Uncover

di GottaBeLou
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cap3

 What if the one who was meant for you
was all along right in front of you?
Just didn't see it, it was there all the time
Feel it tonight, yeah, the stars align

I'd throw a rope around the moon,
and pull it close, whatever it takes to be with you
maybe tonight
maybe tonight the stars align

-Heffron Drive, Parallel



“Baka!” urlò Ran, a quelle parole “Mi hai fatto spaventare!”
L’altro allentò la presa su di lei e iniziò a ridere, lasciando cadere a terra la pistola giocattolo.
“Avresti dovuto vederti!” continuò “Sembrava avessi visto un fantasma!”
Si portò una mano al viso, per asciugare le lacrime agli angoli degli occhi.
“Shinichi, sei proprio un bambino” disse la ragazza, incrociando le braccia.
Ogni tanto lo sono davvero pensò. “Era solo uno scherzo innocente!” disse avvicinandosi.
Lei mise il muso e si voltò dall’altra parte, per poi iniziare a camminare.
“E ora dove vai?”
“A casa, detective dei miei stivali! Ho il coprifuoco tra dieci minuti”
Lui le corse dietro chiedendole di aspettarlo. “Non puoi ritardare? Non hai più dieci anni..”
Ran si bloccò, trasse un respiro profondo e si rivolse all’amico: “Non avrei avuto bisogno di ritardare, se tu non mi avessi lasciata qui ad aspettare per due ore!”
Solo allora lui poté notare gli occhi arrossati dell’altra, aveva sicuramente pianto. Poteva capirla, ma le circostanze gli avevano impedito di arrivare prima. Le prese una mano e quel momento gli ricordò il giorno in cui l’aveva portata lì la prima volta, avevano solo dodici anni allora. Nei suoi occhi poteva ancora vedere quella bambina piagnucolosa che non faceva altro che lamentarsi.
“Ran, mi dispiace” sussurrò. La ragazza arrossì violentemente, ma lui sembrò non accorgersene. “Sarei venuto prima, ma c’è stato un piccolo imprevisto. Ora che son qui mi vuoi mandare via?”
Lei abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto urlargli in faccia quanto le facesse male non vederlo mai al suo fianco. Sì, te ne devi andare. Non voglio più vederti. Ti piace giocare con i miei sentimenti? Invece non disse niente. Il silenzio regnò per diversi secondi che a entrambi parvero ore. Le dita dei due erano intrecciate in una morsa che non dava segno di volersi sciogliere.
La ragazza scosse la testa debolmente. Continuava a ripetere di non aver bisogno di lui, ma era più per convincere se stessa che altro. In realtà le serviva più dell’aria e ogni giorno passato senza di lui era una sofferenza troppo grande da sopportare. Non voleva che se ne andasse, non di nuovo. 
Il detective la attirò a sé, lasciandole la mano e avvolgendo il suo corpo in un abbraccio. Ran si sentì mancare il fiato.
“Scusami. Scusami per tutte le volte in cui avevi bisogno di me e non ci sono stato, per i messaggi a cui non ho risposto e le promesse che non ho mantenuto. Scusami”
Le parole di Shinichi rimasero sospese nell’aria, mentre la ragazza si stringeva a lui, quasi avesse paura che stesse per scomparire per sempre.
“Dici così solo perché te ne andrai di nuovo?” chiese, infine.
“No, voglio solo che tu sappia che sono seriamente dispiaciuto. Un giorno risponderò ad ogni tua domanda, per ora ti chiedo solo di avere un altro po’ di pazienza. Credimi, vorrei farlo adesso, ma non posso. Non voglio che tu ti esponga a causa mia. So di non meritare la tua fiducia, eppure..” si lasciò scappare un sorriso “ho di nuovo la faccia tosta di chiederti di credermi” fece una pausa, sperando che l’altra dicesse qualcosa. “E capirò se al mio ritorno tu non ci sarai, non sta a me giudicare le scelte di nessuno, tantomeno dopo ciò che ho fatto”
A quel punto allentò la presa su di lei e i due si trovarono faccia a faccia.
Il detective poté scorgere sul volto della ragazza un sorriso, forse il più bello che avesse mai visto, che gli scaldò il cuore. Era profondamente, maledettamente, incondizionatamente innamorato di lei e riusciva a capirlo solo ora.
Fece per avvicinarsi di nuovo a Ran, ma sentì una voce rimbombare dentro la sua mente. Sei una mina vagante, potresti scoppiare in qualsiasi momento e distruggere tutto ciò che lei ha costruito*. Stalle lontano, per il momento.
Avrebbe voluto baciarla, sentire il suo calore, vedere di nuovo quelle labbra incurvarsi in un sorriso, ma sapeva che se avesse fatto qualcosa di troppo sarebbe stata la fine.
La magia del momento fu spezzata dal suono del cellulare di Ran. Era Kogoro che sbraitava perché la figlia non era ancora tornata a casa. Imbarazzata, la ragazza si scusò con l’amico, che si offrì di fare la strada del ritorno con lei.
I due avevano percorso gran parte della strada che li separava dall’agenzia, quando giunsero ad un incrocio. Nonostante fosse sera, le vie di Beika erano piuttosto trafficate. Nell’esatto momento in cui scattò il verde, Shinichi avvertì una delle solite fitte, stava per tornare Conan. Non adesso, solo altri dieci minuti. Il panico si impadronì di lui e, distratto dalla miriade di pensieri che affollavano la sua testa, non vide la macchina che avanzava a tutta velocità verso l’amica, che stava tranquillamente attraversando la strada.
Quando si rese conto di ciò che stava per succedere, il sangue gli si gelò nelle vene e non fece nemmeno in tempo a muovere un passo prima dell’impatto.
Un grido disumano si levò nei cieli di Tokyo, mentre le urla dei passanti scomparivano dalla mente del ragazzo, lasciando il posto ad un silenzio profondo, che al giovane sembrò più assordante di qualsiasi altro rumore.


