Autrice:
AHARU_
Pairing:
Winchest
(senza chest)
Fandom:
Supernatural
Avvertimenti:
Tematiche delicate (sempre
meglio avvertire; poi magari sono solo mie paranoie)
NdA:
Okay;
sì mi rendo conto che
non sto molto bene (?).
E'
un'idea che mi è venuta in mente leggendo teorie assurde
sparse per
internet e beh, ho voluto provare.
La
storia ha due luoghi principali: la stanza bianca e i ricordi di
Dean.
Ne
ho scelti tre, quelli che definirei i momenti topici di Supernatural.
Quelli in cui, secondo me, si vede meglio il rapporto che
c'è tra
Sam e Dean.
Sono
bene accette critiche e ringrazio chiunque leggerà. Ma se
avete due
minuti da sprecare per lasciare una recensione a me non dispiace
(<3)
Have
a nice Easter! <3
Disclaimer:
I personaggi non mi appartengono (purtroppo) e non ci guadagno nulla.
Il
titolo è un verso dell'omonima canzone di Jon Bon Jovi.
Every
road leads home to you
«Dean
porta tuo fratello fuori!» la voce profonda di John
Winchester,
spezzata dalla paura, risuonò nelle orecchie del bambino con
gli
occhi verdi, scuotendolo in ogni fibra del suo essere.
Dean
non aveva capito cosa era successo: l'ultima cosa che ricordava era
il suo letto caldo, la coperta rimboccata fino al nasino costellato
di lentiggini dalla mamma e un bacio leggero, appena soffiato sulla
fronte, tra le note di Hey
Jude.
Ma
quella sera qualcosa, un misto tra urla e una tremenda sensazione di
calore, lo svegliò terrorizzandolo.
Scese
dal letto e si ritrovò suo padre, in preda al panico, che
gli
ordinava di uscire dalla loro casa. In piena notte.
Dean
aveva paura di guardare il punto in cui il fuoco, spietato e
indomabile, ancora stava divorando la sua vecchia casa. Aveva paura
di pensare a cosa era appena successo, a cosa stava perdendo: in un
attimo, nella sua testa, passarono veloci le immagini di tutti i suoi
vestiti preferiti, di tutti i suoi giocattoli.
Di
quel trenino che aveva ricevuto la mattina del Natale scorso, tra le
luci dell'enorme albero in mezzo alla stanza, tra l'odore di cannella
dei biscotti appena sfornati da Mary.
Il
bambino voltò lo sguardo, cercando tra la folla l'unico
volto che
avrebbe voluto vedere: e una consapevolezza, silenziosa e letale, lo
colpì in pieno petto.
La
sua mamma non era lì. La sua mamma non sembrava essere da
nessuna
parte.
«Dov'è
la mamma, Papà?» Dean lo chiamò piano,
strattonandolo per l'orlo
della maglia scura. «Papà?»
«Non
ora Dean, ti prego»
Non
dimenticò mai lo sguardo che gli rivolse suo padre, in quel
momento.
Stringendo tra le braccia sporche di cenere il piccolo Sammy, John
osservò la casa bruciare: gli occhi svuotati, velati da un
sottile
strato di lacrime a cui mai avrebbe dato il permesso di scendere -
John non avrebbe mai pianto davanti a Dean.
Per
questo si voltò, vagando con gli occhi per tutti i curiosi
radunatisi dietro le barricate dei pompieri.
«Dean,
per favore, prendi Sam»
Dean
si riscosse all'improvviso, percependo il peso di quel neonato tra le
sue braccia. Lo strinse a sé fino a sentirne il battito del
cuore,
fino a sentire il respiro tranquillo sul suo pigiama.
Lo
cullò delicatamente, avvicinando il suo volto alla propria
guancia.
E, in quel preciso momento, Dean Winchester giurò a se
stesso che lo
avrebbe protetto, sempre. A costo della sua vita.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Le
stanze del motel a cui erano abituati i Winchester erano tutte
incredibilmente simili. Non solo la disposizione dei mobili o i
letti morbidi, ma anche l’odore – un insolito
miscuglio di sporco
e prodotti chimici - era sempre lo stesso. Ci erano voluti anni per
abituarsi ma, ora, quasi non riuscivano a sentirsi a casa senza.
