...Come back to me awhile
Change your style again...
...Come back to me awhile
Change your taste in men...
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Mi lasciai cadere sul letto, privo di forze.
Lo sapevo, naturalmente. Grazie tante! Sapevo che quel
maledettissimo santone, lì, il signor MIB, il big avvocato, il pelatino,
come lo chiama Nana, aveva il detestabile vizio di essere perennemente dalla
parte del giusto.
Però questa è la mia vita.
E se io, Nobuo Terashima, adulto e vaccinato, decido
consapevolmente di sbronzarmi come se non ci fosse un domani, beh, saranno
almeno fatti miei, no?
Errato.
Nana mi avrebbe ammazzato per questo. O per molto meno, in
verità.
Spostai la mia attenzione dal soffitto al ragazzino che si
aggirava nella stanza.
Mi ero lamentato un’infinità di volte con Yasu per il tiro
mancino che mi avevano giocato: Nana divideva l’appartamento e lui, ovviamente,
stava ancora in albergo. Mica mi aspettavo che fossero loro ad occuparsi della
cosa?
Il punto è che detestavo uscire perdente con quei due.
Accadeva troppo spesso.
A conti fatti, non è che ospitare Shin mi creasse chissà
quali problemi. Quel ragazzino era bizzarro. A volte spariva, spariva e basta,
per ore intere. Tornava agli orari più assurdi con la faccia di chi è a posto
con la coscienza e quindi si aspetta di essere ignorato.
E io lo assecondavo, sì.
Era comodo non doversi preoccupare per lui. Finché non
sapevo dove andasse o chi frequentasse, mi dicevo, non potevo essere biasimato
se restavo sulle mie e lo lasciavo fare.
Hachi mi avrebbe come minimo preso a martellate.
Ma nessuno di loro poteva sapere. Gli altri non erano
coinvolti. Avevano mollato a me la responsabilità di ospitare un minorenne
enigmatico e vagabondo, quindi non avevano il diritto di lamentarsi per il modo
in cui gestivamo il nostro rapporto, lui ed io.
Rapporto, poi.
Che parola grossa.
Eravamo un po’ come ombre, noi due. Ci incrociavamo di
sfuggita senza vederci realmente, senza chiederci nulla, senza attendere mai.
Suppongo potessimo definirci rispettosi l’uno degli spazi
dell’altro.
O, più prosaicamente, due estranei sotto lo stesso tetto.
Ma quando, come quella notte, capitava che io alzassi il
gomito, allora Shin mi riportava a casa a braccia e si prendeva cura di me.
Aspettando con serafica pazienza che i postumi della sbornia mi insegnassero la
lezione.
Peccato non accadesse mai.
Lo osservai togliersi i vestiti e scivolare in una
maglietta sformata. Dormiva di fianco al mio letto, nel sacco a pelo di mio
padre.
Del resto, il fatto che i miei avessero una pensione non
implicava direttamente che io dovessi essere un buon padrone di casa,
no?
E comunque, anche volendo, quella era l’unica sistemazione
che avrei potuto offrirgli. Il mio era un appartamento pensato e studiato al
millimetro per una persona soltanto, un eremita squattrinato con il letto ad
una piazza. Che non è proprio il modo migliore per compiacere il gentil sesso,
me ne rendo conto; ma a quel tempo neanche ci pensavo, alle donne.
Ero già un bel po’ incasinato per conto mio senza
accollarmi le paturnie di qualche gattamorta.
Shin, invece, sembrava perennemente attorniato da ragazze.
Basti dire che, quando non tornava a casa per la notte, finiva sempre ospite di
qualcuna delle sue benefattrici.
Nessuno di noi aveva un’idea precisa di cosa
facesse per attrarre in quel modo la benevolenza femminile; per quanto
riguardava me, ero piuttosto sicuro di non volerlo scoprire.
Mi rigirai svogliatamente, scansando le lenzuola.
Era una notte calda, persino per gli standard di Tokyo.
Specie per chi, come me, aveva la sfortuna di provenire da una sperduta
cittadina innevata sei mesi l’anno.
Il mio pensiero volò a Nana, di sicuro intenta a far
ammattire la sua coinquilina.
