amore corrotto
AMORE CORROTTO
- Trafalgar non sei un peso piuma. -
- E tu non sei Mister simpatia Eustass-ya, eppure non mi sto lamentando. -
Soli, sul tetto della scuola,
cercavano riparo da occhi indiscreti. Non era facile essere gay in un
collegio maschile: derisi, emarginati, giudicati, malmenati. Non era
facile vivere alla luce del sole nelle loro condizioni: considerati
malati, infetti, sbagliati e sporchi solo perchè camminavano
vicini, si punzecchiavano, parlavano. Essere visti come un cancro della
società era degradante, per chiunque, anche per chi ostentava
freddezza e menefreghismo.
Trafalgar Law aveva smesso di ascoltare le critiche. Ma iniziato ad autoinfliggersi dolore.
Eustass Kidd aveva smesso di ammaccarsi le nocche in nuove quotidiane risse. Ma iniziato a consumare eroina.
Era solo quando il mondo non
vedeva che potevano permettersi di essere loro stessi. Costretti a
vivere in quelle quattro mura di cemento e pregiudizi, si ignoravano
per tutto il giorno, incontrandosi nei loro sporadici e brevi attimi di
tempo, consumando il loro amore come una candela che ogni giorno perde
luminosità. Durante la ricreazione era impensabile appartarsi.
Gli ultimi che ci avevano provato, erano stati colti in flagrante,
sospesi e successivamente espulsi. Di loro nessuno sapeva più
nulla, se non che il direttore dell' istituto si era impegnato
personalmente affinché i due venissero forzatamente divisi.
Era quasi certo che in una scuola esclusivamente maschile, dove ragazzi
dai sedici ai venticinque anni erano costretti a vivere a stretto
contatto ogni giorno, sarebbe potuto nascere qualcosa. L'età era
quella dove gli ormoni prendevano il sopravvento sui neuroni, dove il
testosterone annebbiava sensi e facoltà di giudizio.
Era una vita indegna di essere considerata tale, ma era l'unica che avevano.
Uno, ricco rampollo erede di un maniaco sessuale.
L'altro, pezzente adottato da una donna con più bisogno di sesso che di un figlio.
Non erano felici e non lo sarebbero mai stati. Semplicemente si
consumavano a vicenda, prosciugandosi man mano, fino a che di loro non
sarebbero rimaste che ceneri. Polmoni inceneriti dal fumo, fegato
corroso dall' alcool, cuore bruciato da sentimenti repressi. Erano
l'uno la scintilla dell'altro, trovatisi per un fortuito gioco del
destino.
Lui, appartatosi per tagliarsi qualche capillare.
L'altro, per iniettarsi la sua dose giornaliera di carburante.
Era successo in una mattina di maggio, la fine dell'anno alle porte e
le vacanze ancor più vicine. Nessuno dei due che voleva tornare
a casa per compiacere una famiglia che non esisteva. Avevano parlato
del tempo, della coca, della Tequila. Avevano fumato fino a tarda notte
e avevano scopato fino alle sei, quando, stanchi, non avevano quasi
rischiato di farsi scoprire. Avevano riso, scopato ancora e poi deciso
che sarebbe divenuta una routine.
Ogni mattina alle cinque.
Entrambi drogati di qualcosa che li avrebbe uccisi.
Anche quel giorno, alle prime luci dell'alba, prima che il mondo si
svegliasse, loro erano lì, sul tetto, ad uccidersi. Quell'
aprile, l'ennesimo vissuto in quella prigione, era più caldo
degli altri; il sole sorgeva presto e tramontava tardi, accompagnando
le loro giornate con tedio e monotonia. Costretti a vestire la camicia
anche con quelle temperature quasi estive per nascondere i succhiotti
che non riuscivano a trattenersi dal fare.
Loro, come le poche altre coppie di fatto della scuola, avevano trovato
il loro angolino di pace. Il rumore dell'alba e il profumo delle loro
pelli. Soli, in quell'attimo di paradiso, cercavano quello che non
potevano avere, desideravano una vita che non gli era concessa.
- Dovrai coprire quei segni. -
Eustass glielo diceva sempre. E Law lo faceva. Comprava vagonate di
fondotinta color perla e lo applicava sulla cute arrossata, evitando di
mostrare ciò che realmente era, gay. Nessuno li aveva mai
scoperti, e sapevano che su di loro non c'era alcun sospetto. Erano
stati talmente bravi da nascondere anche le occhiate lanciate nei
corridoi, le parole sussurrate mentre, uno da un lato e uno dall'altro
del cortile, cercavano di stare vicini.
Quella volta però Trafalgar non roteò gli occhi, non
sfoderò la sua innata vena di cinismo e non rispose a tono. Si
limitò a scuotere la testa e a rubare la sigaretta dalle labbra
di Kidd, aspirando una, due e altre volte. Consumandola con il sapore
del rosso sulle labbra, la perfetta immagine che rappresentava anche la
sua vita.