Anche
quella sera, dopo aver sconfitto un gruppo di vampiri nel Minnesota,
ne avevano affittata una: i due letti vicini, la debole luce
dell'abat-jour e la lista dei film di Casa erotica perfettamente
rilegata e sistemata sul comodino.
Tutto
sembrava essere nella normalità.
Per
questo motivo, quando la mattina dopo Dean aprì gli occhi,
venne
assalito dalla paura, dal timore di non essere nel posto giusto.
Istintivamente,
il ragazzo cercò nell'elastico dei jeans la pistola,
elaborando
nella sua mente tutte le possibili spiegazioni per il fatto che si
trovasse in una stanza dalle pareti imbottite e non nel letto di un
motel, accanto al fratello.
Djinn.
La
sua mente collocò quel mostro al primo posto sulla lista dei
sospetti; quindi, teoricamente, non avrebbe dovuto fare altro che
svegliarsi da quel mondo creato appositamente per esaudire i suoi
più
profondi desideri.
Il
ragazzo, facendo la massima attenzione, percorse la piccola stanza in
tutta la sua grandezza, facendo scivolare la mano sulle pareti. Una
porta metallica svettava su uno dei muri: provò a girare la
maniglia, ma un cigolio sinistro avvertì il cacciatore di
essere
bloccato.
Senza
pensarci due volte, prese la rincorsa andando a colpire con la spalla
l'esatto centro della porta. Evitò di pensare al dolore,
massaggiando i muscoli indolenziti.
«Ma
che cazzo» Dean imprecò qualcosa verso
Dio,rintanandosi in un
angolo della stanza. Almeno avrebbe potuto tenere d'occhio la
situazione.
Chiuse
gli occhi, deglutendo quel poco di saliva rimasta in gola: un rumore
improvviso e rauco gli ricordò di avere fame.
Fame
che aumentò all'odore di qualcosa che, la sua mente, subito
identificò come cibo.
Dean
scattò in piedi, aspettando che i rumori fuori dalla porta
arrivassero fino a lui: la maniglia si mosse lentamente e una donna
dal camice verde, giovane e stranamente familiare, entrò
seguita da
due omoni in bianco che si sistemarono come protezione alla porta.
«Svegliato
bene Dean?» la ragazza sorrise dolcemente, le labbra
perfettamente
truccate erano carnose e di una tonalità sfumata di rosso.
Il
Winchester la squadrò dall'alto in basso, notando ogni
particolare
del suo volto, perdendosi in due gambe lunghe un chilometro.
«Non
proprio»
«Mi
dispiace»
«Chi
sei tu?»
La
donna sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Skye,
mi chiamo Skye.»
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Guardò
la scatola che teneva tra le mani, controllando distrattamente tutto
ciò che vi aveva messo dentro.
L’aria
gelida accarezzò la sua schiena, intrufolandosi tra gli
spiragli di
pelle umida: gli occhi verdi del ragazzo studiarono il paesaggio che
lo circondava, enumerando nella sua mente le possibili via di fuga.
Chiuse
le palpebre, facendo sfiorare le ciglia bionde e folte, e
rabbrividì,
sentendo ancora la vita che scivolava via dal corpo di suo fratello.
Percependo il calore del sangue colare giù per la sua
schiena.
«Dean
Winchester » una voce femminile lo fece ripiombare nella
realtà. Il
cacciatore respirò piano, tentando in tutti i modi di
riprendere il
controllo delle sue emozioni. «A cosa devo il
piacere?»
«Voglio
fare un patto.»
Il
cacciatore trattenne il respiro, attese per una manciata di secondi
una risposta ma una risata lo schiaffeggiò in pieno volto,
distrusse
l'orgoglio e la speranza.
«E
per cosa?»
«Dieci
anni. La mia anima per la vita di Sam»
«Dieci
anni? Tu sei un Winchester, Dean. Le regole che usiamo solitamente
non valgono per uno come te. »
«Cinque
anni?»
«Un
anno. E' la migliore offerta che posso farti.»
Un
anno. 365 giorni da passare sulla terra: in fondo ne valeva la pena
se il premio era la vita di suo fratello.
La
vita che quel demone dagli occhi gialli gli aveva strappato via, come
aveva strappato via la vita di sua madre.