Il familiare suono della zip del sacco a pelo mi riscosse.
Intravidi la chioma turchina di Shin sparire nel buio oltre il mio letto,
valutando distrattamente il nuovo taglio del bassista che avrebbe finito con
l’eclissarmi completamente prima del nostro debutto.
Non è che non mi piacesse quell’acconciatura. Tutt’altro.
Parte di me – diciamo, il cuoio capelluto – era irriducibilmente
invidiosa.
Mugugnai qualcosa di imprecisato tenendomi la testa.
“Stai male?”
Drizzai le orecchie alla voce proveniente dal basso.
“Ah… no, io… sono solo un po’ stanco.”
Quello era minimizzare. Avevo la sensazione che un treno
merci mi fosse passato sopra più e più volte, a sadica ripetizione.
Chissà perché nelle mie fantasie ciascun vagone aveva la
faccia di Nana.
“Cerca di dormire. Ora spengo la luce.”
Così fece, e la stanza piombò nell’oscurità. Mi occorse un
attimo per riuscire a distinguere le sagome al buio, pungolato dai radi raggi
lunari filtrati dalle imposte.
Tornai supino e fissai il nero confuso del soffitto.
Ascoltavo Shin rigirarsi sul sacco a pelo. Doveva essere
scomodo, considerai, dormire su uno di quei cosi in una notte così calda.
Per un millesimo di secondo mi sentii davvero il peggior
amico del mondo.
Rimasi in silenzio, mordendomi la lingua in
un’auto-flagellazione intenzionale. Le tempie cominciavano a pulsare, segno
inconfondibile dell’epico dopo-sbronza che mi avrebbe accolto al risveglio.
Maledetto pelatino. Sarai contento, adesso.
Mi voltai ancora, per la centesima volta in un minuto. Il
caldo rischiava seriamente di compromettere le mie ultime facoltà razionali, ed
un me stesso in piena crisi isterica è qualcosa che non augurerei più o meno
a nessuno. Dovevo proteggere Shin da quello che sarei potuto
diventare!
O almeno, metterlo in guardia.
Era un dovere civico, no? Di buon vicinato.
O forse cercavo solo di discolparmi per il sacco a pelo.
O di riempire quello scomodo silenzio che contribuiva a
minare la mia salute mentale.
“Ehi, Shin…”
La risposta fu anticipata da un lieve fruscio.
“Mh?”
Accennai ad una risatina nervosa.
“Ecco, tu non puoi saperlo visto che sei qui da poco, ma
il caldo tende a farmi brutti scherzi. Del tipo, divento irritabile. Molto
irritabile. E logorroico. Molto logorroico. E poi mi agito, capisci? Non riesco
a farne a meno. Inizio a muovermi senza controllo, e hai presente quelle
piccole onde concentriche che vedi se scruti a fondo nel buio? Ecco, comincio a
inseguirle, e mi fanno impazzire. Farebbero impazzire chiunque! Sono davvero
delle piccole tirapiedi del Grande Demone Celeste, o così direbbe Hachi! In
realtà certe volte ho l’impressione che abbiano la faccia di Nana, le onde… non
Nana Hachi, Nana Nana. La nostra Nana. Cioè, non che con questo voglia
escludere l’altra Nana definendola altra solo perché non è nella
band, anche perché, chi lo sa?, magari Nana sa cantare. Hachi, intendo.
Potrebbero duettare meravigliosamente quelle due. Solo che in quel caso i
discografici farebbero un mucchio di confusione, e poi come spiegarlo ai fans?
Dovremmo coinvolgerli nelle nostre questioni personali e raccontar loro la
faccenda del cane di Shibuya, oppure lasciar credere che la nostra sia una
subdola mossa pubblicitaria basata su uno squallido gioco numerico… tu cosa ne
pensi?”
Ero orgoglioso di me stesso per essere riuscito a
fermarmi, e matematicamente certo che Shin si fosse addormentato durante lo
sproloquio.
Ecco perché restai letteralmente di sasso nel sentire la
sua voce mormorare:
“Sei mai stato con un uomo?”