Lo squillo di un cellulare ruppe la tranquillità della stanza in cui si trovava il ragazzo.
“Cosa vuoi, Kazuha?” chiese prima che l’altra potesse parlare. Non le aveva detto di non disturbarlo?
“Dove sei?”
“A Tokyo, credevo di avertelo già detto” sbuffò lui.
“No, intendo precisamente. Anche io sono a Tokyo.
Heiji strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
“Che!? Perché?” l’altra rimase in silenzio, a disagio.
“Puoi solo dirmi dove sei? Sono venti minuti che giro per la città e mi sto congelando”
“A casa di Kudo, vuoi che venga a prenderti?” chiese.
“No, vengo io. Sono da quelle parti”
“Come vuoi” agganciò, chiedendosi cosa fosse passato per la testa di quella ragazza. Baka.
Solo allora notò i vestiti abbandonati alla bell’e meglio sul divano.
Era arrivato a Tokyo un’ora prima e si era affrettato a raggiungere la casa dell’amico, sperando di fare in tempo a fermarlo. Non sapeva per che ora avessero fissato l’appuntamento, ma era piuttosto sicuro che fosse già passata da parecchio. Il cancello della villa era aperto e stessa cosa per la porta, strano per un perfezionista come il detective dell’est. Dopo essere entrato, aveva lanciato un’occhiata al salotto, l’unica stanza con la luce accesa, e aveva visto una figura distesa a terra.
“Kudo!” aveva urlato scuotendogli le spalle. L’altro aveva ripreso conoscenza dopo un momento e, senza capire cosa fosse veramente successo, si era alzato in piedi. La sua camicia era a terra, strappata, mentre i pantaloni della tuta erano rimasti intatti, anche se le cuciture davano segno di stare per cedere.
Dopo essersi cambiato, era corso fuori di casa ed Heiji era rimasto solo in quella casa troppo grande anche per una famiglia intera. In quei pochi attimi, Shinichi gli aveva rivelato di non sapere come fosse stata possibile la trasformazione, ma ci avrebbe pensato più tardi. Aveva altro di cui occuparsi.
Passarono alcuni minuti prima che il campanello suonasse. Il detective dell’ovest si alzò dal divano e si diresse verso la porta. Kazuha aveva le guance e il naso arrossati per il freddo. È più adorabile del solito si sorprese a pensare il ragazzo, lasciandosi sfuggire un sorriso. Tossicchiò imbarazzato, come gli saltava in mente una cosa del genere? Cercò di tornare sulla terra e distolse lo sguardo dal viso della ragazza.
“Pensi di volermi lasciare qui a gelare oppure mi fai entrare?” chiese lei, spazientita. Heiji fece un passo di lato dopo aver sbuffato.
Kazuha si sistemò sul divano e cercò di scaldarsi con la coperta che l’amico le aveva preparato.
“Mi spieghi perché sei venuta fin qui da sola?” chiese lui dopo un po’.
Lei teneva lo sguardo basso, i capelli arruffati le incorniciavano il volto. Il nastro doveva esserle scivolato via quando aveva tolto il cappello poco prima.
“Ti faccio un tè, ti va?” lei annuì, mentre l’altro scompariva in cucina.
Poco dopo Hattori fu di ritorno con un vassoio su cui erano appoggiate una teiera e una tazza, dove versò la bevanda bollente. La ragazza, ancora infreddolita, la sorseggiò piano, trovando finalmente un po’ di calore.
“Ti senti meglio?” chiese poi. Kazuha annuì di nuovo.
“Ma si può che devo sempre farti da balia?” si lamentò il detective.
“Mi spiace” sussurrò lei, sempre senza guardarlo. 
“Sei sicura di stare bene?” fece lui, avvicinandosi all’amica. Appoggiò una mano sulla sua fronte, mentre lei rimaneva immobile, quasi paralizzata. Fortunatamente non aveva la febbre.
“Sto bene, Heiji” sbottò infine.
L’altro si allontanò velocemente, tornando a sedere. La osservò a lungo, le labbra screpolate erano socchiuse, il rossore sulle guance era quasi sparito e gli occhi verdi erano meno luminosi del solito.
“Baka” disse tra i denti.
“Che hai detto?” chiese lei, con una punta di irritazione nella voce.
“Vuoi dirmi perché sei qui?”
Lei sbuffò e tornò a guardare il pavimento.
“Insomma, non l’hai ancora capito?” la voce era debole e roca. Sapeva che di lì a poco le lacrime le avrebbero rigato le guance, ma ormai non le importava più. Era arrivato il momento di dire tutto ciò che si era tenuta dentro per anni, finalmente si sarebbe tolta quel macigno che aveva sullo stomaco.
“Ma che stai dicendo? Cosa dovrei capire?” chiese l’altro, confuso.
“Sono innamorata di te, ok?” le parole le sfuggirono dalla bocca, mentre dagli angoli dei suoi grandi occhi verdi spuntavano alcune lacrime. “Lo sono da sempre”
Heiji, a quelle parole, si immobilizzò e la sua mente ripercorse tutti quegli anni che aveva passato al suo fianco, le esperienze che avevano vissuto, le emozioni che avevano condiviso.

