa aggraziata gettò il sasso nella corrente.
L’Arno scorreva pigramente,
scintillando nel sole dorato. L’aria era tiepida, e non c’era vento.
Il bambino si volse verso
l’amica, e rimase a fissarla. A contemplarla, si sarebbe detto.
Lei di colpo rise: “Smettila di
guardarmi così!”
“Lo sai, Beatrice, che sei
davvero bellissima? I tuoi occhi, sembrano quelli di un angelo…”
La bambina rise di nuovo. Non
pareva prendere molto sul serio quello che le era appena stato detto. Si
sedette sulla pietra accanto a lui. “Dovremmo tornare verso casa”, disse.
“No, non ancora”, rispose lui.
Nella sua voce c’era come un lieve accenno di supplica.
Lei appoggiò la testa sulla sua
spalla. “Tuo padre si arrabbierà”.
“Non m’importa”, ribatté lui. Le
sfiorò appena i capelli. “Quando sarò grande voglio diventare un poeta. E
scriverò sonetti su di te, sulla tua bellezza. Voglio che tutta Firenze sappia
dei tuoi capelli d’oro, e dei tuoi occhi così simili al cielo…”
Con la fronte leggermente
corrucciata, lei si volse verso di lui: “Dante, lo sai che mio padre mi ha già
promessa in sposa ad un tale della famiglia Bardi…”
“Lo so”, fece lui, con aria
avvilita.
“Ma io ti vorrò sempre bene”,
sussurrò lei.
“Anch’io”, rispose il bambino,
“anch’io”.