Destiny
-Destiny-
Il destino si può cambiare.
Ce lo costruiamo noi ogni giorno, attraverso le nostre azioni.
Era così che lui la pensava.
E credeva ciecamente che le cose stessero così.
Ed il suo credo ninja era quello di “dire le cose come stanno, e non cambiare idea”.
Queste erano le sue convinzioni.
Punto e basta.
Erano un fatto.
Ma era un fatto anche la presenza di una forza superiore, in grado si scindere a questo suo pensiero.
Un elemento fuori da ogni logica, che niente e nessuno poteva fermare, o anche solo prevedere.
Questo fenomeno, che creava più scompiglio di un gatto in un canile, era noto con un nome.
Sfiga.
Naruto ne era certo. Solo la sfiga poteva avergli fatto una cosa del genere.
Ovvero chiudergli il suo chiosco di ramen preferito, in un giorno
festivo, quando tutti i negozi del villaggio erano chiusi. Per di
più il suo frigo era una miniatura de l’Era glaciale,
compreso di scoiattolo psicotico a caccia di una ghianda. Scrat, si
chiamava, se ricordava bene. Scosse la testa. Brutte cose può
fare alla mente la fame.
Sospirò abbattuto davanti al cartello “closed”
dell’Hikiraku. Nulla da fare. Quel giorno, non ci sarebbe stata
alcuna scorpacciata di ramen.
Demoralizzato, si avviò per le strade di Konoha, quel giorno
irrealmente deserte. Nessun gruppo di bambini a gridare ai quattro
venti le sue future imprese da ninja, o donne a caccia
dell’ultimo pettegolezzo. Neanche un vecchio ninja intento a
raccontare, davanti ad un buon saké, le gesta di
gioventù. Niente ragazze innamorate adoranti di fronte a quello
che era definito il fighetto della scuola.
All’ultimo pensiero si rabbuiò ulteriormente. Impossibile
non viaggiare nei ricordi su Sakura, quando sbavava dietro a Sasuke.
Merda.
Quanto era stato stupido, Sasuke? Tanto, troppo. E la cosa che
più lo faceva arrabbiare, era che, se fosse tornato, novantanove
su cento il consiglio lo avrebbe ripreso al villaggio, e magari gli
avrebbe dato anche una posizione di tutto rispetto. Se lui avesse
sgarrato di un solo passo, invece, non ci avrebbero pensato due volte a
condannarlo a morte.
Mentre si dirigeva al parco, una parte di lui cominciò fare domande. Domande che quei pensieri gli portavano sempre.
Perché non lo faceva anche lui?
Perché non mandava a quel paese quel villaggio, e tutta quella
gente ipocrita che, quando salvava il villaggio andava bene, ma quando
si trattava di incrociarlo per strada, non si faceva scrupoli a
rabbrividire di disgusto?
A volte gli sembrava anche di poter sentire i loro pensieri. Un parola, che rimbombava come una condanna.
Mostro.
Diede un calcio ad un sasso. Mentre una sensazione, che conosceva anche
troppo bene, gli attanagliava lo stomaco. Un misto di tristezza e di
rabbia.
Un tempo aveva pensato che fosse solo una reazione fisica alle sue
emozioni. Ma adesso, aveva seri dubbi. In quel concerto scoordinato di
emozioni, a volte non poteva fare a meno di riconoscere qualcosa di
Kyuubi. E la cosa lo spaventava. Fino a dove arrivavano le domande che
si poneva Naruto, e dove iniziavano gli inganni di Kyuubi?
Un profumo d’incenso lo avvolse, distogliendolo momentaneamente
dai suoi pensieri. Si guardò attorno, riconoscendo il luogo.
Senza neppure accorgersene, si era diretto fino alla collinetta dei
caduti. Qualcuno doveva aver acceso dell’incenso.
Si chiese di chi potesse trattarsi. Era troppo tardi, perché
fosse il maestro Kakashi. Mezzogiorno era già passato. E lui
sapeva che il Jonin era lì solo la mattina.
Fece per tornare indietro, ma si bloccò. Un’occhiatina
poteva anche darla. In fondo, che aveva di meglio da fare? Nulla. Salvo
farsi avvelenare la mente da domande che non avevano risposta, e da
risentimenti di ogni sorta.
Avanzò piano, con calma. Correre gli avrebbe fatto solo venire più fame.
Quando arrivò in cima, vide l’ultima cosa che si sarebbe
aspettato di vedere. Davanti alla stele dei caduti, in preghiera,
stavano Hinata, Shino e Kiba, ovviamente accompagnato da Akamaru. La
prima con in mano un grande mazzo di fiori bianchi.
Rimase fermo, a qualche passo di distanza, senza dire una parola, indeciso se segnalare la sua presenza o meno.
Akamaru lo tolse da ogni preoccupazione. Con un paio di guaiti festosi,
il cane si lanciò nella sua direzione, scodinzolando.