Era una bella giornata di aprile, il sole era caldo, ma un leggero venticello rendeva la temperatura perfetta per stare all’aperto. Kazuha aveva tanto insistito perché i suoi genitori la lasciassero uscire, aveva voglia di starsene un po’ da sola con i suoi pensieri, riflettere su ciò che era accaduto il giorno prima. Si sedette all’ombro di un grosso ciliegio, i cui rami erano pieni di piccoli boccioli, prima della fine della settimana il parco si sarebbe tinto di rosa, grazie ai piccoli fiori di Sakura.
Aprì il suo diario e prese una penna. Aveva iniziato a scriverci i suoi pensieri qualche mese prima, quando aveva trovato in soffitta un vecchio quaderno di sua madre. La curiosità era sempre stato il suo punto debole, così aveva sfogliato le pagine, fino a trovare una foto che doveva avere più di vent’anni, che ritraeva i suoi genitori in uniforme scolastica, abbracciati e sorridenti. Per un secondo poi le era parso di vedere in quello scatto due volti che non erano quelli dei signori Toyama, ma il suo e quello del migliore amico, Heiji.
A quel ricordo, Kazuha sorrise imbarazzata. Si conoscevano da anni e lui la trattava come una sorella, tra di loro non sarebbe mai potuto succedere niente, anche se quell’avvenimento di nemmeno ventiquattro ore prima aveva stravolto tutto.
La ragazza iniziò a descrivere ciò che era successo, aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma l’altro gliel’aveva proibito, quindi aveva pensato al suo diario come valida alternativa.
Sobbalzò appena sentì una mano sfiorare la sua spalla. Si voltò e si trovò a pochi centimetri dal viso di una persona che conosceva fin troppo bene.
“He-Heiji, non avevi gli allenamenti?” balbettò mentre chiudeva il quaderno che aveva in mano. Le sue guance andavano a fuoco.
L’altro sospirò e si sedette accanto a lei.
“Ci sto andando ora, li hanno posticipati” rispose portandosi un braccio dietro la testa per poi appoggiarsi al tronco dell’albero.
“Che stavi scrivendo? Penso di aver letto il mio nome..” continuò lui, con un sorrisetto.
“Io? Niente, sono degli appunti di storia. Avrai confuso gli ideogrammi” buttò lì lei.
“Sarà” disse, poco convinto.
Rimasero per un po’ in silenzio, lui con gli occhi chiusi e lei con lo sguardo fisso a terra per l’imbarazzo. D’un tratto, lui sembrò ricordarsi di qualcosa e si alzò da terra facendo leva con una mano. Sii scusò con la ragazza, dicendo che prima di andare ad allenarsi avrebbe dovuto passare in un posto per sua madre.
Dopo averlo salutato, Kazuha si voltò dall’altra parte, pregando che lui avesse creduto alla storia degli appunti.
Un attimo più tardi lo vide ricomparire trafelato.
“Mi sono dimenticato di una cosa” disse lui, con il fiato corto, allungando una mano verso di lei “Questo è tuo, l’hai dimenticato ieri..”
La ragazza afferrò ciò che stava reggendo, era un nastro per capelli color lampone.
“T-ti ringrazio!”
L’altro fece un gesto con la mano, come per dirle di non preoccuparsi.
“Ti sta bene quel colore, dovresti indossarlo più spesso” disse poi, prima di andarsene di nuovo, lasciando l’amica con un palmo di naso.