- Trafalgar mi hai sentito? -
Insistette il rosso, prendendogli la sigaretta dalle labbra e
gettandola oltre la rete a cui erano appoggiati. Si attaccò alle
sue labbra, bisognoso d'aria e di droga, quello che il moretto
rappresentava per lui, ecstasy allo stato puro. Gliele morse,
succhiò, assaggiò come se fosse la prima e l'ultima
volta. E venne ricambiato con lo stesso trasporto, persi in quel mondo
di sensazioni attutite dal tempo.
Law era cambiato. Lo aveva notato; non ribatteva più come aveva
sempre fatto e le loro lotte per la supremazia non erano più
tali. C'era un vincitore ancor prima che fosse iniziata la battaglia, e
della guerra non c'era più nemmeno l'ombra. Nessun confronto
degno di essere definito tale, nessuna discussione che finisse per
essere risolta nel letto a colpi di bacini sudati e bisognosi di
attenzioni.
Nessun gemito a riempire le loro nottate insonni, passate su scomodi banchetti di aule abbandonate.
Nessuna promessa di morte per un appuntamento mancato.
Il cellulare del moro trillò, avvisandoli che di lì a
qualche minuto il custode avrebbe iniziato il consueto giro di
ricognizione della scuola. Dicevano che serviva per prevenire eventuali
incursioni di ladri, ma sapevano tutti che era l'ennesimo tentativo di
smascherare storie clandestine e amori nascosti.
Quella suoneria, come sempre, li riportò con i piedi per terra.
Law si alzò, si sistemò i pantaloni e abbassò le
maniche della giaca della divisa. Del colletto della camicia non se ne
curò, nemmeno delle labbra tumide e dei capelli spettinati,
della matita colata e dei succhiotti in bella vista. Se ne fregò
come non aveva mai fatto e si accese l'ennesima sigaretta, dirigendosi
verso le scale.
Eustass fece lo stesso, ma fece il giro del tetto, rientrando dalla
porticina che dava al lato ovest. Se anche li avessero incontrati in
giro a quell'ora, sarebbero stati in due aree diametralmente opposte
dell'istituto e non avrebbero destato sospetti.
Non si erano nemmeno salutati.
E questo Kidd lo aveva notato.
Tre giorni dopo lo trovarono morto.
Le vene tagliate e un sorriso sul volto. Una sigaretta nella mano e
segni di rossetto sul filtro. Lo trovarono in camera con gli Aerosmith
a palla e la camicia sbottonata, i succhiotti in bella vista, sdraiato
su quel letto che, bastardo, era stato testimone di un amore corrotto e
logorante.
Fiero di mostrarli come se fossero trofei. Fiero di essere qualcosa che
lo aveva portato al suicidio. Morto, inerme e senza respiro.
Il medico dell'istituto rimarcò il fatto che quel giovane avesse
un passato troppo pesante da portarsi dietro per poter vivere ancora.
Lo psicologo ritirò i farmaci che da mesi Trafalgar prendeva di
nascosto, intascandoli ed insabbiando il fatto che quel pazzo suicida,
così come l'aveva definito, fosse in cura da lui.
Nessuno lo conosceva dopo la sua morte. Nessuno sapeva nulla di quel
moretto tatuato e necrofilo deciso a diventare un medico legale.
Il suo nome divenne tabù nemmeno trenta minuti dopo la sua
morte.
Lo conosceva solo lui, con il cuore spezzato e l'eroina in tasca.
Sette mesi dopo lo trovarono morto.
Ci aveva davvero provato a resistere, ad andare avanti, a rifarsi una
vita. Lo aveva voluto con tutto sè stesso, dimenticare,
ricominciare, vivere. Aveva speso in eroina l'equivalente di un
appartamento in centro città. Si era annientato, annullato,
isolato. La sua camera e i suoi CD dei Metallica e dei Nirvana erano
stati consumati fino allo stremo. I suoi libri ancora chiusi,
perchè le impronte di Law non andassero perse. Quei libri dove
lui disegnava delle iniziali a caso e dove il medicastro, il suo
medicastro, studiava per davvero.
Lo avevano trovato morto nella vasca da bagno. Una canna in bocca e
l'acqua gelata a raggrinzirgli la pelle. Quel sorriso macabro e folle a
sfottere il mondo e chi lo aveva ridotto così.
Sulla nuca un tatuaggio: death.
Lo psicologo nemmeno aveva voluto vederlo. Il direttore non aveva
annunciato la sua morte se non dopo aver costruito una storia credibile
che celasse quell'amore devastante che aveva portato via il suo
studente migliore e il ferramenta della scuola.
Quell'amore sbagliato.
Nessuno li conosceva più.
Erano morti, sepolti e logorati.
Come le sigarette che insieme, da sempre fumavano.
Angolo dell'autore:
Rendiamo omaggio alla morte della grammatica su questo fandom.
Un minuto di silenzio per tutte le "H" non usate, i congiuntivi cannati e le faccine da ceppominchia.
A presto,
perchè di me non vi libererete.
Alu.
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