Il
ragazzo strinse i pugni, forte. Talmente forte da sentire le ossa
incrinarsi e il sangue accarezzare il profilo delle sue dita: aveva
immaginato milioni di volte quel giallo paglierino spegnersi per mano
sua, vedere la vita che lo abbandonava in un espressione di stupore e
terrore.
Ma,
ora, non era più una sfida contro il suo futuro.
Ora
che aveva provocato anche la morte di suo fratello, era diventata una
promessa. Una promessa per cui avrebbe dato anche l’anima.
«Un
anno» ripeté Dean, cercando di convincersi che
quella fosse davvero
la scelta giusta.
«Pronto?»
la voce della donna sembrò divertita, sincera a tal punto da
colpirlo in volto.
I
suoi occhi neri, vacui e privi di vita, lo fissarono per un secondo
ancora: poi due labbra carnose, pericolosamente dolci, lo rapirono in
quel bacio che avrebbe decretato la sua fine.
E
nello stesso istante in cui il demone degli incroci svanì
nella
notte, Sam Winchester ricominciò a respirare.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
«Skye»
Dean lo ripeté un paio di volte, trovando in quel nome
qualcosa in
cui rannicchiarsi, in cui sentirsi al sicuro. «Strano
nome» asserì
infine, guardando la donna seduta davanti a lui.
«I
miei genitori pensavano esistessero gli alieni» la donna
parlò
tranquilla, ridendo nostalgicamente di quel ricordo.
«Gli
alieni non esistono»
«E
tu come fai a saperlo?» Skye tirò fuori dalla
borsa una cartellina
nera, pescando anche una penna.
Con
grazia stappò la biro, puntandola contro il foglio bianco;
puntò lo
sguardo nei suoi occhi, aspettando che il ragazzo raccontasse la sua
storia.
Cosa
che, Dean, si rifiutò di fare finendo il discorso con un
serio “E'
così e basta”.
Rimasero
in silenzio per un tempo che , per quanto ci avesse provato, non
riuscì a quantificare. La donna dagli occhi blu lo fissava,
studiando ogni movimento del suo corpo, ogni tremito, ogni smorfia di
dolore dovuta alle ferite del braccio.
«Non
vuoi raccontarmi niente oggi?»
Quando
la sua voce ruppe il silenzio, Dean si ritrovò stranamente
grato.
«No»
scosse la testa e non disse più nulla.
Aveva
tante domande da porre, tanti interrogativi che pretendevano una
risposta. Come lo avevano portato lì senza che lui se ne
accorgesse?
E Sam, come aveva potuto permetterlo?
Per
un istante si immaginò suo fratello in preda al panico,
magari
ferito dalla lotta intento in una ricerca disperata...
«Voglio
vedere mio fratello, posso andare?»
La
donna fece una smorfia, dirigendo il suo sguardo verso le due guardie
davanti alle porta. Incrociò le braccia al petto, alzando
gli occhi al cielo; e Dean ebbe l’impressione di aver
già posto
quella domanda innumerevoli volte.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Quel
giorno faceva caldo. Non quel caldo estivo, quasi piacevole e intriso
di ricordi. Ma un caldo soffocante, peggiorato dal cielo coperto da
una coltre spessa di nuvole grigie.
Nuvole
che sembravano imporre il silenzio, che imploravano la natura di
quietarsi, di osservare la scena a cui aveva l'onore di assistere.
Tra
le tombe trascurate, ricoperte di muschi verdastri, due uomini, l'uno
davanti all'altro, si fissavano in attesa di un qualcosa –
una
parola, un movimento, una scelta...
«Non
siamo obbligati a farlo, Ma-Ha-El.» la voce di Lucifero era
totalmente diversa da quella che, un tempo, era stata quella di Sam.
Era
strano notare quanto risultassero diversi, nonostante condividessero
un unico corpo: il portatore di luce, satana,
sembrava
donare a quel volto giovane un immensa tristezza. Miliardi di anni
di vendette, bestemmie e eresie in nome di Dio, contro colui che fu
suo padre.
«Helel
è ovvio che preferirei non doverti combattere!» il
ragazzo biondo –
nonostante il tono vissuto della sua voce, sembrava appena uscito
dalla pubertà – rispose dolcemente, stringendo i
pugni.
I
loro sguardi si rincorrevano, lottavano in una battaglia irreale che,
di lì a poco, avrebbe spazzato via metà del
pianeta.