Non capii a cosa si riferisse. Dico sul serio. Non che
fossi eccessivamente innocente, va bene, ma neppure tanto smaliziato e lucido
da cogliere immediatamente una domanda che… più diretta di così non sarebbe
potuta essere, in effetti.
“Come, scusa?”
Stavolta la voce mi arrivò chiara e forte, e anche un bel
po’ stizzita.
“Ti ho chiesto se sei mai stato con un uomo.”
Non so cosa accese la scintilla del comprendonio, in me.
So solo che saltai praticamente a sedere.
“Ma ti ha dato di volta il cervello??! Non riesco a
credere che tu mi abbia chiesto una cosa del genere!!! Devi essere
completamente – ”
“… allora dovresti provare.”
Sbigottii.
Restai completamente paralizzato, lì, seduto nel bel mezzo
del letto, a guardare la figura raggomitolata al suolo dall’alto in basso.
Un magro toccasana per l’ego, in quel momento.
Il silenzio di Shin era uno dei suoi soliti, tipici
silenzi da Shin. Di quelli talmente tranquilli e noncuranti da farti dubitare
persino di ciò che le tue orecchie avevano udito l’istante prima.
Perciò lo feci, esatto.
Dubitare.
In realtà, sarebbe più giusto dire che mi convinsi di aver
frainteso.
Proruppi nella più grossolana e fragorosa risata che fiato
umano avesse mai potuto generare.
“Non ci credo, me l’avevi quasi fatta! Sei veramente un
attore fantastico, lo sai? Dovresti darti seriamente alla recitazione. Oh,
cioè, con questo non intendo dire che non ti voglio nella band, perché senza di
te saremmo spacciati, e poi sei il miglior bassista che avremmo potuto
desiderare, sei piaciuto perfino a Nana! Però, sai com’è, quando uno ha
molteplici talenti è un vero peccato non metterli a frutto e tentare di – ”
Fui interrotto. Da una bocca.
Sulla mia.
Ripensandoci, mi domando come accidenti abbia fatto a non
accorgermi che Shin si era alzato e sporto verso di me. Dovevo essere
totalmente preso dal mio monologo, o forse il panico mi aveva del tutto
scollegato il cervello.
Non voglio nemmeno pensare che, forse, non mi
ritrassi perché non era ciò che volevo.
Fu un contatto rapido e fugace. Prima che potessi
accorgermene ero nei suoi occhi, limpidi oltre l’ordinario.
È talmente assurdo, ma non potei far altro che notare
quanto freddo ci fosse in quello sguardo, e quanto inebriante fosse il
contrasto con l’afa della città.
Shin parlò a pochi centimetri dalle mie labbra, calmo e
concentrato su qualcosa che ancora non potevo prevedere.
“Nella vita bisogna cercare di cogliere l’attimo, di
sperimentare. Finché siamo giovani, liberi, finché siamo avidi di emozioni non
dobbiamo permettere ad alcun freno di arrestare la nostra corsa.”
Mi aveva interrotto. Era esattamente questa la
sensazione che ancora recepivo, negli echi di quel bacio distratto. Mi sentivo
un registratore in pausa, condannato alla stasi finché una grossa mano aliena
non avesse premuto di nuovo un pulsante.
E l’alieno in questione si fece spazio nel mio letto,
sistemandosi a cavalcioni su di me come se fosse la posizione più naturale del
mondo.
Dio, forse lo era, per lui. Naturale. D’altronde
era solo un ragazzino, un esuberante, libertino, trasgressivo adolescente dagli
ormoni in subbuglio. Ma io ero un adulto e vedevo le cose in modo diverso.
Questo, almeno, è ciò che mi ostinavo a ripetermi a quel
tempo.
Oggi sono pienamente convinto che fosse Shin a vedere le
cose in modo diverso.
Mi scrutava come se cercasse qualcosa, e avrei dato un
plettro per capire che cosa. Chiederglielo, parlare, esprimermi era
ancora del tutto fuori discussione.
Il tasto play sul mio registratore fu premuto con
inusitata violenza giusto l’attimo dopo.
Più precisamente, quando un discolo e ossuto ginocchio
s’insinuò tra le mie cosce.
Balzai in avanti senza pensare, sbilanciando Shin nella
foga.