Heiji sorrise, ma l’amica non lo vide, il suo sguardo era perso altrove.
“Kazuha, sei una stupida” a quelle parole, la ragazza si alzò di scatto, non voleva stare con lui per un altro minuto, doveva andarsene da quella casa “avresti dovuto dirmelo prima”
Così dicendo la fermò, afferrandole un braccio. Lasciami andare. Non voglio più vederti. Io ti odio.
“Sai una cosa?” lei si voltò e cercò di sostenere il suo sguardo, cosa che le risultò fin troppo difficile. Sentiva i suoi occhi entrare dentro di lei, leggerle la mente, captare ogni singola sua emozione.
“Sei davvero una stupida Ka..” questa volta lei non lo lasciò finire.
“Smettila di ripeterlo!” ma lui non l’ascoltava.
“E io sono più stupido di te” la voce del ragazzo era molto più bassa di quella di lei, che non faceva che urlare. Ciononostante, riuscì a sentire le parole dell’amico e rimase con gli occhi spalancati e la bocca semi chiusa, senza riuscire a proseguire. Sentì la mano di lui muoversi lungo il braccio, fino ad arrivare al polso e passare sul suo palmo, in un attimo le loro dita si intrecciarono. Quel contatto la fece rabbrividire. Quante volte aveva sognato di vivere un momento come quello? Troppe, ecco la risposta.
Distratta dalla piacevole sensazione, fece appena in tempo ad accorgersi del viso di Heiji, che si faceva sempre più vicino.
“Sono più stupido di te, perché solo ora ho capito il vero significato di quella cosa” sussurrò, facendo combaciare le loro fronti.
Il mondo intorno a loro svanì, mentre le labbra dei due ragazzi del Kansai si univano. Era il loro momento e non avrebbero potuto essere più felici. La lite era ormai lontana. Era come stare sotto una cappa di vetro, riparati dall’esterno. Niente avrebbe potuto rompere quella pace e tranquillità che regnava attorno a quelle due anime che dopo tanto tempo erano riuscite a trovarsi. Niente. O almeno così credevano.
Accadde tutto in un attimo. La suoneria di un telefono. Un urlo. Delle lacrime. Un tonfo. Dei passi trafelati. Il rumore della pioggia che aveva iniziato a cadere.