«Allora
ti prego, fratello. Smettiamo questa inutile farsa»
«E
tu credi che questo basti? Dopo tutto quello che hai fatto, dopo
tutte le persone che hai ucciso, i tuoi fratelli! Io non posso
lasciarti andare come se nulla fosse… »
«Dopo
quello che ho fatto? E se non fosse stata colpa mia? Pensaci
Ma-Ha-El. Nostro padre ha creato questo mondo. Ha creato tutto.
Questo significa che lui mi ha fatto come sono: Dio voleva il
diavolo.»
«Allora?»
«Allora
perché? Perché farci combattere. Non riesco
proprio a capire. Siamo
fratelli, usciamo da questa situazione»
Il
principe la sentiva quella spiacevole sensazione che saliva su per la
spina dorsale, che prendeva possesso di ogni centimetro della sua
grazia: davvero avrebbe voluto smettere, perdonare suo fratello per
ridare vita al paradiso e alla terra. Per riavere accanto la
sfolgorante luce dell’angelo più bello, per
rivedere le sue ali
imponenti: anche se non erano gli ordini, Michael avrebbe solo voluto
riprendersi la sua stella del mattino, abbracciarla, stringerla a
sé
come faceva prima della caduta, prima di tutte le
sofferenze… «Mi
dispiace. – la voce tremò.- Non posso farlo. Sono
un bravo figlio
e ho i miei ordini»
Avrebbe
voluto, ma non poteva.
Lui
era stato creato per seguire gli ordini, per incastrare i pezzi del
puzzle di un destino che era già stato programmato.
«Non
sei obbligato a obbedire»
«Credi
che mi ribellerò? Proprio ora? Io non sono come te Helel.
Dai la
colpa a tutti eccetto che a te stesso. Eravamo uniti, eravamo felici.
E poi tu hai tradito. Tu hai fatto costretto nostro padre ad
andarsene»
«Allora
non vedo altra via d'uscita»
«Dovrò
ucciderti»
«Ti
sfido a provarc-»
Non
ebbe tempo di finire la frase che un suono lontano attirò
l'attenzione di entrambi.
Una
macchina nera, dolorosamente familiare, si avvicinava lentamente,
divorando il silenzio che regnava con una canzone - una di quelle che
Dean amava sentire all'interno della sua bambina.
Con
lo stupore dei due angeli, l'ultimo Winchester aprì la
portiera
salutandoli come fosse una rimpatriata di famiglia.
«Voglio
cinque minuti con Sam» Dean puntò gli occhi in
quello di suo
fratello: un brivido lo attraversò quando non li riconobbe.
«Solo
cinque minuti»
I
due fratelli si scambiarono un'occhiata d'intesa: avevano deciso di
lasciarlo in vita, per il bene dei loro tramiti, ma quel figlio di
puttana sembrava provare gusto a cacciarsi nei guai.
E
dopo un'eternità Lucipher e Michael furono d'accordo su una
cosa.
«Tu,
bastardo. Non fai più parte del piano.»
Michael
fece un passo nella sua direzione, quando una bottiglia infuocata lo
colpì in pieno petto, bruciandolo il un fischio disperato.
Dean
voltò lo sguardo, trovando Bobby e Castiel che gli
sorridevano
preoccupati.
Castiel
gli fece un cenno, dicendo senza nessuna parola detta tutto
ciò che
c'era da dire: sarebbero morti comunque. Con tutte le
probabilità
sarebbero stati gli ultimi momenti.
E,
per un guerriero, non c'era morte migliore di una in battaglia.
«Solo
io posso giocare con nostro fratello, Castiel.»
Con
uno schiocco di dita li uccise entrambi: Dean provò a
soffocare il
dolore, le lacrime. Quello non era il momento ma non riusciva a
distogliere lo sguardo dal corpo di Bobby e da ciò che
rimaneva di
quello di Castiel.
Ma
Lucifero colpì il suo volto con un pugno preciso, lasciando
la pelle
color miele gonfia e livida, facendo risuonare nell'aria le ossa
frantumate.
Un
colpo, due, tre.
Poi
arrivò anche il quarto.
Il
volto del cacciatore perse ogni accenno di umanità; anche
gli occhi
verdi, ancora così limpidi, erano rigonfi e quasi
interamente
coperti da ematomi talmente estesi da rendere difficile guardarlo.