Naruto avrebbe voluto sparire, ma Shino, Kiba ed Hinata si erano già voltati verso di lui.
-Heilà! Ciao Naruto! Anche tu da queste parti?- Fece Kiba, mente
Shino alzava appena la mano, in gesto di saluto. Hinata intanto, si era
nascosta dietro i fiori, nel tentativo di coprire il rossore che le
aveva acceso le guance, mentre un debole “ciao” le usciva
dalle labbra.
Il biondino fece un’alzata di spalle.
-Mha … un giro di qua, un giro di là … e voi?- I
tre allievi di Kurenai non fecero in tempo a rispondere, perché
dal sentiero appena percorso da Naruto apparvero anche Shikamaru,
seguito da Choji, Ino e Sakura, queste ultime anche loro con in mano un
grande mazzo di fiori variopinto.
-Siete in ritardo.- Fece Shino con voce fredda, appena appena
stemperata da una nota di esasperazione. Shikamaru indicò
con un movimento del capo le due ragazze.
-Che vuoi che ti dica … le donne sono sempre in ritardo.- Ino lo
tirò per uno degli orecchini, mentre una vena gli deformava la
fronte.
-Ah sì? Ma chi è stato a dormire su un albero finora, eh?-
-Io non avevo alcuna voglia di venire … mi ci avete costretto.-
Borbottò il ragazzo, massaggiandosi l’orecchio leso.
-Naruto! Ci sei anche tu! Pensavo non venissi …- Fece Sakura. Il biondo strabuzzò gli occhi.
-Eh?-
-Ma come? Non hai letto il messaggio che ti ho attaccato alla porta stamattina?-
-Ah … stamattina sei stata da me?- Domandò Naruto, caduto
dalle nuvole. La ragazza si passò una mano sul volto, cercando
di contenere la “vera Sakura”, che aveva una mezza idea di
strozzare il compagno di squadra.
-Stamattina sono venuta a casa tua, ma dormivi così
profondamente che non mi hai sentito bussare. Così ti ho
attaccato un biglietto alla porta, per avvertirti che oggi saremmo
venuti qui!-
-Capito …- Fece il biondo, grattandosi la nuca, mentre la mente
cercava, invano, di ricordare un foglietto attaccato alla sua porta.
-Bhe, allora? Ci siamo tutti?- Chiese Kiba, sfregandosi le mani.
Akamaru cominciò a scodinzolare, abbaiando incontro ad un
gruppetto di persone che stavano salendo la collinetta.
Naruto riconobbe la figura accigliata di Neji, seguito da
un’irritata Ten Ten, e da un Rock Lee che si era messo in testa
di fare tutta la salita saltellando su una gamba sola, e tenendo le
mani dietro la schiena.
-Alla buonora …- Fece Ino, mentre Rock Lee rovinava a terra
spompato, borbottando qualche cavolata sulla gioventù, presa
direttamente dal repertorio del maestro Gai, Ten Ten infieriva
tirandogli un cazzotto, e Neji salutava Hinata quasi imbarazzato. Anni
di odio non potevano essere cancellati con un colpo di spugna. Ed anche
quando l’odio se n’era andato, c’era sempre la
vergogna.
Naruto passò lo sguardo sui presenti, poi si decise.
-Scusatemi, qualcuno mi può dire perché siamo qui?- Dieci
paia di occhi, undici contando anche quelli di Akamaru, si posarono sul
biondo, increduli e sotto shock. Shikamaru fu il primo a riprendersi,
sbuffando rassegnato.
-Sei il solito testa quadra, Naruto …- Per un momento, uno solo,
a Naruto parve di sentir parlare Sasuke. E di nuovo le domande che non
avrebbe neppure dovuto porsi.
Perché non lo faceva anche lui? Perché non mandava a quel paese quel villaggio?
Perché … perché …
-Chi hai chiamato testa quadra?!- Ringhiò, quasi scagliandosi contro Shikamaru, che rimase impassibile.
-Ma come, non ti ricordi?- Fece Sakura, indicando la stele dei caduti.
Come un flash, a Naruto venne subito in mente. Senza dire una parola, i
ninja si misero a pregare.
-Oggi è l’anniversario …- Mormorò Ino, triste.
-Sono passati quattro anni …- Fece Naruto, alzando lo sguardo alle rocce degli Hokage.
-Così poco?- Cercò di fare lo spiritoso Shikamaru. Ma il
sorriso amaro che gli piegava le labbra era troppo finto. Neji
ammirò la lunga crepa che deformava la fronte del terzo Hokage.
-Sembrano molti di più …- I ninja annuirono, rivolti alla maestosa parete rocciosa.
Quattro anni … dall’attacco del villaggio del suono,
durante le selezioni dei Chunin. La prima, vera volta in cui i destini
di quel gruppo di ragazzi si mescolavano.