“Che accidenti stai facendo??! Credevo di essere io quello
brillo, qui! Yasu dice sempre che tu reggi bene l’alcol, ma forse questo è il
tuo modo di dimostrare che l’avvocato rampante non ha sempre ragione, e se stai
cercando una rivalsa, o magari ti faccio pena perché sono amico di quei due da
tempo immemore e stai provando a farmi riportare un qualche tipo di vittoria,
beh, io ti ringrazio, davvero, ne sono lusingato, ma non è questo lo
stramaledettissimo modo, Shin!”
Non è solo un’impressione dettata dall’assenza di
punteggiatura.
Io davvero non avevo preso fiato.
Lui si era acquattato ai piedi del letto, scaricando il
peso sulle mie gambe e guardandomi dall’alto. Non mi piaceva. Era troppo
lontano, troppo concentrato, troppo perso. Era in una dimensione diversa dalla
mia, una dimensione con una lente ottica speciale puntata sul mio misero mondo.
Mi chiesi cosa vedesse, lì dall’alto. Mi chiesi cosa
significasse essere lui. Cosa significasse essere me, il me della sua visuale.
E poi una manina gentile, da musicista, sostò con tale
decisione sul cavallo dei miei boxer da portare via ogni residua elucubrazione
mentale.
Mi lasciai sfuggire un mugolio di sorpresa, strozzato, e
scattai di nuovo a sedere, afferrando quel polso indisponente e allontanandolo
con un gesto isterico.
“SHIN! Diamine, smettila una buona volta! Non so quale
impressione tu abbia riportato, ma io non sono gay, né mai lo sarò. Nel modo
più assoluto. Non rientra neppure nei miei piani futuri! E il fatto che essendo
ancora un po’ alticcio straparli non deve darti l’idea – completamente
sbagliata – che stia solo tergiversando per accrescere le tue smanie o –
ma di che diavolo sto parlando?! Insomma, il punto è che questa è molestia
sessuale, e-e tu sei in casa mia, per di più, e nel mio letto, anche se questo
è solo un accidente accessorio, capisci? Un maledetto, imprevisto, indesiderato
accidente accessorio!”
Terminai con un ansito leggero, dovuto in parte alla
carenza d’ossigeno e in parte alla vaga inquietudine derivante dall’avere
ancora una mano estranea fra le gambe.
Shin restò immobile e muto, imperscrutabile nel più
irritante dei modi.
Ci stavo facendo la figura dell’idiota integrale. Del
patetico e bigotto idiota integrale! Magari avevo frainteso tutto. Magari era
stato un atto casuale quello di placcarmi il giocatore in seconda base.
…oh mio dio, l’ho detto davvero?
Scrollai il capo come a riscuotermi dai fumi dell’alcol
che, ormai ne ero certo, ancora mi annebbiavano il cervello. Chissà, forse era
stata proprio la sbornia a farmi vedere – e sentire – cose inesistenti.
Di sicuro lui non stava facendo alcunché per smentire i
miei timori.
“Credevo fossi stanco.”
Tre minuscole parole.
Cosa accidenti dovevano significare, eh Shin? Cosa?!
Ero stufo di uscire perdente da ogni scontro. Non sarei
stato inferiore a nessuno, quella notte.
“Infatti. Non mi spiacerebbe farmi una dormita, se solo
non avessi qualcosa di troppo fra le gambe!”
Lui mi guardò, io lo guardai.
E la suicida idiozia di quanto avevo appena detto mi colpì
in pieno, ponendomi di fronte all’ennesimo fallimento.
Avrei dovuto rassegnarmi. Ci sono quelli che hanno il dono
dell’oratoria, quelli nati per vincere. E poi ci sono quelli come me.
Fu la prima volta in assoluto che lessi la malizia nello
sguardo ancora acerbo di quello che, in fondo, per quanto tutti continuassimo a
dimenticarlo, era solo un ragazzino.
La sua mano si premurò di saggiare attentamente il mio
armamentario virile attraverso il cotone.
“Io direi che qui è tutto al suo posto” mi rispose, già
sfacciato abbastanza da simulare innocenza.