«Sam»
Dean si accasciò senza forze sulla portiera scura della sua
amata
Impala. Sentì ogni ammaccatura contro la sua nuca, contro il
suo
collo.
Con
i muscoli doloranti e tesi, alzò delicatamente il volto
cercando
contro luce il viso familiare di suo fratello.
«Sammy» ripeté
ancora, piano.
Sentiva
dolore a muscoli che non si era mai accorto di avere, ma sapeva che,
se non fosse riuscito a fermarlo, quello sarebbe stato solo l'inizio.
Per questo, con le ultime forze rimastegli in corpo,
avvicinò il
braccio sporco di sangue alla sua mano, aggrappandosi alla giacca
verde di suo fratello.
«Sammy,
va tutto bene» E davvero ci credeva.
Perché
suo fratello, il suo Sam, era l'uomo più forte che avesse
mai
conosciuto.
Poteva
quasi vederlo dietro quello sguardo glaciale, nel profondo di quegli
occhi ardenti e multicolore, lottare con tutte le forze per
riprendere il controllo del suo corpo.
Se
una persona poteva sconfiggere il diavolo, Dean era certo che sarebbe
potuto essere solo Sam. «Sono qui. Sarò sempre qui
per te. Io…»
Strinse
il lembo di stoffa che teneva nel palmo, costringendo la stella del
mattino a guardarlo tra gli affondi, tra il dolore.
«…non
ti abbandonerò.»
E,
nel suo sguardo, qualcosa cambiò: fissava un punto lontano,
attraverso il finestrino di quella che era sempre stata la loro casa.
Un
soldatino, appena sopra le loro iniziali incise, era incastrato nella
portiera. Un ricordo sbiadito accarezzò la sua memoria e,
all'improvviso, milioni di immagini lo assalirono in un'ondata di
emozioni: la prima volta che Dean era venuto a Stanford, la morte di
Jessica, il loro primo caso, tutti gli scherzi, le risate e le
canzoni stonate nell'abitacolo.
Tutte
le urla, gli sbagli e le lacrime.
E
tutte le volte che Dean era lì per proteggerlo dai mostri,
fin da
quando erano piccoli, tutte le volte che lo aveva difeso... e
quell'ultimo abbraccio della sera prima, dopo la decisione di
sacrificarsi, di reggere il peso del mondo sulle proprie spalle.
Un
abbraccio così stretto e intenso da riuscire a infrangere
ogni piano
di Lucifero, così pieno d'amore da riuscire a distruggere la
gabbia
che imprigionava Sam.
«Andrà
tutto bene Dean»
Il
ragazzo riprese il controllo.
Contro
ogni scommessa, contro ogni previsione; il suo viso si
addolcì, gli
occhi multicolore emettevano un senso di orgoglio, di
felicità.
Aveva sconfitto il diavolo. Avevano
sconfitto il diavolo. «Ce l’ho in pugno»
un sorriso appena
accennato nacque sul suo viso. Frugò nella tasca, prese gli
anelli e
li gettò a terra pronunciando l'incantesimo.
In
una folata di vento, la terra sprofondò davanti ai loro
occhi.
Sam
fece un passo in direzione della voragine: vi guardò dentro,
scorgendo in profondità le fiamme dell'inferno.
Si
voltò a guardare il fratello; per una manciata di secondi,
sull'orlo
del burrone, rimasero in silenzio fissandosi. Studiando ogni
particolare dei loro volti.
Se
tutto fosse andato nel verso giusto, quella
sarebbe
stata l'ultima volta in cui si sarebbero visti.
Sam
chiuse gli occhi, un espressione confusa - un misto tra
rassegnazione e pura beatitudine – si dipinse sul suo volto.
«Sammy»
Dean fece per alzarsi, raggiungerlo per un ultimo abbraccio. Per un
secondo prese anche in considerazione di cadere con lui. Ma la voce
di Michael lo precedette.
Dopo,
successe tutto troppo in fretta: l'arcangelo e suo fratello caddero
nella voragine, inglobati dal nulla.
Stretti
in una morsa, l'unica famiglia che gli era rimasta scomparì
velocemente davanti ai suoi occhi impotenti.
E
Dean rimase solo.