Quattro anni dalla morte del terzo Hokage.
Sembrava trascorsa una vita. Invece no.
Naruto pensò a Konohamaru. Chissà come si sentiva …
Si ripromise d’invitarlo a mangiare un ramen dall’Hikiraku
a proprie spese, non appena lo avesse incontrato. E, se le sue finanze
lo consentivano, anche i suoi due amici.
I ninja rimasero in silenzio per vari minuti. I pensieri rivolti a quel
giorno da incubo. Le ragazze posarono i rispettivi mazzi di fiori sulla
tomba, mentre Shino e Rock Lee accendevano dell’altro incenso.
Poi, alla fine, Choji interruppe le varie riflessioni.
-Allora? Andiamo a mangiare? Io ho fame!-
-Sai che novità?!- Fece Ino, acida. Solo allora Naruto
notò che tutti i suoi compagni avevano con loro dei fagotti con
il pranzo. In un attimo il suo volto si trasformò nella versione
manga de “l’Urlo” di Munch.
-ACCIDENTI!!!-
-Cosa c’è, Naruto?- Chiese Sakura, accigliata per l’improvviso grido del compagno di squadra.
-Io non ho nulla da mangiare! Era tutto chiuso …- Sakura gli tirò un pugno.
-Dovevi pensarci, testa quadra! Oggi è giorno di lutto, è
logico che tutti i negozi siano chiusi!- E, detto questo, si
allontanò a passo di marcia, lasciando Naruto dolorante e
depresso.
-Uffa! Ed ora che faccio?!- Borbottò, mentre lo stomaco gli ruggiva tanto da terrorizzare Kyuubi, stranamente tranquilla.
-S … senti, Naruto …- La voce appena percettibile di
Hinata lo fece voltare. La ragazza arrossì vistosamente, ma
porse il suo sacchetto. Deglutì più volte, prima di
riuscire a spiaccicare parola.
-Io … ho portato un po’ troppa roba, così, ecco
… mi chiedevo se … ti … ti andrebbe di dividere il
pranzo con me?- Gli occhi candidi restavano piantati al terreno, mentre
Naruto sgranava i suoi per la felicità.
-Davvero lo faresti?- La Hyuuga annuì appena, troppo
imbarazzata. Un uragano biondo la investì, abbracciandola di
slancio. -Yahoooooo!!! Grazie, Hinata, grazie!!!- Per qualche istante
Hinata pensò che sarebbe morta d’infarto, ma poi si
lasciò andare ad una risata gioiosa.
Quando Naruto la lasciò andare, improvvisamente rosso anch’esso, un pacchetto gli precipitò sulla testa.
-AHIA!!!-
-Raccoglilo, testa quadra! Non ho voglia di sprecare cibo, ok?- Fece
Shikamaru, grattandosi la testa. Naruto raccolse il pacchetto, e lo
aprì. Dentro vi erano dei biscotti.
-Ma … questi …- Shikamaru sbuffò annoiato.
-Li ha fatti mia madre. Io non aveva affatto voglia di portarmeli
dietro, ma lei ha insistito perché li portassi …-
-Questo è da parte mia …- Fece Choji, porgendo un panino
a Naruto, ben avvolto in un tovagliolo azzurro. -Ne ho portato uno per
ognuno. Un pic-nic con poco cibo, non è un pic-nic …-
Pochi istanti dopo, anche gli altri ninja porsero qualcosa a Naruto,
che aveva gli occhi lucidi dalla commozione.
-Davvero questa roba … è tutta per me?-
-Solo se non fai l’ingordo!- Fece Sakura ridendo. Piano piano il
gruppo cominciò a scendere la collina, chiacchierando
allegramente, come avrebbero fatto un gruppo di ragazzi qualsiasi, in
marcia per un pic-nic.
Naruto, ora carico di pacchetti contenenti ogni genere di cibarie, si
avviò per ultimo, affiancato da Hinata, imbarazzata ma
sorridente.
Solo una volta si fece ancora quella domanda.
Perché non lo faceva anche lui? Perché non mandava a quel paese quel villaggio?
Stavolta sorrise, sicuro della risposta.
Perché in quel villaggio vivevano un sacco di persone che gli volevano bene.
Perché aveva vari motivi per combattere e per difenderlo.
Perché Sasuke era troppo tronfio di sé per guardarsi in giro, e vedere quanti amici aveva.
Perché Sasuke aveva permesso all’odio di consumarlo, ed invece di contrastarlo, gli aveva lasciato il via libera.
Ma lui non avrebbe commesso quell’errore. Lui avrebbe continuato
per la sua strada, sarebbe diventato Hokage, ed avrebbe difeso quel
villaggio. Solo per difendere le persone che gli stavano a cuore.
Perché quello era il destino che lui si era scelto.
-Fine-
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