Scostai le dita intrepide per la millesima volta, trovando
così qualcosa su cui concentrarmi che non fosse il diventare paonazzo.
“Sì, beh, tutto al suo posto tranne te! Tu non
dovresti essere qui!”
Lo vidi inclinare il capo e sporgere un labbro, da brava
piccola sgualdrina.
“Mi vorresti altrove?” e in quella scivolò verso il basso,
strisciando fra le mie cosce, avendo cura di sfregare contro i miei boxer ogni
singolo centimetro della sua maglietta sgualcita.
Non avrei potuto impedirlo neanche se mi fossi reso conto
di quanto stava per fare – Vostro Onore.
Si sistemò carponi, il viso pericolosamente orientato al
mio inguine, il resto del corpo casualmente adagiato sul mio. Neppure mi
guardava in faccia, preso com’era ad analizzare quello che più pareva
interessargli.
“Cotone elastico argento. Non è esattamente quello che la
gente si aspetterebbe da te.”
Fui terribilmente tentato dal chiedergli cosa la
gente si aspettasse invece da me, ma repressi l’istinto con tutte le forze.
Sarebbe stato puramente assurdo mettersi a disquisire in quel frangente sul
ruolo giocato dalla biancheria intima nel giudizio di una persona.
Smossi convulsamente le gambe, causando anche scossoni che
sortirono effetto opposto al desiderato. Shin sfoderò un sorrisino da
alligatore mentre i miei goffi tentativi lo portavano sempre più vicino alla
meta.
Emisi un gemito di frustrazione e balzai in avanti. Cercai
di ritrarre le gambe, ma in quel momento accadde qualcosa che… beh, mi dissuase.
Latrai. Fu un vero e proprio uggiolio estatico, condito da
un sospiro degno di uno yorkshire in calore.
La chioma turchina mi si era tuffata tra le cosce,
anticipata nell’avida esplorazione da una lingua che aveva umettato con cura
l’intera lunghezza del mio sesso attraverso il cotone elastico argento.
D’accordo, so cosa avrei dovuto fare.
Ma perdonatemi, perdonatemi, vi supplico.
Non riuscii a fingere che non mi fosse piaciuto.
Sarebbe ora opportuna una digressione per spiegare la
facilità con cui mi lasciai ricadere all’indietro, agognando solo un altro
tocco di quella lingua ed eccitandomi senza ritegno.
Non avevo avuto tempo per le donne, da quando ero arrivato
a Tokyo. Non avevo avuto tempo per un sacco di cose, in verità – parte delle
quali bruscamente escluse dalla mia routine pseudo-giornaliera proprio a causa
dell’ospite con cui dividevo i più privati spazi.
Per metterla in altri termini, non mi ero toccato neppure
una volta da quando avevo lasciato la mia città.
Ora, se è vero che a vent’anni suonati un uomo dovrebbe
essere in grado, se non proprio di reprimere, quantomeno di controllare
certe pulsioni, è altrettanto vero che io non sono mai stato il tipo
precoce. Tutti dicevano sempre che neanche li dimostravo, i miei anni, che ero
un eterno ragazzino. E a quanto pare i miei ormoni – tra cui quelli della
crescita – erano dello stesso parere.
Certo, questa è una scusa ridicola anche a miei occhi.
La verità è che avevo bisogno della mia soddisfazione.
Avevo bisogno del sesso.
E Shin era lì, per inspiegabili motivi, pronto a darmi
esattamente quello che chiedevo. Anche se non avevo chiesto proprio nulla.
Mi concentrai sul soffitto, camuffando malamente gli
sforzi profusi per rallentare il respiro affannoso.
Merda, potevo sentirlo sorridere.
Non avrei mai immaginato, allora, quanto diametralmente
opposta fosse l’espressione sul volto del mio aguzzino. Ero convinto che fosse
compiaciuto delle sue arti amatorie, mentre stava lì a viziarmi con la bocca
senza neanche la pietà di togliermi i vestiti.
Avevo torto.
Shin dava alla situazione un valore del tutto diverso da
quello che aveva assunto per me.
