Piccolo
dono
Quella mattina il ragazzo moro non aveva
lavoro.
Nemmeno la ragazza che era con lui.
Erano due anni che si erano spostai.
Erano anni che si erano fidanzati.
Una vita che si conoscevano.
Il sole si stava alzando.
Dormivano saporitamente tutti e due.
L’una abbracciato all’altro.
La notte ai due, era arrivata dolce.
Piacevole…
Con un gioco ai limiti del reale appartenete solo a
loro.
E di nessun’altro.
Solo loro.
Uno scampanellio.
Il fatto ignaro a tutta la città dormiente.
E loro ci avevano provato ad avere un bambino.
Il sonno li teneva ancora legati nel mondo di
Morfeo.
Unico.
Tranquillo e benevolo.
Troppo conciliante, perché bastasse uno scampanellio a
destarli.
Nemmeno la tenera vocina che cercava di richiamare la
loro attenzione ci riuscì.
O almeno così parve.
Il moro aprì un occhio.
Aprì l’altro.
Tese l’orecchio.
Sentì un mugolio.
Ricade con le palpebre chiuse credevo fosse la sua
immaginazione…
Eppure quella insisteva.
Fece scorrere via delicato il braccio da sotto la nuca di
lei.
Un cuscino complice, a farle da petto di lui, dove ella
era accoccolata.
Si alzò cauto da quel letto sfatto.
Era del tutto nudo.
Si grattò la testa e sorrise tra se.
Cercò veloce un paio di calzoncini.
Ci rinunciò andando a prenderli nell’armadio.
Da esso anche una camicia…
Si diresse nelle stanze adiacenti.
Sembrò che quella vocina insistente continuasse a
richiamarlo.
Pareva aumentare in alcuni locali di quella
casa…
In altri diminuire.
I genitori della ragazza gli avevano regalato quella casa
immensa…
Troppo grande per due persone.
Gli parve di sentire un pianto verso l’uscio della porta.
Non se ne capacitava…
Che fosse la cicogna ironizzò.
Si diresse timoroso e diffidente verso di
essa.
Gli sembrava una sciocchezza.
Ma al contempo la curiosità e il desiderio erano li ad
attanagliare la sua anima.
Aprì la porta.
Convinto che quello strano desiderio fosse solo n
sogno.
Ed eccoli il frugoletto.
Piccolo ed innocente dentro un cestino.
Sorrideva.
Era un’anima innocente.
Teneva gli occhi e i capelli d’orati.
Rimase stupito.
Mai avrebbe creduto che il cielo gli donasse una vita da
crescere.
E si che da tanto che la giovane coppia
penava…
Alla fine erano stati graziati.
Lo raccolse sorridendo vedendolo curioso.
Il bimbo che teneva tra e braccia spalancò stupito gli
occhi.
Il moro chiuse alla svelta la porta.
All’esterno faceva freddo.
S’accomodò sul divano.
Non aveva nulla da dargli per il momento.
Guardò l’orologio a pendolo situato all’angolo del
salone.
Le 5.00…
A si, aveva perso sonno prezioso…
Ma ne era valsa la pena.
Notò un bigliettino scritto.
Lo lesse.
“Edward”
-E così… tu sei Edward…-
Citò con un soffio, all’indirizzo del
biondino.
Per tutta risposta, questi andò a stringergli un lembo
della camicia.
Fece sorridere ancora di più il moro.
Il biondo si corrucciò, come se si sentisse
sbeffeggiato.
Cosa che fece intenerire di più l’altro.
Lo vide sbadigliare.
Era meglio farlo dormire.
Iniziò a cullarlo lento.
E il piccolo ci mise poco ad assopirsi.
Cauto entrò nella propria camera.
Destò con gentilezza la coniuge.
Probabilmente anche lei sarebbe stata felice di vedere
quella piccola vita accoccolata sul suo petto.
-Roy…-
Chiese flebile con aria assonnata.
-Riza… guarda…-
Era seduto sul letto.
Le fece vedere il bambino.
-Dove…?-
-Fuori dalla porta. Piangeva.-
-È …-
-È nostro se vogliamo.-
-Io ci speravo tanto… e se non possiamo averne dei
nostri… lui va bene.-
-Sul bigliettino, diceva che si chiama
Edward.-
La donna lo carezzò in volto.
-Vuoi tenerlo?-
-Perché no?!-
Delicata lo prese.
Si sentì bene.
Lo strinse come se non lo volesse perdere.
Era da capirla.
Quello era l’unico bambino concessole.
Idem al consorte, che la guardava rapito.
Roy le mise un braccio dietro la schiena.
Quel momento durò un attimo…
Ma per entrambe fu il più lungo e amabile di tutta alloro
vita…
Da quel giorno, non passò molto, per arrivare a quello in
cui il piccolo Ed crebbe.