Completamente
solo.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Skye
inclinò la testa d'un lato, giocando con la penna tra le
dita
affusolate. Diede un occhiata al foglio che teneva sulle gambe,
leggendo di sfuggita gli appunti che aveva preso. «Chi
è Castiel?»
Dean sorrise. Non un sorriso come gli altri, falso e pieno di
sfaccettature: uno di quelli veri, che influenzavano anche gli occhi
smeraldini.
«E'
un angelo. Un soldato, in realtà. All'inizio era una vera
spina nel
fianco... ma, ora, è una delle persone che amo di
più. E' parte
della mia famiglia.»
«Un
angelo? Ali bianche, aureola e veste lunga? »
«Ha
le ali, ma non si vedono. O almeno noi non riusciamo a vederle: si
scioglierebbero gli occhi o cose del genere. E no, niente aureola e
niente veste lunga... beh, indossa un trench beige.»
«Dean»
«I
suoi occhi assomigliavano molto ai tuoi» Due occhi grandi, di
un
blu quasi irreale, che sembravano aver visto tutte le sofferenze del
mondo. In qualche modo, quella donna, gli ricordava Castiel: i
capelli corti e corvini, quella buffa mania di inclinare la testa e
ridurre gli occhi a due fessure…
«E
dov’è questo angelo ora?»
«E’
tornato in paradiso dopo l’apocalisse. Ora è il
nuovo sceriffo.»
Non poté fare a meno di sorridere, a quel pensiero.
Dopo
tutto quello che aveva sacrificato, finalmente, stava ricevendo un
po’ di meritata ricompensa. Quella figura impettita , dal
volto
sporcato da un velo leggero di barba, se lo meritava; anche se gli
mancava.
«Dean,
va tutto bene?» il ragazzo inghiottì quel pensiero
a fatica,
trattenendo a stento le lacrime.
Stare
in quella stanza, lontano da tutti e tutto, era molto peggio di
qualunque cosa avesse affrontato in passato.
«S-sì»
con il polpastrello, percorse ogni cicatrice che svettava sul suo
braccio scoperto, sentendone i contorni e il leggero fastidio che
ancora gli provocavano, percependo il calore di ogni ferita ancora
aperta, appena coperta dalla crosta. «Ma sono sicuro che mio
fratello mi sta cercando. Ve lo chiedo per un ultima volta:
lasciatemi andare.»
«Non
possiamo» la donna arrotolò le maniche del camice
verde, facendole
scivolare su per le braccia sottili. «E tu sai il
perché Dean.»
con un movimento gli si avvicinò, posizionandosi esattamente
davanti
a lui: allungò una mano, andando ad accarezzare quel volto
stanco
dalle mille lentiggini, quegli zigomi color miele segnati dalle
cicatrici.
«Hai
ucciso un uomo.»
Dean
scattò in avanti, allontanando Skye dalla sua vista; tese i
muscoli,
contrasse la mascella.
«Era
Azazel! Il figlio di puttana che ha ucciso mia madre.»
«Ne
abbiamo già parlato. I demoni, i mostri che tu credi di
combattere... non esistono. Non sono mai esistiti.»
«E
cosa mi dici dei vampiri di ieri sera? Li ho uccisi, li abbiamo
uccisi.»
Era
certo di quello che stava dicendo, certo della sensazione –
Dean
non era sicuro che fosse spiacevole o no – degli schizzi di
sangue
sul volto dopo aver tagliato la testa a quel mostro.
Della
felicità che provava al contatto di quel materasso sporco,
della
vista di suo fratello sorridente appoggiato alle pareti sc-.
Di
che colore erano le pareti?
Dean
cercò in ogni angolo della sua mente la risposta, notando
con orrore
di star dimenticando vari particolari della sua vita, come il colore
delle pareti, l'espressione terrorizzata e affamata del vampiro.
O
il colore degli occhi di Sam.
Una
scia di malessere nacque nel suo petto, attraversando ogni
terminazione nervosa, portandolo ad un passo dal perdere i sensi. Le
ginocchia cedettero: si trattenne a fatica, aggrappandosi con le
unghie alle pareti, facendosi violenza per non cadere davanti a
quelle persone che a malapena conosceva.