Le sue labbra umide, deliziosamente voluttuose, si
schiusero sulla sommità di un’erezione che andava formandosi in fretta. Mi
chiesi senza attenzione, distratto com’ero dal sentore di un paio di dita che
indugiavano sulla carne tenera del sedere, che razza di sensazione potesse mai
dare leccare del cotone elastico argento – o di qualunque altro
stramaledettissimo colore.
Ero esasperato dall’atroce consapevolezza di volere di più
senza aver mai ammesso di volere alcunché.
La mia ingordigia fu punita l’istante seguente nel
peggiore dei modi. Anche il più lieve tocco s’interruppe, lasciando spazio allo
scrutinio vivace di occhi da ragazzino.
“Nobu…”
Tornai alla realtà posto di fronte alla mia dissoluzione
personale. Vergognandomene come un ladro.
Cristo, quella era corruzione di minore!
“Smettila, Shin. Te lo chiedo per favore, lasciami in
pace.”
Lui restò immobile, esitante. Evidentemente ponderando sul
da farsi.
Poi un unico, lungo dito sottile tracciò un sentiero di
lussuria dalla base alla punta del mio sesso, percorrendo con polpastrelli
esperti la mappa di nervi ipersensibili.
Gettai il capo all’indietro mordendomi un labbro,
inarcando i fianchi senza volerlo.
E adesso chi era la puttana tra noi due?
La voce di Shin interruppe una volta di più il peggior
conflitto d’interessi della mia intera vita.
“Se vuoi che mi fermi devi costringermi. Fallo con le tue
forze.”
Fu la tomba di ogni mia volontà.
Credei realmente di meritare una punizione, per quello che
mi stavo facendo fare.
Per questo, nel momento in cui l’aria investì la mia pelle
nuda, mi convinsi che il Grande Demone Celeste o forse il solo dio del
buonsenso mi avrebbero ucciso di lì a breve.
Ciò che stavo provando era diverso da qualunque cosa
avessi mai immaginato, ed era eccessivo.
Non m’importava. Mi ritrovai ad allargare le gambe,
voglioso ed esigente, spingendo in quella bocca da bambino relegato negli
anfratti del desiderio. Godetti di ogni singola sfumatura, di ogni sospiro, di
ogni frammento di lasciva umidità cui venivo fatto dono.
Ero eccitato al punto di non ritorno. Al punto cui solo le
più fervide fantasie possono spingerti.
C’era un che di perverso, divinamente perverso nel caldo
della notte. O forse era solo l’impareggiabile supremazia, l’inebriante giogo
del potere stretto nello scopare la bocca del mio bassista quindicenne.
Era perverso, sì, e mi piaceva.
Averlo, sentirlo tra le mie gambe, alla mia mercé, a mia
disposizione, assoggettato al mio volere e al mio bisogno. Fu come inseguire
l’orgasmo dell’ego.
Non mi dilungherò nei dettagli tecnici. Shin era bravo.
Non me n’ero mai reso conto ma, pensandoci, era evidente già allora che avesse
esperienza. Cro mai reso conto, ma
pensandoci, era evidente già allora che avesse esperienza. o al mio volere e al
mio bisogno. rio. ervi iphe il suo bagaglio di sperimentazione
erotica, per dirla alla sua maniera, fosse ben più vasto e variegato del
mio. Avrei dovuto vergognarmene, suppongo, come mi vergognavo
nell'approfittarne senza remore.
Eppure non avrei mai potuto screditare qualcosa di tanto
bello.
Avevo perso anche la voglia di fingere. Esitare non
avrebbe nascosto la mia erezione, quindi perché trattenermi?
Lasciai che le mani vagassero a portare scompiglio -
ebbene sì, era la notte delle piccole rivalse - tra le ciocche azzurre, carezzando
il cuoio capelluto in cerchi regolari, dettando il ritmo senza avvedermene. La
bocca che aveva annientato ogni briciola di morale amò arditamente la pelle
tesa e accaldata, vezzeggiandola all'occorrenza, leccando via fino all'ultima
goccia di piacere titubante. Succhiò con vigore la carne umida, badando di
cingere la base con dita decise che ghermirono impietose le mie ultime stille
di raziocinio.
Ero perduto. Destinato a trovare l'estasi nell'abiezione
di me stesso.