 
Nel parcheggio sotterraneo dell’hotel, una figura se ne stava appoggiata alla fiancata della macchina scura fumando una sigaretta.
“Che notizie mi porti?” chiese sentendo dei passi arrivare.
“Il detective non potrà vedere la sua bella per un po’”
“Ottimo lavoro, sapevo di poter contare su di te, Alchermes”

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Precisazioni:
*frase adattata da Colpa delle stelle di John Green, dove la protagonista, Hazel, dice (cito testualmente): "Sono una... una... una granata, mamma. Sono una granata e a un certo punto esploderò e vorrei minimizzare le vittime, okay?"

Salve a tutti!
(Okay sono in ritardo, lo riconosco, ma tra una cosa e l'altra ho avuto poco tempo per sistemare il capitolo, che, in effetti ho scritto quasi due settimane fa lol)
Ma ma ma ma... il maniaco è SHIN-CHAN *panico*
no okay, era tutto programmato, qualcuno aveva anche azzeccato con le previsioni oops
Tutto sembrava essersi sistemato ma, da persona sadica quale sono, potrei aver causato un piccolissimo incidente,
appena precedente alla scena  iniziale del prologo. Chiedo scusa agli amanti della povera piccola Ran, troverò un modo per farmi perdonare, promesso.

Kazuha ha avuto il coraggio di dichiararsi (non che avesse molta scelta) e abbiamo un piccolo flashback piuttosto confuso che verrà chiarito al più presto.
Secondo voi cosa è successo quel giorno di tanti anni fa tra i due? Vi do solo un piccolo indizio, c'entra una
promessa.
Poi, questo nuovo personaggio? Chi sarà mai Alchermes? Dun dun dun.
Tra l'altro ci ho messo un pomeriggio per trovare il nome giusto, mi è anche passata per la testa l'idea di chiamarlo "Nocino",
giusto per rendere la storia più divertente (non sono simpatica, lo so. Scusate)
Grazie mille a tutti voi che state seguendo la mia storia, davvero sono felice che vi piaccia.
Per ora procede a rilento, lo so, ma a breve succederanno un bel po' di cosucce che spero riusciranno a movimentarla.
Detto questo mi dileguo, chè devo andare a fare la pizza, yum.
Grazie di nuovo e a presto,
Gaia.

Ps. sentitevi liberi di recensire, scrivete quello che vi pare, potete anche dirmi che vi fa schifo, non vi mangio
(beh ora potrei anche farlo dato che muoio di fame ma whatever)





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