«Dean
tu sei qui da dieci anni. - Poi, in un secondo, ricordò il
tempo
passato in quella gabbia candida che, in qualche modo, riprendeva le
nuvole soffici del paradiso della fiaba che sua madre gli raccontava
prima di metterlo a dormire. - Tuo padre ti ha fatto internare: eri
violento, continuavi a tagliarti le braccia per dimostrare di non
essere un mostro e un giorno hai attaccato anche lui.»
Ricordò
quelle guardie che prendeva a pugni ogni sera per tentare di
scappare; le stesse che lo trascinavano in qualche strana stanza
subito dopo ... e ricordò il motivo per cui suo padre, in
un'ultima
e disperata decisione, lo fece rinchiudere in quel dannatissimo
manicomio.
«No»
la sua voce uscì a malapena dalle sue labbra pallide.
Nella
sua mente ricreò l'immagine di quella notte del due
novembre: del
suo letto caldo – l'ultimo posto in cui davvero si
sentì al sicuro
-, del bacio soffiato di sua madre tra le note di Hey Jude, di quella
carezza al suo fratellino prima di andare a dormire... Dean
spalancò
gli occhi, portò una mano davanti alla bocca sentendo
l'impellente
necessità di vomitare.
«No»
Tutti
i demoni che aveva ucciso.
Tutte
le persone che aveva salvato... erano solo frutto della sua
immaginazione. Frutto di un mondo che aveva creato la sua testa per
non sopportare il peso della verità.
Ma
non fu la consapevolezza di non essere un eroe a farlo tremare. Ne'
il peso della sua ritrovata pazzia a fargli cedere le ginocchia.
«Sam»
gli occhi si riempirono di lacrime. Vagarono per le pareti cercando
un qualcosa che nemmeno lui sapeva, e finì lì:
negli occhi della
donna dal camice verde davanti a lui. In quelle due pozze blu notte
in cui, subito, si pentì di essere entrato.
Se
tutto quello che aveva sempre creduto reale si era rivelato solo una
sua creazione...
Dean
si lasciò cadere su una delle pareti imbottite della stanza:
i tagli
bruciavano ad ogni movimento, si riaprivano macchiando il pavimento
di qualche goccia scura. Con mani tremanti, il ragazzo si
aggrappò
con forza alle propria braccia e strinse, strinse ancora, come se
quel contatto fosse l'unica cosa che riusciva a farlo rimanere
lucido.
«Era
il mio Sammy. Avrei dovuto essere suo fratello maggiore, avrei
dovuto...»
«Dean!
Tutto questo non è reale. Riesci a capirlo? Sam è
morto
nell'incendio che uccise anche tua madre. Un incendio, Dean. Non un
demone dagli occhi gialli: un semplice
incendio.»
Lentamente,
il ragazzo si lasciò scivolare giù per la parete
morbida; le gambe
stringevano contro il petto, impedendogli quasi di respirare e le
braccia, così lisce e muscolose, lambivano appena la testa
coperta
di capelli biondo scuro.
«Lui...
» quando gli occhi appannati dalle lacrime gli permisero di
nuovo di
vedere la donna, il suo sguardo, Dean riannodò i fili della
ragione.
«E' morto. »
Ed
un urlo disperato si perse nell'edificio.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Dean
aveva paura di guardare il punto in cui il fuoco, spietato e
indomabile, ancora stava divorando la sua vecchia casa. Aveva paura
di pensare a cosa era appena successo, a cosa stava perdendo: in un
attimo, nella sua testa, passarono veloci le immagini di tutti i suoi
vestiti preferiti, di tutti i suoi giocattoli.
Di
quel trenino che aveva ricevuto la mattina del Natale scorso, tra le
luci dell'enorme albero in mezzo alla stanza, tra le risate di una
Mary incinta, radiosa e felice.
Dean,
avvolto nella coperta datagli da un pompiere, osservò con
attenzione
il volto del padre.
Con
le dita giocava con la fede, stringendo nel grosso palmo un piccolo
peluche a forma di alce.
«Papà?»
la voce innocente tremò leggermente, alla vista di quelle
lacrime
che rigavano le guance sporche di cenere.
Ma
il silenzio che seguì lo colpì in piena faccia,
dicendo tutto
quello che aveva paura di sentire.
Il
bambino raccolse tutto il coraggio che aveva e puntò gli
occhi sulla
finestra che un tempo apparteneva alla camera di suo fratello, mentre
il fuoco dava alla culla e a sua madre un ultimo e spietato
abbraccio.
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