Potrei frugare tra i mille bauli delle parole per
giustificare i gemiti, i mugolii ansanti di appagata lascivia, i moti erratici
delle anche e la frenetica richiesta, l'impellente urgenza di avere di più.
Ma la verità è che sarebbe inutile.
Nulla potrà scagionarmi agli occhi del mondo, e ancor meno
potrebbe convincermi di aver qualcosa per cui essere condannato.
Perché, sì, nel calore avvolgente, nel dolore vivo e nel
pulsare di quell'orgasmo, tutt'oggi non trovo di che pentirmi.
Shin non permise ad una goccia di andare sprecata. Mi
bevve con entusiasmo adolescenziale mentre mi spegnevo osceno tra le sue
labbra, e cullò la mia spossatezza nel frastornato oblio ripulendo con
dedizione ogni traccia di quell'incontro.
Quando, vinto dalla gravità del corpo (e da quella
opprimente del peso delle mie azioni) mi rannicchiai tra le lenzuola, sentì il
materasso respirare nel sollievo di un carico in meno.
La figura indistina del mio ospite scivolò nuovamente nel
buio oltre il letto, accolta dal rigido abbraccio del sacco a pelo. Fruscii catartici
e familiari ne accompagnarono i movimenti, calando il definitivo sipario
sull'amplesso di poco prima.
Sarebbe stato perfetto.
Sarebbe stato persino possibile ignorarlo. Eravamo
bravi in questo, noi due.
Ma la cosa che si era impossessata di me non si era del
tutto esaurita con quell'orgasmo. Fu forse per questo che non riuscii ad
accettare il neutro 'buonanotte' che venne dal basso.
"Shin..."
Pensai ad una miriade di cose. Pensai, sfrontato e
recidivo, che la sua eccitazione repressa - quella che avevo sentito sfiorarmi
in più punti - avrebbe avuto bisogno di una valvola di sfogo. Pensai che avrei
dovuto sentirmi male, sentirmi in colpa, sentirmi peggio, e non
desiderare di placar voglie speculari alle mie. Pensai che niente sarebbe mai
più stato lo stesso, pensai che avevo paura. Pensai che Nana mi avrebbe
ammazzato se per causa mia un altro bassista ci avesse lasciati. Pensai che dei
Blast mi fregava davvero poco in confronto all'intensità di quella notte,
pensai di essere confuso e di essere un mostro. Pensai che Shin non mi avrebbe
più cercato, pensai che l'avrebbe fatto ancora, pensai che l'avrei voluto e che
sarei fuggito, pensai che non sapevo più cosa pensare.
Chiusi gli occhi.
Ed è banale, lo so.
Ma fu sul serio tutto ciò che gli dissi.
"... buonanotte."
Sai, ancora oggi mi chiedo
come riuscimmo ad andare avanti. Come potemmo superare quella notte e quelle
che vennero dopo senza implosioni. Eravamo incapaci di recitare con coerenza,
ma, per quanti sforzi io facessi, ero il solo a porgere le battute.
Tu eri alla ricerca di
qualcosa che non so dire, una sacra reliquia o un volo diverso. Da bravo Peter
Pan invecchiato, inebriato dalla sua polvere.
E adesso? L'avrai trovato,
Shin, quel fiato di vento?
Lontano da me, hai ancora la
forza di rubare ali?
.Fin.
********
Sono fiera di annunciare
che, ad oggi, Taste In Men (titolo tratto dall'omonima canzone dei
Placebo <3) è l'unica Yaoi fic nell'intero fandom di Nana... su EFP,
naturalmente.
Mi auguro che la situazione
non resti tale ancora a lungo, però >.<
Cosa aggiungere? La ficlet
che avete appena letto potrebbe restare un episodio isolato o diventare il
primo capitolo di una trilogia, una saga che unisca le atmosfere della song in
questione al velato erotismo del pairing Shin/Nobu. Non ho ancora preso una
decisione, ma i vostri commenti potrebbero influenzarmi in tal senso (muaha, ma
quanto siamo subdole! :p).
Scherzi a parte, un grazie
di cuore a coloro che leggeranno questa storiella, e una vera e propria
ovazione a quelli che avranno la dedizione di recensirla.